Ciò che si prende a cuore, è giusto che si ami. Forse gli uomini prendono a cuore le cose cattive? No davvero. Ma forse ciò che non li riguarda affatto? Neppure questo. Rimane, dunque, che solo le cose buone prendono a cuore: e se le prendono a cuore, le amano. Perciò, chi è esperto nelle cose buone, saprà anche amarle: chi, invece, non è in grado di discernere le buone dalle cattive, e quelle che non sono né buone né cattive dalle altre due, come potrebbe ancora amarle costui?
Di conseguenza, il saggio solamente può amare.
Ma come? - si dice. Io, pur essendo stolto, amo tuttavia il mio piccino.
- Mi meraviglio davvero, per gli dèi, come tu riconosca, così, su due piedi, di essere stolto. Che ti manca?
Non usi delle sensazioni, non discerni le rappresentazioni, non dai al corpo i cibi che gli si addicono, non le vesti, non la casa? Come puoi dunque ammettere di essere stolto? Perché spesso, per Zeus, sei tratto fuori di te dalle tue rappresentazioni, e ne sei sconvolto e ti vincono coi loro motivi persuasivi: e talora queste cose le supponi buone, poi, le stesse, cattive, e più tardi, né buone né cattive - e insomma sei preda del dolore, del timore, dell'invidia, del turbamento, dell'incostanza - per ciò ammetti di essere stolto. E nell'amicizia non sei incostante? Ricchezza, piacere, in una parola, gli stessi oggetti esterni talora li ritieni buoni, talora cattivi: e le stesse persone non le ritieni talora buone, talora cattive? e non le tratti talora da amico, talora da nemico? e non le approvi talora, talora le biasimi?
- Certo: sono questi i sentimenti che provo.
- E poi? chi è rimasto ingannato nei confronti d'un uomo, pensi possa essergli amico?
- No davvero.
- E chi è volubile nella scelta dell'amico, pensi gli sia affettuoso?
- Neppure costui.
- E chi adesso lo ingiuria e più tardi lo guarda con ammirazione?
- Neppure costui.
- Ebbene: non hai visto mai dei cuccioletti che scodinzolano e scherzano fra loro, di fronte ai quali hai esclamato: «non c'è niente di più amoroso»? Ma per capire che cosa sia l'amicizia, getta fra loro un pezzo di carne lo saprai. Getta pure tra te e il tuo figliolo un campicello e saprai come il tuo figliolo vorrà subito sotterrarti e come tu pregherai per la morte del tuo caro figlio. E poi dirai: «che ragazzo ho allevato! già da un pezzo vuol farmi i funerali ». Getta una fanciulletta tutta elegante e amala, tu, il vecchio, e l'altro, il giovane, o, se vuoi, una briciola di gloria. Se poi c'è un rischio da correre, dirai le stesse parole del padre di Admeto: tu vuoi veder la luce e il padre, credi, no? Pensi che quello non amasse il suo figliolo quand'era piccino e non trepidasse quando aveva la lebbra e non disse spesso: «Quant'era meglio che l'avessi io!»? Poi, sopraggiungere della prova, al suo avvicinarsi, vedi che belle frasi si scambiano! Eteocle e Polinice non erano nati una stessa madre e dallo stesso padre? Non erano cresciuti insieme, non avevano vissuto insieme e insieme dio la stessa tavola, lo stesso letto? Non si erano spesso baciati l'un l'altro? Tanto che, se uno li avesse visti, si ebbe messo a ridere dei filosofi, io penso, per tutto quel di paradossale dicono sull'amicizia. Ma, ecco, cade in mezzo ad essi, come un pezzo di carne tra i cani, la questione del regno: vedi come parlano:
ETEO. Su, davanti a quale porta ti porrai?
POL. Perché me'l chiedi?
ETEO. Affrontarti voglio e ucciderti.
POL. Ho la stessa brama anch'io
Ecco i loro voti.
Perché, in generale - non vi fate illusioni - ogni vivente e non ha nulla che gli sia caro quanto il proprio interesse: quindi, tutto quello che gli sembra d'ostacolo ad esso - sia fratello o padre o figlio o amato o amante – lo odia, lo ripudia, lo maledice. Perché non c'è niente che egli per natura ami quanto il suo interesse: questo è per lui padre, fratello, parenti, patria, Dio. Perciò quando ci sembra che gli dèi ci impediscano di raggiungerlo, noi li insultiamo, anche loro, ne buttiamo giù le statue, ne bruciamo i templi, come Alessandro fece incendiare il tempio di Asclepio perché era morto il suo diletto. In conseguenza, se si riesce a far coincidere l'interesse e la pietà, l’onestà, la patria, i genitori, gli amici, allora tutto questo è salvo: ma se da una parte c'è l'interesse, dall'altra gli amici, la patria, i parenti, e il giusto stesso, tutto questo va in malora, soverchiato dall'interesse. Dove sono l'«io» e il “mio” li inclina di necessità il vivente: se nella carne, è essa che domina, se nella persona morale, è essa che domina, se nei beni esterni, sono essi che dominano. Se, dunque, il mio «io» si trova dov'è la persona morale, solo allora io sarò come sì deve, amico, figlio, padre. Ché in tal caso sarà mio interesse custodire la fedeltà, la riservatezza, la pazienza, la temperanza, la solidarietà, e mantenere le mie relazioni sociali. Se, invece, da una parte pongo il mio «io», dall'altra l'onestà, allora acquista forza il detto di Epicuro, secondo il quale l'onestà o non è niente o, se mai, una semplice opinione volgare.
Da tale ignoranza ebbero origine le lagnanze tra Ateniesi e Spartani, tra questi due popoli e i Tebani, tra il Gran Re e l'Ellade, tra questi due e i Macedoni e adesso tra ì Romani e i Geti: così, nei tempi passati, i fatti di Ilio ebbero la stessa origine. Alessandro era ospite di Menelao e se uno li avesse visti trattarsi cosi amichevolmente tra loro, non avrebbe creduto a chi diceva che non erano amici. Ma una piccola cosa fu gettata in mezzo a loro un'elegante donnína: per essa, ecco la guerra. Così adesso, quando vedi amici o fratelli che paiono avere gli stessi sentimenti, non pronunciarti subito sulla loro amicizia, neppure se giurano e dicono che niente potrà separare l'uno dall'altro. Non è fedele la parte direttrice dell'anima nell’uomo inetto: è instabile, incapace di giudicare, sopraffatta ora da una, ora da un'altra rappresentazione. E non cercare, e come fa il volgo, se questi uomini hanno avuto gli stessi genitori e sono cresciuti insieme, sotto lo stesso pedagogo, ma soltanto dove pongono il loro interesse, se nelle cose esterne o nella persona morale. Se nelle cose esterne non dirli amici, non più che fedeli, sicuri, coraggiosi o liberi - e neppure uomini, se hai senno. Non è un modo di pensare da uomini quel che li spinge a mordersi e a ingiuriarsi tra loro, a occupare i luoghi deserti o le pubbliche piazze, come i banditi le montagne, e a mettere a nudo davanti ai tribunali misfatti da banditi, o ad essere intemperanti, adulteri, corruttori e a commettere quanti altri delitti gli uomini compiono l'uno contro l'altro: tutto ciò trae origine da un unico e solo pensiero dal ritenere cioè se stessi e le proprie cose fra gli oggetti indipendenti dalla scelta morale. Ma se tu senti che questi uomini ripongono veramente il bene là solo dov'è la persona morale, dov'è l'uso retto delle rappresentazioni, non cercar oltre, né se sono figlio e padre né se fratelli né se sono stati lungo tempo insieme e vivono da compagni: ne sai abbastanza per affermare con fiducia che sono amici, come anche fedeli e giusti. Dov'altro si può trovare l'amicizia se non dov'è la fedeltà, la riservatezza, la dedizione a quel che è nobile e a niente di tutto il resto?
«Ma mi ha circondato d'attenzioni per tanto tempo! e non m'amava?» Che ne sai, schiavo, se ti ha circondato di attenzioni, allo stesso modo che lustra le sue scarpe o le bestie? Che ne sai se, diventato una roba inutile, egli non ti scaglierà via, come una tavoletta sfasciata? «Ma è mia moglie e per tanto tempo siamo vissuti insieme!» E per quanto tempo è vissuta Erifile con Anfiarao, madre, per di più, di figli, di molti figli? Poi venne a cadere tra loro una collana. Che cos'è una collana? È il giudizio che si dà di siffatte cose. E fu essa, la forza selvaggia, fu essa, la forza distruttrice dell'amicizia, che non permise a una donna d'essere sposa, a una madre, madre. Chi di voi, dunque, ha sinceramente a cuore o di essere amico di qualcuno, o di guadagnarsi l'amicizia di un altro, distrugga tali giudizi, li odi, li strappi dall'anima sua. Così, in primo luogo, non dovrà rivolgersi biasimi, né opporsi a se stesso, né pentirsi, né tormentarsi: allo stesso modo, poi, si comporterà cogli altri, quanti sono del tutto uguali a lui: con chi è dissimile, invece, sarà tollerante, condiscendente, mite, disposto al perdono, come si fa con un ignorante, con uno che s'è disperso in una materia della massima importanza: non sarà aspro con nessuno, perché conosce bene le parole di Platone: «è contro sua voglia che l'anima viene privata della verità». In caso contrario, voi agirete in tutto come gli amici e berrete insieme e vivrete sotto lo stesso tetto e navigherete sulla stessa nave e potrete avere anche gli stessi genitori. Perché lo possono anche i serpenti: ma amici non sono i serpenti, né lo sarete voi, finché avete quei giudizi selvaggi e perversi.
Di conseguenza, il saggio solamente può amare.
Ma come? - si dice. Io, pur essendo stolto, amo tuttavia il mio piccino.
- Mi meraviglio davvero, per gli dèi, come tu riconosca, così, su due piedi, di essere stolto. Che ti manca?
Non usi delle sensazioni, non discerni le rappresentazioni, non dai al corpo i cibi che gli si addicono, non le vesti, non la casa? Come puoi dunque ammettere di essere stolto? Perché spesso, per Zeus, sei tratto fuori di te dalle tue rappresentazioni, e ne sei sconvolto e ti vincono coi loro motivi persuasivi: e talora queste cose le supponi buone, poi, le stesse, cattive, e più tardi, né buone né cattive - e insomma sei preda del dolore, del timore, dell'invidia, del turbamento, dell'incostanza - per ciò ammetti di essere stolto. E nell'amicizia non sei incostante? Ricchezza, piacere, in una parola, gli stessi oggetti esterni talora li ritieni buoni, talora cattivi: e le stesse persone non le ritieni talora buone, talora cattive? e non le tratti talora da amico, talora da nemico? e non le approvi talora, talora le biasimi?
- Certo: sono questi i sentimenti che provo.
- E poi? chi è rimasto ingannato nei confronti d'un uomo, pensi possa essergli amico?
- No davvero.
- E chi è volubile nella scelta dell'amico, pensi gli sia affettuoso?
- Neppure costui.
- E chi adesso lo ingiuria e più tardi lo guarda con ammirazione?
- Neppure costui.
- Ebbene: non hai visto mai dei cuccioletti che scodinzolano e scherzano fra loro, di fronte ai quali hai esclamato: «non c'è niente di più amoroso»? Ma per capire che cosa sia l'amicizia, getta fra loro un pezzo di carne lo saprai. Getta pure tra te e il tuo figliolo un campicello e saprai come il tuo figliolo vorrà subito sotterrarti e come tu pregherai per la morte del tuo caro figlio. E poi dirai: «che ragazzo ho allevato! già da un pezzo vuol farmi i funerali ». Getta una fanciulletta tutta elegante e amala, tu, il vecchio, e l'altro, il giovane, o, se vuoi, una briciola di gloria. Se poi c'è un rischio da correre, dirai le stesse parole del padre di Admeto: tu vuoi veder la luce e il padre, credi, no? Pensi che quello non amasse il suo figliolo quand'era piccino e non trepidasse quando aveva la lebbra e non disse spesso: «Quant'era meglio che l'avessi io!»? Poi, sopraggiungere della prova, al suo avvicinarsi, vedi che belle frasi si scambiano! Eteocle e Polinice non erano nati una stessa madre e dallo stesso padre? Non erano cresciuti insieme, non avevano vissuto insieme e insieme dio la stessa tavola, lo stesso letto? Non si erano spesso baciati l'un l'altro? Tanto che, se uno li avesse visti, si ebbe messo a ridere dei filosofi, io penso, per tutto quel di paradossale dicono sull'amicizia. Ma, ecco, cade in mezzo ad essi, come un pezzo di carne tra i cani, la questione del regno: vedi come parlano:
ETEO. Su, davanti a quale porta ti porrai?
POL. Perché me'l chiedi?
ETEO. Affrontarti voglio e ucciderti.
POL. Ho la stessa brama anch'io
Ecco i loro voti.
Perché, in generale - non vi fate illusioni - ogni vivente e non ha nulla che gli sia caro quanto il proprio interesse: quindi, tutto quello che gli sembra d'ostacolo ad esso - sia fratello o padre o figlio o amato o amante – lo odia, lo ripudia, lo maledice. Perché non c'è niente che egli per natura ami quanto il suo interesse: questo è per lui padre, fratello, parenti, patria, Dio. Perciò quando ci sembra che gli dèi ci impediscano di raggiungerlo, noi li insultiamo, anche loro, ne buttiamo giù le statue, ne bruciamo i templi, come Alessandro fece incendiare il tempio di Asclepio perché era morto il suo diletto. In conseguenza, se si riesce a far coincidere l'interesse e la pietà, l’onestà, la patria, i genitori, gli amici, allora tutto questo è salvo: ma se da una parte c'è l'interesse, dall'altra gli amici, la patria, i parenti, e il giusto stesso, tutto questo va in malora, soverchiato dall'interesse. Dove sono l'«io» e il “mio” li inclina di necessità il vivente: se nella carne, è essa che domina, se nella persona morale, è essa che domina, se nei beni esterni, sono essi che dominano. Se, dunque, il mio «io» si trova dov'è la persona morale, solo allora io sarò come sì deve, amico, figlio, padre. Ché in tal caso sarà mio interesse custodire la fedeltà, la riservatezza, la pazienza, la temperanza, la solidarietà, e mantenere le mie relazioni sociali. Se, invece, da una parte pongo il mio «io», dall'altra l'onestà, allora acquista forza il detto di Epicuro, secondo il quale l'onestà o non è niente o, se mai, una semplice opinione volgare.
Da tale ignoranza ebbero origine le lagnanze tra Ateniesi e Spartani, tra questi due popoli e i Tebani, tra il Gran Re e l'Ellade, tra questi due e i Macedoni e adesso tra ì Romani e i Geti: così, nei tempi passati, i fatti di Ilio ebbero la stessa origine. Alessandro era ospite di Menelao e se uno li avesse visti trattarsi cosi amichevolmente tra loro, non avrebbe creduto a chi diceva che non erano amici. Ma una piccola cosa fu gettata in mezzo a loro un'elegante donnína: per essa, ecco la guerra. Così adesso, quando vedi amici o fratelli che paiono avere gli stessi sentimenti, non pronunciarti subito sulla loro amicizia, neppure se giurano e dicono che niente potrà separare l'uno dall'altro. Non è fedele la parte direttrice dell'anima nell’uomo inetto: è instabile, incapace di giudicare, sopraffatta ora da una, ora da un'altra rappresentazione. E non cercare, e come fa il volgo, se questi uomini hanno avuto gli stessi genitori e sono cresciuti insieme, sotto lo stesso pedagogo, ma soltanto dove pongono il loro interesse, se nelle cose esterne o nella persona morale. Se nelle cose esterne non dirli amici, non più che fedeli, sicuri, coraggiosi o liberi - e neppure uomini, se hai senno. Non è un modo di pensare da uomini quel che li spinge a mordersi e a ingiuriarsi tra loro, a occupare i luoghi deserti o le pubbliche piazze, come i banditi le montagne, e a mettere a nudo davanti ai tribunali misfatti da banditi, o ad essere intemperanti, adulteri, corruttori e a commettere quanti altri delitti gli uomini compiono l'uno contro l'altro: tutto ciò trae origine da un unico e solo pensiero dal ritenere cioè se stessi e le proprie cose fra gli oggetti indipendenti dalla scelta morale. Ma se tu senti che questi uomini ripongono veramente il bene là solo dov'è la persona morale, dov'è l'uso retto delle rappresentazioni, non cercar oltre, né se sono figlio e padre né se fratelli né se sono stati lungo tempo insieme e vivono da compagni: ne sai abbastanza per affermare con fiducia che sono amici, come anche fedeli e giusti. Dov'altro si può trovare l'amicizia se non dov'è la fedeltà, la riservatezza, la dedizione a quel che è nobile e a niente di tutto il resto?
«Ma mi ha circondato d'attenzioni per tanto tempo! e non m'amava?» Che ne sai, schiavo, se ti ha circondato di attenzioni, allo stesso modo che lustra le sue scarpe o le bestie? Che ne sai se, diventato una roba inutile, egli non ti scaglierà via, come una tavoletta sfasciata? «Ma è mia moglie e per tanto tempo siamo vissuti insieme!» E per quanto tempo è vissuta Erifile con Anfiarao, madre, per di più, di figli, di molti figli? Poi venne a cadere tra loro una collana. Che cos'è una collana? È il giudizio che si dà di siffatte cose. E fu essa, la forza selvaggia, fu essa, la forza distruttrice dell'amicizia, che non permise a una donna d'essere sposa, a una madre, madre. Chi di voi, dunque, ha sinceramente a cuore o di essere amico di qualcuno, o di guadagnarsi l'amicizia di un altro, distrugga tali giudizi, li odi, li strappi dall'anima sua. Così, in primo luogo, non dovrà rivolgersi biasimi, né opporsi a se stesso, né pentirsi, né tormentarsi: allo stesso modo, poi, si comporterà cogli altri, quanti sono del tutto uguali a lui: con chi è dissimile, invece, sarà tollerante, condiscendente, mite, disposto al perdono, come si fa con un ignorante, con uno che s'è disperso in una materia della massima importanza: non sarà aspro con nessuno, perché conosce bene le parole di Platone: «è contro sua voglia che l'anima viene privata della verità». In caso contrario, voi agirete in tutto come gli amici e berrete insieme e vivrete sotto lo stesso tetto e navigherete sulla stessa nave e potrete avere anche gli stessi genitori. Perché lo possono anche i serpenti: ma amici non sono i serpenti, né lo sarete voi, finché avete quei giudizi selvaggi e perversi.
Da "Le diatribe e frammenti"
Epitteto, (50 – 120), filosofo greco
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