“Perciò si pretende che le magistrature politiche, nelle costituzioni fondate sull'uguaglianza dei cittadini, vengano esercitate a turno. Un tempo naturalmente chi aveva esercitato il pubblico potere pensava che un altro si sarebbe occupato del suo interesse, così come prima lui si era occupato di quello dell'altro. Ma ora i titolari dei pubblici uffici, per i vantaggi che derivano dal trattare gli interessi pubblici e dall’esercizio del potere, desiderano restare in carica senza interruzione (…) e forse solo questa virtù delle cariche potrebbe spiegare l'ardore con cui si dà ad esse la caccia. È evidente pertanto che tutte le costituzioni che hanno di mira l'interesse comune sono costituzioni rette in quanto conformi all'assoluta giustizia, mentre quelle che hanno di mira l'interesse dei governanti sono errate e costituiscono delle degenerazioni rispetto alle costituzioni rette: infatti sono dispotiche, mentre la città è una comunità di liberi”.
Aristotele (383 - 322 a.C), Politica 6, i279
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