Com'è che nessuno si accontenta del mestiere che si è scelto o che si è trovato tra i piedi per caso e loda invece chi ne fa uno diverso dal suo? «Fortunati i mercanti» dice il soldato, appesantito dagli anni, a cui le lunghe fatiche hanno rotto le ossa. Il mercante, a sua volta, appena i venti del sud scuotono la nave, scopre che è meglio la vita del soldato: «Che vuoi che sia? È un momento; si va all'assalto e capita una morte rapida o una bella vittoria». L'avvocato, quando un cliente bussa alla sua porta prima che il gallo canti, invidia il contadino. Quest'altro che ha dato cauzione in tribunale e arriva in città, tirato per i capelli fuori dalla sua campagna, giura che sono felici soltanto quelli che vivono nell'urbe. Esempi del genere ce ne sono tanti da stancare anche un chiacchierone come Fabio [1]. Per non farla lunga, ecco dove voglio arrivare. Mettiamo che un dio dicesse «Son qui per fare quel che volete: tu che eri soldato sarai mercante e tu, avvocato, contadino; scambiate i mestieri e andatevene, voi di qua, voi di là. Siete ancora qui?» Non ci stanno più; eppure avrebbero la possibilità di essere felici. Perché allora Giove non dovrebbe a ragione arrabbiarsi con loro e sbuffare gonfiando le guance, dicendo che da ora in poi non sarà più tanto facile a dar retta ai loro desideri? [...]
Torno al punto in cui ho fatto questa digressione, cioè: come mai nessuno (è il caso dell'avaro) sia contento di sé e lodi piuttosto chi segue una strada diversa. Si strugge se la capra degli altri ha le tette più gonfie; non si paragona mai alla folla tanto più grande quelli che hanno meno di lui; struscia per superare questo e quello e, per quanto corra, si trova sempre davanti uno più ricco. Così, quando i carri balzano fuori dai cancelli e i cavalli li fanno filare, l'auriga spinge i suoi addosso a quelli che precedono e non si cura di chi ha già sorpassato e procede tra gli ultimi. Per questo succede che di rado si possa trovare uno che si dichiara contento di come ha vissuto e, esaurito il tempo della vita, si ritiri come il convitato che è sazio. Ho già detto abbastanza. Non voglio che tu pensi che ho vuotato i cassetti del cisposo Crispino[2] e non aggiungerò più una parola.
Torno al punto in cui ho fatto questa digressione, cioè: come mai nessuno (è il caso dell'avaro) sia contento di sé e lodi piuttosto chi segue una strada diversa. Si strugge se la capra degli altri ha le tette più gonfie; non si paragona mai alla folla tanto più grande quelli che hanno meno di lui; struscia per superare questo e quello e, per quanto corra, si trova sempre davanti uno più ricco. Così, quando i carri balzano fuori dai cancelli e i cavalli li fanno filare, l'auriga spinge i suoi addosso a quelli che precedono e non si cura di chi ha già sorpassato e procede tra gli ultimi. Per questo succede che di rado si possa trovare uno che si dichiara contento di come ha vissuto e, esaurito il tempo della vita, si ritiri come il convitato che è sazio. Ho già detto abbastanza. Non voglio che tu pensi che ho vuotato i cassetti del cisposo Crispino[2] e non aggiungerò più una parola.
Satire, I (Trad. di Renato Ghiotto)
Orazio (Quinto Orazio Flacco), poeta e scrittore (65 a.C. – 8 a.C.).NOTE
1) Secondo Porfirione, Fabio Massimo Narbonese scrisse interminabili libri di filosofia morale, presumibilmente pieni di paragoni ed esempi. Il riferimento al grammatico latino Pomponio Porfirione (sec. in d.C.) è inevitabile, perché egli scrisse un commento a Grazio per uso delle scuole. Le sue interpretazioni sono spesso congetturali; per quanto vissuto in un'epoca relativamente vicina a quella dell'autore che studia, egli disponeva di strumenti critici inadeguati.
2) Plozio Crispino, filosofo stoico, che soffriva di congiuntivite come Grazio. Scrittore e predicatore diluviale.
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