martedì 28 aprile 2009

E tu cosa faresti?

Un monaco si era seduto a meditare sulla riva di un ruscello. Quando aprì gli occhi, vide uno scorpione che era caduto nell'acqua e lottava disperatamente per stare a galla e sopravvivere.
Pieno di compassione, il monaco immerse la mano nell'acqua, afferrò lo scorpione, lo pose in salvo sulla riva. Lo scorpione, appena fu sulla terra ferma, per ricompensa, si voltò di scatto e punse il monaco che lo aveva salvato provocandogli un forte dolore. Il monaco tornò poi a meditare, ma quando aprì gli occhi vide che di nuovo lo scorpione era caduto in acqua e si dibatteva con tutte le sue forze. Per la seconda volta lo salvò e anche questa volta lo scorpione punse il suo salvatore fino a farlo urlare di dolore. La stessa cosa accadde una terza volta. E il monaco aveva le lacrime agli occhi per il tormento provocato dalle crudeli punture alla mano.
Un contadino, che aveva assistito alla scena, esclamò: «Perché ti ostini ad aiutare quella miserabile creatura che invece di ringraziarti ti fa solo male?».
«Perché seguiamo entrambi la nostra natura», rispose il monaco. «Lo scorpione è fatto per pungere, io sono fatto per essere misericordioso».

Nel Vangelo di Luca leggiamo che Pietro chiese a Gesù: «Quante volte devo perdonare Signore?». «Settanta volte sette» fu la risposta di Gesù (cf Mt 18, 21). Questo racconto credo ci ponga in contatto reale con alcune nostre situazioni quotidiane molto diverse tra loro. Camminare nella fede apre cieli stellati nel cuore, lo illumina insieme alla nostra mente; la preghiera quotidiana ossigena il nostro spirito fin nel profondo dell'anima, accende il nostro cuore di speranze e coraggio, portandoci davvero a rinnovare la nostra vita. Il meditare intimamente la parola di Dio, sull'onda della vita che scorre, ci porta talvolta a convivere con situazioni e persone che contrastano forse la pace, anche protraendo negli anni sofferenze intime che nessuno, se non lui, capisce e può placare. La sua forza placa e sostiene il nostro spirito, ma talvolta il male inferto, anche con malizia forse, può davvero mettere in discussione il nostro agire da uomini liberi.
Per che cosa siamo fatti, in realtà? Il mondo ci insegna che siamo fatti per produrre, arricchirci, imporci, difenderci anche con violenza da chi mina la pace e la tranquillità, non ultime le vicende internazionali e nazionali.
Cosa fare? Come reagire? Gesù ci ribadisce la strategia della benedizione: «Benedite coloro che vi perseguitano, benedite, non maledite. Pregate per coloro che vi fanno del male...» (Lc 6, 27).
«Perdonate non sette volte, ma settanta volte sette» (cf Mt 18, 21).
Perdonare significa etimologicamente donare di più, offrire altre possibilità di essere, anche se la fitta del dolore subito raggiunge l'intimità del nostro essere; c'è sempre in gioco la nostra sensibilità! Le nostre azioni parlano di noi, rivelano, come frutti, quale albero siamo.
Non siamo chiamati a cambiare il mondo, solo Cristo può cambiarlo. Siamo chiamati, però con lui a dare frutti che rimangano: «Vi ho scelti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (cf Gv 15, 16); a evangelizzare con gli atti, permettendo a coloro che non accettano la verità, di continuare la scelta, amandoli ancora, benedicendoli non solo con la preghiera, ma anche con l'azione amorevole verso di loro. Siamo fatti per amare, solo per amare come lui, l'Amore: «A sua immagine e somiglianza li creò» (Gen. 1, 27).

Dino Foglio

1 commento:

  1. E' una variante della fiaba americana della rana e lo scorpione.

    Un piccolo racconto per riflettere sul comportamento che Gesù ci invita ad avere con coloro che ci portano sofferenza.

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