Uno di quei fili approdò in cima ad un albero, e l'areonauta, un ragnolino nero e giallo, lasciò la sua leggera navicella e si posò sul più resistente suolo del fogliame.
Ma quel luogo non gli andava a genio; e, presa una risoluzione improvvisa, venne direttamente a posarsi su di una grande siepe spinosa. Qui c'erano rami e germogli in abbondanza per tesservi una tela. E il ragno si mise subito al lavoro, lasciando che il filo lungo dal quale era disceso, reggesse la punta superiore della tela. Era una tela bella e grande. Aveva qualcosa di particolare, quella tela; si sarebbe detto si stendesse nel vuoto senza che fosse possibile vedere ciò che sosteneva il suo orlo superiore. Perché ci vogliono occhi buoni per scorgere un filo di ragno. Vennero giornate, e giornate passarono. Le mosche cominciavano a scarseggiare e il ragno si vide costretto ad allargare la sua tela per poterne acchiappare di più. In grazia di quel filo dall'alto, potè slargare i suoi agguati oltre ogni aspettazione. Ingrandì la sua tela in altezza e larghezza, e la sottile rete si stese ben presto su tutta la siepe. Quando nelle mattinate umide d'ottobre pendeva coperta di goccioline scintillanti, pareva un tulle ricamato di perle. Il ragno era orgoglioso del suo lavoro. Non era ormai più quel ragnetto povero che si dondolava per aria attaccato ad un filo, senza un soldo in tasca, per modo di dire, e senz'altro di bene al mondo che le proprie glandole filamentose. Adesso era un ragno grande e grosso, ben provvisto, e possedeva la tela più grande di tutta quella siepe.
Una mattina si svegliò di umore terribilmente strano. Durante la notte era gelato un po', e non c'era neanche il più piccolo raggio di sole per rallegrare la terra; nemmeno la più piccola mosca ronzava per l'aria. Il ragno rimase affamato e disoccupato tutto quel santo giorno d'autunno. Per ammazzare il tempo, fece un giro sulla sua tela, per vedere se mai ci fosse bisogno di rassettarla; Tirò ogni filo, badando che fossero tutti ben fermi. Ma benché avesse trovato tutto in regola, pure seguitò ad essere di pessimo umore.
Gira e rigira, finì col notare, al lembo esterno della sua rete, un filo che gli pareva affatto nuovo. Tutti gli altri fili si dirigevano qua e là, e il ragno conosceva ogni ramoscello a cui erano attaccati; ma quel filo "inesplicabile" non andava da nessuna parte e allora bisognava concludere che andava su diritto nell'aria.
Il ragno si rizzò sulle zampe e si mise a guardare in su con tutti i suoi occhi, ma non gli riuscì di capire dove andava a finire quel filo. Pareva se ne andasse nelle nuvole.
Quanto più guardava fisso senza poter arrivare a nulla, tanto più si arrabbiava. Aveva dimenticato che, in un sereno giorno di settembre, lui stesso era sceso giù giù per quel filo. E neppure si ricordò quanto utile gli fosse stato, proprio quel filo, per tessere e poi allargare la sua tela.
Il ragno s'era dimenticato di tutto ciò; e si limitò a pensare che c'era lì uno stupido filo buono a nulla, che non si attaccava ragionevolmente a nessuna parte, ma che soltanto andava su nel vuoto. Abbasso questo filo - disse il ragno. E con un solo colpo di dente lo troncò nel mezzo.
Nello stesso momento; la tela cedette: tutta quella rete così artisticamente fabbricata, crollò; e quando l'insetto tornò in sé, si trovò a giacere sulle foglie della siepe spinosa, con la testa ravvolta nella sua tela diventata un piccolo umido cencio. Era bastato un solo istante per distruggere tutta la magnificenza della sua casa, e soltanto perchè non aveva capitò l'utilità di quel "filo dall'alto".
da: Parabole (Ed. Paoline)
J. Joergensen
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