lunedì 23 dicembre 2024

La danza della morte: la pace o l'incubo nucleare?


Dal 1960 al 1962, in piena "guerra fredda", Thomas Merton mette per iscritto alcune considerazioni sulla pace e il rischio che una guerra nucleare possa distruggere l'umanità. Il testo - fatto conoscere allora attraverso un ciclostilato poichè ne fu proibita la pubblicazione - cerca di delineare la posizione cristiana di fronte al tema della guerra che, allora come oggi, porta senza alternativa al parossismo della distruzione nucleare. Da qui la sorprendete attualità... 


Tutti sono almeno potenzialmente membra del Cristo mistico. Chi può dire con certezza assoluta di ogni altro uomo che Cristo non viva in lui? Di conseguenza, in tutte le nostre relazioni con gli altri dobbiamo renderci conto che stiamo affrontando spesso, se non sempre, le domande che furono poste a Caino e a Giuda.

Noi siamo, allora, discepoli di Cristo e necessariamente i custodi dei nostri fratelli. E la domanda che ci è posta riguarda tutti gli uomini. Riguarda, al momento presente, l’intera razza umana. Non possiamo ignorare questa domanda. Non possiamo dare un consenso irresponsabile e non cristiano all’uso demoniaco della potenza nucleare per la distruzione di un’intera nazione, di un intero continente o forse perfino dell’intera razza umana. O possiamo? La domanda, ora, è posta.


Forse è già posta troppo tardi.

In questo momento molto critico della storia abbiamo un compito duplice. È un compito in cui è coinvolta in qualche misura l’intera razza umana. Ma la responsabilità più grande di tutte spetta ai cittadini dei grandi blocchi di potere, che minacciano di distruggersi l’un l’altro con le armi nucleari, chimiche e batteriologiche.

Da un lato dobbiamo difendere e promuovere i valori umani più alti: il diritto dell’uomo a vivere libero e a sviluppare la propria vita in modo degno della propria grandezza morale. Dall’altro lato, dobbiamo proteggere l’uomo dall’abuso criminale dell’enorme potenza distruttiva che ha acquisito. Agli americani e agli europei occidentali questo duplice compito sembra riducibile in pratica a una lotta contro la dittatura totalitarista e contro la guerra.

Il nostro primissimo obbligo è quello di interpretare accuratamente la situazione, e ciò significa resistere alla tentazione di semplificare eccessivamente e di generalizzare. La lotta contro il totalitarismo è rivolta non solo contro un nemico esterno – il comunismo – ma anche contro le nostre stesse tendenze nascoste verso le aberrazioni del fascismo o del collettivismo. La lotta contro la guerra non è rivolta solo contro la bellicosità delle potenze comuniste, ma contro la nostra stessa violenza, il fanatismo e l’avidità. Naturalmente, questo tipo di pensiero non sarà popolare nelle tensioni di una guerra fredda. Nessuno è incoraggiato a essere troppo lucido, perché la coscienza può rendere codardi, diluendo la forte convinzione che la nostra parte abbia completamente ragione e l’altra completamente torto. Ma la responsabilità cristiana non è verso una parte o l’altra nella lotta di potere: è verso Dio e la verità, e l’umanità intera.

Questo non è uno studio politico. Ma le opzioni morali dei nostri tempi sono necessariamente implicate in varie interpretazioni di realtà politica. I diversi punti di vista sulla situazione che prevalgono in occidente reagiscono l’uno con l’altro e tutti insieme si combinano a creare difficoltà e complessità estreme. Sorge allora la domanda se l’uomo sia realmente in grado di scegliere la pace piuttosto che la guerra nucleare o se le scelte siano ineluttabilmente fatte per lui dall’interazione di forze sociali. La risposta a questa domanda dipende da molti fattori che vanno oltre il controllo.


Nessuno dubita seriamente della possibilità che l’uomo e la sua società siano completamente distrutti in una guerra nucleare. Questa possibilità deve essere affrontata sobriamente, anche se è così rilevante in tutte le sue implicazioni che fatichiamo ad adattarci a essa in modo pienamente razionale. In realtà, questa spaventosa minaccia è l’arma psicologica principale della guerra fredda. L’America e la Russia stanno giocando al gioco paranoico del deterrente nucleare, ciascuna sperando disperatamente di difendere la pace, minacciando l’altra con bombe più potenti e con il totale annientamento.

In queste manovre politiche malate due cose sono assolutamente chiare: in primo luogo, la popolazione civile completamente indifesa e inerme da entrambi i lati è usata come ostaggio. Naturalmente, questo è più spesso insinuato che politicamente dichiarato. Dopotutto questo non è studiato per rendere popolare una potenza nucleare nell’epoca delle nazioni meno favorite. La “guerra contro i civili” è logicamente implicata in ogni “equilibrio del terrore” (perché dopotutto è il civile inerme che dovrebbe affrontare il terrore, e lo affronta). In secondo luogo, è ammesso molto seriamente che questa enorme minaccia può arrivare ad essere, ed è effettivamente usata, in modo assurdo e irrazionale


Coloro che pensano di poter difendere la propria indipendenza, i propri diritti civili e religiosi tramite un ricorso estremo alla bomba H non sembrano rendersi conto che la sola ombra della bomba può finire con il ridurre le loro credenze religiose e democratiche a livello di pure parole senza senso, che nascondono uno stato di belligeranza rigida e totalitaria che non tollererà opposizioni.

In un mondo in cui è sempre più certo che un altro Hitler o un altro Stalin possa apparire sulla scena, l’esistenza di armi così distruttive e la paralisi morale di capi e politici, combinata con la passività e la confusione di società di massa che esistono da entrambi i lati della cortina di ferro, costituisce il problema più grave in tutta la storia dell’uomo. I nostri tempi possono essere chiamati apocalittici, nel senso che sembriamo essere arrivati a un punto in cui tutto il dinamismo misterioso e nascosto della “storia della salvezza”, rivelato nella Bibbia, è sfociato in una crisi finale e decisiva. Il termine “fine del mondo” può essere o meno alla portata della nostra comprensione. Ma in ogni caso sembriamo assistere allo svelarsi dei simboli, misteriosamente vividi, dell’ultimo libro del Nuovo Testamento. Nella loro evidenza, essi ci rivelano noi stessi come gli uomini il cui destino è quello di vivere in un momento di probabile decisione finale. In una parola, la fine della nostra società civilizzata dipende del tutto letteralmente da noi e dai nostri immediati discendenti, se ce ne saranno. Sta a noi decidere se arrenderci all’odio, al terrore e all’amore cieco del potere in sé e per sé e quindi precipitare il nostro mondo nell’abisso, o se, frenando la nostra brutalità, possiamo pazientemente e umanamente lavorare insieme per interessi che trascendono i limiti di qualsiasi comunità nazionale o ideologica.

Qualcuno può qui obiettare che questo oscuro punto di vista della situazione contemporanea rifletta una mancanza di ottimismo cristiano e perfino un’abdicazione pessimista della speranza cristiana. Ma cos’è l’ottimismo cristiano e che cosa costituisce la speranza cristiana? Deve essere certamente qualcosa di più che una vaga e irresponsabile convinzione che, quali che siano i nostri peccati, errori e sbagli, Dio farà prosperare i nostri affari temporali e ci procurerà una sicurezza e una felicità infallibili sulla terra. Ci è veramente promessa una felicità temporale così come una eterna. Una bella vita è veramente disponibile per noi sulla terra, in una società davvero giusta e ben ordinata. Ma quando, come risultato dell’avidità, della follia e della disperazione di uomini che hanno rifiutato la giustizia, la società dell’uomo cade a pezzi, l’ottimismo cristiano non consiste nello sperare che Dio rimetterà tutto di nuovo insieme esattamente com’era prima. Questo non è nient’altro che un’aspettativa che Dio benedica e protegga indefinitamente lo status quo. Mi sembra che, considerando alcuni degli svantaggi di una tale situazione, questo non possa proprio dirsi un punto di vista ottimistico. D’altro canto, è certamente giusto sperare che, nonostante tutta la nostra follia, Dio nella sua misericordia possa e voglia preservare la razza umana dal suicidio globale. Certamente rimaniamo però liberi di rifiutare la sua misericordia e questo è il terribile pericolo dell’ora presente. Siamo sfidati a dimostrare di essere abbastanza razionali, spirituali e umani da meritare la sopravvivenza, agendo secondo le norme etiche e spirituali più alte che conosciamo. Come cristiani crediamo che queste norme ci siano state trasmesse dal vangelo e dalla teologia tradizionale della chiesa. Dobbiamo comunque vivere di queste norme in tutta la loro profondità e serietà e non solo invocarle per giustificare una condotta che in realtà viola il loro vero spirito. Chiedere che Dio benedica la guerra nucleare è un esempio calzante!


L’Apocalisse descrive lo stadio finale della storia del mondo come una lotta di potere totale e spietata, in cui sono impegnati tutti i re della terra, ma che ha una dimensione spirituale interiore che questi re sono incapaci di vedere e di comprendere. Le guerre, i cataclismi e le epidemie che distruggono la realtà terrena sono in realtà la proiezione e la manifestazione esteriori di una battaglia spirituale nascosta. Due dimensioni, quella spirituale e quella materiale, si intersecano. Essere impegnati consapevolmente e di buon grado nella lotta di potere mondana, nella politica, negli affari e nella guerra significa precipitare con il mondo nella distruzione. I santi sono “nel mondo” e indubbiamente soffrono come tutti gli altri per i suoi conflitti omicidi. In effetti, in un primo momento essi sembrano essere sconfitti e distrutti (cf. Ap 3, 7). Ma essi vedono il significato intimo di queste lotte e sono pazienti. Hanno fiducia che Dio realizzi i loro destini e li salvi dalla distruzione finale, i cui esiti non sono soggetti al loro controllo. Quindi non badano ai dettagli della lotta di potere del mondo e non tentano di influenzarla o di impegnarsi in essa in un modo o nell’altro, nemmeno per i propri apparenti benefici, né per la sopravvivenza. Perché si rendono conto che la loro sopravvivenza non ha nulla che fare con l’esercizio della forza o con l’ingenuità. Il tema sempre ricorrente dell’Apocalisse è allora che il tipico impero mondano di Babilonia (Roma) non può che essere “ebbro del sangue dei martiri di Gesù” (Cf Ap 17,6) e che perciò i santi devono “uscire da esso” e rompere tutti i rapporti con esso e con le sue preoccupazioni peccaminose (Cf Ap 18,4 ss.) perché il suo giudizio è deciso “in un’ora” e il fumo del disastro “salirà al cielo per sempre” (Ap 19,3). Ma l’autore dell’Apocalisse non consiglia la fuga, perché non vi è nessuna via di fuga geografica da Babilonia: l’unica via di fuga è in un regno spirituale attraverso il martirio, deponendo la propria vita nella fedeltà a Dio e nella protesta contro l’impurità, la magia, la finzione e la furia omicida della città mondana (Cf Ap 21,4-8).


Qual è il ruolo della guerra in tutto ciò? La guerra è “colui che cavalca il cavallo rosso” che è mandato a preparare la distruzione del mondo, perché “ha ricevuto il potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada” (Ap 6,4). I quattro cavalieri (la guerra, la fame, la morte e la pestilenza) sono mandati come segni e precursori del compimento finale della storia. Quelli che hanno fatto prigionieri i santi saranno essi stessi fatti prigionieri, quelli che hanno ucciso i santi saranno essi stessi uccisi in guerra e i santi, a suo tempo, saranno salvati dal cataclisma dalla loro costanza (Cf Ap 13,10). Tradotti in termini storici, questi misteriosi simboli dell’Apocalisse ci mostrano l’atteggiamento cristiano primitivo verso la guerra, l’ingiustizia e le persecuzioni

La pace nell’era postcristiana, a cura di P. Burton, J. Forest, B. Paoli, G. Dotti, Ed Quiqajon, 2005, 288 p. (passim)

Thomas Merton (1915 - 1968), monaco cistercense, poeta e scrittore statunitense 

lunedì 16 dicembre 2024

A Gesù Bambino

La notte è scesa

e brilla la cometa

che ha segnato il cammino.

Sono davanti a Te, Santo Bambino!

Tu, Re dell’universo,

ci hai insegnato

che tutte le creature sono uguali,

che le distingue solo la bontà,

tesoro immenso,

dato al povero e al ricco.

Gesù, fa’ ch’io sia buono,

che in cuore non abbia che dolcezza.

Fa’ che il tuo dono

s’accresca in me ogni giorno

e intorno lo diffonda,

nel Tuo nome.

Umberto Saba, pseudonimo di Umberto Poli (1883 – 1957), poeta e scrittore italiano

domenica 15 dicembre 2024

Ogni popolo guardi al dolore dell'altro e sarà pace

Torno da Gerusalemme avendo ancora negli orecchi il suono sinistro delle sirene della polizia e delle ambulanze dopo il terribile attentato di martedì 19 agosto. Ma ciò che sempre più ascolto dentro di me non è soltanto il dolore, lo sdegno, la riprovazione, che si estende a tutti gli atti di violenza, da qualunque parte provengano. È una parola più profonda e radicale, che abita nel cuore di ogni uomo e donna di questo mondo: non fabbricarti idoli!

Questa parola risuona nella Bibbia a partire dalle prime parole del Decalogo e la percorre tutta quanta, dalla Genesi all'Apocalisse.

È dunque un comandamento che tocca profondamente il cuore di ebrei e cristiani e segna un principio irrinunciabile di vita e di azione. Ed è un comandamento anche molto caro all'Islam, che ne fa uno dei pilastri della sua concezione religiosa: c'è un Dio solo, potente e misericordioso, e nulla è comparabile a lui.

Ma è anche un precetto segreto che risuona nel cuore di ogni persona umana: chi adora o serve in ogni modo un idolo ha una coscienza almeno vaga di voler "usare" la divinità o comunque un principio assoluto per i propri scopi, sente che sta strumentalizzando e sottoponendo ai propri interessi un sistema di valori a cui occorre invece rendere onore. Per questo chiunque adora un idolo intuisce che in qualche modo si degrada, sta facendo il proprio male e sta preparandosi a fare del male agli altri.

Ma non ci sono soltanto gli idoli visibili. Più radicati e potenti, duri a morire, sono gli idoli invisibili, quelli che rimangono anche quando sembra escluso ogni riferimento religioso. Tra essi vi sono gli idoli della violenza, della vendetta, del potere (politico, militare, economico...) sentito come risorsa definitiva e ultima. È l'idolo del voler stravincere in tutto, del non voler cedere in nulla, del non accettare nessuna di quelle soluzioni in cui ciascuno sia disposto a perdere qualche cosa in vista di un bene complessivo. Questi idoli, anche se si presentano con le vesti rispettabili della giustizia e del diritto, sono in realtà assetati di sangue umano.

Essi hanno una duplice caratteristica: schiavizzano e accecano. Infatti, come dice la Bibbia, chi adora gli idoli diviene schiavo degli idoli, anche di quelli invisibili: non può più sottrarsi ad esempio alla spirale perversa della vendetta e della ritorsione. E chi è schiavo dell'idolo diventa cieco riguardo al volto umano dell'altro. Ricordo la frase con cui alcuni giovani ex-terroristi degli anni '80 cercavano di descrivere come avessero potuto sparare e uccidere: "non vedevamo più il volto degli altri".

Le violenze che si scatenano oggi in tante parti del mondo sono il segno che c'è un'adorazione di questi idoli e che essi ripagano con la loro moneta distruggitrice chiunque renda loro omaggio. Chi ha fiducia solo nella violenza e nel potere prima o poi tende a eliminare e distruggere l'altro e alla fine distrugge se stesso. Già san Paolo ammoniva: "se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!". E ancora: "Non vi fate illusioni: non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato" (Lettera ai Galati 5,15 e 6,7).

Siamo nel vortice di una crisi di umanità che intacca il vincolo di solidarietà fra tutto quanto ha un volto umano. Nell'adorazione dell'idolo della potenza e del successo totale ad ogni costo è l'idea stessa di uomo, di umanità che viene offesa, è l'immagine stessa di Dio che viene sfigurata nell'immagine sfigurata dell'uomo.

Ma proprio da questa situazione, dalla presa di coscienza di trovarsi in un tragico vicolo cieco di violenza - ha cui ha fatto più volte allusione il Papa Giovanni Paolo II - può scaturire un grido di allarme salutare e urgente, più forte dell'idolatria del potere e della violenza. È un grido che si traduce concretamente nel proclamare che non vi sono alternative al dialogo e alla pace. Lo sta da tempo ripetendo in tanti modi Giovanni Paolo II. Ma esso è un grido che precede le dichiarazioni pubbliche, per quanto accorate. Risuona infatti nel cuore di ogni uomo o donna di questo mondo che si ponga il problema della sopravvivenza umana. Di alternativo alla pace oggi vi è solo il terrore, comunque espresso. Quando la sola alternativa è il male assoluto, il dialogo non è solo una delle possibili vie di uscita, ma una necessità ineludibile. Per questo i leader di tutte le parti tra loro contrastanti debbono rischiare senza esitazioni il dialogo della pace.

Tutto ciò fa emergere ancora più chiaramente le responsabilità della comunità internazionale, quelle dell'Onu e quelle dell'Europa, quelle degli Stati Uniti, della Russia e dei paesi arabi. È necessario che tutti aiutino il processo di pace che si era appena iniziato, con una pressione forte e convinta a favore della Road Map e anche con la prontezza a fornire un sostegno politico e finanziario alle comunità che hanno il coraggio di rischiare la pace. Alla costruzione di muri di cemento e di pietra per dividere le parti contrastanti è preferibile un ponte di uomini che, pur garantendo la sicurezza di entrambe le parti, consenta alle due comunità di comunicare e di intendersi sempre più sulle cose essenziali e su quelle quotidiane.

Certamente l'odio che si è accumulato è grande e grava sui cuori. Vi sono persone e gruppi che se ne nutrono come di un veleno che mentre tiene in vita insieme uccide. Per superare l'idolo dell'odio e della violenza è molto importante imparare a guardare al dolore dell'altro. La memoria delle sofferenze accumulate in tanti anni alimenta l'odio quando essa è memoria soltanto di se stessi, quando è riferita esclusivamente a sé, al proprio gruppo, alla propria giusta causa. Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta. Ma se la memoria del dolore sarà anche memoria della sofferenza dell'altro, dell'estraneo e persino del nemico, allora essa può rappresentare l'inizio di un processo di comprensione. Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace.

Non fabbricarti idoli: idolo è anche porre se stesso e i propri interessi al di sopra di tutto, dimenticando l'altro, le sue sofferenze, i suoi problemi. Il superamento della schiavitù dell'idolo consiste nel mettere l'altro al centro, così da creare quella base di comprensione che permette di continuare il dialogo e le trattative.

Corriere della Sera, 27 Agosto 2003

Carlo Maria Martini (1927 – 2012), cardinale, arcivescovo cattolico, biblista e teologo italiano


La natura misteriosa della preghiera

Sono stato molto colpito dalla prima lettura della messa feriale di oggi, mercoledì della trentesima settimana «per annum», in particolare dove si dice: «Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, perché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Romani 8, 26-27).

È un brano che mi ha sempre affascinato, incuriosito anche inquietato, perché non facile da spiegare, in quanto si riferisce alla natura misteriosa della nostra preghiera. Possiamo farci aiutare nella nostra riflessione dalla spiegazione che Agostino dà delle parole di san Paolo.

Nella Lettera a Proba che viene proposta nell'Ufficio di Lettura delle settimane venticinquesima e ventiseiesima del tempo «per anno» - il Vescovo di Ippona risponde alla domanda: Che cosa vuol dire pregare?

A proposito dei vv. 26-27 della Lettera ai Romani po­ne l'obiezione fondamentale: Che cosa significa che lo Spirito intercede per i credenti? E risponde: «Non dobbiamo intendere questo nel senso che lo Spirito santo di Dio, il quale nella Trinità è Dio immortale e un solo Dio con il Padre e con il Figlio, interceda per i santi, come uno che non sia quello che è, cioè Dio» (Lettera a Proba, 130, 14, 27 - 15, 28; CSEL 44, 71-73).

Dunque, se san Paolo sembra non avere difficoltà ad affermare che lo Spirito santo, cioè Dio, prega Dio, noi però teologicamente l'abbiamo.

Possiamo capire che il Figlio, in quanto incarnato in Gesù, prega il Padre; ma lo Spirito come fa a pregare il Padre?

Dietro a questo problema dogmatico, affrontato da Agostino, c'è poi tutto il problema della preghiera conscia e inconscia, della preghiera di cui ci accorgiamo o meno e quindi il brano della Lettera ai Romani costituisce una porta molto interessante per costringerci a entrare in questo mondo immenso.

Vorrei cercare di socchiudere almeno un poco quella porta incominciando col porre due premesse, quindi riprendendo l'espressione: lo Spirito intercede, prega, geme per noi.


Le due definizioni della preghiera

In una prima premessa richiamo le due definizioni tradizionali della preghiera, che non sembrano andare tanto d'accordo.

 - La preghiera è elevatio mentis in Deum, un elevare la mente a Dio. Il riferimento è anzitutto alla preghiera di lode, di ringraziamento, di esaltazione, quella che troviamo bene espressa nel cantico di Maria: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore». O, ancora, nella recita del Padre nostro, quando diciamo: «che sei nei cieli», parole che indicano l'innalzamento degli occhi, la dimensione verticale dell'orazione, che sale dal basso verso l'alto.

- L'altra definizione è petitio decentium a Deo, che probabilmente è complementare alla precedente. La richiesta a Dio di ciò che conviene è una preghiera che si esprime soprattutto nella domanda, nella supplica, nell’implorazione, nella petizione. Se circa una metà dei salmi sono di lode e di esaltazione, l'altra metà sono di petizione, di supplica, di richiesta di perdono. Così pure il Padre nostro, se nella prima parte è elevatio mentis in Deum, nella seconda parte è petitio, richiesta di cose convenienti (il pane, la liberazione dalla tentazione, il perdono). Anche l'Ave Maria incomincia con l'elevazione della mente a Maria e a Gesù e poi si fa richiesta di preghiera per noi peccatori.

Ci sono dunque due linee che si intersecano, quella orizzontale e quella verticale, e costituiscono nel loro insieme la preghiera cristiana. Può essere allora utile, parlando della preghiera, mettere a fuoco ora l'uno ora l'altro dei due elementi, che si alternano anche nella nostra esistenza: a volte siamo più portati a elevare la mente a Dio (nel «prefazio» della messa, per esempio), in altri momenti alla petitio decentium a Deo (come nelle orazioni della messa).

Come si realizza questo secondo elemento della preghiera, che è la richiesta di cose convenienti?

Scrive Agostino nella Lettera a Proba: «Il pregare consiste nel bussare alla porta di Dio e invocarlo con insistente e devoto ardore del cuore. Il dovere della preghiera si adempie meglio con i gemiti che con le parole, più con le lacrime che con i discorsi. Dio infatti “pone davanti al suo cospetto le nostre lacrime"(Salmo 55, 9), e il nostro gemito non rimane nascosto (cf. Salmo 37, 10) a lui che tutto ha creato per mezzo del suo Verbo, e non cerca le parole degli uomini» (Lettera a Proba, 130, 9, 18 - 10, 20: CSEI. 44, 60-63).

Risuona la parola di Gesù: Quando pregate, non pensate di ottenere attraverso il vostro molto pregare, perché il Padre sa benissimo ciò di cui avete bisogno. Tuttavia Gesù stesso ci insegna a esprimere i nostri bisogni. Non tanto però - dice Agostino - con la moltiplicazione delle parole in quanto tale, bensì con una moltiplicazione che esprima il gemito del credente. Viene così introdotta la nozione di «gemito» che ritroviamo nella pagina di san Paolo.

Concludendo, la preghiera di richiesta deve partire dal cuore, non va fatta superficialmente, deve essere un gemito, un desiderio profondo. Gemere, infatti, significa anelare a qualcosa di cui si ha estremo bisogno; anche fisicamente il gemito è l'espressione di chi, mancando di aria, cerca di aspirarla.

Che cos'è conveniente chiedere nella preghiera

Una seconda premessa, limitandoci alla preghiera di petizione: che dobbiamo chiedere? La formula patristica dice: decentium, cose convenienti. E comincia il problema: che cosa ci conviene? Perché Dio non ci dona ciò che non conviene, pur se lo domandiamo. Non a caso Matteo conclude la riflessione sulla preghiera con queste parole: «quanto più il Padre vostro celeste darà cose buone a coloro che gliele chiedono», cose che convengono (Matteo 7, 11).

Paolo insegna che noi non sappiamo che cosa ci con­viene («Nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare») e quindi dobbiamo istruirci sulle cose convenienti per poter pregare bene.

I Padri insistono soprattutto su una cosa conveniente, che esprimono con un'unica parola, ben indicata nella Lettera a Proba: «Quando preghiamo non dobbiamo mai perderci in tante considerazioni, cercando di sapere che cosa dobbiamo chiedere e temendo di non riuscire a pregare come si conviene. Perché non diciamo piuttosto col salmista: "Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore e ammirare il suo santuario" (Salmo 26, 4)?».

E Agostino specifica: si tratta della «vita beata» (Lettera a Proba, 130, 8, 15.17 - 9, 18: CSEL 44, 56-57.59-60). Tale formula sintetica ha il vantaggio di una lunga tradizione filosofica: parte da Aristotele, è ripresa dallo stoicismo, riappare in Cicerone, è usata da Ambrogio.

La sola cosa che dobbiamo chiedere, l'unico oggetto fondamentale della richiesta è la vita beata, la vita felice. Continua la Lettera a Proba: «Per conseguire questa vita beata, la stessa vera Vita in persona ci ha insegnato a pregare, non con molte parole, come se fossimo tanto più facilmente esauditi, quanto più siamo prolissi (...). Potrebbe sembrare strano che Dio ci comandi di fargli delle richieste quando egli conosce, prima ancora che glielo domandiamo, quello che ci è necessario. Dobbiamo però riflettere che a lui non importa tanto la manifestazione del nostro desiderio, cosa che egli conosce molto bene, ma piuttosto che questo desiderio si ravvivi in noi mediante la domanda perché possiamo ottenere ciò che egli è già disposto a concederci (... ). Il dono è davvero grande, tanto che né occhio mai vide, perché non è colore; né orecchio mai udì, perché non è suono; né mai è entrato in cuore d'uomo, perché è là che il cuore dell'uomo deve entrare (...). E perciò che altro vogliono dire le parole dell'Apostolo: "Pregate incessantemente" (1 Tessalonicesi 5, 17) se non questo: desiderate, senza stancarvi, da colui che solo può concederla, quella vita beata che niente varrebbe se non fosse eterna?» (Lettera a Proba, 130, 8, 15.17 - 9, 18: CSEL 44, 56-57.59-60).

La domanda che Dio esaudisce sempre, la domanda che è oggetto di gemito è la pienezza della vita, la vita eterna.

Ogni richiesta che non è orientata a questa non è conveniente e non può né deve essere oggetto di preghiera.

E quando non sappiamo se ciò che chiediamo è o non è ordinato alla vita beata, allora lo è sotto condizio­ne, lo è se e in quanto ci è utile per tale vita.

Mi sembra molto importante capire qual è la cosa fondamentale nella quale si riassume ogni nostro desiderio e ogni nostra richiesta. Noi, uomini e donne, noi persone umane storiche, siamo ciò che desideriamo; il nostro desiderio è il farsi della personalità. Se dunque il nostro desiderio culmina in questa pienezza di vita, diventiamo davvero in Cristo questa pienezza di vita.

Ma se i nostri desideri sono limitati, inferiori, noi stessi finiamo con l'essere persone limitate, blocchiamo il nostro sviluppo verso la pienezza della vita.

Forse a noi dice poco il termine «vita beata» che, invece, era tanto significativo per gli antichi. Lo stesso Nuovo Testamento usa un'altra espressione: «Regno di Dio»; le richieste «venga il tuo Regno», «sia fatta la tua volontà» sottolineano dunque che il desiderio e le invocazioni della seconda parte del Padre nostro sono subordinate al Regno, sono mezzi, condizioni per il suo avvento. E ancora, il Nuovo Testamento parla di «Spi­rito santo».

Gesù, conclude l'istruzione sulla preghiera nel vangelo secondo Luca, dopo aver esortato a cercare, a bussare, a chiedere, con queste parole: «Se dunque voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito santo» (Matteo dice: «cose buone») «a coloro che glielo chiedono» (Luca 11, 13). L'oggetto della domanda è lo Spirito santo, che significa la vita con Cristo, l'essere con lui, la pienezza della vita beata che consiste nell'essere incorporati per sempre a Gesù nella Chiesa.

Le diverse espressioni (vita beata, Regno, Spirito santo) in realtà si completano, si integrano, si sovrappongono come l'oggetto fondamentale della preghiera di domanda, e quindi come l'oggetto del gemito, dell'attesa.

Proclamando, per esempio: «nell'attesa della tua venuta», esprimiamo il nostro desiderio di fondo, cioè che la pienezza del Regno si realizzi, che lo Spirito santo venga e purifichi ogni realtà, che l'umanità si ritrovi presto nella vita beata, nella perfetta pace e nella perfetta giustizia. Sant'Ambrogio usa anche un altro termine: il bene sommo, summum bonum, che ha forse il vantaggio di dire insieme l'essere di Dio e il suo comunicarsi a noi nello Spirito, nel Regno, in Gesù, nella Chiesa, nella Grazia, nella pienezza della redenzione.

Questo dunque è ciò che dobbiamo chiedere, con  assoluta certezza di ottenerlo, alla luce della Sacra Scrittura e dell'insegnamento dei Padri.

Meditazione ai sacerdoti della diocesi di Milano tenuta il 30 ottobre 1991 a Rozzano, diocesi di Milano,
 in "Briciole dalla Tavola della Parola", Edizioni Piemme, Casale Monferrato, 1996, pp. 55-61.

Carlo Maria Martini (1927 – 2012), cardinale, arcivescovo cattolico, biblista e teologo italiano


Preghiera alla Vergine Maria

Vergine Santa, nei vostri giorni gloriosi,

non dimenticate le tristezze della terra.

Date uno sguardo di bontà a coloro che soffrono, 

che lottano contro le difficoltà 

e che non cessano di temprare le loro labbra nelle amarezze della vita.

Abbiate pietà di coloro che si amano e che sono stati separati.

Abbiate pietà della solitudine del cuore.

Abbiate pietà della debolezza della nostra fede.

Abbiate pietà degli oggetti della nostra tenerezza.

Abbiate pietà di quelli che piangono, di quelli che temono 

e date a tutti la speranza e la pace.


Henri Perreyve (1831 - 1865),  un presbitero cattolico e professore francese 

"Darà ordine ai suoi angeli di custodirti..."

"Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi" (Sal 90,11). Ringrazino il Signore per la sua misericordia e per i suoi prodigi verso i figli degli uomini. O Signore, che cos’è l’uomo, per curarti di lui o perché ti dai pensiero per lui? E per dimostrare che il Cielo non trascura nulla che ci possa giovare, ci metti a fianco quegli spiriti celesti, perché ci protegganoci istruiscono e ci guidino. "Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi". Queste parole quanta riverenza devono suscitare in te, quanta devozione recarti, quanta fiducia infonderti! Sono presenti per proteggerti, sono presenti per giovarti. Anche se gli angeli sono semplici esecutori di comandi divini, si deve essere grati anche a loro perché ubbidiscono a Dio per il nostro bene. Siamo dunque devoti, siamo grati a protettori così grandi, riamiamoli, onoriamoli quanto possiamo e quanto dobbiamo. Tutto l'amore e tutto l'onore vada a Dio, dal quale deriva interamente quanto è degli angeli e quanto è nostro. Da lui viene la capacità di amare e di onorare, da lui ciò che ci rende degni di amore e di onore. Amiamo affettuosamente gli angeli di Dio, come quelli che saranno un giorno i nostri coeredi, mentre nel frattempo sono nostre guide e tutori, costituiti e preposti a noi dal Padre. Ora, infatti, siamo figli di Dio. Lo siamo, anche se questo attualmente non lo comprendiamo chiaramente, perché siamo ancora bambini sotto amministratori e tutori e, conseguentemente, non differiamo per nulla dai servi. Gli angeli di Dio non possono essere sconfitti né sedotti e tanto meno sedurre, essi che ci custodiscono in tutte le nostre vie. Sono fedeli, sono prudenti, sono potenti. Perché trepidare? Soltanto seguiamoli, stiamo loro vicini e restiamo nella protezione del Dio del cielo.

Bernardo di Chiaravalle (1090 – 1153), monaco cristiano, abate e teologo francese dell'ordine cistercense, santo

venerdì 6 dicembre 2024

Pasqua

        Io canto la canzon di primavera,

        andando come libera gitana,

        in patria terra ed in terra lontana,

        con ciuffi d'erba ne la treccia nera.

E con un ramo di mandorlo in fiore,

a le finestre batto e dico: «Aprite!

Cristo è risorto e germinan le vite

nuove e ritorna con l’april l’amore.

        Amatevi tra voi pei dolci e belli

        sogni ch’oggi fioriscon sulla terra,

        uomini della penna e della guerra,

        uomini della vanga e dei martelli.

Aprite i cuori. In essi irrompa intera

di questo dì l’eterna giovinezza».

lo passo e canto che la vita è bellezza.

Passa e canta con me la primavera.

Poesie e prose, 2020

Ada Negri (1870 - 1945), docente, poetessa e scrittrice italiana

L'educazione dell'anima

All'educazione dell'uomo animale, dell'uomo cittadino, dell'uomo razziale, dell'uomo economico, dell'uomo volontà di potenza, dell'uomo operaio si oppone l'educazione dell'uomo completo figlio di Dio, che fa precedere la nozione del fine a quella del semplice fare, poiché l'ideale educativo dipende dall'ideale della vita

Secondo tale ideale, destinato a perfezionare la natura dell'uomo, l'anima di tutta l'educazione è l'educazione dell'anima, che si esplica nei valori morali e divini.

Intervento al Congresso pedagogico di Bruxelles (1900)

Bartolo Longo (1841 - 1926), avvocato, filantropo e pedagogo, fondatore della Congregazione delle Suore del Rosario e promotore del santuario di Pompei (Napoli)


lunedì 2 dicembre 2024

Domani, siete voi. Il testamento di Raoul Follereau


Eccomi al crepuscolo di una esistenza che ho condotto il meglio possibile, ma che rimane incompiuta. Il tesoro che vi lascio, è il bene che io non ho fatto, che avrei voluto fare e che voi farete dopo di me. Possa solo questa testimonianza aiutarvi ad amare. Questa è l’ultima ambizione della mia vita, e l’oggetto di questo “testamento”.


Giovani di tutto il mondo, o la guerra o la pace sono per voi. Scrivevo, venticinque anni fa: “O gli uomini impareranno ad amarsi o, infine, l’uomo vivrà per l’uomo, o gli uomini moriranno”. Tutti e tutti insieme.

Il nostro mondo non ha che questa alternativa: amarsi o scomparire. Bisogna scegliere. Subito. E per sempre. Ieri, l’allarme. Domani, l’inferno.

I Grandi – questi giganti che hanno cessato di essere uomini – possiedono, nelle loro turpi collezioni di morte, 20.000 bombe all’idrogeno, di cui una sola è sufficiente a trasformare un’intera Metropoli in un immenso cimitero. Ed essi continuano la loro mostruosa industria producendo tre bombe ogni 24 ore. L’Apocalisse è all’angolo della strada.

Ragazzi, Ragazze di tutto il mondo, sarete voi a dire “no” al suicidio dell’umanità.

“Signore, vorrei tanto aiutare gli altri a vivere”. Questa fu la mia preghiera di adolescente.

Credo di esserne rimasto, per tutta la mia vita, fedele…

Ed eccomi al crepuscolo di una esistenza che ho condotto il meglio possibile, ma che rimane incompiuta.

Il tesoro che vi lascio, è il bene che io non ho fatto, che avrei voluto fare e che voi farete dopo di me. Possa solo questa testimonianza aiutarvi ad amare. Questa è l’ultima ambizione della mia vita, e l’oggetto di questo “testamento”.

Proclamo erede universale tutta la gioventù del mondo. Tutta la gioventù del mondo: di destra, di sinistra, di centro, estremista: che mi importa!

Tutta la gioventù: quella che ha ricevuto il dono della fede, quella che si comporta come se credesse, quella che pensa di non credere. C’è un solo cielo per tutto il mondo.

Più sento avvicinarsi la fine della mia vita, più sento la necessità di ripetervi: è amando che noi salveremo l’umanità.

E di ripetervi: la più grande disgrazia che vi possa capitare è quella di non essere utili a nessuno, e che la vostra vita non serva a niente.

Amarsi o scomparire.

Ma non è sufficiente inneggiare a: “la pace, la pace”, perché la Pace cessi di disertare la terra.

Occorre agire. A forza di amore. A colpi di amore.

I pacifisti con il manganello sono dei falsi combattenti. Tentando di conquistare, disertano. Il Cristo ha ripudiato la violenza, accettando la Croce.

Allontanatevi dai mascalzoni dell’intelligenza, come dai venditori di fumo: vi condurranno su strade senza fiori e che terminano nel nulla.

Diffidate di queste “tecniche divinizzate” che già San Paolo denunciava.

Sappiate distinguere ciò che serve da ciò che sottomette.

Rinunciate alle parole che sono tanto più vuote quanto sonore.

Non guarirete il mondo con dei punti esclamativi.

Ciò che occorre è liberarlo da certi “progressi” e dalle loro malattie, dal denaro e dalla sua maledizione.

Allontanatevi da coloro per i quali tutto si risolve, si spiega e si apprezza in rapporto ai biglietti di banca.

Anche se sono intelligenti essi sono i più stupidi di tutti gli uomini.

Non si fa un trampolino con una cassaforte.

Bisognerà che dominiate il potere del denaro, altrimenti quasi nulla di umano è possibile, ma con il quale tutto marcisce.

Esso, Corruttore, diventi Servitore.

Siate ricchi della felicità degli altri.

Rimanete voi stessi. E non un altro. Non importa chi. Fuggite le facili vigliaccherie dell’anonimato.

Ogni essere umano ha un suo destino. Realizzate il vostro, con gli occhi aperti, esigenti e leali.

Niente diminuisce mai la dimensione dell’uomo. Se vi manca qualcosa nella vita è perché non avete guardato abbastanza in alto.

Tutti simili? No.

Ma tutti uguali e tutti insieme!

Allora sarete degli uomini. Degli uomini liberi.

Ma attenzione! La libertà non è una cameriera tuttofare che si può sfruttare impunemente. Né un paravento sbalorditivo dietro il quale si gonfiano fetide ambizioni.

La libertà è il patrimonio comune di tutta l’Umanità. Chi è incapace di trasmetterla agli altri è indegno di possederla.

Non trasformate il vostro cuore in un ripostiglio; diventerebbe presto una pattumiera.

Lavorate. Una delle disgrazie del nostro tempo è che si considera il lavoro come una maledizione. Mentre è redenzione.

Meritate la felicità di amare il vostro dovere.

E poi, credete nella bontà, nell’umile e sublime bontà.

Nel cuore di ogni uomo ci sono tesori d’amore.

Spetta a voi, scoprirli.

La sola verità è amarsi.

Amarsi gli uni con gli altri, amarsi tutti. Non a orari fissi, ma per tutta la vita.

Amare la povera gente, amare le persone infelici (che molto spesso sono dei poveri esseri), amare lo sconosciuto, amare il prossimo che è ai margini della società, amare lo straniero che vive vicino a voi.

Amare.

Voi pacificherete gli uomini solamente arricchendo il loro cuore.

Testimoni troppo spesso legati al deterioramento di questo secolo (che fu per poco tempo così bello), spaventati da questa gigantesca corsa verso la morte di coloro che confiscano i nostri destini, asfissiati da un “progresso” folgorante, divoratore ma paralizzante, con il cuore frantumato da questo grido “ho fame!” che si alza incessante dai due terzi del mondo, rimane solo questo supremo e sublime rimedio: Essere veramente fratelli.

Allora… domani? Domani, siete voi.

1977

Raoul Follereau (1893 - 1977), giornalista, filantropo e poeta francese 

domenica 1 dicembre 2024

Aforismi Razzismo

Tutti i popoli e le razze vengono da Dio. In realtà, esiste una sola razza, e questa è la razza di Dio. Il suo certificato di nascita si trova nel Libro della Genesi, quando la mano di Dio dal fango della terra ha creato il primo uomo e gli ha infuso lo spirito di vita (Gen 2,7). [...] Ogni appartenente a questa razza è uguale e tale rimarrà fino alla fine dei tempi. (Beato Alojzije Viktor Stepinac)

Vedo in ogni uomo solo un essere umano, e lo valuto solo secondo il suo valore personale e le sue azioni. Considero come una barbarie qualsiasi tipo di offesa o di oppressione nei riguardi di qualcuno che abbia un’etnia, lingua, religione o classe sociale differente dalla mia. (Ludwik Lejzer Zamenhof)

Homo sum, humani nihil a me alienum puto. / Sono un essere umano, niente di ciò che è umano ritengo estraneo a me. (Publio Terenzio Afro, nella commedia Heautontimorùmenos / Il punitore di sé stesso, v. 77 - 165 a.C.)

Le cattedrali: immagini dell'eterno

Molte volte dimentichiamo il significato profondo di ciò che è una chiesa o cattedrale ed enfatizziamo maggiormente il suo aspetto esteriore, storico, artistico.

La corrente culturale attuale tende a considerare i templi cristiani esclusivamente come luoghi di cultura, di esposizione del sapere antico come fossero dei musei o biblioteche, rivolte al turismo e alle indagini storiche e artistiche.

Tuttavia dobbiamo sottolineare che la cattedrale è un luogo di fede nella quale si annuncia e proclama la fede cristiana, la cattedrale è un luogo per la liturgia, uno spazio vivo dove celebra la comunità cristiana di sempre. Per questo motivo la chiesa cattedrale è il centro della vita liturgica della diocesi, dove si proclama la parola di Dio e si celebra e si prega.

La cattedrale è un luogo spirituale di incontro con Dio e con la Chiesa, una casa di preghiera a Dio e di comunione con gli uomini, è un luogo di misericordia e di speranza mentre camminiamo uniti fino alla Gerusalemme celeste.

Lo esprimevano bene i portici di alcune antiche cattedrali. Per mezzo dell'arte si invitavano i fedeli ad entrare in uno spazio differente dallo spazio quotidiano della città, uno spazio che trascendeva i travagli e i dolori del tempo presente e trasportava alle realtà celesti, al mondo della Gerusalemme del cielo, all'intimità con Dio.

La cattedrale è stata, è e sarà sempre un luogo santo per i credenti in Gesù Cristo, un luogo di sapere, è un luogo di studio, di cultura e di arte, di silenzio e dialogo con Dio. Un luogo di perdono e salvezza, di incontro ecclesiale e carità, un luogo di celebrazione e mistero, un luogo infine di speranza in mezzo all'umanità pellegrina di ogni tempo.

Robert Sarah, cardinale e arcivescovo cattolico guineano


sabato 30 novembre 2024

Aforismi Cultura

Complesso delle istituzioni sociali, politiche ed economiche, delle attività artistiche e scientifiche, delle manifestazioni spirituali e religiose che caratterizzano la vita di una determinata società in un dato momento storico. (Enciclopedia Treccani)


Una nazione non è un aggregato di individui anonimi, standardizzati e intercambiabili con qualsiasi altro popolo di qualsiasi altra nazione. Una nazione ha un'identità etnica e culturale, che è sua proprietà e che ha il diritto (e anche il dovere) di proteggere e mantenere. (Abbé Grégoire Celier)

Per la prima volta nella storia umana, i popoli sono oggi persuasi che realmente i benefici della civiltà possono e debbono estendersi a tutti. (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 9)

La civiltà, nel senso reale del termine, non consiste nella moltiplicazione, ma nella volontà di deliberata restrizione dei bisogni. Questa soltanto porta la felicità e il vero appagamento, e accresce l’idoneità a servire. (Gandhi)

Ogni grande periodo di civiltà è dominato da una determinata concezione che l'uomo si fa dell'uomo. (Jacques Maritain)

Umorismo e sapere sono le due grandi speranze della nostra cultura. (Konrad Lorenz)

La civiltà si raggiunge o con la cultura o con la corruzione. (Oscar Wilde)

I comodi sono la sola cosa che può darci la nostra civiltà. (Oscar Wilde)

Se si vuol stabilire il livello culturale di una società o di una persona, basta vedere come si comportano nei confronti degli anziani. (Zenta Maurina)




domenica 24 novembre 2024

Nichilismo

Il Nichilismo presenta due dimensioni fondamentali.

La prima, la più visibile, è quella fisica: una pulsione alla distruzione di cose e persone... un concetto che a volte risulta molto utile quando si studia una guerra.

La seconda, di natura più concettuale, è altrettanto essenziale: il Nichilismo tende a distruggere la nozione stessa di verità... a vietare qualsiasi descrizione ragionevole del mondo.

La sconfitta dell'Occidente, Roma, Fazi editore, 2024, p. 49

Emmanuel Todd, storico, sociologo e antropologo francese

mercoledì 20 novembre 2024

Questo è il sangue dei tuoi sudditi


Grazie ai mercanti napoletani la fama di santità di Francesco da Paola (1416 - 1507) raggiunse anche la Francia. Il re Luigi XI, gravemente ammalato, inviò in Calabria dei delegati con ricchi doni per convincere il Santo a recarsi in Francia e guarirlo. Inizialmente San Francesco rifiutò, ma un ordine del Papa Sisto IV lo costrinse a partire. Durante il viaggio, fu ospitato a Napoli, dove, accolto trionfalmente dal re Ferrante, gli fu offerto un vassoio di monete d’oro per la costruzione di un convento. Francesco rifiutò e prendendo in mano una delle monete la spezzò facendone uscire del sangue: «Questo è il sangue dei tuoi sudditi che tu opprimi e che grida vendetta al cospetto di Dio», esclamò il Santo.

domenica 17 novembre 2024

Senza umiltà non si può essere santi


L'umiltà è essenziale per la santità. Per convincersi della santità di qualcuno potrebbe esser sufficiente cogliere i tratti caritatevoli e apparentemente benevoli di atteggiamenti, parole e gesti anche quando insieme rivelano arroganza e superbia? Certamente no. In un episodio della sua vita, San Filippo Neri dimostra che la miglior prova della santità è l’umiltà...


In un convento di Roma viveva una monaca che godeva fama di grande santità. Correva voce fra il popolo che la religiosa, arricchita di doni celesti, conoscesse il futuro ed operasse prodigi meravigliosi.

Quando il Papa venne a conoscenza di questo, mandò Padre Filippo in quel convento, perché vedesse che cosa vi fosse di vero sulle virtù taumaturgiche della religiosa.

In quei giorni era piovuto molto e le strade erano tutte fangose, sicché Filippo arrivò al monastero con le scarpe tutte insudiciate di fango. Ivi chiese subito di parlare con la monaca creduta santa, la quale, appena scesa in parlatorio, con un profondo inchino, disse: “In che posso servirla?”.

Il Santo, che stava comodamente sdraiato sulla poltrona, senza neppure rispondere al saluto, le porse il suo piede dicendo: “Prima di tutto, reverenda madre, la pregherei di togliermi queste scarpe infangate e poi di pulirmele per bene”.

La monachella si tirò indietro inorridita e, con parole molto risentite, fece le sue rimostranze contro un modo di procedere così villano, dicendo: “Mi meraviglio come voi vi permettete di farmi simili proposte”; Filippo tacque e alzatosi tranquillamente uscì dal convento per ritornare a casa.

Presentatosi il giorno dopo dal Papa, per riferire sul risultato della sua missione, disse: “Beatissimo Padre, quella monaca certamente non è una santa e non fa miracoli, perché le manca la virtù fondamentale”.

San Filippo Neri,  Roma, Ed. Il Villaggio del fanciullo, 1986, pp. 106-107

Oreste Cerri (1909 - 1996), presbitero e scrittore italiano

sabato 16 novembre 2024

Chi è il Santo?

Santo sei tu quando aiuti un amico in difficoltà.

Santo sei tu quando sei felice se un amico è felice.

Santo sei tu quando sei fedele ai tuoi impegni.

Santo sei tu quando sai gioire per le cose belle che la vita di dona.

Santo sei tu quando rispondi con l'amore all'amore dei tuoi genitori, che ti amano più della loro stessa vita.

Santo sei tu quando sai essere te stesso e sai tirar fuori il meglio di te.

Santo sei tu quando non ti arrendi, anche se la vita non è sempre facile.

Santo sei tu quando sbagli, perché gli errori ci insegnano a non ripeterli e a diventare persone migliori.

Santo sei tu quando guardi al futuro con fiducia, perché la vita è bella e vale la pena di essere vissuta!

I santi "che stanno sul calendario" e che ricordiamo il 1° Novembre sono state persone come noi, con gli stessi pregi e gli stessi difetti, ma hanno scelto di vivere secondo il Vangelo, Cercando di realizzare nella propria vita la volontà del Padre, prendendo Gesù come modello e lasciandosi guidare dallo Spirito.

venerdì 15 novembre 2024

Le tre venute del Signore

Conosciamo una triplice venuta del Signore. Una venuta occulta si colloca infatti tra le altre due che sono manifeste. Nella prima il Verbo fu visto sulla terra e si intrattenne con gli uomini, quando, come egli stesso afferma, lo videro e lo odiarono. Nell'ultima venuta "ogni uomo vedrà la salvezza di Dio" (Lc 3, 6) e vedranno colui che trafissero (cfr. Gv 19, 37). Occulta è invece la venuta intermedia, in cui solo gli eletti lo vedono entro se stessi, e le loro anime ne sono salvate. Nella prima venuta dunque egli venne nella debolezza della carne, in questa intermedia viene nella potenza dello Spirito, nell'ultima verrà nella maestà della gloria. Quindi questa venuta intermedia è, per così dire, una via che unisce la prima all'ultima: nella prima Cristo fu nostra redenzione, nell'ultima si manifesterà come nostra vita, in questa è nostro riposo e nostra consolazione. Ma perché ad alcuno non sembrino per caso cose inventate quelle che stiamo dicendo di questa venuta intermedia, ascoltate lui: Se uno mi ama, dice conserverà la mia parola: e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui (cfr. Gv 14,23). Ma che cosa significa: Se uno mi ama, conserverà la mia parola? Ho letto infatti altrove: Chi teme Dio, opererà il bene (cfr. Sir 15, 1), ma di chi ama è detto qualcosa di più: che conserverà la parola di Dio. Dove si deve conservare? Senza dubbio nel cuore, come dice il Profeta: "Conservo nel cuore le tue parole per non offenderti con il peccato" (Salmo 118, 11). Poiché sono beati coloro che custodiscono la parola di Dio, tu custodiscila in modo che scenda nel profondo della tua anima e si trasfonda nei tuoi affetti e nei tuoi costumi. Nutriti di questo bene e ne trarrà delizia e forza la tua anima. Non dimenticare di cibarti del tuo pane, perché il tuo cuore non diventi arido e la tua anima sia ben nutrita del cibo sostanzioso. Se conserverai così la parola di Dio, non c'è dubbio che tu pure sarai conservato da essa. Verrà a te il Figlio con il Padre, verrà il grande Profeta che rinnoverà Gerusalemme e farà nuove tutte le cose. Questa sua venuta intermedia farà in modo che "come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste" (1 Cor 15, 49). Come il vecchio Adamo si diffuse per tutto l'uomo occupandolo interamente, così ora lo occupi interamente Cristo, che tutto l'ha creato, tutto l'ha redento e tutto lo glorificherà.

Discorso 5 sull'Avvento, 1-3; Opera omnia, Edit. cisterc. 4 [1966], 188-190

Bernardo di Chiaravalle (1090 – 1153), monaco cristiano, abate e teologo francese dell'ordine cistercense, santo

Se farai ciò che piace a Dio

È una pazzia estrema, per un solo giorno fortunato, aspettarsi che tutto l'anno sia tale; anzi, non solo è una pazzia, ma è frutto di un influsso diabolico decidere di attribuire ciò che avviene nella nostra vita non alla nostra diligenza e buona volontà, ma al corso di particolari giorni. Tutto l'anno sarà per te fausto, non se a capodanno ti ubriacherai, ma se a capodanno e in ciascun altro giorno farai ciò che piace a Dio.

Predica di Capodanno, 2, in AA. VV., La teologia dei Padri, a cura di Gaspare Mura, vol. III, Città Nuova, Roma 1976, p. 116

Giovanni Crisostomo, Vescovo, Santo (ca. 350-407)


mercoledì 13 novembre 2024

Amo perché amo, amo per amare

L'amore è sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé. É se stesso merito e premio. L'amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all'infuori di Sé. Il suo vantaggio sta nell'esistere. Amo perché amo, amo per amare. Grande cosa è l'amore se si rifà al suo principio, se ricondotto alla sua origine, se riportato alla sua sorgente. Di là sempre prende alimento per continuare a scorrere. L'amore è il solo tra tutti i moti dell'anima, tra i sentimenti e gli affetti, con cui la creatura possa corrispondere al Creatore, anche se non alla pari; l'unico con il quale possa contraccambiare il prossimo e, in questo caso, certo alla pari. Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che l'ameranno si beeranno di questo stesso amore. L'amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca soltanto il ricambio dell'amore e la fedeltà. Sia perciò lecito all'amata di riamare. Perché la sposa, e la sposa dell'Amore non dovrebbe amare? Perché non dovrebbe essere amato l'Amore?

Giustamente, rinunziando a tutti gli altri suoi affetti, attende tutta e solo all'Amore, ella che nel ricambiare l'amore mira a uguagliarlo. Si obietterà, però, che, anche se la sposa si sarà tutta trasformata nell'Amore, non potrà mai raggiungere il livello della fonte perenne dell'amore. É certo che non potranno mai essere equiparati l'amante e l'Amore, l'anima e il Verbo, la sposa e lo Sposo, il Creatore e la creatura. La sorgente, infatti, dà sempre molto più di quanto basti all'assetato.

Ma che importa tutto questo? Cesserà forse e svanirà del tutto il desiderio della sposa che attende il momento delle nozze, cesserà la brama di chi sospira, l'ardore di chi ama, la fiducia di chi pregusta, perché non è capace di correre alla pari con un gigante, gareggiare in dolcezza col miele, in mitezza con l'agnello, in candore con il giglio, in splendore con il sole, in carità con colui che è l'Amore? No certo. Sebbene infatti la creatura ami meno, perché è inferiore, se tuttavia ama con tutta se stessa, non le resta nulla da aggiungere. Nulla manca dove c'è tutto. Perciò per lei amare così è aver celebrato le nozze, poiché non può amare così ed essere poco amata. Il matrimonio completo e perfetto sta nel consenso dei due, a meno che uno dubiti che l'anima sia amata dal Verbo, e prima e di più.

Discorsi sul Cantico dei Cantici, 83, 4-6; Opera omnia, ed. Cisterc. 2 [1958] 300-302

Bernardo di Chiaravalle (1090 – 1153), monaco cristiano, abate e teologo francese dell'ordine cistercense, santo

Il vero sapere

Non dimostro di sapere tante cose se non si sa il modo di saperle.

Vi sono, infatti, coloro che vogliono sapere soltanto per sapere: è curiosità.

Vi sono coloro che vogliono sapere per essere considerati sapienti: è vanità.

Vi sono coloro che vogliono sapere per vendere la loro scienza: è un turpe guadagno.

Vi sono coloro che vogliono sapere per edificare se stessi: è prudenza.

Vi sono, infine, coloro che vogliono sapere per edificare gli altri: è carità.

Sermoni sul Cantico dei Cantici, XXXVI, 3

É grande chi, colpito dalla sventura, non perde neanche un po' la sapienza; non meno grande è chi, baciato dalla fortuna, non se ne lascia illudere. Ma è più facile trovare chi ha saputo conservare la sapienza nella sfortuna, che chi non la perse nella buona sorte. Ritengo più meritevole di lode e più grande colui che nella prosperità non s'è lasciato andare nemmeno ad una risata eccessiva, ad un linguaggio altezzoso e a una cura esagerata per l'abbigliamento e per il corpo.

La considerazione, II,XII,21

Bernardo di Chiaravalle (1090 – 1153), monaco cristiano, abate e teologo francese dell'ordine cistercense, santo

martedì 12 novembre 2024

Aforismi Pace interiore

Non lasciare mai che le tue preoccupazioni crescano fino al punto di farti dimenticare la gioia del Cristo risorto. (Madre Teresa di Calcutta)


Aforismi - Comunione dei Santi

La comunione dei Santi. Questo popolo celeste i cui atti e gesti rimangono quale tramite per arrivare fino ad essi. (Aldo Palazzeschi)

La Chiesa è «comunione dei santi»: questa espressione designa primariamente le «cose sante» (sancta), e innanzi tutto l'Eucaristia con la quale «viene rappresentata e prodotta l'unità dei fedeli, che costituiscono un solo corpo in Cristo». (Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 30)

Questo termine designa anche la comunione delle «persone sante» (sancti) nel Cristo che è «morto per tutti», in modo che quanto ognuno fa o soffre in e per Cristo porta frutto per tutti. (Catechismo della Chiesa Cattolica, 960 - 961)

Con le parole: la comunione dei Santi, il nono articolo del Credo ci insegna che nella Chiesa, per l'intima unione che esiste tra tutti i suoi membri, sono comuni i beni spirituali, così interni come esterni, che le appartengono. (Catechismo di Pio X)

I membri di questa comunione si chiamano Santi perché tutti sono chiamati alla santità e furono santificati per mezzo del Battesimo, e molti di essi sono già pervenuti alla perfetta santità. (Catechismo di Pio X)

La comunione dei Santi si estende anche al cielo e al purgatorio, perché la carità unisce le tre Chiese: trionfante, purgante e militante; e i Santi pregano Iddio per noi e per le anime del purgatorio, e noi diamo onore e gloria ai Santi e possiamo sollevare le anime del purgatorio, applicando in loro suffragio Messe, elemosine, indulgenze e altre opere buone. (Catechismo di Pio X)

La comunione dei Santi comincia da Gesù, egli ne fa parte, ne è il capo. Tutte le preghiere, tutte le sofferenze messe insieme, tutte le fatiche, tutti i meriti, tutte le virtù messe insieme, sia di Gesù che di tutti gli altri santi messi insieme, tutte le santità messe insieme lavorano e pregano per tutto il mondo, per tutta la cristianità. (Charles Péguy)

La comunione dei Santi non riguarda solo i fratelli e le sorelle che sono accanto a me in questo momento storico, ma riguarda anche quelli che hanno concluso il pellegrinaggio terreno e hanno varcato la soglia della morte. Anche loro sono in comunione con noi. Pensiamo, cari fratelli e sorelle: in Cristo nessuno può mai veramente separarci da coloro che amiamo perché il legame è un legame esistenziale, un legame forte che è nella nostra stessa natura; cambia solo il modo di essere insieme a ognuno di loro, ma niente e nessuno può rompere questo legame. "Padre, pensiamo a coloro che hanno rinnegato la fede, che sono degli apostati, che sono i persecutori della Chiesa, che hanno rinnegato il loro battesimo: anche questi sono a casa?". Sì, anche questi, anche i bestemmiatori, tutti. Siamo fratelli: questa è la comunione dei Santi. La comunione dei Santi tiene insieme la comunità dei credenti sulla terra e nel Cielo. (Papa Francesco)

La comunione dei santi va al di là della vita terrena, va oltre la morte e dura per sempre. Questa unione fra noi va al di là e continua nell’altra vita. E’ una unione spirituale che nasce dal Battesimo, non viene spezzata dalla morte, ma, grazie a che Cristo è risorto, è destinata a trovare la sua pienezza nella vita eterna. C’è un legame profondo e indissolubile tra quanti sono ancora pellegrini in questo mondo, fra noi, e coloro che hanno varcato la soglia della morte per entrare nell’eternità. Tutti i battezzati quaggiù sulla terra, le anime del Purgatorio e tutti i beati che sono già in Paradiso formano una sola grande Famiglia. Questa comunione tra terra e cielo si realizza specialmente nella preghiera di intercessione. (Papa Francesco) 

Il Papa è forte al di là della propria indole perché, dietro e attorno a sé, c'è qualcosa che si chiama la comunione dei Santi che regge anche l'invasione dei media. (Giovanni Lindo Ferretti)

L'essenza della communio sanctorum cattolica, il poter impegnarsi gli uni per gli altri. (Hans Urs von Balthasar)

La nostra libertà è solidale con l'equilibrio del mondo: questo bisogna capire se non ci si vuol stupire del profondo mistero della reversibilità, che è il nome filosofico del grande dogma della comunione dei santi. Ogni uomo che compie un atto libero proietta la propria personalità all'infinito. Se dà malvolentieri un soldo a un povero, quel soldo trapassa la mano del povero, cade, buca la terra, fende i pianeti, attraversa il firmamento e compromette l'universo. (Léon Bloy)

Noi crediamo alla comunione di tutti i fedeli di Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la loro purificazione e dei beati del cielo; tutti insieme formano una sola Chiesa; noi crediamo che in questa comunione l'amore misericordioso di Dio e dei suoi santi ascolta costantemente le nostre preghiere. (Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 30)

Dio crea dal nulla, meraviglioso, dici tu. Sì, ma Egli fa una cosa che è ancora più meravigliosa, crea i santi (la comunione dei Santi) dai peccatori. (Søren Kierkegaard)


domenica 10 novembre 2024

Un santo è...

Un santo è un avaro che va riempiendosi di Dio a furia di vuotarsi di sé. 

Un santo è un povero che fa la sua fortuna svaligiando i forzieri di Dio. 

Un santo è un debole che si asserraglia in Dio e in Lui costruisce la sua fortezza. 

Un santo è un imbecille del mondo, stulta mundi, che si istruisce e si laurea con la sapienza di Dio. 

Un santo è un ribelle che lega se stesso con le catene della libertà di Dio. 

Un santo è un miserabile che lava la sua sporcizia nella misericordia di Dio. 

Un santo è un paria della terra che costruisce in Dio la sua casa, la sua città e la sua patria. 

Un santo è un codardo che diventa audace e coraggioso facendosi scudo della potenza di Dio. 

Un santo è un pusillanime che cresce e ingigantisce con la magnificenza di Dio. 

Un santo è un ambizioso di tale statura da soddisfarsi soltanto possedendo razioni sempre più grandi di Dio.

Un santo è un uomo che prende tutto da Dio: un ladro che ruba a Dio anche l'amore con cui può amarlo.

Josemaría Escrivá de Balaguer (1902 – 1975), presbitero spagnolo, fondatore dell'Opus Dei, santo. 

sabato 9 novembre 2024

Amatevi gli uni gli altri

San Girolamo nel suo Commento alla lettera ai Galati, narra l'episodio della vita di San Giovanni evangelista che ormai anziano ad Efeso ripeteva costantemente ai primi cristiani: "...amatevi gli uni gli altri". Di fronte a tanta insistenza, gli domandarono perché diceva sempre la stessa cosa e l'Apostolo rispose: "Perché è ciò che ci ha insegnato il Signore, e se si compie, esso solo basta".

Il beato Giovanni evangelista, mentre, fino alla vecchiaia avanzata, dimorava ad Efeso e con difficoltà veniva trasportato in chiesa sulle mani dei discepoli né era più in grado di dire molte parole, nient’altro soleva proferire in ciascuna riunione se non questo: “Figlioli, amatevi gli uni gli altri” (Cf 1 Gv 3, 11); una buona volta i discepoli ed i fratelli che erano presenti, stanchi di sentire sempre le stesse cose, dissero: “Maestro, perché dici sempre questo?” Egli diede una risposta degna di Giovanni: “Poiché è l’insegnamento del Signore e se trova compimento è sufficiente”. Questo per il presente comandamento dell’Apostolo: finché abbiamo tempo, dunque, operiamo il bene verso tutti, specialmente verso i vicini nella fede.

Commento alla Lettera ai Galati II, 3, 6

San Girolamo (347 – 420), biblista, traduttore, teologo, cardinale e monaco cristiano romano 

Aforismi Santi / Santità

Ai santi chiediamo solo grazie e protezione, nessuno chiede di essere aiutato ad imitarli.

Il santo non è colui che non sbaglia mai, ma colui che ricomincia sempre da capo. 

La santità è la sola politica valida, capace di sconvolgere le coscienze, la mentalità, e quindi i metodi, i sistemi, le strutture. È la convinzione che non nuovi politicanti, non stampelle vecchie verniciate a nuovo, ma soltanto nuovi santi potranno fare nuovo il mondo.

La santità è sempre fonte di sorpresa: "...era un uomo straordinariamente normale!"

Si può essere santi e pasticcioni, sinceri e sfortunati. Il provvidenzialismo nelle scelte umane non deve avere più peso della giusta valutazione delle cose.

Un santo è tale finché non sa di esserlo.


Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione. (San Paolo, I Tessalonicesi 4,3)

Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. (San Paolo, I Tessalonicesi 4,7-8)


Se loro, i santi, hanno potuto, perché non io? [ Si isti et istae, cur non ego? ] (Sant’Agostino, Confessioni IX, 27).  

I santi, perché tali, hanno tutte le virtù, benché ciascuno si distingua più in una che in un'altra; come Abramo si distingue per la sua gran fede, Mose per la sua mansuetudine e Davide per la sua umiltà. (Sant’Alberto magno) 

Conosco dei santi che mandano sugli altari gli altri. (Alda Merini)

Basta una massima ben meditata per fare un santo. (Sant’Alfonso Maria De’ Liguori)

Se corrispondi alla tua vocazione diventerai santo. (Sant'Annibale Maria Di Francia) 

La musica ha bisogno della cavità del flauto, le lettere della pagina bianca, la luce del vuoto della finestra, e la santità dell'assenza di sé. (Anthony De Mello) 

C'è chi nasce santo, chi la santità se la conquista, chi se la vede imporre dagli altri. Per altri, invece, la santità non è che un rituale. (Anthony De Mello)

In questo mondo caliginoso risplendono i Santi come stelle nel firmamento. (Sant’Antonio da Padova)

È sempre per la nostra salvezza che Dio fa o permette tutto ciò che accade: tutto deve contribuire alla nostra santificazione. (Charles de Foucauld)

Il santo da una mano al peccatore, è il peccatore da una mano al santo. E dandosi la mano l'un l'altro risaliranno fino a Gesù. Non è un vero cristiano colui che non dà la propria mano. (Charles Péguy)

Non è la vita ritirata, non è il prolungato rimanere con Dio che formano i santi; è invece il sacrificio della propria volontà, anche nelle cose più sante e insieme un'adesione perfetta alla volontà di Dio, che ci viene manifestata dai nostri superiori. (San Claudio de la Colombière)

La santità consiste nel confermare la nostra volontà a quella di Dio. Da questo si può arguire se, al mondo, ci siano o no molti santi, dal momento che quasi tutti gli uomini sono attaccati alla propria volontà. (San Claudio de la Colombière)

Occorre che i laici progrediscano, con animo pronto e lieto, nella santità, cercando di superare le difficoltà con prudenza e pazienza. (Concilio Vaticano II, Apostolicam actuositatem, 4)

Tutti i fedeli d'ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a quella perfezione di santità di cui è perfetto il Padre celeste. (Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 11)

Il Signore Gesù, Maestro e Modello divino di ogni perfezione, a tutti e ai singoli suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato la santità della vita, di cui egli stesso è autore e perfezionatore. (Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 40)

Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità: da questa santità è promosso anche nella società terrena, un tenore di vita più umano. (Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 40)

Tutti i fedeli saranno ogni giorno più santificati nelle loro condizioni di vita, nei loro doveri e circostanze, se tutte le prendono con fede dalla mano del Padre celeste. (Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 41)

Noi non veneriamo la memoria dei Santi solo per il loro esempio, ma più ancora perché l'unione della Chiesa nello Spirito sia consolidata dall'esercizio della carità fraterna. (Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 50)

La Chiesa venera i Santi e tiene in onore le loro reliquie autentiche e le loro immagini. Le feste dei Santi infatti proclamano le meraviglie di Cristo nei suoi servi e propongono ai fedeli opportuni esempi da imitare. (Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, 111)

Voglio assolutamente e ho assolutamente bisogno di farmi santo. Se non mi faccio santo non faccio nulla. (San Domenico Savio)

Solo i santi lasciano tracce; gli altri fanno rumore, ma non lasciano nessun segno del loro passaggio. (Edward Poppe)

Molti bramano la santità del loro stato, ma pochi amano con passione la strada per la quale Dio vuole condurci alla santità. Molti bramano la perfezione, ma si appoggiano troppo su se stessi, troppo poco sul Signore. (Edward Poppe)

Ecco la santità in tre parole: amare la divina volontà. (Edward Poppe)

Santifichiamoci per le anime: poiché siamo tutti membra d'un solo corpo, nella misura in cui possediamo la vita divina, potremo comunicarla e diffonderla nel grande organismo della Chiesa. (Santa Elisabetta della Trinità)

Non bisogna voler diventar santi in quattro giorni, perché la perfezione si acquista con gran fatica, e a poco a poco. (San Filippo Neri)

Tra il libro del Vangelo e i santi c'è tutta la differenza che corre tra la musica scritta e la musica cantata. (San Francesco di Sales)

Un santo triste è un triste santo. (San Francesco di Sales)

Non ci sono due santi uguali… ma i santi sono tutti uguali in una cosa: essi riflettono, in qualche aspetto, la vita di Gesù. (François Xavier Nguyen Van Thuan)

Generalmente la storia si scrive sulla base delle imprese dei truffatori, dei mistificatori, dei demagoghi, dei briganti d'alto bordo. Dovremmo incominciare a fare la storia partendo dalla vita dei Santi. (George Bernard Shaw) 

La Chiesa non ha bisogno di riformatori, ma di santi. (Georges Bernanos)

Dio costruisce in noi l’edificio della santità con la nostra stessa natura. La grazia perfeziona la natura, non la sopprime. (Georges Goyau)

La santità è la testardaggine nel compiere la volontà di Dio sempre, nonostante qualsiasi difficoltà. (Beato Giacomo Alberione)

La santità è mezzo; la gloria di Dio è il fine necessario, assoluto, ultimo. Si entri nelle intenzioni, nei fini, nei pensieri di Dio, sempre, solo, totalmente per la sua gloria. (Beato Giacomo Alberione)

Non tutti i santi hanno cominciato bene, ma tutti hanno finito bene. (San Giovanni Maria Vianney) 

Se non siete un santo, sarete un dannato. Non c'è altra via di mezzo: bisogna essere l'uno o l'altro. (San Giovanni Maria Vianney)

Un santo lascia qualcosa di Dio, ovunque passa. (San Giovanni Maria Vianney)

I santi non sono tutti allo stesso modo; ci sono santi che non avrebbero potuto vivere con altri santi...; non tutti prendono la stessa strada. Però tutti arrivano al medesimo luogo. (San Giovanni Maria Vianney)

I santi sono come tanti piccoli specchi nei quali Gesù Cristo si contempla. (San Giovanni Maria Vianney)

Il segno distintivo degli eletti è l'amore, come il segno dei reprobi è l'odio. Nessun reprobo ama un altro reprobo... I santi amano tutti: hanno soprattutto i loro nemici. (San Giovanni Maria Vianney)

Mio Dio, fammi divenir sapiente non altro che per essere santo, un gran santo, un apostolo, un martire. (Giovanni Negri)

Dove passano i Santi, Dio passa insieme con loro. (San Giovanni Paolo ll)

Chi non si propone almeno una volta nella vita di essere santo, è un porco. (Giovanni Papini)

I santi, dovunque passano, lasciano qualcosa di Dio: e Dio che fa sentire la sua presenza. (San Giovanni XXIII)

La santità non significa diventare originali, ma, sulle basi della purezza e della carità, della giustizia e di tutte le virtù, cercare la perfezione nelle cose e nelle circostanze più semplici. (San Giovanni XXIII)

La santità dei santi non è fondata sopra fatti strepitosi, ma sopra coserelle che all'occhio del mondo sembrano inezie. (San Giovanni XXIII)

Non vi è santità senza sacrificio. Pietà si, ma santità no. Santità senza sacrificio è vanità, santità cioè di apparenza, di esteriore, di soddisfazione, di sentimentalismo. (Beato Giuseppe Baldo)

Essere santi non vuol dire non cadere mai nel peccato, ma poter dire: Si, o Signore, sono caduto un milione di volte, ma con la tua grazia mi sono rialzato un milione e una volta. (Helder Camara)

I santi sono l'ultima parte della vita di Gesù, che durerà sino alla fine dei secoli. (Jacques Nouet)

La conversione è cosa di un istante. La santificazione è lavoro di tutta la vita. (San Josemaría Escrivá de Balaguer)

Non dire: Quella persona mi secca. Pensa: quella persona mi santifica. (San Josemaría Escrivá de Balaguer)

Un santo è un uomo che va incessantemente all'assalto. (Julien Green)

Al mondo c'è una sola tristezza: quella di non essere santi. E quindi una sola felicità: quella di essere santi. (Léon Bloy) 

Un santo è un'idea visibile, palpabile e sostanziale della perfezione evangelica. (Louis Bourdaloue) 

La santità forse non è altro che il colmo della buona educazione. (Marcel Jouhandeau)

Perché sono al mondo? Per farvi sbocciare la santità. (Mendel di Kotzk)

L'usanza vuole che si lodino i santi morti e si perseguitino i santi vivi. (Neil Howe)

La santità, la vera aristocrazia del cristiano, può essere accessibile a tutti; può essere, per così dire, democratica. (San Paolo VI)

Bisogna tutti, bisogna sempre essere santi. Di santi, soprattutto, il mondo ha bisogno. (San Paolo Vl)

La santità non è soltanto il farsi lapidare o martirizzare o il baciare un lebbroso, ma obbedire prima di tutto ai comandamenti di Dio. (Paul Claudel)

Un santo sarà sempre più utile alla Chiesa di un'armata di Gesuiti. (Pedro Arrupe) 

Le grandi passioni ben regolate hanno fatto i grandi santi. (Pierre Chaignon)

È difficile farsi santi. Difficile ma non impossibile. La strada della perfezione è lunga, come è lunga la vita di ciascuno. La consolazione è il riposo lungo il cammino; ma appena ristorati, bisogna alzarsi solertemente e riprendere la corsa. (San Pio da Pietrelcina)

I Santi non sono quelli che non sbagliano mai, ma quelli nei quali gli sbagli non superano il bene. (Primo Mazzolari)

È una facile illusione il credere di poter fermare l'interesse e l'attenzione degli uomini di oggi, solo col mettere loro davanti le nobili figure dei nostri santi di ieri. ...Perché è bene ricordarlo: tutto quello che non cresce, anche se porta un seme grande, è qualche cosa che gli uomini possono giudicare morta. (Primo Mazzolari)

La santità è la grazia di far le cose più umili sotto il suggello dell’eternità. (Raoul Follereau)

A molti i santi sembrano lontani; ma i santi sono lontani soltanto da chi si è staccato da loro. (Silvano del Monte Athos)

Oggi non è sufficiente essere santo: è necessaria la santità che il momento presente esige, una santità nuova, anch'essa senza precedenti. (Simone Weil) 

Mio Dio, liberami dalle sciocche devozioni dei santi dalla faccia triste. (Santa Teresa d'Avila)

Dobbiamo diventare santi non perché vogliamo sentirci santi, ma perché Cristo deve poter vivere pienamente la sua vita in noi. (Santa Teresa di Calcutta)

La santità non consiste nel dire delle belle cose, neppure nel pensarle o nel sentirle. Sta tutta nella volontà di soffrire. (Santa Teresa di Lisieux)

I Santi non si fanno a pennello, ma a scalpello. (Beata Teresa Manetti)

È meglio essere ignorato, ma vivere occupandosi della propria santificazione, che operare prodigi trascurando se stessi. (Tommaso da Kempis)

Come è facile farsi santo! Il mezzo principale, quasi unico, è di abituarsi a far in tutto la volontà di Dio. (San Vincenzo De’ Paoli)


Proverbi

A ogni santo la sua candela.

A ogni santo la sua festa. (Ognuno dovrebbe ricevere il giusto riconoscimento per i propri meriti) 

Accendere una candela ai santi e una al diavolo.

Danaro e santità, metà della metà.

Poeti e santi campano tutti quanti.

In chiesa coi santi e in taverna coi ghiottoni.

Non si entra in Paradiso a dispetto dei santi.

Scherza coi fanti e lascia stare i santi. 

Chi vuole i santi se li preghi.

Non c’è santo senza passato, non c’è peccatore senza futuro. (massima persiana)





martedì 5 novembre 2024

Starò davanti a te a faccia a faccia

Un giorno dopo l’altro,
o Signore della mia vita,
starò davanti a te a faccia a faccia.

A mani giunte,
o Signore di tutti i mondi,
starò davanti a te a faccia a faccia.

Sotto il grande cielo
in solitudine e silenzio,
con cuore umile
starò davanti a te a faccia a faccia.

In questo tuo mondo operoso,
nel tumulto del lavoro e della lotta,
tra la folla che s’affretta,
starò davanti a te a faccia a faccia.

E quando il mio lavoro in questo mondo
sarà compiuto, o Re dei re,
solo e senza parole,
starò davanti a te a faccia a faccia.


Rabindranath Tagore


Capire e credere

Non ti chiediamo, Signore,

di risuscitare i nostri morti,

ti chiediamo di capire la loro morte

e di credere che tu sei il Risorto:

questo ci basti per sapere

che, pure se morti, viviamo

e che non soggiaceremo

alla morte per sempre. Amen.


David Maria Turoldo

Non separarmi da coloro che ho amato


Signore Dio,
non si può sperare per gli altri più di quanto si desidera per se stessi.

Per questo io ti supplico: non separarmi dopo la morte da coloro che ho così teneramente amato sulla terra.

Fa', o Signore, ti supplico,
che là dove sono io gli altri si trovino con me, affinché lassù possa rallegrarmi della loro presenza, dato che ne fui così presto privato sulla terra.

Ti imploro, Dio sovrano,
affrettati ad accogliere questi figli diletti nel seno della vita.
Al posto della loro vita terrena così breve, concedi loro di possedere la felicità eterna.

Ambrogio da Milano (ca. 340 - 397), vescovo, teologo, scrittore e santo 


domenica 3 novembre 2024

Il giorno dei morti

Io vedo (come è questo giorno, oscuro!),
vedo nel cuore, vedo un camposanto
con un fosco cipresso alto sul muro.

E quel cipresso fumido si scaglia
allo scirocco: a ora a ora in pianto
sciogliesi l’infinita nuvolaglia.

O casa di mia gente, unica e mesta,
o casa di mio padre, unica e muta,
dove l’inonda e muove la tempesta;

o camposanto che sì crudi inverni
hai per mia madre gracile e sparuta,
oggi ti vedo tutto sempiterni

e crisantemi. A ogni croce roggia
pende come abbracciata una ghirlanda
donde gocciano lagrime di pioggia.

Sibila tra la festa lagrimosa
una folata, e tutto agita e sbanda.
Sazio ogni morto di memorie, posa.

Non i miei morti. Stretti tutti insieme,
insieme tutta la famiglia morta,
sotto il cipresso fumido che geme,

stretti così come altre sere al foco
(urtava, come un povero, alla porta
il tramontano con brontolìo roco)

piangono. La pupilla umida e pia
ricerca gli altri visi a uno a uno
e forma un’altra lagrima per via.

Piangono, e quando un grido ch’esce stretto
in un sospiro, mormora, Nessuno!...
cupo rompe un singulto lor dal petto.

Levano bianche mani a bianchi volti,
non altri, udendo il pianto disusato,
sollevi il capo attonito ed ascolti.

Posa ogni morto; e nel suo sonno culla
qualche figlio de’ figli, ancor non nato.
Nessuno! i morti miei gemono: nulla!

— O miei fratelli! — dice Margherita,
la pia fanciulla che sotterra, al verno,
si risvegliò dal sogno della vita:

— o miei fratelli, che bevete ancora
la luce, a cui mi mancano in eterno
gli occhi, assetati della dolce aurora;

o miei fratelli! nella notte oscura,
quando il silenzio v’opprimeva, e vana
l’ombra formicolava di paura;

io veniva leggiera al vostro letto;
Dormite! vi dicea soave e piana:
voi dormivate con le braccia al petto.

E ora, io tremo nella bara sola;
il dolce sonno ora perdei per sempre
io, senza un bacio, senza una parola.

E voi, fratelli, o miei minori, nulla!...
voi che cresceste, mentre qui, per sempre,
io son rimasta timida fanciulla.

Venite, intanto che la pioggia tace,
se vi fui madre e vergine sorella:
ditemi: Margherita, dormi in pace.

Ch’io l’oda il suono della vostra voce
ora che più non romba la procella:
io dormirò con le mie braccia in croce.

Nessuno! — Dice; e si rinnova il pianto,
e scroscia l’acqua: un impeto di vento
squassa il cipresso e corre il camposanto.

— O figli — geme il padre in mezzo al nero
fischiar dell’acqua — o figli che non sento
più da tanti anni! un altro cimitero

forse v’accolse, e forse voi chiamate
la vostra mamma, nudi abbrividendo
sotto le nere sibilanti acquate.

E voi le braccia dall’asil lontano
a me tendete, siccome io le tendo,
figli, a voi, disperatamente invano.

O figli, figli! vi vedessi io mai!
io vorrei dirvi che in quel solo istante
per un’intera eternità v’amai.

In quel minuto avanti che morissi,
portai la mano al capo sanguinante,
e tutti, o figli miei, vi benedissi.

Io gettai un grido in quel minuto, e poi
mi pianse il cuore: come pianse e pianse!
e quel grido e quel pianto era per voi.

Oh! le parole mute ed infinite
che dissi! con qual mai strappo si franse
la vita viva delle vostre vite.

Serba la madre ai poveri miei figli:
non manchi loro il pane mai, nè il tetto,
nè chi li aiuti, nè chi li consigli.

Un padre, o Dio, che muore ucciso, ascolta:
aggiungi alla lor vita, o benedetto,
quella che un uomo, non so chi, m’ha tolta.

Perdona all’uomo, che non so; perdona:
se non ha figli, egli non sa, buon Dio...
e se ha figlioli, in nome lor perdona.

Che sia felice; fagli le vie piane;
dagli oro e nome; dàgli anche l’oblio;
tutto: ma i figli miei mangino il pane.

Così dissi in quel lampo senza fine;
Vi chiamai, muto, esangue, a uno a uno,
dalla più grandicella alle piccine.

Spariva a gli occhi il mondo fatto vano.
In tutto il mondo più non era alcuno.
Udii voi soli singhiozzar lontano —

Dice; e più triste si rinnova il pianto;
più stridula, più gelida, più scura
scroscia la pioggia dentro il camposanto.

— No, babbo, vive, vivono — Chi parla?
Voce velata dalla sepoltura,
voce nuova, eppur nota ad ascoltarla,

o mio Luigi, o anima compagna!
come ti vedo abbrividire al vento
che ti percuote, all’acqua che ti bagna!

come mutato! sembra che tu sia
un bimbo ignudo, pieno di sgomento,
che chieda, a notte, al canto della via.

— vivono, vive. Non udite in questa
notte una voce querula, argentina,
portata sino a noi dalla tempesta?

È la sorella che morì lontano,
che in questa notte, povera bambina,
chiama chiama dal poggio di Sogliano.

Chiama. Oh! poterle carezzare i biondi
riccioli qui, tra noi; fuori del nero
chiostro, de’ sotterranei profondi!

Un’altra voce tu, fratello, ascolta;
dolce, triste, lontana: il tuo Ruggiero;
in cui, babbo, moristi un’altra volta.

Parlano i morti. Non è spento il cuore
nè chiusi gli occhi a chi morì cercando,
a chi non pianse tutto il suo dolore.

E or per quanto stridula di vento
ombra ne dividesse, a quando a quando
udrei, come da vivo, il tuo lamento,

o mio Giovanni, che vegliai, che ressi,
che curai, che difesi, umile e buono,
e morii senza che ti rivedessi!

Avessi tu provato di quell’ora
ultima il freddo, e or quest’abbandono,
gemendo a noi ti volgeresti ancora —

— Ma se vivete, perchè, morti cuori,
solo è la nostra tomba illacrimata,
solo la nostra croce è senza fiori? —

Così singhiozza Giacomo: poi geme:
— Quando sola restò la nidïata,
Iddio lo sa, come vi crebbi insieme:

se con pia legge l’umili vivande
tra voi divisi, e destinai de’ pani
il più piccolo a me, ch’ero il più grande;

se ribevvi le lagrime ribelli
per non far voi pensosi del domani,
se il pianto piansi in me di sei fratelli;

se al sibilar di questi truci venti,
al rombar di quest’acque, io suscitava
la buona fiamma d’eriche e sarmenti;

e io, quando vedea rosso ogni viso,
e più rossi i più piccoli, tremava
sì, del mio freddo, ma con un sorriso.

Ma non per me, non per me piango: io piango
per questa madre che, tra l’acqua, spera,
per questo padre che desìa, nel fango;

per questi santi, o fratel mio, che vivi;
di cui morendo io ti dicea... ma era
grossa la lingua e forse non udivi —

Io vedo, vedo, vedo un camposanto,
oscura cosa nella notte oscura:
odo quel pianto della tomba, pianto

d’occhi lasciati dalla morte attenti,
pianto di cuori cui la sepoltura
lasciò, ma solo di dolor, viventi.

L’odo: ora scorre libero: nessuno
può risvegliarsi, tanto è notte, il vento
è così forte, il cielo è così bruno.

Nessuno udrà. La povera famiglia
può piangere. Nessuno, al suo lamento,
può dire: Altro è mio figlio! altra è mia figlia!

Aspettano. Oh! che notte di tempesta
piena d’un tremulo ululo ferino!
Non s’ode per le vie suono di pesta.

Uomini e fiere, in casolari e tane,
tacciono. Tutto è chiuso. Un contadino
socchiude l’uscio del tugurio al cane.

Piangono. Io vedo, vedo, vedo. Stanno
in cerchio, avvolti dall’assidua romba.
Aspetteranno, ancora, aspetteranno.

I figli morti stanno avvinti al padre
invendicato. Siede in una tomba
(io vedo, io vedo) in mezzo a lor, mia madre.

Solleva ai morti, consolando, gli occhi,
e poi furtiva esplora l’ombra. Culla
due bimbi morti sopra i suoi ginocchi.

Li culla e piange con quelli occhi suoi,
piange per gli altri morti, e per sè nulla,
e piange, o dolce madre! anche per noi;

e dice: — Forse non verranno. Ebbene,
pietà! Le tue due figlie, o sconsolato,
dicono, ora, in ginocchio, un po’ di bene.

Forse un corredo cuciono, che preme:
per altri: tutto il giorno hanno agucchiato,
hanno agucchiato sospirando insieme.

E solo a notte i poveri occhi smorti
hanno levato, a un gemer di campane;
hanno pensato, invidïando, ai morti.

Ora, in ginocchio, pregano Maria
al suon delle campane, alte, lontane,
per chi qui giunse e per chi resta in via,

là; per chi vaga in mezzo alla tempesta,
per chi cammina, cammina, cammina;
e non ha pietra ove posar la testa.

Pietà pei figli che tu benedivi!
In questa notte che non mai declina,
orate requie, o figli morti, ai vivi! —

O madre! Il cielo si riversa in pianto
oscuramente sopra il camposanto.

Myricae 1891

Giovanni Pascoli (1855 – 1912), poeta, accademico e critico letterario italiano