mercoledì 25 novembre 2009

Preghiera al buon Pastore

Dove vai a pascolare, o buon Pastore, tu che porti sulle spalle tutto il gregge? Quell'unica pecorella rappresenta infatti tutta la natura umana che hai preso sulle tue spalle. Mostrami il luogo del riposo, conducimi all'erba buona e nutriente, chiamami per nome, perché io, che sono pecorella, possa ascoltare la tua voce e con essa possa avere la vita eterna: «Mostrami colui che l'anima mia ama» (Ct 1,6 volg.).
Così infatti ti chiamo, perché il tuo nome è sopra ogni nome e ogni comprensione, e neppure tutto l'universo degli esseri ragionevoli è in grado di pronunziarlo e di comprenderlo. Il tuo nome, dunque, nel quale si mostra la tua bontà, rappresenta l'amore della mia anima verso di te. Come potrei infatti non amare te, quando tu hai tanto amato me? Mi hai amato tanto da dare la tua vita per il gregge del tuo pascolo.
Non si può immaginare un amore più grande di questo. Tu hai pagato la mia salvezza con la tua vita.
Fammi sapere, dunque, dove ti trovi (cfr. Ct 1,7), perché io possa trovare questo luogo salutare e riempirmi di celeste nutrimento, poiché chi non mangia di esso, non può entrare nella vita eterna. Fa' che accorra alla fonte fresca e vi attinga la divina bevanda, quella bevanda che tu offri a chi ha sete. Fa' che l'attinga come dalla sorgente del tuo costato aperto dalla lancia. Per chi la beve, quest'acqua diventa una sorgente che zampilla per la vita eterna (cfr. Gv 4,14).
Se tu mi ammetti a questi pascoli, mi farai riposare sicuramente al meriggio, quando, dormendo in pace, riposerò nella luce che è senz'ombra. Davvero il meriggio non ha ombra, quando il sole splende verticalmente. Nel meriggio tu fai riposare coloro che hai nutrito, quando accoglierai con te nelle tue stanze i tuoi figli. Nessuno però è stimato degno di questo riposo meridiano se non è figlio della luce e figlio del giorno.
Colui che si è tenuto ugualmente lontano dalle tenebre della sera e del mattino, cioè dal male con il suo inizio e la sua fine, questi viene posto dal sole di giustizia nel «meriggio», perché in esso possa riposare.
Spiegami dunque come bisogna riposare e pascere, e quale sia la via del riposo «meridiano», perché non avvenga che mi allontani dalla guida della tua mano per l'ignoranza della verità, e mi unisca invece a greggi estranei.
Queste cose dice la sposa dei cantici, tutta sollecita della bellezza che le è venuta da Dio e desiderosa di comprendere in qual modo la felicità le possa durare per sempre.

Dal «Commento al Cantico dei cantici» (Cap. 2; PG 44,802)

Gregorio di Nissa (335 – 395 ca.), vescovo e teologo greco, santo

martedì 17 novembre 2009

Un giorno vennero a prendere me

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento perchè rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto perchè mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali
e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti
ed io non dissi niente perchè non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me
e non c'era rimasto nessuno a protestare.

Bertholt Brecht (1898 - 1956), drammaturgo, poeta e regista tedesco

Aforismi Pace

Le guerre sono molto facili da cominciare e molto difficili da finire.

Non esiste un modo onorevole di uccidere, né un modo gentile di distruggere. Non c’è niente di buono nella guerra, eccetto la sua fine. (Abraham Lincoln - attribuita)

E' segno di maggior gloria uccidere le guerre con la parola anziché gli uomini con le armi, e conquistare la pace con la pace, non con la guerra. (Sant'Agostino)

La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire. (Albert Einstein)

Il denaro fa la guerra, la guerra fa il dopoguerra, il dopoguerra fa la borsa nera, la borsa nera rifà il denaro, il denaro rifà la guerra. In guerra sono tutti in pericolo, tranne quelli che hanno voluto la guerra. (Antonio De Curtis / Totò)

La Guerra è padre di tutte le cose e di tutto è sovrano: e gli uni li ha indicati come dei, gli altri come uomini, gli uni li ha resi schiavi, gli altri liberi. (Eraclito)

Cane non mangia cane; «i feroci leoni non si fanno guerra»; il serpente non aggredisce il suo simile; v’è pace tra le bestie velenose. Ma per l’uomo non c’è bestia più pericolosa dell’uomo. (Erasmo da Rotterdam)

Se [...] potessimo contemplare dall'alto gli uomini nel loro agitarsi senza fine, crederemmo di vedere uno sciame di mosche e di zanzare in contrasto fra loro, intente a combattersi, a tendersi tranelli, a rapinarsi a vicenda, a scherzare, a giocare, nell'atto di nascere, di cadere, di morire. Si stenta a credere che razza di terremoti e di tragedie può provocare un animaletto così piccino e destinato a vita così breve. Infatti, di tanto in tanto, un'ondata anche non grave di guerra o di pestilenza ne colpisce e ne distrugge migliaia e migliaia. (Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, 49)


Nessuno è così stupido da preferire la guerra alla pace: nella pace i figli seppelliscono i padri, in guerra invece i padri seppelliscono i figli. (Erodoto, Storie, libro I, 87)
Con queste parole Creso (596 a.C. – 546 a.C.), sovrano lidico, risponde a Ciro, che gli domanda quale follia lo abbia spinto a muovere guerra a lui e al suo impero, così potente da non permettere nessuna illusione circa l’esito del conflitto.

La guerra piace a chi ha interessi economici, che se ne sta ben distante dalle guerre. Chi invece la conosce si fa un’idea molto presto. Io che non sono tanto furbo ci ho messo qualche anno per capire che non importa se c’è un’altra guerra. Che sia contro il terrorismo, per la democrazia o i diritti umani. Ogni guerra ha una costante: il 90% delle vittime sono civili, persone che non hanno mai imbracciato un fucile. Che non sanno neanche perché gli arriva in testa una bomba. Le guerre vengono dichiarate dai ricchi e potenti, che poi ci mandano a morire i figli dei poveri. (Gino Strada)

La guerra è un male perché fa più malvagi di quanti ne toglie di mezzo. (Immanuel Kant)

Quando i ricchi si fanno la guerra tra loro, sono i poveri a morire. (Jean Paul Sartre)


Se tutti andassero in guerra solo in base alle proprie convinzioni, le guerre non ci sarebbero più. (Lev Tolstoj)

Mi oppongo alla violenza perché quando sembra fare del bene, il bene è solo temporaneo; il male che fa è invece permanente. Come non si può spegnere il fuoco con il fuoco, né asciugare l'acqua con l'acqua, così non si può eliminare la violenza con la violenza. (Lev Tolstoj)

Il giorno in cui il potere dell’amore supererà l’amore per il potere il mondo conoscerà la pace. (Mahatma Gandhi)

La persona che non è in pace con se stessa sarà in guerra con il mondo intero. (Mahatma Gandhi)

Tutti parlano di pace, ma nessuno educa alla pace. A questo mondo, si educa per la competizione, e la competizione è l’inizio di ogni guerra. Quando si educherà per la cooperazione e per offrirci l’un l’altro solidarietà, quel giorno si starà educando per la pace. (Maria Montessori)

Dio ha creato la guerra affinché gli americani imparassero la geografia. (Mark Twain)

La pace è più importante di ogni giustizia; e la pace non fu fatta per amore della giustizia, ma la giustizia per amor della pace. (Martin Lutero)

Impariamo che la pace è la strada più difficile perché richiede risposte molto complesse a problemi che i guerrafondai presentano con stupefacente semplicità. (Luis Sepúlveda, Una sporca storia)

La guerra: un massacro di gente che non si conosce, a vantaggio di gente che si conosce, ma non si massacra. (Paul Valéry)

Omnia prius experiri quam armis sapientem decet. / È da saggi provare tutte le vie prima di arrivare alle armi. (Publio Terenzio Afro, Eunuchus, 78)

Concordia parvae res crescunt, discordia maximae dilabuntur / Con la concordia le piccole cose crescono, con la discordia le più grandi sfumano. (Sallustio, Guerra Giugurtina 10,6).

Desertum fecerunt et pacem appellaverunt. / Hanno creato un deserto e l’hanno chiamato “pace”. (Tacito, Agricola, 30)

Si vis pacem, para bellum. / Se vuoi la pace, prepara la guerra. Il detto latino è ricavato dalla frase di Vegezio: Igitur qui desiderat pacem, praeparet bellum. / Dunque chi aspira alla pace, prepari la guerra. (Flavio Vegezio Renato, Epitoma rei militaris); infine parafrasato in senso opposto da Filippo Turati in: 
Si vis pacem para pacem. Se vuoi la pace prepara la pace. (Filippo Turati, Discorso del 1909)

Dulce bellum inexpertis / La guerra è dolce (bella) solo per quelli che non l'hanno provata (Vegezio)

Quasi tutte le miserie del mondo sono causate dalle guerre. E quando le guerre sono finite, nessuno sa più perché sono scoppiate. (Ashley Wilkes / Leslie Howard nel film "Via col vento" (1939) di Victor Fleming)


giovedì 12 novembre 2009

Prima di tutto all'uomo

Ragazzo mio,
Non vivere su questa terra
come un estraneo
o come un turista nella natura.
Vivi in questo mondo
come nella casa di tuo padre:
credi al grano, alla terra, al mare
ma prima di tutto credi all'uomo.
Ama le nuvole, le macchine, i libri
ma prima di tutto ama l'uomo.
Senti la tristezza del ramo che secca
dell'astro che si spegne
dell'animale ferito che rantola
ma prima di tutto
senti la tristezza e il dolore dell'uomo.
Ti diano gioia tutti i beni della terra
l'ombra e la luce ti diano gioia
le quattro stagioni ti diano gioia
ma soprattutto, a piene mani
ti dia gioia l'uomo!

Da "Lettera a Memet"

Nazim Hikmet (1902 - 1963), poeta turco

giovedì 5 novembre 2009

Aforismi Amicizia

Finché abbiamo dei ricordi, il passato dura.
Finché abbiamo delle speranze, il futuro ci attende.
Finché abbiamo degli amici, il presente vale la pena di essere vissuto. (Anonimo)

L’amicizia ha due ingredienti principali: il primo è la scoperta di ciò che ci rende simili. E il secondo è il rispetto di ciò che ci fa diversi... (Charles M. Schulz)

L'amicizia non ha valore per la sopravvivenza, ma è una di quelle cose che danno valore alla sopravvivenza. (Clive Staples Lewis, I quattro amori)

Non abbiamo tanto bisogno dell'aiuto degli amici quanto della certezza del loro aiuto.
(Epicuro, 341 – 271 a.C.)

L'amicizia percorre danzando la terra, recando a noi tutti l'appello di aprire gli occhi sulla felicità.
(Epicuro, 341 – 271 a.C.)

Dimmi con chi vai...
Non bisogna giudicare gli uomini dalle loro amicizie: Giuda frequentava persone irreprensibili!
(Ernest Hemingway)

Chi smette di esserti amico non lo è mai stato. (Esiodo)

Gli amici sono le corde di una cetra che, se tutte intonate tra di loro, producono al tocco una musica piacevolissima. Neppure le ricchezze più vistose si possono paragonare ad una salda amicizia. Le stelle irradiano la luce all'intorno; gli amici, dove giungono, portano gioia e bene. È meglio vivere nelle tenebre che mancare di amici. L'amicizia possiede anche la facoltà di ospitare nel nostro cuore la memoria degli assenti e ce li fa tanto desiderare da renderci vicini a loro e lontani da tutte le cose vicine. (San Giovanni Crisostomo)

Tutti abbiamo un punto debole, il mio è l'amicizia e i miei amici. (San Gregorio di Nazianzo)

Finché sarai felice, conterai molti amici; ma se il tempo si rannuvolerà, resterai solo. (Ovidio)

"Sai cos'è un amico? É un uomo che ti conosce a fondo e nonostante tutto ti vuole bene!"
(Vittorio Gassman (Fausto Consolo) nel film di Dino Risi: "Profumo di donna")

lunedì 2 novembre 2009

Moriamo insieme a Cristo, per vivere con lui

Dobbiamo riconoscere che anche la morte può essere un guadagno e la vita un castigo. Perciò anche san Paolo dice: «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1,21). E come ci si può trasformare completamente nel Cristo, che è spirito di vita, se non dopo la morte corporale?
Esercitiamoci, perciò, quotidianamente a morire e alimentiamo in noi una sincera disponibilità alla morte. Sarà per l'anima un utile allenamento alla liberazione dalle cupidigie sensuali, sarà un librarsi verso posizioni inaccessibili alle basse voglie animalesche, che tendono sempre a invischiare lo spirito. Così, accettando di esprimere già ora nella nostra vita il simbolo della morte, non subiremo poi la morte quale castigo. Infatti la legge della carne lotta contro la legge dello spirito e consegna l'anima stessa alla legge del peccato. Ma quale sarà il rimedio? Lo domandava già san Paolo, dandone anche la risposta: «Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?» (Rm 7,24). La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore (cfr. Rm 7,25 ss.).
Abbiamo il medico, accettiamo la medicina. La nostra medicina è la grazia di Cristo, e il corpo mortale è il corpo nostro. Dunque andiamo esuli dal corpo per non andare esuli dal Cristo. Anche se siamo nel corpo cerchiamo di non seguire le voglie del corpo.
Non dobbiamo, è vero, rinnegare i legittimi diritti della natura, ma dobbiamo però dar sempre la preferenza ai doni della grazia.
Il mondo è stato redento con la morte di uno solo. Se Cristo non avesse voluto morire, poteva farlo. Invece egli non ritenne di dover fuggire la morte quasi fosse una debolezza, né ci avrebbe salvati meglio che con la morte. Pertanto la sua morte è la vita di tutti. Noi portiamo il sigillo della sua morte, quando preghiamo la annunziamo; offrendo il sacrificio la proclamiamo; la sua morte è vittoria, la sua morte è sacramento, la sua morte è l'annuale solennità del mondo.
E che cosa dire ancora della sua morte, mentre possiamo dimostrare con l'esempio divino che la morte sola ha conseguito l'immortalità e che la morte stessa si è redenta da sé? La morte allora, causa di salvezza universale, non è da piangere. La morte che il Figlio di Dio non disdegnò e non fuggì, non è da schivare.
A dire il vero, la morte non era insita nella natura, ma divenne connaturale solo dopo. Dio infatti non ha stabilito la morte da principio, ma la diede come rimedio. Fu per la condanna del primo peccato che cominciò la condizione miseranda del genere umano nella fatica continua, fra dolori e avversità. Ma si doveva porre fine a questi mali perché la morte restituisse quello che la vita aveva perduto, altrimenti, senza la grazia, l'immortalità sarebbe stata più di peso che di vantaggio.
L'anima nostra dovrà uscire dalle strettezze di questa vita, liberarsi delle pesantezze della materia e muovere verso le assemblee eterne.
Arrivarvi è proprio dei santi. Là canteremo a Dio quella lode che, come ci dice la lettura profetica, cantano i celesti sonatori d'arpa: «Grandi e mirabili sono le tue opere, o Signore Dio onnipotente; giuste e veraci le tue vie, o Re delle genti. Chi non temerà, o Signore, e non glorificherà il tuo nome? Poiché tu solo sei santo. Tutte le genti verranno e si prostreranno dinanzi a te» (Ap 15,3-4).
L'anima dovrà uscire anche per contemplare le tue nozze, o Gesù, nelle quali, al canto gioioso di tutti, la sposa è accompagnata dalla terra al cielo, non più soggetta al mondo, ma unita allo spirito: «A te viene ogni mortale» (Sal 64,3).
Davide santo sospirò, più di ogni altro, di contemplare e vedere questo giorno. Infatti disse: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore» (Sal 26,4).

Dal libro «Sulla morte del fratello Satiro» Lib. 2, 40.41.46.47.132.133; CSEL 73, 270-274, 323-324

Ambrogio da Milano (ca. 340 - 397), vescovo, santo

Cristo trasfigurerà il nostro corpo

«Per questo Cristo é morto ed é ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi» (Rm 14, 9). Ma «Dio non é Dio dei morti, bensì dei vivi» (Mt 22, 32). Perciò i morti sui quali domina colui che é risorto, non sono più morti, ma viventi; e domina su di loro la vita proprio perché vivano, senza temere più la morte, come «Cristo, risuscitato dai morti, non muore più» (Rm 6, 9). Così risuscitati e liberati dalla corruzione, non vedranno più la morte, ma parteciperanno alla risurrezione di Cristo, come Cristo fu partecipe della loro morte. Non per altro motivo infatti egli discese sulla terra, incatenata da antiche catene, se non per infrangere le porte di bronzo e spezzare le sbarre di ferro (cfr. Is 45, 2; Sal 106, 16) della morte e per trarre a sé dalla corruzione la nostra vita, donandoci la libertà al posto della schiavitù. Se non appare ancora ultimata l'opera di questo disegno divino (gli uomini infatti continuano a morire e i corpi si dissolvono nella morte), il fatto non deve certo per questo diventare motivo di diffidenza. Già in anticipo infatti abbiamo acquisito un pegno di tutti i beni futuri mediante le primizie con le quali siamo già stati innalzati al cielo e ci siamo seduti con colui che ci ha portati in alto con sé, come dice Paolo: «Con lui ci ha risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù» (Ef 2, 6). Raggiungeremo il completamento quando verrà il tempo prestabilito dal Padre, quando avremo lasciato l'infanzia e arriveremo allo stato di uomo perfetto. Così parve bene al Padre dei secoli, perché fosse stabile il dono concesso e non divenisse nuovamente precario per le infantili follie del nostro cuore. Sul fatto poi che il corpo del Signore sia risorto spirituale, cosa dobbiamo dire, quando Paolo dei corpi risuscitati afferma che «si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale» (2 Cor 15, 44), cioè corpi trasfigurati ad immagine della gloriosa trasfigurazione di Cristo, che precede come guida? L'Apostolo inoltre dice che questo fatto, a lui ben noto, si sarebbe avverato per tutto il genere umano per mezzo di Cristo, «il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3, 21). Se dunque la trasfigurazione é il cambiamento in un corpo spirituale e questo é conforme al corpo glorioso di Cristo, Cristo é certo risorto con un corpo spirituale; esso non é altro che il corpo «seminato ignobile» (cfr. 1 Cor 15, 43), ma mutato poi in glorioso. Egli avendo portato al Padre le primizie della nostra natura, gli condurrà pure tutto l'universo; lo ha promesso quando ha detto: «Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 32).
Discorsi, 5 sulla risurrezione di Cristo, 6-7. 9; PG 89, 1358-1359. 1361-1362

Atanàsio di Antiòchia, vescovo e santo ( ? - 700 ca.)

Cristo risorto speranza di tutti i credenti

La speranza di tutti i credenti, Cristo, chiama i trapassati «dormienti», non «morti»; dice infatti: «Il nostro amico Lazzaro s'é addormentato» (Gv 11, 11).
Ma anche il santo Apostolo non vuole che ci rattristiamo su quelli che si sono addormentati (cfr. 1 Ts 4, 12) e quindi se teniamo per fede che tutti i credenti in Cristo, come dice il Vangelo, non moriranno per sempre, sappiamo ancora per fede che neanche lui é morto per sempre e nemmeno noi moriremo per sempre. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell'arcangelo e al suono della tromba di Dio discenderà dal cielo e i morti in lui risorgeranno.
Ci animi dunque la speranza della risurrezione, perché coloro che ora perdiamo, li rivedremo; basta che crediamo fermamente in lui, obbedendo ai suoi precetti. Egli é l'onnipotente e per questo é più facile a lui risuscitare i morti che a noi svegliare quelli che dormono. Tuttavia ecco che, mentre da una parte facciamo queste affermazioni, dall'altra, portati da non so quale sentimento, ci sfoghiamo in lacrime. Certe nostre nostalgie e certi stati d'animo poi tendono a intaccare la nostra fede. È questo purtroppo il prezzo che dobbiamo pagare alla miseria della nostra condizione umana. Ma nulla ci smuova. Sappiamo infatti che senza Cristo tutto quello che esiste e tutta la nostra vita non é che vanità.
O morte, tu che separi i congiunti e, dura e crudele quale sei, dividi coloro che sono uniti dall'amicizia, sappi che é già infranto il tuo dominio. È già spezzato il tuo giogo da colui che ti minacciava con il grido di Osea: «O morte, sarò la tua morte» (Os 13, 14). Perciò con l'Apostolo ti scherniamo: «Dov'é, o morte, la tua vittoria? Dov'é, o morte, il tuo pungiglione?» (1 Cor 15, 55). Quello stesso che ti ha vinto ci ha redento. Egli ha consegnato la sua vita preziosa nelle mani degli empi, per cambiare gli empi in amici diletti. Lunghe sarebbero e numerose le citazioni che si potrebbero trarre dalle divine Scritture a comune conforto. Ma ci basti la speranza della risurrezione e volgere lo sguardo alla gloria del nostro Redentore, nel quale noi riteniamo per fede di essere già risorti, secondo la parola dell'Apostolo: «Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui» (Rm 6, 8).
Non apparteniamo a noi stessi, ma a colui che ci ha redenti, dalla cui volontà deve sempre dipendere la nostra; perciò diciamo nella preghiera: «Sia fatta la tua volontà» (Mt 6, 10). È quindi necessario che dinanzi alla morte diciamo con Giobbe: «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!» (Gb 1, 21). Diciamo queste parole con Giobbe nella nostra condizione di pellegrini, in questo mondo, per poter assomigliare a lui, già in questo mondo, ma poi soprattutto nell'altro.
Lettere, 19; PL 80, 655-666

Braulione di Saragozza (590 – 651), vescovo e scrittore spagnolo, santo

domenica 1 novembre 2009

La beatitudine ricercata da ogni uomo

Tutta la sollecitudine de' mortali, la quale per molti e varii studii fatica, sebbene procede per diverse vie, si sforza nondimeno di pervenire a un fine solo, cioè a quello della beatitudine; e la beatitudine non è altro che quel bene, il quale acquistato che alcuno ha, egli non può desiderare più oltra cosa nessuna: e questo bene è senza alcun dubbio il primo e più alto di tutti i beni, e quello il quale contiene in sè tutti gli altri; perchè, se gli mancasse cosa nessuna, egli non sarebbe il primo e più perfetto, posciachè fuor di lui rimarrebbe alcuna cosa da potersi desiderare. E dunque manifesto che la beatitudine è uno stato perfetto, nel quale sono tutti i beni ragunati.
Omnis mortalium cura quam multiplicium studiorum labor exercet, diverso quidem calle procedit, sed ad unum tamen beatitudinis finem nititur pervenire: id autem est bonum, quo quis adepto nihil ulterius desiderare queat.
De consolatione philosophiae, III, prosa 2 (Trad. Benedetto Varchi)
Severino Boezio (Anicius Manlius Torquatus Severinus Boethius) (476 – 525), filosofo italiano, santo

I piaceri causa del dolore

Non essere addolorato per me che sono uscito dal mondo per abbandonare il dolore: bisogna invece addolorarsi per gli edonisti, affezionati ai piaceri che del dolore son causa.

Asvaghosa, Le gesta del Buddha, canto VI, 18 - A. Passi ed., [ Milano, Fabbri Ed., 1997 ], p. 73