Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
Giorno dopo giorno. Tutte le poesie
Salvatore Quasimodo (1901 - 1968), poeta e traduttore italiano
Il tema della poesia è l’immutabilità della natura umana, rimasta uguale a quella dell’uomo «della pietra e della fionda», fatta di istinti, di pulsioni, di sentimenti e di egoismo, è rimasta uguale fino a oggi, anche se la scienza ha fatto passi da giganti. La scienza ha perfezionato le armi che portano la morte ai fratelli. Alcuni uomini, presi dalla volontà di potenza, ancora oggi scatenano guerre che portano lutti e sofferenza alle popolazioni civili. La civiltà ha solo mutato le condizioni di guerra: dalla fionda si è passati ai carri armati, e agli aerei [e ai missili, aggiungeremmo noi ndr.] che seminano la morte. L’uomo del nostro tempo, afferma il poeta, ha perduto ogni considerazione dei fratelli e ha dimenticato la solidarietà e la religione che lo trattengono dalla violenza. E rimasto uguale all’uomo che, attratto il fratello in un campo, lo ha ucciso. Di nuovo l’uomo del nostro tempo tradisce oggi il fratello. E la menzogna di allora è arrivata fino all’uomo del nostro tempo. Di fronte alla menzogna e all'inganno i giovani di oggi, i figli, farebbero bene a rinnegare i padri che portano la guerra: le loro tombe giacciono in una terra desolata, gli avvoltoi rodono il loro cuore e il vento sparge nell’aria l’odore dei loro cadaveri.
RispondiElimina«E’ un implacabile atto d’accusa contro la ferocia – bestiale e razionale ad un tempo – a cui si sono abbandonati gli uomini nella seconda guerra mondiale. Agli occhi del poeta appare un’umanità mostruosa che inizia il suo cammino con il più belluino dei suoi gesti: il fratricidio. Non solo non è mutato nulla da allora, ma l’uomo ha mirato a perfezionare sempre di più le armi dello sterminio; ha rivestito la guerra di ideali, legittimando perfino gli assassini. La cosiddetta “ civiltà”, quindi, invece di rendere gli uomini più buoni, li lasciò fermi nei loro istinti di primitivi, di uomini-belva, alla barbarie di Caino. Ma le nuove generazioni devono ora avere il coraggio di vergognarsi dei loro padri e di dimenticarli, piuttosto che vergognarsi di essere uomini, e devono sostituire, finalmente la legge di Caino con quella di Cristo». (A. Frattini, Poeti italiani del XX secolo pagina 670).
RispondiEliminaÈ la constatazione della crudeltà dell’uomo che a distanza di tanti secoli è rimasto uguale a se stesso: primitivo, ferino, bestiale, crudele, istintivo, irriflessivo, selvaggio, spietato, al pari di quando per uccidere si serviva di strumenti approssimativi. Il progresso della civiltà non è servito a farne un uomo migliore e oggi si costruiscono armi sempre più intelligenti, destinate alla distruzioni di interi popoli. L’uomo del nostro tempo ha perduto l’amore, la solidarietà verso gli altri uomini e ha perduto la religione che invita gli uomini ad amare gli altri uomini e magari a sacrificarsi per essi come ha fatto Gesù Cristo che si è immolato per salvare la terra dal peccato e dal male. Ecco il commento di B. Panebianco:
RispondiElimina« Nella prima parte il poeta esprime le sue considerazioni nei confronti del progresso: l’uomo contemporaneo è brutale come nell’età delle caverne, ha solo perfezionato i suoi strumenti distruttivi, rendendoli sempre più sofisticati. La civiltà è senza amore e senza Cristo, l’odore dell'odio e del sangue fraterno si sprigiona dalle origini fino ad oggi e l’uomo continua ad uccidere, versando altro sangue. Poi il poeta invita le nuove generazioni a dimenticare le violenze dei padri , le cui tombe sono ricoperte dalle ceneri delle distruzioni che loro stessi hanno provocato: occorre essere uomini migliori per costruire un futuro di pace e d'amore». (da Moduli di educazione letteraria pagina B157)
Ogni verso scorre veloce fino alla fine. Le parole sono prese dal linguaggio comune ma sono costruite su molte figure retoriche – sinestesia (odore sangue) analogia (nuvole di sangue) –, su richiami biblici e su richiami storici che innalzano la poesia a un linguaggio poetico efficace e tagliente. Molto bello l’appello finale nel quale il poeta condanna i padri che scatenano le guerre a danno dei figli. È compito dei figli rinnegare i padri che portano sciagure e guerre. Ecco il bel giudizio di Francesco Puccio sul finale della poesia:
« Nei confronti dell’uomo del suo tempo, come di ogni tempo, la cui unica religione è quella di uccidere il fratello, non c’è imperativo etico che imponga ai figli di seguire le orme dei padri. Dall’angoscia allo sdegno, all’ammonizione, all’esortazione finale, la voce del poeta si leva calda e accorata: che i figli non si sentano fratelli di Caino e che abbiano il coraggio di non ereditare il freddo testamento di morte lasciato dal fratricida e che purtroppo si è luttuosamente trasmesso alle generazioni ad essi precedenti, resistendo agli attacchi del tempo e ad ogni forma di pietà: che essi rinneghino la lezione dei padri intrisa dell’acre odore del sangue che si solleva da terra come una nuvola: che pongano fine ad ogni atto devozionale nei confronti delle tombe degli avi, dissacrate e assunte a testimonianza della barbarie perpretata». (pagina 600)