"La mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da suscitare" (Plutarco)
La condizione di «anarchia», che alcuni giovani, ancora immaturi sul piano formativo, sono portati a confondere con la libertà, fa sì che le passioni, quasi fossero sciolte dai ceppi, diventino per loro padroni più duri dei maestri e dei pedagoghi di quando erano ragazzi.
Tu, invece, che in più occasioni hai avuto modo di ascoltare che seguire Dio ed obbedire alla ragione sono la stessa cosa, devi pensare che il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta, per quelli che ragionano bene, non significa non aver più un’autorità cui sottostare, ma semplicemente cambiarla, perché al posto di una persona stipendiata o di uno schiavo essi assumono a guida divina dell’esistenza la ragione. Quella ragione, i cui seguaci è giusto ritenere i soli uomini liberi, dato che solo loro hanno imparato a volere ciò che si deve e perciò stesso vivono come vogliono.
È evidente che un giovane che fosse tenuto lontano da qualunque occasione di ascolto e non assaporasse nessuna parola, non solo rimarrebbe completamente sterile e non potrebbe germogliare verso la virtù, ma rischierebbe anche di essere traviato verso il vizio, facendo proliferare molte piante selvatiche dalla sua anima, quasi fosse un terreno non smosso ed incolto.
Dal momento dunque che l’ascolto comporta per i giovani un grande profitto ma un non minore pericolo, credo sia bene riflettere continuamente, con se stessi e con altri, su questo tema. I più invece, a quanto ci è dato vedere, sbagliano, perché si esercitano nell’arte di dire prima di essersi impratichiti in quella di ascoltare, e pensano che per pronunciare un discorso ci sia bisogno di studio e di esercizio, ma che dall’ascolto, invece, possa trarre profitto anche chi vi si accosta in modo improvvisato. Se è vero che chi gioca a palla impara contemporaneamente a lanciarla e riceverla, nell’uso della parola, invece, il saperla accogliere bene precede il pronunciarla, allo stesso modo in cui concepimento e gravidanza vengono prima del parto.
Quando travasa qualcosa, la gente inclina e ruota i vasi perché l’operazione riesca bene e non ci siano dispersioni, mentre, quando ascolta un filosofo, non impara ad offrire se stessa a chi parla
e a seguire attentamente, perché non le sfugga nessuna affermazione utile. E quel che è più ridicolo è che se incontrano uno che racconta di un banchetto, di un corteo, di un sogno o dell’alterco avuto con un altro, restano ad ascoltarlo in silenzio e insistono per saperne di più; ma se uno li tira da
parte e vuol dare loro un insegnamento utile, spronarli a qualche dovere, redarguirli in caso di errore o addolcirli quando sono irritati non lo sopportano e se ne hanno la possibilità si sforzano d’averla vinta e si mettono a controbattere le sue parole o, se proprio non ce fanno, lo piantano in asso e vanno alla ricerca di altri insulsi discorsi, riempiendosi le orecchie, quasi fossero vasi difettosi e incrinati, di qualunque cosa piuttosto che di ciò di cui hanno bisogno.
Dobbiamo perciò trasferire il giudizio da chi parla a noi stessi, valutando se anche noi non cadiamo inconsciamente in qualche errore del genere. Non c’è cosa al mondo più facile di criticare il prossimo, ma è atteggiamento inutile e vano se non ci porta a correggere o prevenire analoghi errori. Di fronte a chi sbaglia non dobbiamo esitare a ripetere in continuazione a noi stessi il detto di Platone: «Sono forse anch’io così?».
Non ha senso, quando ci si alza dalla sedia del barbiere, guardarsi allo specchio e passarsi la mano sul capo, esaminando il taglio dei capelli e la diversa pettinatura, e invece all’uscita da una lezione e dalla scuola non guardare subito in se stessi per apprendere se l’anima abbia deposto qualche peso soverchio e superfluo e sia divenuta più leggera e più dolce.
Altri pensano che chi parla abbia dei doveri da assolvere e chi ascolta, invece, nessuno; pretendono che quello si presenti dopo aver meditato ed essersi preparato con cura, mentre loro invadono la sala liberi da ogni pensiero e riflessione. Eppure se persino un bravo convitato ha dei doveri da assolvere, molti di più ne ha chi ascolta, perché è coinvolto nel discorso ed è chiamato a cooperare con chi parla, e non è giusto che stia ad esaminarne con severità le stonature e a vagliarne criticamente ogni parola e ogni gesto, mentre lui, senza doverne rispondere, si abbandona per tutta la durata dell’ascolto a un contegno scomposto e variamente scorretto. Quando si gioca a palla le mosse di chi riceve devono essere in sintonia con quelle di chi lancia: così in un discorso c’è sintonia tra chi parla e chi ascolta se entrambi sono attenti ai loro doveri.
Quando s’incomincia a leggere e a scrivere, a suonare la lira o a frequentare una palestra, le prime lezioni comportano notevole confusione, fatica e oscurità, ma poi, mano a mano che si va avanti, si instaurano a poco a poco, come avviene nei rapporti interpersonali, una grande familiarità e conoscenza, che rendono ogni cosa gradita, agevole e facile da dire e da fare.
La mente non ha bisogno, come un vaso, di essere riempita, ma piuttosto, come la legna, di una scintilla che l’accenda e vi infonda l’impulso della ricerca e un amore ardente per la verità.
“De recta ratione audiendi”
Plutarco (46 / 48 – 125 /127), scrittore e filosofo greco
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