martedì 21 dicembre 2010

La coltivazione degli alberi di Natale


Vari gli atteggiamenti verso il Natale,
e possiamo alcuni trascurarne:
il mondano, l’apatico e quello commerciale,
il triviale (le bettole aperte a tarda notte)
e il bambinesco – ma non quello del bambino
per cui la candelina è una stella e l’angelo
tutto d’oro che spiega le ali in cima all’albero
non è solo ornamento, ma è un angelo.
Guarda il bambino all’Albero di Natale:
lasciatelo al suo senso di miracolo
per la festa che è evento e non pretesto:
sì che il fulgente rapimento, il fascino
di quella prima volta ricordata, le sorprese,
la gioia del primo possederle
(ognuna con un suo eccitante odore),
quell’aspettare l’anatra o il tacchino
e il previsto stupore quando apparvero,
sì che la deferenza e la gaiezza lui non si scordi
quando sarà grande,
nella grigia abitudine, nel logorio, nel tedio,
nel saper che si muore, nel senso dello scacco,
o nella pietà del convertito
che può tingersi di una vanità
a Dio sgradita e irrispettosa dei bambini
(E qui io ricordo pure con dolcezza
Santa Lucia, la canzone, la sua corona di fuoco);
Sì che prima della fine, al Natale ottantesimo
(con ciò intendendo ogni natale estremo)
messi insieme i ricordi anno per anno
si concentrino in una grande gioia che sarà
anche un gran timore,
come quando il timore scese nell’anima di tutti:
per cui il principio ci farà ricordare la fine
e il primo e il secondo avvento.

Thomas Stearns Eliot (1888-1965), poeta e drammaturgo statunitense

sabato 18 dicembre 2010

Le rose di Natale


La figlia di un pastore era intenta ad accudire il gregge in un pascolo vicino a Betlemme, quando vide degli altri pastori correre verso il villaggio. Incuriosita, chiese loro dove andassero così di corsa.

I pastori risposero che quella notte era nato il bambino Gesù e che stavano andando a rendergli omaggio, portandogli dei doni. La bambina avrebbe voluto unirsi al gruppo, ma non aveva niente da portare in regalo. I pastori se ne andarono e lei rimase da sola e triste, così triste che cadde in ginocchio piangendo. Le sue lacrime cadevano nella neve e la bimba non sapeva che un angelo aveva assistito alla sua disperazione. Quando abbassò gli occhi si accorse che le sue lacrime erano diventate delle bellissime rose di un colore rosa pallido. Felice, le raccolse e le portò a Maria come dono per il figlio appena nato. Da allora, ogni anno, nel mese di Dicembre fiorisce questo fiore, chiamato "Rosa di Natale" per ricordare il dono della pastorella di Betlemme.

La rosa di Natale o Elleboro (Helleborus niger) fiorisce a Dicembre. I suoi fiori bianchi crescono sotto la neve, anche con pochissimi raggi di sole. Nei giorni di Natale raggiunge la fioritura massima che durerà ancora qualche mese. É una pianta invernale che appartiene alla famiglia delle Ranucolacee ed è originaria del Caucaso e dell’Asia Minore. Se ne contano diverse specie che si differenziano nei fiori e nelle foglie. La più conosciuta è un’erbacea perenne con fiori da cinque petali di colore bianco rosato, dotato di foglie di colore verde scuro grandi e resistenti. L’origine del nome è greco: la parola Helleborus si riferisce alla sostanza altamente tossica che questa pianta possiede. Infatti è preferibile lavarsi le mani dopo aver toccato soprattutto le radici. Al centro di leggende nell'antica grecia, soprattutto per il suo uso farmacologico, ora non è più utilizzata perché considerata tossica.

lunedì 13 dicembre 2010

...concedimi di cominciare oggi!

Un giorno i demoni assalirono Arsenio nella sua cella per tormentarlo; quando giunsero coloro che lo servivano, stando fuori dalla cella, lo udirono gridare a Dio: “O Dio, non mi abbandonare; non ho fatto niente di buono ai tuoi occhi, ma nella tua bontà concedimi di cominciare oggi!”.

Detti padri del deserto. Arsenio, n. 3

venerdì 10 dicembre 2010

Caino chi è

Come lo struzzo nascondi la testa
dentro la sabbia.
Nelle tue orecchie ci hai messo il cotone,
fa troppo rumore chi muore di fame.
Strappa la benda che ti copre gli occhi,
alza lo sguardo dai tuoi ginocchi,
apri il tuo cuore e stammi a sentire
scusami, sai, ma te lo voglio dire.

Caino sei tu!

Quando vieni a sapere che ogni giorno nel mondo
centomila bambini sono morti piangendo
per la sete e la fame, se non provi vergogna

Caino sei tu!

Quando scansi il tuo piatto di melone e prosciutto
poi con aria indolente butti via quasi tutto

Caino sei tu!

Quando cambi canale perché il telegiornale
sta dicendo che un ago ha deciso una croce in più...
Certamente non è colpa tua,
io ripeto non è colpa mia.
Si sta troppo bene all'ombra
dell'ipocrisia!

Caino chi è?

Come gli struzzi mettiamo la testa
dentro la sabbia

Caino chi è?

A chi chiede pane, mandiamo un cannone,
è questo lo slogan di ogni nazione.
Strappa la benda che ti copre gli occhi,
l'allodola muore se va contro gli specchi.
Apri il tuo cuore e pensaci su,
se il mondo va male hai colpa pure tu.

Caino chi è?

Quando vieni a sapere che in un posto del mondo
c'è qualcuno che vende un figlio piangendo
e non provi vergogna di stare quaggiù.

Caino sei tu!

Se nessuno reclama di una legge balorda
e la gente ogni giorno diventa più sorda.

Caino chi è?

Questo nostro paese, così dolce e cortese,
che permette di tutto in nome della civiltà,
luci rosse - aborto - eutanasia...
Distraiamoci con fantasia,
si sta troppo bene all'ombra
dell'ipocrisia.

Caino chi è?
Caino chi è?

Marcello Marocchi, compositore italiano

sabato 4 dicembre 2010

Il Credo della maturità cristiana

Professione di fede per giovani

Io in questa età della mia vita, così preziosa e così difficile,
volendo intraprendere un viaggio
verso la piena realizzazione di me stesso,
convinto che non posso vivere senza credere in qualche cosa,
cosciente di quello che faccio, libero nelle mie decisioni,
con trepidazione e con gioia scelgo di credere in questi valori:

Credo nell’uomo
nei suoi diritti e nei suoi doveri.
Credo nei valori umani,
che sento radicati nella parte migliore
e più profonda di me stesso.
Credo nella riflessione e nella contemplazione,
nella verità e nella sincerità,
nella libertà e nella responsabilità, nella giustizia,
nella bontà di ogni uomo, nell’amicizia per amare,
nell’uguaglianza e nella fraternità di tutti gli uomini
e di tutti i popoli,
senza distinzione di razza o di nazione,
di posizione sociale o di religione, di età o di sesso.
Credo nella pace
per la quale mi impegno a lavorare con tutte le mie forze.
Non credo nella guerra e nella violenza,
ma non credo neppure nell’indifferenza,
nelle chiacchiere e nelle discussioni inutili,
nelle comode scuse e nelle sterili accuse degli altri.
Non credo nella pigrizia, nella paura e nella droga;
credo invece nell’impegno fatto di coraggio e di azione,
di autocontrollo e di fedeltà, di creatività e di speranza.

Credo in Cristo e nel suo Vangelo
Credo di poter trovare nel Vangelo
il potenziamento massimo dei valori umani
e la risposta ai più grandi interrogativi della vita.
Credo che Cristo è l’uomo nuovo,
e che io diventerò tanto più uomo
quanto più mi sforzerò di diventare simile a Lui.
Credo che Cristo è l’unico Salvatore e Liberatore,
di cui l’uomo avrà sempre bisogno.
Non credo in coloro che pretendono di risolvere
i più radicali problemi dell’esistenza
senza Cristo o contro di Lui.
Sono convinto che la mia vita e quella del mondo,
al di fuori di Cristo, è senza speranza.
Credo, sulla sua parola, che Cristo è il Figlio di Dio
e, per mezzo di Lui, credo in Dio Padre Onnipotente
che per amore ha creato il cielo e la terra,
che tanto amato il mondo
da dare per il mondo il suo Figlio Unigenito,
e che continua a guidare la storia con il suo Spirito d’Amore.

Credo in Maria Vergine, madre di Cristo
Sorella, madre e modello mio e della Chiesa.
A Lei, la donna nuova, voglio guardare
anche per costruire il mio ideale di femminilità.
A Lei ricorrerò sempre con estrema confidenza e fiducia.

Credo nella Chiesa, Corpo di Cristo
Da Lui fondata come comunione di salvezza,
perché tutti coloro
che scelgono di vivere in conformità al Vangelo,
trovino in essa un appoggio alla loro fede
e un aiuto per costruire nel mondo il Regno di Dio.
Credo nel valore della vita comunitaria.
Credo che Cristo vive in me e in ogni uomo mio fratello,
specialmente nei poveri e nei sofferenti.
Credo nella missione specifica
del Sacerdozio ministeriale della Chiesa.

Credo nel mio posto nella Chiesa e nel mondo
Non so ancora chiaramente quale sarà,
ma so che il Signore ha su di me un disegno,
che porto scritto nella mia persona,
e che fin d’ora mi impegno a scoprire gradualmente
e a seguire generosamente, nella libertà dello spirito,
convinto che dalla sua realizzazione
dipende la mia felicità e quella di tanti fratelli.

Credo nell’Amore
Credo che tutti siamo chiamati all’amore.
Credo che tutte le vocazioni si incontrano nell’amore.
Quello vero.
Quello che Cristo ci ha insegnato e comandato,
e che è diffuso nei nostri cuori dallo Spirito Santo.
Credo nell’amore che passa attraverso la Croce,
che non è puro sentimento, ma è invece attenzione, rispetto,
comprensione, fiducia, servizio, donazione, responsabilità.
Credo che questo amore è la forza più grande del mondo.
Non credo nell’odio.
Non credo nell’egoismo, in tutte le sue manifestazioni,
e quindi non credo nell’orgoglio, nell’avarizia, nell’erotismo fine a se stesso.
L’egoismo è il “peccato”, la radice di tutti i peccati,
la causa di tutte le ingiustizie, la sorgente di tante
sofferenze, il fallimento dell’uomo.
Contro di esso io voglio lottare con tutte le mie energie, senza stancarmi.
Credo che tutti saremo e siamo continuamente giudicati sull’amore.
Credo nella bellezza e nella possibilità dell’amore coniugale cristiano.
Credo nell’amore del mio papà e della mia mamma.
Credo nella famiglia unita, e fin da ora mi impegno seriamente a prepararmi,
se questa sarà la mia chiamata, per costruire una famiglia stabile e serena.
Credo che il matrimonio non offre l’unica possibilità di realizzarsi nell’amore.
In particolare credo che lo Spirito Santo non cesserà mai
di suscitare nella Chiesa uomini e donne capaci
di accogliere e di vivere,
in spirito di beatitudine pasquale,
il carisma della verginità consacrata per un amore più grande.
Credo che matrimonio e verginità possono e devono
arricchirsi reciprocamente dei valori che sono loro propri.

Credo nel Perdono
Credo nel perdono di Dio e nel perdono dei fratelli.
Non c’è amore senza capacità di perdono.
Perciò credo che Dio, Amore, mi perdonerà sempre,
mi ha già perdonato tutti i peccati che farò.
E così io, con la sua grazia, mi sforzerò di perdonare sempre
e di vivere in pace con tutti.
Credo che la Chiesa ha ricevuto da Cristo il potere di rimettere i peccati,
cioè di riconciliare gli uomini con Dio e fra di loro.

Credo nell’Eucarestia
nella quale Cristo si fa presente per vivere sempre insieme a noi.
Per camminare al nostro fianco,
per essere segno e strumento della nostra carità,
della nostra unità, della nostra pace.
Non permetterò mai che, per colpa mia,
le mie domeniche siano prive della mia attiva partecipazione
al Sacrificio – Banchetto eucaristico di Cristo,
per mezzo del quale la mia vita tutta diventa “offerta gradita a Dio”.

Credo nella Preghiera
Come personale incontro di amicizia con Dio,
per esprimergli il mio amore e il mio grazie,
per chiedergli luce e vedere chiaro.
Per chiedergli forza per camminare diritto nella vita senza vacillare.
Credo che ogni comunità cristiana, a partire dalla famiglia,
ha bisogno di momenti di preghiera fatta insieme.

Credo nella Vita
Che Dio mi ha donato a immagine della sua.
Credo che Cristo mi ha redento.
Credo che la vita merita sempre di essere vissuta,
anche nei suoi momenti più difficili, perché credo
nella misteriosa fecondità del dolore.

Non credo nella morte
Non credo che la morte sia la fine di tutto.
Non credo nell’omicidio e nell’infanticidio
come mezzi sbrigativi per risolvere i problemi.
Non credo nel suicidio,
nel quale tanti giovani si illudono di poter trovare salvezza.
Non credo in tutte le maniere di fuggire davanti agli appelli della vita.
Non credo in coloro che non credono a niente
e non prendono mai niente sul serio.
Non credo in coloro che affermano che la vita è un’illusione.
Non credo nel nulla.

Credo in Cristo che mi dice:
chi segue me non cammina nelle tenebre,
ma avrà la luce della vita (Gv.8,12)

Credo nel mio oggi,
e voglio vivere ogni momento presente, valorizzando le piccole cose,
in pienezza d’amore a Dio e al prossimo.

Credo nel mio domani
e nel domani della Chiesa e del mondo,
perché so che Cristo cammina davanti a me.

Credo che la vita è eterna,
perché Cristo morto per me, è risuscitato per non morire più.
Credo che ogni momento della mia esistenza porta su di sé un esodi eternità.

Credo nei “Cieli nuovi e nella Terra nuova”,
che Dio ci ha promesso e preparato,
e che noi siamo chiamati a costruire insieme a Lui.

Credo nella gioia di vivere così
e di spendere così la mia vita nell’amore di Cristo, a servizio dei fratelli.
In tutto questo io intendo credere quando semplicemente ti dico:

Io credo in Te, Signore Gesù!

E Tu aumenta la mia fede.

sabato 27 novembre 2010

Ma io difendo quella croce

Dipendesse da me, il crocifisso resterebbe appeso nelle scuole. E non per le penose ragioni accampate da politici e tromboni di destra, centro, sinistra e persino dal Vaticano. Anzi, se fosse per quelle, lo leverei anch’io.

Fa ridere Feltri quando, con ignoranza sesquipedale, accusa i giudici di Strasburgo di “combattere il crocifisso anziché occuparsi di lotta alla droga e all’immigrazione selvaggia”: non sa che la Corte può occuparsi soltanto dei ricorsi degli Stati e dei cittadini per le presunte violazioni della Convenzione sui diritti dell’uomo. Fa tristezza Bersani che parla di “simbolo inoffensivo”, come dire: è una statuetta che non fa male a nessuno, lasciatela lì appesa, guardate altrove. Fa ribrezzo Berlusconi, il massone puttaniere che ieri pontificava di “radici cattoliche”. Fanno schifo i leghisti che a giorni alterni impugnano la spada delle Crociate e poi si dedicano ai riti pagani del Dio Po e ai matrimoni celtici con inni a Odino. Fa pena la cosiddetta ministra Gelmini che difende “il simbolo della nostra tradizione” contro i “genitori ideologizzati” e la “Corte europea ideologizzata” tirando in ballo “la Costituzione che riconosce valore particolare alla religione cattolica”. La racconti giusta: la Costituzione non dice un bel nulla sul crocifisso, che non è previsto da alcuna legge, ma solo dal regolamento ministeriale sugli “arredi scolastici”.

Alla stregua di cattedre, banchi, lavagne, gessetti, cancellini e ramazze. Se dobbiamo difendere il crocifisso come “arredo”, tanto vale staccarlo subito. Gesù in croce non è nemmeno il simbolo di una “tradizione” (come Santa Klaus o la zucca di Halloween) o della presunta “civiltà ebraico-cristiana” (furbesco gingillo dei Pera, dei Ferrara e altri ateoclericali che poi non dicono una parola sulle leggi razziali contro i bambini rom e sui profughi respinti in alto mare).
Gesù Cristo è un fatto storico e una persona reale, morta ammazzata dopo indicibili torture, pur potendosi agevolmente salvare con qualche parola ambigua, accomodante, politichese, paracula. È, da duemila anni, uno “scandalo” sia per chi crede alla resurrezione, sia per chi si ferma al dato storico della crocifissione. L’immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di resistenza inerme all’ingiustizia, ma soprattutto di laicità (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”) e gratuità (“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”).

Gratuità: la parola più scandalosa per questi tempi dominati dagli interessi, dove tutto è in vendita e troppi sono all’asta. Gesù Cristo è riconosciuto non solo dai cristiani, ma anche dagli ebrei e dai musulmani, come un grande profeta. Infatti fu proprio l’ideologia più pagana della storia, il nazismo – l’ha ricordato Antonio Socci – a scatenare la guerra ai crocifissi. È significativo che oggi nessun politico né la Chiesa riescano a trovare le parole giuste per raccontarlo.
Eppure basta prendere a prestito il lessico familiare di Natalia Ginzburg, ebrea e atea, che negli anni Ottanta scrisse: “Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente… Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli scolari ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato morto nel martirio come milioni di ebrei nei lager? Nessuno prima di lui aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e fratelli".

A me sembra un bene che i bambini, i ragazzi lo sappiano fin dai banchi di scuola. Basterebbe raccontarlo a tanti ignorantissimi genitori, insegnanti, ragazzi: e nessuno – ateo, cristiano, islamico, ebreo, buddista che sia – si sentirebbe minimamente offeso dal crocifisso. Ma, all’uscita della sentenza europea, nessun uomo di Chiesa è riuscito a farlo. Forse la gerarchia è troppo occupata a fare spot per l’8 per mille, a batter cassa per le scuole private e le esenzioni fiscali, a combattere Dan Brown e Halloween, e le manca il tempo per quell’uomo in croce. Anzi, le mancano proprio le parole. Oggi i peggiori nemici del crocifisso sono proprio i chierici. E i clericali.

Il Fatto Quotidiano, 38 - 5 Novembre 2009
Marco Travaglio, giornalista italiano

venerdì 26 novembre 2010

Cacciata la paura della morte, pensiamo all'immortalità

Non dobbiamo fare la nostra volontà, ma quella di Dio. È una grazia che il Signore ci ha insegnato a chiedere ogni giorno nella preghiera. Ma è una contraddizione pregare che si faccia la volontà di Dio, e poi, quando Egli ci chiama e ci invita ad uscire da questo mondo, mostrarsi riluttanti ad obbedire al comando della sua volontà! Ci impuntiamo e ci tiriamo indietro come servitori caparbi. Siamo presi da paura e dolore al pensiero di dover comparire davanti al volto di Dio. E alla fine usciamo da questa vita non di buon grado, ma perché costretti e per forza. Pretendiamo poi onori e premi da Dio dopo che lo incontriamo tanto di malavoglia!

Ma allora, domando io, perché preghiamo e chiediamo che venga il regno dei cieli, se continua a piacerci la prigionia della terra? Perché con frequenti suppliche domandiamo ed imploriamo insistentemente che si affretti a venire il tempo del regno, se poi coviamo nell'animo maggiori desideri e brame di servire quaggiù il diavolo anziché di regnare con Cristo?

Dal momento che il mondo odia il cristiano, perché ami chi ti odia e non segui piuttosto Cristo, che ti ha redento e ti ama? Giovanni in una sua lettera grida per esortarci a non amare il mondo, andando dietro ai desideri della carne. «Non amate né il mondo, ci dice, né le cose del mondo. Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita.

E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!» (1Gv 2,15-16). Piuttosto, fratelli carissimi, con mente serena, fede incrollabile e animo grande, siamo pronti a fare la volontà di Dio. Cacciamo la paura della morte, pensiamo all'immortalità che essa inaugura. Mostriamo con i fatti ciò che crediamo di essere.

Dobbiamo considerare e pensare spesso che noi abbiamo rinunziato al mondo e nel frattempo dimoriamo quaggiù solo come ospiti e pellegrini. Accettiamo con gioia il giorno che assegna ciascuno di noi alla nostra vera dimora, il giorno che, dopo averci liberati da questi lacci del secolo, ci restituisce liberi al paradiso e al regno eterno. Chi, trovandosi lontano dalla patria, non si affretterebbe a ritornarvi? La nostra patria non è che il paradiso. Là ci attende un gran numero di nostri cari, ci desiderano i nostri genitori, i fratelli, i figli in festosa e gioconda compagnia, sicuri ormai della propria felicità, ma ancora trepidanti per la nostra salvezza. Vederli, abbracciarli tutti: che gioia comune per loro e per noi! Che delizia in quel regno celeste non temere mai più la morte; e che felicità vivere in eterno!

Ivi è il glorioso coro degli apostoli, la schiera esultante dei profeti; ivi l'esercito innumerevole dei martiri, coronati di gloria per avere vinto nelle lotte e resistito nei tormenti; le vergini trionfanti, che vinsero la concupiscenza della carne e del corpo con la virtù della continenza; ivi sono ricompensati i misericordiosi, che esercitarono la beneficenza, nutrendo e aiutando in varie maniere i poveri, e così osservarono i precetti del Signore e, con le ricchezze terrene, si procurarono i tesori celesti. Affrettiamoci con tutto l'entusiasmo a raggiungere la compagnia di questi beati. Dio veda questo nostro pensiero; questo proposito della nostra mente, della nostra fede, lo scorga Cristo, il quale assegnerà, nel suo amore, premi maggiori a coloro che avranno avuto di lui un desiderio più ardente.

Dal trattato «Sulla morte» (Cap. 18.24.26; CSEL 3,308.312-314)

Cipriano di Cartagine (Tascio Cecilio Cipriano) (210 – 258), vescovo, poeta, scrittore, martire e santo

sabato 20 novembre 2010

Mi sazierò quando apparirà la tua gloria

Quando saranno compiuti tutti i nostri desideri, cioè nella vita eterna, la fede cesserà. Non sarà più oggetto di fede tutta quella serie di verità che nel «Credo» si chiude con le parole: «vita eterna. Amen».

La prima cosa che si compie nella vita eterna è l'unione dell'uomo con Dio.

Dio stesso, infatti, è il premio ed il fine di tutte le nostre fatiche: «lo sono il tuo scudo, e la tua ricompensa sarà molto grande» (Gn 15,1). Questa unione poi consiste nella perfetta visione: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia» (1Cor 13,12).

La vita eterna inoltre consiste nella somma lode, come dice il Profeta: «Giubilo e gioia saranno in essa, ringraziamenti e inni di lode» (Is 51,3). Consiste ancora nella perfetta soddisfazione del desiderio. Ivi infatti ogni beato avrà più di quanto ha desiderato e sperato. La ragione è che nessuno può in questa vita appagare pienamente i suoi desideri, né alcuna cosa creata è in grado di colmare le aspirazioni dell'uomo. Solo Dio può saziarlo, anzi andare molto al di là, fino all'infinito. Per questo le brame dell'uomo si appagano solo in Dio, secondo quanto dice Agostino: «Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è senza pace fino a quando non riposa in te».

I santi, nella patria, possederanno perfettamente Dio. Ne segue che giungeranno all'apice di ogni loro desiderio e che la loro gloria sarà superiore a quanto speravano. Per questo dice il Signore: «Prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25,21); e Agostino aggiunge: «Tutta la gioia non entrerà nei beati, ma tutti i beati entreranno nella gioia. Mi sazierò quando apparirà la tua gloria»; ed anche: «Egli sazia di beni il tuo desiderio». Tutto quello che può procurare felicità, là è presente ed in sommo grado. Se si cercano godimenti, là ci sarà il massimo e più assoluto godimento, perché si tratta del bene supremo, cioè di Dio: «Dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 15,11).

La vita eterna infine consiste nella gioconda fraternità di tutti i santi. Sarà una comunione di spiriti estremamente deliziosa, perché ognuno avrà tutti i beni di tutti gli altri beati. Ognuno amerà l'altro come se stesso e perciò godrà del bene altrui come proprio.

Così il gaudio di uno solo sarà tanto maggiore quanto più grande sarà la gioia di tutti gli altri beati.

Conferenze sul Credo; Opuscula theologica 2; Torino 1954, pp. 216-217

Tommaso d'Aquino (1225 - 1274), santo, sacerdote domenicano, teologo e filosofo

mercoledì 10 novembre 2010

Aforismi Vita

La vita è un viaggio, non una destinazione. Godetevi il viaggio.

La vita è come un arcobaleno: ci vogliono la pioggia e il sole per vederne i colori. (Detto Indiano)

La vita è una malattia mortale che si trasmette per via sessuale. (Anonimo)

La vida es sueňo. (Calderon de la Barca)

La vita è la più monotona delle avventure: finisce sempre allo stesso modo (Roberto Gervaso, Il grillo parlante, Bompiani, Milano, 1983, p. 22)

Soltanto una vita vissuta per gli altri è una vita che vale la pena vivere. (Albert Einstein, Pensieri di un uomo curioso, Mondadori, Milano, 1997, p. 141)

Una vita che miri principalmente a soddisfare i desideri personali conduce prima o poi a un'amara delusione. (Albert Einstein, Pensieri di un uomo curioso, Mondadori, Milano, 1997, p. 142)

Solo chi abbia vissuto un'intera vita sa quanto effimera sia quest'unità temporale. (Alessandro Morandotti, Le minime di Morandotti (3), Scheiwiller, Milano, 1980, p. 74)

Nella vita nulla avviene né come si teme né come si spera (Alphonse Karr, Aforismi, Newton Compton, Roma, 1993, p. 84)

Non puoi tornare indietro e cambiare l’inizio, ma puoi iniziare dove sei e cambiare il finale.
(C.S. Lewis)

Non si vive se non il tempo in cui si ama. (Claude-Adrien Helvétius)

Il vivere che è un correre alla morte. (Dante, Purgatorio 33,54)

Tutta la vita umana è profondamente immersa nella non verità. (Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano, I Adelphi, Milano 19772, p. 41)

Aveva sentito dire che la gente non muore quando deve, ma quando vuole… (Gabriel García Márquez, Il mare del tempo perduto, Mondadori, 1983).

La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. (Gabriel García Márquez)

Gli esseri umani non nascono soltanto il giorno in cui le loro madri li danno alla luce, ma la vita li costringe ancora molte altre volte a partorirsi da sé. (Gabriel García Márquez, L'amore ai tempi del colera)

Nulla gli uomini desiderano maggiormente conservare, e nulla sanno meno risparmiare, della loro vita. (Jean de la Bruyère,  I caratteri, Einaudi, Torino, 1981, p. 212)

La vita bene spesa lunga è. (Leonardo da Vinci, Aforismi, novelle e profezie, Newton Compton, Roma, 1993, p. 33)

Chi non stima la vita, non la merita. (Leonardo da Vinci, Aforismi, novelle e profezie, Newton Compton, Roma, 1993, p. 38)

Al momento della morte tutti dovremo rinunciare a tutto quello che il monaco ha rinunciato in vita (Louis Bouyer, Introduzione alla vita spirituale, Borla, p. 212)

La vita non ha senso a priori. Prima che voi la viviate, la vita di per sé non è nulla; sta a voi darle un senso, e il valore non è altro che il senso che scegliere (Jean-Paul Sartre, L'esistenzialismo è un umanismo, Mursia, s.d., p. 104)

La breve durata della vita non può distoglierci dai suoi piaceri, né consolarci delle sue pene. (Luc de Clapiers de Vauvenargues, Riflessioni e massime, TEA, Milano, 1989, p. 84)

Chi ama la vita, teme la morte. (Luc de Clapiers de Vauvenargues, Riflessioni e massime, TEA, Milano, 1989, p. 122)

Nella morte permane la vita, nella menzogna la verità, nella tenebra la luce (Mohandas Karamchand Gandhi)

La vita, essendo un dono gratuito e un fenomeno inesplicabile, proprio per questo è in fondo senza scopo e senza senso. (Ruggero Guarini, Aforismi, Rizzoli, Milano, 1993, p. 260)

Nella vita l'unica cosa certa è la morte, cioè l'unica cosa di cui non si può sapere nulla con certezza. (Sören Kierkegaard)

Ogni giorno è un giorno in più per amare, un giorno in più per sognare, un giorno in più per vivere.
(San Pio di Pietrelcina)

Anche se i giorni sfortunati non finiscono mai, la vita è meglio della morte. (Proverbio sumero)

Una delle peggiori tragedie dell’umanità è quella di rimandare il momento di cominciare a vivere. Sogniamo tutti giardini incantati al di là dell’orizzonte, invece di goderci la vista delle aiuole in fiore sotto le nostre finestre. (Orazio)

Lo scopo della vita è lo sviluppo del proprio io. Il completo sviluppo di se stessi - ecco la ragione d'essere di ognuno di noi.  (Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, Mondadori Scuola, Milano, 1990, p. 24)

Non conta quanto, ma come si vive (Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, 93,1- 4)

Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita. (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

giovedì 4 novembre 2010

L'aquila che si credeva un pollo

Un uomo trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una chioccia. L’uovo si schiuse contemporaneamente a quelle della covata, e l’aquilotto crebbe insieme ai pulcini. Per tutta la vita, l’aquila fece quel che facevano i polli del cortile, pensando di essere uno di loro. Frugava il terreno in cerca di vermi e insetti, chiocciava e schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da terra di qualche decimetro. Trascorsero gli anni e l’aquila divenne molto vecchia. Un giorno vide sopra di sé, nel cielo sgombro di nubi, uno splendido uccello che planava, maestoso ed elegante, in mezzo alle forti correnti d’aria, movendo appena le robuste ali dorate. La vecchia aquila alzò lo sguardo, stupita – chi è quello? - chiese. – E’ l’aquila il re degli uccelli – rispose il suo vicino. – appartiene al cielo. Noi invece apparteniamo alla terra, perché siamo polli. –“ E così l’aquila visse e morì come un pollo, perché pensava d’essere tale.

Messaggio per un aquila che si crede un pollo
 
Anthony De Mello (1931 - 1987), prete gesuita e scrittore indiano

domenica 31 ottobre 2010

Trova il tempo...

Trova il tempo di lavorare è il prezzo del successo
Trova il tempo di riflettere è la fonte della forza
Trova il tempo di leggere è la base del sapere
Trova il tempo di giocare è il segreto della giovinezza
Trova il tempo di essere gentile è la strada della felicità
Trova il tempo di sognare è il sentiero che porta alle stelle
Trova il tempo di amare è la vera gioia di vivere
Trova il tempo di essere contento è la musica dell'anima

Antico testo Irlandese

mercoledì 27 ottobre 2010

Scuola di ubbidienza per ragazzi

1.  Non ripetere mai un ordine
2.  Non dare ordini impossibili
3.  Non permettere che un ordine dato non venga eseguito
4.  Non dar ordini gridando o facendo promesse
5.  Non mendicare l'ubbidienza
6.  Non dar ordini usando parole offensive
7.  Non lasciar capire ai ragazzi che li si suppone capaci di disubbidire
8.  Non minacciare punizioni irrealizzabili
9.  Non favorire passioni, debolezze e cattive abitudini in cambio dell'ubbidienza
10. Non dar ordini quando si sa che i ragazzi possano resistere a ciò che vien chiesto
11. Non modificare gli ordini dati

martedì 26 ottobre 2010

Nella vita si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene!

...l'uomo fin che sta in questo mondo, è un infermo che si trova su un letto scomodo più o meno, e vede intorno a sé altri letti, ben rifatti al di fuori, piani, a livello: e si figura che ci si deve star benone. Ma se gli riesce di cambiare, appena s'è accomodato nel nuovo, comincia, pigiando, a sentire qui una lisca che lo punge, lì un bernoccolo che lo preme: siamo in somma, a un di presso, alla storia di prima. E per questo, soggiunge l'anonimo, si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio. È tirata un po' con gli argani, e proprio da secentista; ma in fondo ha ragione. Per altro, prosegue, dolori e imbrogli della qualità e della forza di quelli che abbiam raccontati, non ce ne furon più per la nostra buona gente: fu, da quel punto in poi, una vita delle più tranquille, delle più felici, delle più invidiabili; di maniera che, se ve l'avessi a raccontare, vi seccherebbe a morte.

I Promessi Sposi, cap. XXXVIII (epilogo)
Alessandro Manzoni, scrittore, poeta e drammaturgo italiano

domenica 24 ottobre 2010

...ho fatto te!

Di fronte allo spettacolo di una bimba intirizzita dal freddo e piangente per la fame, un uomo gridò, un giorno, nel suo cuore, a Dio: “O Dio, dove sei? Perché non fai qualcosa per quella bambina innocente?”
E Dio gli rispose: “Certo che ho fatto qualcosa per lei: ho fatto te!”

venerdì 22 ottobre 2010

Dio contraccambia con tenerezza infinita


L’abbé Caffarel, in uno dei suoi quaderni sulla preghiera, riporta questa testimonianza. Un papà aveva una bambina di nove anni che era un tesoro, si chiamava Monique.
Una sera il babbo le dice: «Monique, come va la tua lezione? È tutto pronto per domani?». «Sì», risponde Monique con un po’ dì esitazione. Ma non era vero.
Alle undici il papà era solito entrare pian piano nella stanza dei suoi ragazzi per dare un’occhiata, e vede vicino al letto di Monique la sua lavagna, con scritto un messaggio proprio per lui. Monique l’aveva fatto prima di mettersi a letto.
C’era scritto: «Papà, ti chiedo perdono, perché ho mentito; non è vero che la lezione era pronta. Ti chiedo perdono di averlo fatto, e cercherò di non fare mai più così. Ho molta pena, avrei preferito dire la verità, ma non voglio dire ora tante cose per non farti soffrire. Svegliami pure se vuoi, per parlare insieme della cosa. Buona notte, papà. Monique».
Il papà, dopo aver letto, cancella la lavagna e scrive la sua risposta; così: «Mia piccola cara Monique, io ti voglio tanto bene, perché mi hai scritto per chiedermi perdono. Io ti perdono con molta gioia e molto volentieri, perché ho capito che mi chiedi perdono perché mi ami. Certo non è bene dire le bugie, ma siccome tu lo confessi e mi domandi perdono, tutto è cancellato come se non l’avessi fatto. E sappi che tutte le volte che tu avrai pena di avermi dato una pena e me ne chiederai perdono, io ti perdonerò sempre, anche se succedesse molte volte. Il buon Dio fa così con noi, perché ci ama.
Ho scritto questa lettera, perché tu la trovi subito appena ti svegli, e sappia subito che ti ho perdonato. Ti amo tanto, mia piccola Monique. Continua a fare molti sforzi per essere buona. Ti abbraccio con tutte le mie forze. Papà».

Questo grazioso quadretto di vita familiare ci mostrano come il sacramento del perdono sia la gioia di Dio, perché è anche la nostra gioia. Ma bisogna capirlo bene.
Noi ci buttiamo nelle braccia di Dio e confessiamo i nostri peccati per un solo motivo, perché amiamo Dio; e Dio contraccambia con la sua tenerezza infinita. Anche se fossimo molto peccatori, anche se i nostri peccati fossero dei delitti, Dio non si stancherebbe mai di perdonare, perché non si stanca mai di amare.
Da: "Confessione festa del pedono", Torino LDC, p. 32 - 33 
Andrea Gasparino, presbitero Salesiano italiano

sabato 9 ottobre 2010

Dare un senso alla vita


Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.

In realtà non è questa la mia destinazione ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, e io temetti gli imprevisti.

Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.

Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio:
è una barca che anela al mare eppure lo teme.

George Gray, Antologia di Spoon River. Trad. di F. Pivano

Edgar Lee Masters (1869 - 1950), poeta americano

lunedì 27 settembre 2010

Le cose che contano

Un professore, prima di iniziare la sua lezione di filosofia, pose alcuni oggetti davanti a sé, sulla cattedra.
Senza dire nulla, quando la lezione iniziò, prese un grosso barattolo di maionese vuoto e lo riempì con delle palline da golf.
Domandò quindi ai suoi studenti se il barattolo fosse pieno ed essi risposero di sì.
Allora, il professore rovesciò dentro il barattolo una scatola di sassolini, scuotendolo leggermente.
I sassolini occuparono gli spazi fra le palline da golf. Domandò quindi, di nuovo, ai suoi studenti se il barattolo fosse pieno ed essi risposero di sì.
Il professore, rovesciò dentro il barattolo una scatola di sabbia. Naturalmente, la sabbia occupò tutti gli spazi liberi. Egli domandò ancura una volta agli studenti se il barattolo fosse pieno ed essi risposero con un sì unanime.
Il professore tirò fuori da sotto la cattedra due bicchieri di vino rosso e li rovesciò interamente dentro il barattolo, riempiendo tutto lo spazio fra i granelli di sabbia. Gli studenti risero.
“Ora”, disse il professore quando la risata finì, “vorrei che voi cosideraste questo barattolo la vostra vita. Le palline da golf sono le cose importanti; la vostra famiglia, i vostri figli, la vostra salute, i vostri amici e le cose che preferite; cose che se rimanessero dopo che tutto il resto fosse perduto riempirebbero comunque la vostra esistenza.
“I sassolini sono le altre cose che contano, come il vostro lavoro, la vostra casa, l’automobile. La sabbia è tutto il resto, le piccole cose.”
“Se metteste nel barattolo per prima la sabbia”, continuò, “non resterebbe spazio per i sassolini e per le palline da golf. Lo stesso accade per la vita. Se usate tutto il vostro tempo e la vostra energia per le piccole cose, non vi potrete mai dedicare alle cose che per voi sono veramente importanti.
“Curatevi delle cose che sono fondamentali per la vostra felicità. Giocate con i vostri figli, tenete sotto controllo la vostra salute. Portate il vostro partner a cena fuori. Giocate altre 18 buche! Fatevi un altro giro sugli sci! C’è sempre tempo per sistemare la casa e per buttare l’immondizia. Dedicatevi prima di tutto alle palline da golf, le cose che contano sul serio. Definite le vostre priorità, tutto il resto è solo sabbia”.
Una studentessa alzò la mano e chiese che cosa rappresentasse il vino. Il professore sorrise. “Sono contento che tu l’abbia chiesto. Serve solo a dimostrare che per quanto possa sembrare piena la tua vita: c’è sempre spazio per un paio di bicchieri di vino con un amico!”.

Anonimo

martedì 21 settembre 2010

Regala ciò che non hai...

Occupati dei guai, dei problemi del tuo prossimo.
Prenditi a cuore gli affanni, le esigenze di chi ti sta vicino.

Regala agli altri la luce che non hai, la forza che non possiedi,
la speranza che senti vacillare in te, la fiducia di cui sei privo.


Illuminali dal tuo buio.
Arricchiscili con la tua povertà.

Regala un sorriso
quando tu hai voglia di piangere.

Produci serenità dalla tempesta che hai dentro.
"Ecco, quello che non ho te lo dono".
Questo è il tuo paradosso.

Ti accorgerai che la gioia a poco a poco entrerà in te,
invaderà il tuo essere,
diventerà veramente tua nella misura in cui l'avrai regalata agli altri.

Alessandro Manzoni (1785 – 1873), scrittore, poeta e drammaturgo italiano

Dio esiste? Risponde Albert Einstein

Durante una lezione, un professore lanciò una sfida ai suoi alunni con la seguente domanda: “Dio creò tutto quello che esiste?“ Un alunno rispose con coraggio: ”Sì, Lui creò tutto…“ “Realmente Dio creò tutto quello che esiste?” domandò di nuovo il maestro. Sì signore, rispose il giovane. Il professore rispose: “Se Dio ha creato tutto quello che esiste, Dio ha fatto anche il male, visto che esiste il male! E se stabiliamo che le nostre azioni sono un riflesso di noi stessi, Dio è cattivo!” Il giovane ammutolì di fronte alla risposta del maestro, inorgoglito per aver dimostrato, ancora un volta, che la fede era un mito. Un altro studente alzò la mano e disse: “Posso farle una domanda, professore?” “Logico”, fu la risposta del professore. Il giovane si alzò e chiese: ”Professore, il freddo esiste?” “Però! Che domanda è questa?… Logico che esiste, o per caso non hai mai sentito freddo?” Il ragazzo rispose: “In realtà, signore, il freddo non esiste. Secondo le leggi della Fisica, quello che consideriamo freddo, in realtà è l’assenza di calore. Ogni corpo o oggetto lo si può studiare quando possiede o trasmette energia; il calore è quello che permette al corpo di trattenere o trasmettere energia. Lo zero assoluto è l’assenza totale di calore; tutti i corpi rimangono inerti, incapaci di reagire, però il freddo non esiste. Abbiamo creato questa definizione per descrivere come ci sentiamo quando non abbiamo calore. E ditemi, esiste l’oscurità?”, continuò lo studente. Il professore rispose: “Esiste”. Il ragazzo rispose: “Neppure l’oscurità esiste. L’oscurità, in realtà, è l’assenza di luce. La luce la possiamo studiare, l’oscurità, no! Attraverso il prisma di Nichols, si può scomporre la luce bianca nei suoi vari colori, con le sue differenti lunghezze d’onda. L’oscurità, no!… Come si può conoscere il grado di oscurità in un determinato spazio? In base alla quantità di luce presente in quello spazio. L’oscurità è una definizione usata dall’uomo per descrivere il grado di buio quando non c’è luce”. Per concludere, il giovane chiese al professore: “Signore, il male esiste?” E il professore rispose: “Come ho affermato all’inizio, vediamo stupri, crimini, violenza in tutto il mondo. Quelle cose sono del male” Lo studente rispose: “Il male non esiste, Professore, o per lo meno non esiste da se stesso. Il male è semplicemente l’assenza di bene… Conformemente ai casi anteriori, il male è una definizione che l’uomo ha inventato per descrivere l’assenza di Dio. Dio non creò il male... Il male è il risultato dell’assenza di Dio nel cuore degli esseri umani. Lo stesso succede con il freddo, quando non c’è calore, o con l’oscurità, quando non c’è luce“. Il giovane fu applaudito da tutti in piedi, e il maestro, scuotendo la testa, rimase in silenzio. Il rettore dell’Università, che era presente, si diresse verso il giovane studente e gli domandò: “Qual è il tuo nome?” La risposta fu: “Mi chiamo Albert Einstein”.

Dio è una realtà "non tangibile" ma abita nel nostro cuore. Impariamo ad ascoltarlo!

mercoledì 15 settembre 2010

Ad Atene noi facciamo così

Il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: per questo è detto democrazia. Le leggi assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private ma noi non ignoriamo i meriti dell'eccellenza.

Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, non come atto di privilegio ma come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l'uno dell'altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se preferisce vivere a suo modo.

Ci è stato insegnato a rispettare i magistrati e le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato a rispettare quelle leggi non scritte la cui sanzione risiede solo nell'universale sentimento di ciò che è giusto e di buon senso.

La nostra città è aperta al mondo e non cacciamo mai uno straniero.

Noi siamo liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.

Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private.

Un uomo che non si interessa dello Stato non lo consideriamo innocuo ma inutile; e benché soltanto pochi siano in grado di dar vita a una politica, noi siamo tutti in grado di giudicarla.

Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla strada dell'azione politica.

Crediamo che la felicità sia il frutto della libertà e la libertà sia solo il frutto del valore.

Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell'Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità: la prontezza a fronteggiare le situazioni e la fiducia in se stesso.

Pericle, citato in "La guerra del Peloponneso" II, 37-41

Tucidide (ca. 460 a.C. – dopo il 404 a.C.) generale e storico greco

martedì 14 settembre 2010

L'incendio nella foresta


Durante un incendio nella foresta,
mentre tutti gli animali fuggivano,
un colibrì volava in senso contrario con una goccia d'acqua nel becco.
"Cosa credi di fare?" Gli chiese il leone.
"Vado a spegnere l'incendio!" Rispose il piccolo volatile.
"Con una goccia d'acqua?" Disse il leone con un ghigno di irrisione. Ed il colibrì, proseguendo il volo gli rispose: "Io faccio la mia parte!".

Un dono da coltivare

Un giorno un uomo entrò nel negozio di Dio, dove non si compra nulla, ma tutto è dono gratuito. Incuriosito si muoveva tra gli scaffali su cui erano esposte cose preziosissime. Ma, ad un certo punto la sua attenzione fu attirata da due doni tra i più preziosi ivi esposti, la pace e l’unità. L’uomo rimase quasi abbagliato dalla loro luminosità e ricchezza. Allora andò al banco e chiamato l’angelo – commesso e gli disse: “Vorrei avere in dono le cose più belle, preziose e rare che ho visto qui dentro, la pace e l’unità tra gli uomini”. Gli rispose l’angelo: “Lei è un vero intenditore! Attenda un attimo, le faccio due pacchi e glieli porto subito”. Mentre l’angelo preparava i pacchi, l’uomo pensava a come li avrebbe trasportati, visto che tali doni erano davvero grandi. Ma a un certo punto, stupito vide ritornare il commesso con due pacchetti così piccoli che si potevano portare in una mano. Allora, pensando a un errore, disse: “Scusi, forse c’è stato un equivoco. Avevo chiesto la pace e l’unità tra gli uomini. Sa, erano doni di notevoli dimensioni e non credo possano stare dentro quei due pacchetti”. L’Angelo allora, sorridendo rispose: “Buon uomo, lei ha frainteso il servizio di questo negozio! Noi non vendiamo nulla, ma doniamo. Ma non doniamo un dono già fatto! Qui si donano solo i semi, che poi, se accolti e curati, diventeranno delle dimensioni dei doni che ha visto nei nostri scaffali”. A queste parole l’uomo rimase un po’ deluso ma poi accolse i due doni e corse a casa per piantare subito quei semi, perchè potessero presto crescere belli e preziosi come i doni che aveva visto nel negozio di Dio.

Anche a te il Signore dona gratuitamente dei semi di unità e di pace… L’amore che avrai per ciascuno di ciascuno di essi sarà la linfa vitale dei fiori che germoglieranno e che, insieme alla tua preghiera, saranno l’ornamento e la motivazione del nostro ritrovarci ancora insieme il prossimo anno.

sabato 24 luglio 2010

L'amicizia è avere qualcuno a cui confidare un segreto...

Una delle più gran consolazioni di questa vita è l'amicizia; e una delle consolazioni dell'amicizia è quell'avere a cui confidare un segreto. Ora, gli amici non sono a due a due, come gli sposi; ognuno, generalmente parlando, ne ha più d'uno: il che forma una catena, di cui nessuno potrebbe trovar la fine. Quando dunque un amico si procura quella consolazione di deporre un segreto nel seno d'un altro, dà a costui la voglia di procurarsi la stessa consolazione anche lui. Lo prega, è vero, di non dir nulla a nessuno; e una tal condizione, chi la prendesse nel senso rigoroso delle parole, troncherebbe immediatamente il corso delle consolazioni. Ma la pratica generale ha voluto che obblighi soltanto a non confidare il segreto, se non a chi sia un amico ugualmente fidato, e imponendogli la stessa condizione. Così, d'amico fidato in amico fidato, il segreto gira e gira per quell'immensa catena, tanto che arriva all'orecchio di colui o di coloro a cui il primo che ha parlato intendeva appunto di non lasciarlo arrivar mai. Avrebbe però ordinariamente a stare un gran pezzo in cammino, se ognuno non avesse che due amici: quello che gli dice, e quello a cui ridice la cosa da tacersi. Ma ci son degli uomini privilegiati che li contano a centinaia; e quando il segreto è venuto a uno di questi uomini, i giri divengon sì rapidi e sì moltiplici, che non è più possibile di seguirne la traccia.
I Promessi Sposi, cap. 11
Alessandro Manzoni (1785 – 1873), scrittore, poeta e drammaturgo italiano

lunedì 5 luglio 2010

Clinica dell’anima



  • Medico chirurgo: GESÙ CRISTO

  • Qualifica: FIGLIO DI DIO

  • Medico ausiliare: LO SPIRITO SANTO

  • Campo d’azione: IL CUORE

  • Esperienza: INFALLIBILE

  • Residenza e consultorio: IN OGNI LUOGO

  • Specialità: L’IMPOSSIBILE

  • Strumento: LA POTENZA

  • Effetto: LA GRAZIA

  • Libro di ricette: LA BIBBIA

  • Pazienti in cura: TUTTI

  • Prezzo del trattamento: LA FEDE

  • Garanzia: ASSOLUTA

  • Sala operatoria: L’ALTARE

  • Ospedale: LA CHIESA

  • Dieta: PREGHIERA E DIGIUNO

  • Esercizi: BUONE OPERE

    Orario di consultazione
    24 ore al giorno

    Dott. Gesù Cristo

mercoledì 16 giugno 2010

Sia fatta la tua volontà

Nella preghiera diciamo: «Sia fatta la tua volontà in cielo e in terra», non tanto perché faccia Dio che vuole, ma perché possiamo fare noi ciò che Dio vuole. Infatti chi è capace di impedire a Dio di fare ciò che vuole? Siamo noi invece che non facciamo ciò che Dio vuole, perché contro di noi si alza il diavolo ad impedirci di orientare il nostro cuore e le nostre azioni secondo il volere divino. Per questo preghiamo e chiediamo che si faccia in noi la volontà di Dio. E perché questa si faccia in noi abbiamo bisogno della volontà di Dio, cioè della sua potenza e protezione, poiché nessuno è forte per le proprie forze, ma lo diviene per la benevolenza e la misericordia di Dio. Infine anche il Signore, mostrando che anche in lui c'era la debolezza propria dell'uomo, disse: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!» (Mt 26, 39). E offrendo l'esempio ai suoi discepoli perché non facessero la volontà loro, ma quella di Dio, aggiunse: «Però non come voglio io, ma come vuoi tu».
La volontà di Dio dunque è quella che Cristo ha eseguito e ha insegnato. E' umiltà nella conversazione, fermezza nella fede, discrezione nelle parole, nelle azioni giustizia, nelle opere misericordia, nei costumi severità. Volontà di Dio è non fare dei torti e tollerare il torto subito, mantenere la pace con i fratelli, amare Dio con tutto il cuore, amarlo in quanto è Padre, temerlo in quanto è Dio, nulla assolutamente anteporre a Cristo, poiché neppure lui ha preferito qualcosa a noi. Volontà di Dio è stare inseparabilmente uniti al suo amore, rimanere accanto alla sua croce con coraggio e forza, dargli ferma testimonianza quando è in discussione il suo nome e il suo onore, mostrare sicurezza della buona causa, quando ci battiamo per lui, accettare con lieto animo la morte quando essa verrà per portarci al premio.
Questo significa voler essere coeredi di Cristo, questo è fare il comando di Dio, questo è adempiere la volontà del Padre.

Dal trattato «Sul Padre nostro» (nn. 13-15; CSEL 3, 275-278)

Cipriano di Cartagine (Tascio Cecilio Cipriano) (210 – 258), vescovo, poeta, scrittore, martire e santo

lunedì 24 maggio 2010

La verità

La Verità che stava in fonno ar pozzo
Una vorta strillò: - Correte, gente,
Chè l’acqua m’è arivata ar gargarozzo! -
La folla corse subbito
Co’ le corde e le scale: ma un Pretozzo
Trovò ch’era un affare sconveniente.
- Prima de falla uscì - dice - bisogna
Che je mettemo quarche cosa addosso
Perchè senza camicia è ‘na vergogna!
Coprimola un po’ tutti: io, come prete,
Je posso dà’ er treppizzi, ar resto poi
Ce penserete voi...

- M’assoccio volentieri a la proposta
- Disse un Ministro ch’approvò l’idea. -
Pe’ conto mio je cedo la livrea
Che Dio lo sa l’inchini che me costa;
Ma ormai solo la giacca
È l’abbito ch’attacca. -

Bastò la mossa; ognuno,
Chi più chi meno, je buttò una cosa
Pe’ vedè’ de coprilla un po’ per uno;
E er pozzo in un baleno se riempì:
Da la camicia bianca d’una sposa
A la corvatta rossa d’un tribbuno,
Da un fracche aristocratico a un cheppì.

Passata ‘na mezz’ora,
La Verità, che s’era già vestita,
S’arrampicò a la corda e sortì fôra:
Sortì fôra e cantò: - Fior de cicuta,
Ner modo che m’avete combinata
Purtroppo nun sarò riconosciuta!

Trilussa - Carlo Alberto Salustri (1871 – 1950), poeta italiano

L'amore e la follia

Si racconta che una volta, tanto tempo fa, tutti i sentimenti, le qualità e i difetti dell'uomo si riunirono. Dopo che la Noia aveva sbadigliato per l'ennesima volta la Pazzia propose di andare a giocare a nascondino. La curiosità chiese:
- A nascondino? Come si fa?
- E' un gioco, spiegò la Follia, io mi copro gli occhi e comincio a contare fino a un milione. Voi intanto Vi nascondete e quando non c'è più nessuno in giro e io ho finito di contare, il primo di voi che trovo rimane al mio posto a fare la guardia per continuare il gioco. L'Entusiasmo ballò seguito dall'Euforia, dall'Allegria e fece tanti salti che finì per convincere il Dubbio e l'Apatia, la quale non aveva mai voglia di fare nulla. Ma non tutti vollero partecipare... la Verità preferì non nascondersi; la Superbia disse che era un gioco molto sciocco e la Codardia preferì non rischiare.
- Uno, due, tre... incominciò a contare la Follia. La prima a nascondersi fu la Pigrizia, che si nascose dietro la prima pietra del cammino. La Fede salì in cielo e la Invidia si nascose dietro l'ombra del Trionfo che era riuscito a salire in cima all'albero più alto. La Generosità invece non riusciva a nascondersi, ogni posto che trovava lo lasciava ai suoi amici. Un lago cristallino? Ideale per la Bellezza, Un cespuglio? Perfetto per la Timidezza, Un soffio di vento? Giusto per la Libertà. Finchè la Generosità decise di nascondersi dietro un raggio di sole. L'Egoismo invece si prese subito il posto migliore e superconfortevole, tutto per lui. La Bugia si nascose... veramente non si sa dove, la Passione e il Desiderio si nascosero nel centro di un vulcano. La Dimenticanza... non ce lo ricordiamo! Quando la Follia arrivò a contare fino a 999.999, l' Amore ancora non aveva trovato un luogo per nascondersi, perchè erano tutti occupati. Alla fine vide un roseto e decise di nascondersi lì, fra le bellissime rose.- Un milione!!!- disse la Follia che iniziò a cercare. La prima a farsi scoprire fu la Pigrizia. Poi la Fede, poi la Passione e il Desiderio, che aveva sentito vibrare dentro il vulcano. Trovò poi l'Invidia che si era nascosta dove stava il Trionfo. Camminando, vicino al lago trovò la Bellezza; poi il Dubbio, il quale non aveva ancora deciso dove nascondersi. Eppoi uno dopo l'altro incontrò tutti gli altri, tranne l' Amore. La Follia iniziò a cercarlo dietro a ogni albero, sotto il ruscello, in cima alla montagna... e quando fu al punto di darsi per vinta, vide il roseto e iniziò a muovere i rami, quando allo improvviso si sentì un doloroso grido. Le spine avevano ferito negli occhi l'Amore! La Follia non seppe cosa fare e come chiedergli scusa. Pianse, pregò, implorò, chiese perdono e alla fine gli promise che sarebbe diventata la sua guida. Da allora, da quando per la prima volta si giocò a nascondino sulla terra, l'Amore è cieco e la Follia sempre lo accompagna....

venerdì 21 maggio 2010

Inferno e Paradiso

Un sant'uomo ebbe un giorno da conversare con Dio e gli chiese:
«Signore, mi piacerebbe sapere come sono il Paradiso e l'Inferno»
Dio condusse il sant'uomo verso due porte.
Ne aprì una e gli permise di guardare all'interno.
C'era una grandissima tavola rotonda.
Al centro della tavola si trovava un grandissimo recipiente contenente cibo dal profumo delizioso. Il sant' uomo sentì l'acquolina in bocca.
Le persone sedute attorno al tavolo erano magre, dall'aspetto livido e malato. Avevano tutti l'aria affamata.
Avevano dei cucchiai dai manici lunghissimi, attaccati alle loro braccia.
Tutti potevano raggiungere il piatto di cibo e raccoglierne un po', ma poiché il manico del cucchiaio era più lungo del loro braccio non potevano accostare il cibo alla bocca.
Il sant'uomo tremò alla vista della loro miseria e delle loro sofferenze.
Dio disse: "Hai appena visto l'Inferno".
Dio e l'uomo si diressero verso la seconda porta.
Dio l'aprì.
La scena che l'uomo vide era identica alla precedente.
C'era la grande tavola rotonda, il recipiente che gli fece venire l'acquolina.
Le persone intorno alla tavola avevano anch'esse i cucchiai dai lunghi manici.
Questa volta, però, erano ben nutrite, felici e conversavano tra di loro sorridendo.
Il sant'uomo disse a Dio : «Non capisco!»
- E' semplice, - rispose Dio, - essi hanno imparato che il manico del cucchiaio troppo lungo, non consente di nutrire se' stessi... ma permette di nutrire il proprio vicino. Percio' hanno imparato a nutrirsi gli uni con gli altri !
Quelli dell'altra tavola, invece, non pensano che a loro stessi... Inferno e Paradiso sono uguali nella struttura... la differenza la portiamo dentro di noi!!!

sabato 15 maggio 2010

La filosofia via meravigliosa

Bisogna mostrare che cosa sia la filosofia nel suo complesso, quale sia la sua caratteristica, di quanti elementi si componga e quanta fatica implichi. Allora chi ascolta, se è veramente Filosofo, cioè idoneo alla filosofia e degno di essa, perché dotato di natura divina, pensa che quella di cui sente parlare sia una via meravigliosa, da imboccare immediatamente, perché non potrebbe vivere facendo altro. Quindi unendo i propri sforzi a quelli di colui che gli indica la via, non si dà pace prima di aver acquisito completamente il suo fine, o prima di aver raggiunto tanta forza da esser in grado, da solo, senza nessuno che lo guidi, di procedere su quella strada.

Lettera Settima, 340

Platone (427 - 347 a.C.), filosofo greco

giovedì 6 maggio 2010

La cosa più bella del papà

Il papà chiede ad Alessio, 5 anni:
"Che cosa ti piace di più del papà?".
E Alessio, dopo aver riflettuto un po':
"La mamma".

"Quand'è che ti accorgi che la tua famiglia va bene?" chiesero ad una bambina.
"Quando vedo il papà e la mamma che si danno i bacetti" rispose.
I genitori non devono nascondersi nell'armadio per darsi i bacetti.
Ogni volta che manifestano l'amore che li unisce, i bambini si sentono inondati di calda e gioiosa fiducia. Sanno bene che l'amore reciproco dei genitori è l'unica roccia solida su cui possono costruire la loro vita.
C'è qualcuno lassù?, Elledici 1993
Bruno Ferrero, prete salesiano italiano, scrittore

martedì 4 maggio 2010

Una lettera per Ruth



Ruth aprì la sua cassetta della posta e vi trovò dentro solo una lettera. La girò e la rigirò prima di aprirla e vide che c’era scritto sopra il suo nome ed indirizzo. Diceva così: Cara Ruth: "Nella giornata di sabato sarò nel tuo quartiere e vorrei venire a trovarti. Ti voglio sempre bene, Gesù".
Le mani di Ruth tremavano mentre appoggiava la lettera sulla tavola. - "Perchè Dio vuole visitarmi visto che io non sono niente di speciale?" Nel frattempo si ricordò che non aveva niente da offrire al suo ospite: il suo frigorifero era desolatamente vuoto, pensò. "Oh no! Non ho proprio niente da presentare al mio ospite. Devo andare al supermercato e comprare qualcosa per la cena!"

Prese il suo portafoglio: dentro c’erano 5 €. "Bene, posso almeno comprare pane e formaggio". Si infilò il cappotto e si precipitò fuori. Comprò un pezzo di pane francese, una fetta di formaggio ed una busta di latte. Terminati gli acquisti si ritrovò in tasca solo dodici centesimi con cui tirare avanti fino al lunedì. Era contenta e si sentiva sempre meglio man mano che si avvicinava a casa con la sua umile spesa sotto braccio.

"Signorina, per favore, può aiutarci?" Ruth era così immersa nei suoi preparativi per la cena che non si era accorta di due figure rannicchiate sul marciapiede. Un uomo e una donna, entrambi vestiti di stracci. "Vede signorina, io non ho lavoro e quindi mia moglie ed io stiamo vivendo per la strada. Stiamo morendo di freddo e abbiamo tanta fame e se lei potesse aiutarci noi le saremmo immensamente grati".

Ruth li guardò. Erano sporchi ed emanavano un notevole fetore; la ragazza pensò che se avessero veramente voluto trovare un lavoro sicuramente non sarebbero stati lì a chiedere l’elemosina. "Guardi, mi piacerebbe davvero darvi una mano, ma anch’io sono povera. Tutto quel che ho è un poco di pane ed un pezzo di formaggio; ho un invitato speciale a cena questa sera e perciò pensavo di offrire a lui queste cose". "D’accordo, capisco. Comunque mille grazie" L’uomo posò il braccio sulle spalle della moglie e i due si incamminarono in direzione della strada.

Ruth li guardava allontanarsi e sentì un gran dolore al cuore. "Signore, aspetti". La coppia si fermò, mentre la ragazza correva loro incontro. "Perchè non prendete questi alimenti? Vuol dire che al mio invitato offrirò qualcos’altro" disse Ruth mentre porgeva loro il sacchetto del supermercato.

"Grazie! Grazie infinite, signorina!". "Davvero grazie" le disse la donna e Ruth si accorse che stava tremando per il freddo. "Sa signora, ho un altro cappotto a casa mia, perciò prenda pure questo", disse Ruth alla donna mentre le sistemava l’indumento sulle spalle. La ragazza ritornò a casa sorridendo ma senza cappotto e senza più nulla da offrire al suo invitato. Man mano che si avvicinava a casa si sentiva però un po’ dispiaciuta, perchè sapeva che non c’era proprio niente con cui dar da mangiare al Signore. Quando infilò la chiave nella serratura si accorse che nella buca delle lettere c’era qualcosa. "Che cosa strana! Di solito, il postino non viene due volte nello stesso giorno". Ella prese la busta e la aprì: "Amatissima Ruth: è stato davvero meraviglioso rivederti. Grazie per il cibo e grazie anche per il delizioso cappotto. Ti voglio sempre bene, Gesù." L'aria era ancora fredda ma, anche senza cappotto, Ruth non se ne accorse.




So che a volte è difficile imbattersi in Dio nelle piccole cose che ci circondano, compreso le persone che a volte non ci sono gradite, ma è PROPRIO IN QUESTE OCCASIONI che Egli desidera incontrarsi con noi: in ogni piccola e meravigliosa cosa che accade per il nostro bene.

mercoledì 28 aprile 2010

Aforismi Dio


Io credo nel Dio che ha creato gli uomini, non nel Dio che gli uomini hanno creato. (Alphonse Karr)

Il caso è lo pseudonimo di Dio quando non si firma personalmente. (Anatole France)

Credo nel sole, anche quando non splende; 
credo nell'amore, anche quando non lo sento; 
credo in Dio, anche quando tace.
(parole scritte sul muro di una cantina di Colonia, dove alcuni ebrei si nascosero per tutta la durata della guerra)

Una volta che si comincia a camminare con Dio, si continua semplicemente a camminare e la vita diventa un'unica, lunga passeggiata. (Etty Hillesum)

Vuoi conoscere Dio? Impara conoscere te stesso.  (Evagrio Pontico, Filocalia I)

Non parlare di Dio a chi non te lo chiede. Ma vivi in modo tale che gli venga il desiderio di chiedertelo. (San Francesco di Sales)

Di Dio non sappiamo nulla. Ma questo non-sapere è un non-sapere di Dio. Come tale è l'inizio del nostro sapere di lui. L'inizio, non la fine. (Franz Rosenzweig, La stella della redenzione)

Una volta il demonio mi disse: «anche Dio ha il suo inferno: che è il suo amore per gli uomini». E di recente lo intesi soggiungere queste parole: «Dio è morto per la sua compassione verso gli uomini». (Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra)

Colui che può negar Dio davanti a una notte stellata, davanti alla sepoltura de’ suoi più cari, davanti al martirio, è grandemente infelice o grandemente colpevole (...) Il primo ateo fu senz’alcun dubbio un uomo che aveva celato un delitto agli altri uomini e cercava, negando Dio, di liberarsi dell’unico testimone a cui non poteva celarlo. (Giuseppe Mazzini, Doveri dell'uomo)

La perfetta conoscenza di Dio consiste nel sapere che egli esiste, che non può essere ignorato, ma che, nonostante tutto, è inesprimibile e indicibile. (Ilario di Poitiers) 

Chi è Dio per me? É domanda molto grande! Se guardo il mondo, le altre persone, gli amici o le guerre, le carestie, le ingiustizie, ti viene da pensare: questo pianeta solitario con i suoi orrori non può essere la risposta finale. Se lo è, allora voglio sparire, ora! (Mel Gibson)

Dio è capace di scrivere dritto anche sulle nostre righe storte. (Jacques Bossuet)

Ho detto al mandorlo: fratello, parlami di Dio. Ed il mandorlo è fiorito. (Nikos Kazantzakis, Zorba il greco)

La religione consiste nel credere che tutto quello che ci accade è straordinariamente importante. Non potrà mai sparire dal mondo, proprio per questa ragione.
(Cesare Pavese, Il mestiere di vivere)

La mente dell’uomo pensa molto alla sua via, ma il Signore dirige i suoi passi. (Proverbi 16,9)

Chi si mette in cerca di Dio lo ha già trovato. (Proverbio italiano)

L'uomo progetta e Dio ride. (Proverbio yiddish)

L'uomo si agita, Dio lo conduce. (Proverbio francese)

Tutto il sapere è in Dio. Ma il sapere di Dio è come un fiume d'acqua che corre verso il mare, è Dio la fonte, gli uomini l'oceano, non valeva la pena di aver creato tanto universo se non dovesse essere così. (José Saramago)

E l’Imam Alì (as) disse: «In verità alcuni adorano Iddio per brama (del Paradiso), e questo è il culto dei mercanti, e alcuni Lo adorano per paura (dell’Inferno), e questo è il culto degli schiavi, altri invece Lo adorano per gratitudine, e questo è il culto dei nobili». (Nahju-l-balagah, 197)

La nostra idea di Dio ci dice più di noi stessi che di Lui. (Thomas Merton)

martedì 27 aprile 2010

Dio ci vizia

In tutto il mondo la gente dice che Madre Teresa sta viziando i poveri dando loro tutto gratuitamente. In un congresso a Bangalore, una volta, una suora mi disse: «Madre Teresa lei vizia i poveri dando loro le cose senza chiedere nulla. Stanno perdendo la dignità». Quando tutti si furono chetati dissi con calma: «Nessuno ci vizia più di Dio stesso. Guardate i doni meravigliosi che ci ha fatto gratuitamente. Nessuno di voi qui porta gli occhiali eppure ci vedete tutti. Se Dio avesse chiesto denaro per la vostra vista, che cosa sarebbe successo? Respiriamo in continuazione e viviamo di ossigeno, senza spendere niente. Che cosa avverrebbe se Dio dicesse - «Se lavorate quattro ore avrete luce del sole per due ore? - Quanti di noi potrebbero sopravvivere?». E poi soggiunsi: «Ci sono tanti istituti che viziano i ricchi; è bene che ci sia anche una Congregazione in favore dei poveri, che vizi i poveri». Ci fu un profondo silenzio e nessuno disse più una parola.

domenica 25 aprile 2010

Un chiodo

Un chiodo.
Chi ci vede metallo,
chi un pericolo,
chi del dolore,
chi un elemento che unisce,
chi non riesce a ribatterlo,
ma difficilmente ci si vede l'invenzione
e colui che lo ha sognato, pensato, realizzato.
La morale... trovane una che ti vada bene.

Fabrizio Albi

venerdì 23 aprile 2010

Il costo di un miracolo

Un giorno una bambina di 8 anni ascoltò sua madre e suo padre parlare di suo fratello Andrew.

Ella sapeva solo che suo fratello era molto malato e che la sua famiglia non aveva denaro.
Solo un'operazione costosa poteva salvare Andrew.

Ascoltò che suo padre stava cercando di avere un prestito ma non l'otteneva.
Ascoltò suo padre mormorare con gli occhi pieni di lacrime "solo un miracolo può salvarlo" .

Tess andò nella sua stanza e tirò fuori un salvadanaio che manteneva nascosto nell'armadio. Vuotò tutto il suo contenuto a terra e contò accuratamente. Contò una seconda volta, una terza! Quindi pose nuovamente tutte le monete nel salvadanaio, lo nascose e fuggì per la porta posteriore, camminando per sei isolati, fino alla farmacia.
Aspettò pazientemente il suo turno.
Il farmacista sembrava molto occupato al momento e non gli prestava attenzione.
Tess mosse il piede facendo un rumore, niente.
Si rischiarò la gola col peggior suono che potesse produrre, niente.
Finalmente, tirò fuori una moneta e la battè con forza "Che cosa desideri? - gli domandò il farmacista con un tono abbastanza sgraziato - sto parlando con mio fratello che è appena arrivato da Chicago e che non vedevo da anni..."
"Bene, io voglio parlarti di mio fratello - gli rispose Tess nello stesso tono del farmacista - ...è molto malato e voglio comprare un miracolo ".
"Che cosa?" disse il farmacista
"Il suo nome è Andrew e ha qualcosa che gli sta crescendo dentro la testa e mio padre dice che solo un miracolo può salvarlo. Quindi, quanto costa un miracolo?"
"Qui non vendiamo miracoli, piccola. Mi dispiace, ma non posso aiutarti" gli rispose il farmacista ora in un tono più dolce.
"Guardi, io ho il denaro per pagarlo. Se non è sufficiente, mi procurerò il resto. Mi dica solo quanto costa".
Il fratello del farmacista era un uomo elegante. Si inchinò e domandò alla bambina: "Di che tipo di miracolo ha bisogno tuo fratello?"
"Non lo so - rispose Tess sul punto di piangere - solo che è molto malato e mia mamma dice che ha bisogno di un'operazione. Ma mio papà non può pagarla cosichè io voglio usare il mio denaro".
"Quanto denaro hai?" le domandò l'uomo di Chicago .
"Un dollaro e undici centesimi - rispose Tess con una voce che quasi non si capiva - è tutto il denaro che ho, ma posso ottenere di più se ne hai bisogno".
"Che coincidenza - disse l'uomo sorridendo - un dollaro e undici centesimi, giusto il prezzo di un miracolo per fratelli minori". Prese il denaro in una mano e con l'altra prese la bambina per il braccio e le disse: "Portami a casa tua ".
Quell’uomo di buona apparenza era il Dott. Carlton Armstrong, un chirurgo specialista in neurochirurgia.
L'operazione fu eseguita senza spese ed in poco tempo Andrew era di ritorno a casa ed in buona salute.
Quell'operazione chirurgica - disse sua madre - fu un vero miracolo.
Si domandò quanto sarebbe costato.
Tess sorrise. Ella sapeva esattamente quanto costava un miracolo, un dollaro e undici centesimi più la fede di una bambina.
Un miracolo non è la sospensione della legge naturale, bensì l'intervento di una legge più alta.

mercoledì 21 aprile 2010

Bisogna correre i rischi...

A ridere
c'è il rischio di apparire sciocchi;
a piangere
c'è il rischio di essere chiamati sentimentali
a stabilire un contatto con un altro
c'è il rischio di farsi coinvolgere;
a mostrare i propri sentimenti
c'è il rischio di mostrare il vostro vero io;
a esporre le vostre idee e i vostri sogni
c'è il rischio d'essere chiamati ingenui;
ad amare
c'è il rischio di non essere corrisposti;
a vivere
c'è il rischio di morire;
a sperare
c'è il rischio della disperazione
e a tentare
c'è il rischio del fallimento.

Ma bisogna correre i rischi,
perché il rischio più grande nella vita
è quello di non rischiare nulla.
La persona che non rischia nulla,
non è nulla e non diviene nulla.
Può evitare la sofferenza e l'angoscia
ma non può imparare a sentire
e cambiare e progredire e amare e vivere.
Incatenata alle sue certezze, è schiava.
Ha rinunciato alla libertà.
Solo la persona che rischia è veramente libera!
Vivere, amare, capirsi
Leo Buscaglia (1924 - 1998), professore e scrittore statunitense

Aforismi Progresso

Sulla terra c'è abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti ma non per soddisfare l'ingordigia di pochi. (Mahatma Gandhi)

Quindi, dato che vedo tanti deboli calpestati, dubito molto della sincerità di quel che viene chiamato progresso e civiltà. (Vincent Van Gogh in una lettera al fratello Theo, 1882)

mercoledì 7 aprile 2010

Maria e Salome

Maria di Magdala: «Sempre, sempre è come se fosse ieri. E sono passati vent'anni, Salome. O mille, non lo so».
Salome: «Anche per me, Maria. E ogni volta che t'incontro, come oggi, ho bisogno che tu mi ripeta tutto di quel mattino per essere certa che non ho sognato...».

Maria: «Non è stato sogno. Sogno è stata tutta la vita prima. Un disgustoso sogno, la mia, fra le braccia di uomini ogni giorno diversi, che mi sembravano dei morti. Ma da quando gli ho lavato i piedi, allora è stato il risveglio e un vegliare sempre, ininterrottamente. Salome, da quella notte dopo che lui era stato inchiodato e gli preparammo gli unguenti, io non ho più conosciuto il sonno. Per ciò sono così presto invecchiata».
Salome: «Quella notte siamo invecchiate tutte. Negli unguenti che preparavamo per l'imbalsamazione c'erano più lacrime che mirra e aloe».

Maria: «E la mattina, quell'alba, si aprì ancora nell'angoscia, almeno per me».
Salome: «Siamo andate tutte insieme, che quasi non ci si vedeva ancora, di passo veloce, stringendo i vasi del profumo sotto gli scialli. Tu eri la più turbata, non parlavi».

Maria: «Voi seguitavate a domandare: "Chi toglierà la pietra dall'ingresso?". Io sono corsa avanti, e la pietra era già stata rimossa. È stato come morire. Nemmeno più il suo corpo c'era per noi sulla terra. Tutto il nostro lavoro della notte, per niente. Sono stata vile. Non ho avuto il coraggio di entrare a ricevere la conferma che là era vuoto. Vi ho lasciate senza dirvi niente. Sono corsa, corsa da Pietro e Giovanni, per ricevere subito, io sola, forse una notizia diversa dai suoi amici, una spiegazione confortante. E a loro ho gridato, ma facevo fatica a respirare: "Hanno portato via dal sepolcro il Signore..." ».
Salome: «Noi invece siamo entrate. C'erano due seduti per terra, con bellissime vesti. Uno ci ha parlato. Ricordo che ha detto: "Perché cercate trai morti colui che vive?". E ha aggiunto altre cose meravigliose che io però, e credo anche le altre, non sentimmo, non capimmo. Troppo spavento, troppa gioia. Siamo scappate, solo attente a non rompere i vasi. E non abbiamo detto niente a nessuno».

Maria: «Vi vidi uscire. Ero là fuori e piangevo. Quando ho visto che fuggivate a quel modo, ho pensato il peggio. I due che tu dicevi, a me hanno chiesto: "Donna, perché piangi?". Quando mi sono voltata per rispondere, c'era un altro. Anche lui mi ha chiesto: "Perché piangi, chi cerchi?': pensavo che fosse il custode dell'orto: "Se sei tu che l'hai portato via" gli ho detto con supplichevole rabbia "dimmi dove l'hai messo, e io lo prenderò". Come ho fatto a non riconoscerlo? Questo è il mio rimorso, finché vivrò. L'ho trattato male, forse l'ho odiato per un attimo...».
Salome: «Non potevi riconoscerlo. Era ancora buio, e i tuoi occhi avevano pianto e vegliato tutta la notte per preparare i profumi».

Maria: «Allora ha detto: "Maria". E in quel momento è risorto. Ed è stato come se fosse risorto per me sola, almeno così ero certa, agli altri non ho pensato. E questo è ancora rimorso».
Salome: «Non per te sola, Maria. Certo tu sei stata la prima a vederlo. Ed è lui che così ha voluto, ha fatto questa scelta. Ha scelto te».

Maria: «Perché me? Me, la meretrice di Magdala. E non sua madre, non Giovanni?».
Salome: «Non investigare. E poi? Racconta, che ci fa sempre bene rivivere quell'ora».

Maria: «Poi, benché fossi impietrita, lui ha letto con precisione dentro di me che stavo per gettarmi ad abbracciarlo. E mi ha fermato con quel comando: "Non mi toccare...“».
Salome: «Si è fatto incontro a noi: "Vi saluto" ha detto. "Non temete, fate sapere ai miei fratelli che vadano in Galilea, e là mi vedranno“».

Maria: «Ma da voi si è lasciato toccare. Facevate grappolo sui suoi piedi e glieli stringevate come io glieli stringevo quel giorno al banchetto di Simone... Ma è giusto. Voi eravate buone, mogli e madri. Io invece...».
Salome: «Non è per questo, Maria, non affliggerti. Certo non per questo. A te invece fu data la primizia della gioia, che vorresti di più?».

Maria: «Perché a me, perché?».
Salome: «Troppe cose sono misteriose».

Maria: «È vero. Anche quando subito andai dai suoi amici, e annunciai che Gesù viveva e che l'avevo visto, essi non mi credettero. Anche ciò è misterioso».
Salome: «Ed è misterioso che tutto sia nitido in noi dopo tanti anni, come se fosse ieri».

Luigi Santucci (1918 – 1999), scrittore, romanziere, poeta e commediografo italiano

martedì 6 aprile 2010

L'uomo perfetto fa il bene per amore

L'uomo perfetto non cerca soltanto di astenersi dal male. E neanche di fare il bene per timore del castigo. Né di avere un buon comportamento per la speranza della ricompensa promessa. L'uomo perfetto fa il bene per amore.

Clemente Alessandrino (150 ca. – 215 ca.), teologo, filosofo, apologeta, scrittore e santo greco

Chi poteva immaginare che...

Qual eminenza di mente fu quella di colui che s'immaginò di trovar modo di comunicare i suoi più reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona, benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo? ...parlare con quelli che son nell'Indie, parlare a quelli che non sono ancora nati nè saranno se non di qua a mille e dieci mila anni? ...e con qual facilità? ...con i vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta...

Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Giornata prima

Galileo Galilei (1564 – 1642), fisico, filosofo, astronomo e matematico italiano

mercoledì 31 marzo 2010

Auguri!

Cristo Gesù è morto per noi!
Cristo Gesù è risorto! Alleluia!

martedì 23 marzo 2010

La leggenda del pettirosso

Era in quel tempo, quando Nostro Signore creò il mondo, quando creò non soltanto il cielo e la terra, ma anche tutti gli animali e le piante, e in pari tempo distribuì i nomi. Esistono molte storie di quel tempo, e se si sapessero tutte avremmo anche la spiegazione di tutte le cose del mondo che ora non si possono comprendere.


Fu allora che un giorno, mentre Nostro Signore stava a sedere in Paradiso a dipingere gli uccelli, venne a mancare il colore sulla tavolozza, così che il picchio sarebbe rimasto senza colore se Egli non avesse ri­pulito tutti i pennelli sulle sue penne.

E fu allora che l'asino acquistò le sue orecchie lunghe, perché non si ricordava il nome che aveva ricevuto. Lo dimen­ticò appena ebbe fatto alcuni passi sui prati del Paradiso e tornò indietro tre volte a domandare come si chiamava, finché Nostro Signore s'impazientì un pochino e prendendolo per le orecchie disse: "Il tuo nome è asino, asino, asino". E nel dirlo gli allungò le orecchie perché gli venisse l'udito migliore e ricordasse quello che gli si diceva.

Fu nello stesso giorno che l'ape fu punita. Perché appena fu creata incominciò a raccogliere miele, e gli animali e gli uomini, che si accorsero del dolce profumo del miele, vennero ad assaggiarlo. Ma l'ape voleva conservare tutto per sé e con le sue punture velenose scacciava tutti quelli che si avvicina­vano all'alveare. Nostro Signore vide e chiamò a sé l'ape e la punì. "Io ti ho dato la facoltà di raccogliere il miele che è ciò che la creazione ha di più dolce," disse Nostro Signore "ma non per questo ti ho dato il diritto d'essere cattiva col tuo prossimo. E ora ricordati: ogni volta che pungerai qualcuno che vorrà assaggiare il tuo miele, tu morrai!"

Già, fu allora che il grillo divenne cieco e la formica perse le sue ali; accaddero tante cose straordinarie in quel giorno.

Nostro Signore, grande e mite, era seduto tutto il giorno a creare e a formare, e verso sera gli venne in mente di creare un piccolo uccello grigio. "Ricordati che il tuo nome è pettirosso!" disse Nostro Signore all'uccello quando fu pronto. Lo depose sulla palma della sua mano e lo fece volare. Ma dopo che l'uccello ebbe fatto un piccolo volo ed ebbe ammirato la bella terra sulla quale doveva vivere, gli venne voglia di mirarsi. Allora vide che era tutto grigio, il petto come tutto il resto. Il pettirosso si voltò e rivoltò rispecchiandosi nell'acqua, ma non poté scoprire nep­pure una penna rossa. E così l' uccello rivolò da Nostro Signore. Egli, grande e mite, era a sedere, e dalle sue mani uscivano farfalle che svolazzavano intorno alla sua testa, piccioni garrivano sulle sue spalle, e dalla terra intorno a lui sorgevano rose, gigli e pratoline. Il cuore dell'uccellino batteva per il timore, ma descri­vendo leggeri giri volava sempre più vicino a Nostro Signore e finalmente si lasciò cadere sulla sua mano. Così Nostro Signore gli domandò quello che desiderava. "Io voglio soltanto chiederti una cosa" disse l'uccellino. "Cos'è che desideri sapere?" disse , Nostro Signore. "Perché debbo chiamarmi pettirosso, mentre son tutto grigio dalla punta del becco sino alla coda? Perché mi chiamo pettirosso quando non posseggo neppure una penna rossa?" E l'uccello con i suoi occhiettini neri lo guardò implorando e voltò la testolina. Da per tutto, attorno, vide fagiani tutti rossi sotto un leggero pulviscolo d'oro, pappagalli con ricchi collari rossi, galli con creste rosse, senza parlare delle farfalle, dei pesciolini rossi e delle rose. E naturalmente pensò che occorreva così poco, una sola goccia di colore rosso sul suo petto, per farlo diventare un bell'uccello, a cui il suo nome sarebbe stato adatto. "Perché debbo chiamarmi pettirosso, se son tutto grigio?" domandò di nuovo l'uccello, e aspettò che Nostro Signore gli dicesse: "Ah, amico mio, vedo che ho dimenticato di dipingere in rosso le penne del tuo petto, ma aspetta solamente un momento e sarà fatto". Ma Egli sorrise soltanto e disse: "Ti ho chiamato pettirosso, e pettirosso ti chiamerai, ma cercati da te il mezzo di meritarti le tue penne rosse". E così Nostro Signore alzò la mano e lasciò che l'uccello rivolasse per il mondo.

L'uccello volò in Paradiso con molti pensieri. Che cosa poteva fare un uccellino come lui per procurarsi delle penne rosse? L'unica cosa che gli venisse in mente fu di fabbricarsi il nido in mezzo ai prunai. Egli s'annidò fra le spine nel folto della macchia. Pareva stesse aspettando che una foglia di rosa gli si attaccasse al petto e gli desse il suo colore.

Un numero infinito d'anni erano trascorsi da quel giorno che fu il più bello sulla terra. D'allora in poi gli animali e gli uomini avevano abbandonato il Paradiso e si erano sparsi sulla terra. E gli uomini erano giunti al punto d'imparare a lavorare la terra e a navigare sul mare, si erano fatti abiti e utensili; da molto tempo avevano già imparato a fabbricare grandi templi e città potenti, come Tebe, Roma e Gerusalemme. Spuntò un giorno nuovo che non doveva esser mai più dimenticato nella storia del mondo e all'alba di quel giorno il pettirosso era posato su un piccolo colle nudo fuori le mura di Gerusalemme e cantava per i suoi piccini che si trovavano nel piccolo nido in mezzo ai bassi cespugli di spine. L'uccello raccontava ai suoi nati il giorno me­raviglioso della creazione e la distribuzione dei nomi: così aveva raccontato ogni pettirosso dal primo in poi, che aveva udito la parola di Dio ed era uscito dalla Sua mano. "E ora vedete," concluse tristemente il pettirosso "tanti anni sono passati, tante rose sono sbocciate, tanti piccoli uccelli sono sgusciati dalle uova dal giorno della creazione in poi, che non c'è nessuno capace di contarli, ma il pettirosso è ancora un uccellino grigio. Ancora non è riuscito a conquistarsi le penne rosse.". I piccini spalancarono i piccoli becchi e domandarono se gli antenati non avevano cercato di compiere qual­che grande opera per conquistare il prezioso colore. "Abbiamo fatto tutto quello che abbiamo potuto," disse l'uccellino "ma siamo stati tutti sfortunati. Già il primo petti­rosso, una volta, incontrò un altro uccello che gli rassomigliava completamente, e subito si mise ad amarlo con un amore così violento da sentirsi arroventare il petto. Ah, pensò allora, adesso comprendo. Nostro Signore vuole che io ami con tale ardore, che le penne del mio petto abbiano a tingersi di rosso per il caldo d'amore che ho nel cuore. Ma egli s'ingannava, così come si sono ingannati tutti gli altri dopo di lui e come c'inganneremo anche noi." I piccini cinguettarono tristemente, incominciavano già ad affliggersi perché la tinta rossa non avrebbe adornato i loro piccoli petti coperti di peluria. "Abbiamo anche sperato nel nostro canto" disse l'uccello vecchio parlando con toni prolungati. "Già il primo pettirosso cantava così; il petto dall'entusiasmo gli si gonfiava, ed egli ritornava a sperare. Ah, pensava, la fiamma del canto che ho nell'anima, tingerà di rosso le penne del mio petto. Ma s’in­gannava, come si sono ingannati tutti gli altri dopo di lui, come c'inganneremo anche noi." Si sentì di nuovo un triste cinguettio uscir dalle gole mezze nude dei piccini. "Abbiamo anche sperato nel nostro coraggio e valore" disse l'uccello. "Già il primo pettirosso si batté valorosamente con gli altri uccelli e il suo petto s'infiammò dal piacere di combattere. Ah, pensò, le penne del mio petto si tingeranno di rosso per la gioia della lotta che arde nel mio cuore. Ma s'ingannò, come si sono ingannati dopo di lui tutti gli altri, come c'inganneremo anche noi." I piccini cinguettarono coraggiosamente che volevano an­cora tentare di conquistare il premio tanto ambito, ma l'uccello rispose tristemente che era impossibile. Che cosa potevano sperare quando tanti antenati così bravi non erano riusciti a raggiungere la mèta? Potevano fare di più che amare, cantare e lottare? Che cosa potevano...

L'uccello si fermò in mezzo alla frase, perché da una delle porte di Gerusalemme usciva una gran quantità di gente e tutta la folla si dirigeva verso il colle dove l'uccello aveva il suo nido. C'erano dei cavalieri su destrieri superbi, servi con lunghe lance, assistenti del boia con chiodi e martelli, v’erano sacerdoti dall’incedere dignitoso, e giudici, donne piangenti, e davanti a tutti una massa di popolo che correva selvaggiamente, un accompagnamento orrendo, ululante di vagabondi. L'uccellino tremando stava sull'orlo del suo nido. Temeva ad ogni istante che il piccolo cespuglio di spine venisse calpestato e i suoi piccini rimanessero uccisi. "State in guardia," gridò ai piccini inermi "state tutti vicini e state zitti! Ecco un cavallo che viene proprio su di noi! Ecco un guerriero coi sandali ferrati! Ecco tutta la folla selvaggia!" Ad un tratto l'uccello smise di gettare i suoi gridi d'allarme e tacque. Dimenticò quasi il pericolo sovrastante. Improvvisamente saltò giù nel nido, e allargò le ali sopra ai piccini. "No, è troppo tremendo" disse. "Io non voglio che voi vediate. Sono tre malfattori che vengono crocifissi." E allargò le ali affinché i piccini nulla potessero vedere. Udirono soltanto dei colpi di martello rimbombanti, grida di dolore e gli urli selvaggi della folla. Il pettirosso seguì tutto lo spettacolo con gli occhi che si dilatavano dal terrore. Non poteva allontanare gli sguardi dai tre infelici. "Come gli uomini sono crudeli!" disse l'uccello dopo un momento "non si accontentano d'inchiodare quei poveretti sulle croci, no, sulla testa di uno hanno anche posto una corona di spine. Io vedo che le spine hanno ferito la sua fronte così da fare scorrere il sangue" continuò. "E quell'uomo è così bello e si guarda attorno con sguardi così dolci che ognu­no deve sentire d'amarlo. Mi pare che una freccia mi stia tra­figgendo il cuore nel vederlo soffrire." Il piccolo uccello sentiva crescere la sua compassione per l'incoronato di spine. "Se io fossi mia sorella l'aquila," pensò "strapperei i chiodi dalle sue mani e con i miei forti artigli scaccerei tutti coloro che lo fanno soffrire." Egli vide il sangue gocciolare sulla fronte del Crocifisso e non poté stare fermo nel suo nido. "Benché non sia che piccolo e debole, pure debbo poter fare qualche cosa per questo povero martoriato" pensò l’uccello: e allargò le ali e volò via per l’aria, descrivendo larghi giri intorno al Crocifisso. Gli volò intorno parecchie volte senza ardire d’avvicinarsi, perché era un uccellino timido, che non aveva mai osato avvicinarsi ad un uomo. Ma un po’ per volta si fece coraggio, volò molto vicino e col becco tolse una spina che si era piantata nella fronte del Crocifisso. In quel momento una goccia di sangue del Crocifisso cadde sul petto dell’uccello. Si allargò rapidamente, colò giù e tinse tutte le pennine delicate del petto. Ma il Crocifisso aperse le labbra e sussurrò all’uccello: "Per la tua pietà ora avrai quello che la tua razza ha desiderato sempre da quando fu creato il mondo".

Poco dopo, quando l’uccello ritornò al suo nido, i piccini gridarono: "Il tuo petto è rosso, le penne del tuo petto sono più rosse delle rose!" "Non è che una goccia di sangue della fronte di quel pover’uomo" disse l’uccello. "Scomparirà, appena farò il bagno in un ruscello o in una limpida sorgente." Ma quando l’uccellino fece il bagno la macchia rossa non scomparve dal suo petto, e quando i suoi piccini divennero grandi, la tinta rossa splendeva anche sulle penne dei loro petti, come d’allora in poi splende sul petto e sulla gola di ogni pettirosso.

Selma Lagerlöf (1858 – 1940), scrittrice svedese, Premio Nobel per la letteratura