Davanti al mistero della sofferenza, sempre presente lungo la vita di ogni essere umano, ci si rimane sgomenti e nessun tentativo di spiegazione da parte di filosofi e teologi, riesce a farla accettare con serenità.
Il male in tutte le sue componenti, fisico, morale, psichico, è considerato per i filosofi un problema, per Cristo ed i cristiani è un nemico, uno scandalo, una provocazione, ed esige una protesta, una mobilitazione, una rivolta.
Non si spiega il male, lo si combatte! Lo stesso Gesù apre gli occhi al cieco, anche se è giorno di sabato! Si proclama venuto per i perduti, per i malati, per i peccatori.
Davanti alle domande sul perché della sofferenza, all’infelice e tormentato Giobbe, Dio aveva semplicemente detto: “Chi sei tu per esigere spiegazioni da Dio?”.
Quindi bisogna ammettere che le vie di Dio non sono le nostre. Dio ha una concezione molto positiva della sofferenza, al punto tale, che accoglie per sé stesso il dolore come una strada necessaria; spiega Gesù ai discepoli di Emmaus: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? E agli Apostoli: “In verità, in verità vi dico; se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.
Quindi secondo il modo di vedere di Dio e nell’esperienza di Gesù, la Passione stessa sfocia impetuosa nella gloria del Risorto, la morte dà il frutto abbondante della redenzione del mondo.
Alla luce di quanto detto, la sofferenza è una realtà ineluttabile, il problema è tramutarla in occasione privilegiata di redenzione propria e di offerta per la redenzione degli altri nostri fratelli, pellegrini come noi in questa “valle di lagrime”, come recita l’inno ‘Salve Regina’.
Antonio Borrelli
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