Diego Velasquez, Cristo crucificado (1632)
I Anfora
Anfora bianca del divino licore
nei secoli dei secoli decantato,
l’eterno Vasaio t’avea tornito
col braccio che fece Adamo, e il torno
tornisce ancora. Della stessa argilla,
vasi novelli di dolore e amore,
contro la terra vengonsi a spezzare!
II Colomba
Come colomba dalle penne argentee
che volata tre volte dall’arca
non tornò con il ramo dell’ulivo,
ma sotto l’iride si perse
delle nubi, segnale della promessa;
così Tu, bianca colomba dei cieli,
vieni ad annunciarci che c’è terra ferma
dove al di là attecchisca il nostro spirito
e fiorisca nell’eternità!
III Anima e corpo
Innamorata del suo corpo la tua anima,
e uni e identici in un nuziale amore,
nel morire la lasciò non come prigione
col sospiro di chi libero resta,
ma come una casa ove si brama
lunga vita per sempre assuefatti
alla felicità. Di radice insondabile
fu l’estremo singulto, la rottura
della carne sconfitta e dello spirito
che carne si fece. Venne poi il silenzio.
E come tutto tacque con intimo silenzio,
tutto rimase in tenebra; luce è musica,
e misero chi crede vedere e non ode! L’anima tua
sopra tenebre fredde giacente,
dall’agonia riposando, rimira
il suo corpo compagno, che ha lasciato
ai bracci della croce, dai chiodi
penzolante, e nel guardarlo s’attrista
d’amore più vivo della vita. Come
senza lui potrà attingere il Sole? La luce
dove accendersi potrà? Dove la mano
dell’eterno Padre appiglio troverà
per afferrarsi? E nell’oscuro sgomento,
non più ricettacolo, di fondersi nelle tenebre
e come vento libero perdersi, ei brama
raccogliersi nella sua cavità - carne ed ossa -,
rimpiange del suo corpo la bellezza,
cercando essa, infinita, limitarsi;
i limiti vuole del suo campo; vuole
dentro la sua cinta avere vita.
IV Vento
«Spirò…» (Lc 23, 46)
Le brezze che oggi sopra le messi precipitano,
sole infondendo nei nostri pani,
le brezze che sciolgon le nevi delle cime
e nel fogliame della selva cullano
sogni di melanconia, e quelle che cantano
canti di cuna sul mare rotondo
alla terra che brucian con le loro onde,
furono sospiri col tuo petto amoroso
e dal grembo le tue parole vive
irruppero volando come da un nido.
Tu, la Parola, senza vento, muta.
Entravano impetuose nei tuoi polmoni
come nella loro casa, e raccogliendo
del tuo sangue il vapore, lo rendevano
ai fiori campestri in rugiada.
L’ultima ondata del tuo petto rosa
ruppesi in fredda quiete, e i tuoi polmoni
rimasero senz’aria; il tuo respiro
da quello del tuo Padre sorbito: rivo al mare!
Anfora bianca del divino licore
nei secoli dei secoli decantato,
l’eterno Vasaio t’avea tornito
col braccio che fece Adamo, e il torno
tornisce ancora. Della stessa argilla,
vasi novelli di dolore e amore,
contro la terra vengonsi a spezzare!
II Colomba
Come colomba dalle penne argentee
che volata tre volte dall’arca
non tornò con il ramo dell’ulivo,
ma sotto l’iride si perse
delle nubi, segnale della promessa;
così Tu, bianca colomba dei cieli,
vieni ad annunciarci che c’è terra ferma
dove al di là attecchisca il nostro spirito
e fiorisca nell’eternità!
III Anima e corpo
Innamorata del suo corpo la tua anima,
e uni e identici in un nuziale amore,
nel morire la lasciò non come prigione
col sospiro di chi libero resta,
ma come una casa ove si brama
lunga vita per sempre assuefatti
alla felicità. Di radice insondabile
fu l’estremo singulto, la rottura
della carne sconfitta e dello spirito
che carne si fece. Venne poi il silenzio.
E come tutto tacque con intimo silenzio,
tutto rimase in tenebra; luce è musica,
e misero chi crede vedere e non ode! L’anima tua
sopra tenebre fredde giacente,
dall’agonia riposando, rimira
il suo corpo compagno, che ha lasciato
ai bracci della croce, dai chiodi
penzolante, e nel guardarlo s’attrista
d’amore più vivo della vita. Come
senza lui potrà attingere il Sole? La luce
dove accendersi potrà? Dove la mano
dell’eterno Padre appiglio troverà
per afferrarsi? E nell’oscuro sgomento,
non più ricettacolo, di fondersi nelle tenebre
e come vento libero perdersi, ei brama
raccogliersi nella sua cavità - carne ed ossa -,
rimpiange del suo corpo la bellezza,
cercando essa, infinita, limitarsi;
i limiti vuole del suo campo; vuole
dentro la sua cinta avere vita.
IV Vento
«Spirò…» (Lc 23, 46)
Le brezze che oggi sopra le messi precipitano,
sole infondendo nei nostri pani,
le brezze che sciolgon le nevi delle cime
e nel fogliame della selva cullano
sogni di melanconia, e quelle che cantano
canti di cuna sul mare rotondo
alla terra che brucian con le loro onde,
furono sospiri col tuo petto amoroso
e dal grembo le tue parole vive
irruppero volando come da un nido.
Tu, la Parola, senza vento, muta.
Entravano impetuose nei tuoi polmoni
come nella loro casa, e raccogliendo
del tuo sangue il vapore, lo rendevano
ai fiori campestri in rugiada.
L’ultima ondata del tuo petto rosa
ruppesi in fredda quiete, e i tuoi polmoni
rimasero senz’aria; il tuo respiro
da quello del tuo Padre sorbito: rivo al mare!
[Da: "Il Cristo di Velazquez", poesie (1920) ]
Miguel de Unamuno, poeta, filosofo, scrittore e politico (1864 – 1936)
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