lunedì 23 dicembre 2024

La danza della morte: la pace o l'incubo nucleare?

 Da La pace nell’era postcristiana di Thomas Merton 1


Tutti sono almeno potenzialmente membra del Cristo mistico. Chi può dire con certezza assoluta di ogni altro uomo che Cristo non viva in lui? Di conseguenza, in tutte le nostre relazioni con gli altri dobbiamo renderci conto che stiamo affrontando spesso, se non sempre, le domande che furono poste a Caino e a Giuda.

Noi siamo, allora, discepoli di Cristo e necessariamente i custodi dei nostri fratelli. E la domanda che ci è posta riguarda tutti gli uomini. Riguarda, al momento presente, l’intera razza umana. Non possiamo ignorare questa domanda. Non possiamo dare un consenso irresponsabile e non cristiano all’uso demoniaco della potenza nucleare per la distruzione di un’intera nazione, di un intero continente o forse perfino dell’intera razza umana. O possiamo? La domanda, ora, è posta.


Forse è già posta troppo tardi.

In questo momento molto critico della storia abbiamo un compito duplice. È un compito in cui è coinvolta in qualche misura l’intera razza umana. Ma la responsabilità più grande di tutte spetta ai cittadini dei grandi blocchi di potere, che minacciano di distruggersi l’un l’altro con le armi nucleari, chimiche e batteriologiche.

Da un lato dobbiamo difendere e promuovere i valori umani più alti: il diritto dell’uomo a vivere libero e a sviluppare la propria vita in modo degno della propria grandezza morale. Dall’altro lato, dobbiamo proteggere l’uomo dall’abuso criminale dell’enorme potenza distruttiva che ha acquisito. Agli americani e agli europei occidentali questo duplice compito sembra riducibile in pratica a una lotta contro la dittatura totalitarista e contro la guerra.

Il nostro primissimo obbligo è quello di interpretare accuratamente la situazione, e ciò significa resistere alla tentazione di semplificare eccessivamente e di generalizzare. La lotta contro il totalitarismo è rivolta non solo contro un nemico esterno – il comunismo – ma anche contro le nostre stesse tendenze nascoste verso le aberrazioni del fascismo o del collettivismo. La lotta contro la guerra non è rivolta solo contro la bellicosità delle potenze comuniste, ma contro la nostra stessa violenza, il fanatismo e l’avidità. Naturalmente, questo tipo di pensiero non sarà popolare nelle tensioni di una guerra fredda. Nessuno è incoraggiato a essere troppo lucido, perché la coscienza può rendere codardi, diluendo la forte convinzione che la nostra parte abbia completamente ragione e l’altra completamente torto. Ma la responsabilità cristiana non è verso una parte o l’altra nella lotta di potere: è verso Dio e la verità, e l’umanità intera.

Questo non è uno studio politico. Ma le opzioni morali dei nostri tempi sono necessariamente implicate in varie interpretazioni di realtà politica. I diversi punti di vista sulla situazione che prevalgono in occidente reagiscono l’uno con l’altro e tutti insieme si combinano a creare difficoltà e complessità estreme. Sorge allora la domanda se l’uomo sia realmente in grado di scegliere la pace piuttosto che la guerra nucleare o se le scelte siano ineluttabilmente fatte per lui dall’interazione di forze sociali. La risposta a questa domanda dipende da molti fattori che vanno oltre il controllo.


Nessuno dubita seriamente della possibilità che l’uomo e la sua società siano completamente distrutti in una guerra nucleare. Questa possibilità deve essere affrontata sobriamente, anche se è così rilevante in tutte le sue implicazioni che fatichiamo ad adattarci a essa in modo pienamente razionale. In realtà, questa spaventosa minaccia è l’arma psicologica principale della guerra fredda. L’America e la Russia stanno giocando al gioco paranoico del deterrente nucleare, ciascuna sperando disperatamente di difendere la pace, minacciando l’altra con bombe più potenti e con il totale annientamento.

In queste manovre politiche malate due cose sono assolutamente chiare: in primo luogo, la popolazione civile completamente indifesa e inerme da entrambi i lati è usata come ostaggio. Naturalmente, questo è più spesso insinuato che politicamente dichiarato. Dopotutto questo non è studiato per rendere popolare una potenza nucleare nell’epoca delle nazioni meno favorite. La “guerra contro i civili” è logicamente implicata in ogni “equilibrio del terrore” (perché dopotutto è il civile inerme che dovrebbe affrontare il terrore, e lo affronta). In secondo luogo, è ammesso molto seriamente che questa enorme minaccia può arrivare ad essere, ed è effettivamente usata, in modo assurdo e irrazionale


Coloro che pensano di poter difendere la propria indipendenza, i propri diritti civili e religiosi tramite un ricorso estremo alla bomba H non sembrano rendersi conto che la sola ombra della bomba può finire con il ridurre le loro credenze religiose e democratiche a livello di pure parole senza senso, che nascondono uno stato di belligeranza rigida e totalitaria che non tollererà opposizioni.

In un mondo in cui è sempre più certo che un altro Hitler o un altro Stalin possa apparire sulla scena, l’esistenza di armi così distruttive e la paralisi morale di capi e politici, combinata con la passività e la confusione di società di massa che esistono da entrambi i lati della cortina di ferro, costituisce il problema più grave in tutta la storia dell’uomo. I nostri tempi possono essere chiamati apocalittici, nel senso che sembriamo essere arrivati a un punto in cui tutto il dinamismo misterioso e nascosto della “storia della salvezza”, rivelato nella Bibbia, è sfociato in una crisi finale e decisiva. Il termine “fine del mondo” può essere o meno alla portata della nostra comprensione. Ma in ogni caso sembriamo assistere allo svelarsi dei simboli, misteriosamente vividi, dell’ultimo libro del Nuovo Testamento. Nella loro evidenza, essi ci rivelano noi stessi come gli uomini il cui destino è quello di vivere in un momento di probabile decisione finale. In una parola, la fine della nostra società civilizzata dipende del tutto letteralmente da noi e dai nostri immediati discendenti, se ce ne saranno. Sta a noi decidere se arrenderci all’odio, al terrore e all’amore cieco del potere in sé e per sé e quindi precipitare il nostro mondo nell’abisso, o se, frenando la nostra brutalità, possiamo pazientemente e umanamente lavorare insieme per interessi che trascendono i limiti di qualsiasi comunità nazionale o ideologica.

Qualcuno può qui obiettare che questo oscuro punto di vista della situazione contemporanea rifletta una mancanza di ottimismo cristiano e perfino un’abdicazione pessimista della speranza cristiana. Ma cos’è l’ottimismo cristiano e che cosa costituisce la speranza cristiana? Deve essere certamente qualcosa di più che una vaga e irresponsabile convinzione che, quali che siano i nostri peccati, errori e sbagli, Dio farà prosperare i nostri affari temporali e ci procurerà una sicurezza e una felicità infallibili sulla terra. Ci è veramente promessa una felicità temporale così come una eterna. Una bella vita è veramente disponibile per noi sulla terra, in una società davvero giusta e ben ordinata. Ma quando, come risultato dell’avidità, della follia e della disperazione di uomini che hanno rifiutato la giustizia, la società dell’uomo cade a pezzi, l’ottimismo cristiano non consiste nello sperare che Dio rimetterà tutto di nuovo insieme esattamente com’era prima. Questo non è nient’altro che un’aspettativa che Dio benedica e protegga indefinitamente lo status quo. Mi sembra che, considerando alcuni degli svantaggi di una tale situazione, questo non possa proprio dirsi un punto di vista ottimistico. D’altro canto, è certamente giusto sperare che, nonostante tutta la nostra follia, Dio nella sua misericordia possa e voglia preservare la razza umana dal suicidio globale. Certamente rimaniamo però liberi di rifiutare la sua misericordia e questo è il terribile pericolo dell’ora presente. Siamo sfidati a dimostrare di essere abbastanza razionali, spirituali e umani da meritare la sopravvivenza, agendo secondo le norme etiche e spirituali più alte che conosciamo. Come cristiani crediamo che queste norme ci siano state trasmesse dal vangelo e dalla teologia tradizionale della chiesa. Dobbiamo comunque vivere di queste norme in tutta la loro profondità e serietà e non solo invocarle per giustificare una condotta che in realtà viola il loro vero spirito. Chiedere che Dio benedica la guerra nucleare è un esempio calzante!


L’Apocalisse descrive lo stadio finale della storia del mondo come una lotta di potere totale e spietata, in cui sono impegnati tutti i re della terra, ma che ha una dimensione spirituale interiore che questi re sono incapaci di vedere e di comprendere. Le guerre, i cataclismi e le epidemie che distruggono la realtà terrena sono in realtà la proiezione e la manifestazione esteriori di una battaglia spirituale nascosta. Due dimensioni, quella spirituale e quella materiale, si intersecano. Essere impegnati consapevolmente e di buon grado nella lotta di potere mondana, nella politica, negli affari e nella guerra significa precipitare con il mondo nella distruzione. I santi sono “nel mondo” e indubbiamente soffrono come tutti gli altri per i suoi conflitti omicidi. In effetti, in un primo momento essi sembrano essere sconfitti e distrutti (cf. Ap 3, 7). Ma essi vedono il significato intimo di queste lotte e sono pazienti. Hanno fiducia che Dio realizzi i loro destini e li salvi dalla distruzione finale, i cui esiti non sono soggetti al loro controllo. Quindi non badano ai dettagli della lotta di potere del mondo e non tentano di influenzarla o di impegnarsi in essa in un modo o nell’altro, nemmeno per i propri apparenti benefici, né per la sopravvivenza. Perché si rendono conto che la loro sopravvivenza non ha nulla che fare con l’esercizio della forza o con l’ingenuità. Il tema sempre ricorrente dell’Apocalisse è allora che il tipico impero mondano di Babilonia (Roma) non può che essere “ebbro del sangue dei martiri di Gesù” (Cf Ap 17,6) e che perciò i santi devono “uscire da esso” e rompere tutti i rapporti con esso e con le sue preoccupazioni peccaminose (Cf Ap 18,4 ss.) perché il suo giudizio è deciso “in un’ora” e il fumo del disastro “salirà al cielo per sempre” (Ap 19,3). Ma l’autore dell’Apocalisse non consiglia la fuga, perché non vi è nessuna via di fuga geografica da Babilonia: l’unica via di fuga è in un regno spirituale attraverso il martirio, deponendo la propria vita nella fedeltà a Dio e nella protesta contro l’impurità, la magia, la finzione e la furia omicida della città mondana (Cf Ap 21,4-8).


Qual è il ruolo della guerra in tutto ciò? La guerra è “colui che cavalca il cavallo rosso” che è mandato a preparare la distruzione del mondo, perché “ha ricevuto il potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada” (Ap 6,4). I quattro cavalieri (la guerra, la fame, la morte e la pestilenza) sono mandati come segni e precursori del compimento finale della storia. Quelli che hanno fatto prigionieri i santi saranno essi stessi fatti prigionieri, quelli che hanno ucciso i santi saranno essi stessi uccisi in guerra e i santi, a suo tempo, saranno salvati dal cataclisma dalla loro costanza (Cf Ap 13,10). Tradotti in termini storici, questi misteriosi simboli dell’Apocalisse ci mostrano l’atteggiamento cristiano primitivo verso la guerra, l’ingiustizia e le persecuzioni


La pace nell’era postcristiana, a cura di P. Burton, J. Forest, B. Paoli, G. Dotti, Ed Quiqajon, 2005, passim

lunedì 16 dicembre 2024

A Gesù Bambino

La notte è scesa

e brilla la cometa

che ha segnato il cammino.

Sono davanti a Te, Santo Bambino!

Tu, Re dell’universo,

ci hai insegnato

che tutte le creature sono uguali,

che le distingue solo la bontà,

tesoro immenso,

dato al povero e al ricco.

Gesù, fa’ ch’io sia buono,

che in cuore non abbia che dolcezza.

Fa’ che il tuo dono

s’accresca in me ogni giorno

e intorno lo diffonda,

nel Tuo nome.

Umberto Saba, pseudonimo di Umberto Poli (1883 – 1957), poeta e scrittore italiano

domenica 15 dicembre 2024

Ogni popolo guardi al dolore dell'altro e sarà pace

Torno da Gerusalemme avendo ancora negli orecchi il suono sinistro delle sirene della polizia e delle ambulanze dopo il terribile attentato di martedì 19 agosto. Ma ciò che sempre più ascolto dentro di me non è soltanto il dolore, lo sdegno, la riprovazione, che si estende a tutti gli atti di violenza, da qualunque parte provengano. È una parola più profonda e radicale, che abita nel cuore di ogni uomo e donna di questo mondo: non fabbricarti idoli!

Questa parola risuona nella Bibbia a partire dalle prime parole del Decalogo e la percorre tutta quanta, dalla Genesi all'Apocalisse.

È dunque un comandamento che tocca profondamente il cuore di ebrei e cristiani e segna un principio irrinunciabile di vita e di azione. Ed è un comandamento anche molto caro all'Islam, che ne fa uno dei pilastri della sua concezione religiosa: c'è un Dio solo, potente e misericordioso, e nulla è comparabile a lui.

Ma è anche un precetto segreto che risuona nel cuore di ogni persona umana: chi adora o serve in ogni modo un idolo ha una coscienza almeno vaga di voler "usare" la divinità o comunque un principio assoluto per i propri scopi, sente che sta strumentalizzando e sottoponendo ai propri interessi un sistema di valori a cui occorre invece rendere onore. Per questo chiunque adora un idolo intuisce che in qualche modo si degrada, sta facendo il proprio male e sta preparandosi a fare del male agli altri.

Ma non ci sono soltanto gli idoli visibili. Più radicati e potenti, duri a morire, sono gli idoli invisibili, quelli che rimangono anche quando sembra escluso ogni riferimento religioso. Tra essi vi sono gli idoli della violenza, della vendetta, del potere (politico, militare, economico...) sentito come risorsa definitiva e ultima. È l'idolo del voler stravincere in tutto, del non voler cedere in nulla, del non accettare nessuna di quelle soluzioni in cui ciascuno sia disposto a perdere qualche cosa in vista di un bene complessivo. Questi idoli, anche se si presentano con le vesti rispettabili della giustizia e del diritto, sono in realtà assetati di sangue umano.

Essi hanno una duplice caratteristica: schiavizzano e accecano. Infatti, come dice la Bibbia, chi adora gli idoli diviene schiavo degli idoli, anche di quelli invisibili: non può più sottrarsi ad esempio alla spirale perversa della vendetta e della ritorsione. E chi è schiavo dell'idolo diventa cieco riguardo al volto umano dell'altro. Ricordo la frase con cui alcuni giovani ex-terroristi degli anni '80 cercavano di descrivere come avessero potuto sparare e uccidere: "non vedevamo più il volto degli altri".

Le violenze che si scatenano oggi in tante parti del mondo sono il segno che c'è un'adorazione di questi idoli e che essi ripagano con la loro moneta distruggitrice chiunque renda loro omaggio. Chi ha fiducia solo nella violenza e nel potere prima o poi tende a eliminare e distruggere l'altro e alla fine distrugge se stesso. Già san Paolo ammoniva: "se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!". E ancora: "Non vi fate illusioni: non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato" (Lettera ai Galati 5,15 e 6,7).

Siamo nel vortice di una crisi di umanità che intacca il vincolo di solidarietà fra tutto quanto ha un volto umano. Nell'adorazione dell'idolo della potenza e del successo totale ad ogni costo è l'idea stessa di uomo, di umanità che viene offesa, è l'immagine stessa di Dio che viene sfigurata nell'immagine sfigurata dell'uomo.

Ma proprio da questa situazione, dalla presa di coscienza di trovarsi in un tragico vicolo cieco di violenza - ha cui ha fatto più volte allusione il Papa Giovanni Paolo II - può scaturire un grido di allarme salutare e urgente, più forte dell'idolatria del potere e della violenza. È un grido che si traduce concretamente nel proclamare che non vi sono alternative al dialogo e alla pace. Lo sta da tempo ripetendo in tanti modi Giovanni Paolo II. Ma esso è un grido che precede le dichiarazioni pubbliche, per quanto accorate. Risuona infatti nel cuore di ogni uomo o donna di questo mondo che si ponga il problema della sopravvivenza umana. Di alternativo alla pace oggi vi è solo il terrore, comunque espresso. Quando la sola alternativa è il male assoluto, il dialogo non è solo una delle possibili vie di uscita, ma una necessità ineludibile. Per questo i leader di tutte le parti tra loro contrastanti debbono rischiare senza esitazioni il dialogo della pace.

Tutto ciò fa emergere ancora più chiaramente le responsabilità della comunità internazionale, quelle dell'Onu e quelle dell'Europa, quelle degli Stati Uniti, della Russia e dei paesi arabi. È necessario che tutti aiutino il processo di pace che si era appena iniziato, con una pressione forte e convinta a favore della Road Map e anche con la prontezza a fornire un sostegno politico e finanziario alle comunità che hanno il coraggio di rischiare la pace. Alla costruzione di muri di cemento e di pietra per dividere le parti contrastanti è preferibile un ponte di uomini che, pur garantendo la sicurezza di entrambe le parti, consenta alle due comunità di comunicare e di intendersi sempre più sulle cose essenziali e su quelle quotidiane.

Certamente l'odio che si è accumulato è grande e grava sui cuori. Vi sono persone e gruppi che se ne nutrono come di un veleno che mentre tiene in vita insieme uccide. Per superare l'idolo dell'odio e della violenza è molto importante imparare a guardare al dolore dell'altro. La memoria delle sofferenze accumulate in tanti anni alimenta l'odio quando essa è memoria soltanto di se stessi, quando è riferita esclusivamente a sé, al proprio gruppo, alla propria giusta causa. Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta. Ma se la memoria del dolore sarà anche memoria della sofferenza dell'altro, dell'estraneo e persino del nemico, allora essa può rappresentare l'inizio di un processo di comprensione. Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace.

Non fabbricarti idoli: idolo è anche porre se stesso e i propri interessi al di sopra di tutto, dimenticando l'altro, le sue sofferenze, i suoi problemi. Il superamento della schiavitù dell'idolo consiste nel mettere l'altro al centro, così da creare quella base di comprensione che permette di continuare il dialogo e le trattative.

Corriere della Sera, 27 Agosto 2003

Carlo Maria Martini (1927 – 2012), cardinale, arcivescovo cattolico, biblista e teologo italiano


La natura misteriosa della preghiera

Sono stato molto colpito dalla prima lettura della messa feriale di oggi, mercoledì della trentesima settimana «per annum», in particolare dove si dice: «Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, perché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Romani 8, 26-27).

È un brano che mi ha sempre affascinato, incuriosito anche inquietato, perché non facile da spiegare, in quanto si riferisce alla natura misteriosa della nostra preghiera. Possiamo farci aiutare nella nostra riflessione dalla spiegazione che Agostino dà delle parole di san Paolo.

Nella Lettera a Proba che viene proposta nell'Ufficio di Lettura delle settimane venticinquesima e ventiseiesima del tempo «per anno» - il Vescovo di Ippona risponde alla domanda: Che cosa vuol dire pregare?

A proposito dei vv. 26-27 della Lettera ai Romani po­ne l'obiezione fondamentale: Che cosa significa che lo Spirito intercede per i credenti? E risponde: «Non dobbiamo intendere questo nel senso che lo Spirito santo di Dio, il quale nella Trinità è Dio immortale e un solo Dio con il Padre e con il Figlio, interceda per i santi, come uno che non sia quello che è, cioè Dio» (Lettera a Proba, 130, 14, 27 - 15, 28; CSEL 44, 71-73).

Dunque, se san Paolo sembra non avere difficoltà ad affermare che lo Spirito santo, cioè Dio, prega Dio, noi però teologicamente l'abbiamo.

Possiamo capire che il Figlio, in quanto incarnato in Gesù, prega il Padre; ma lo Spirito come fa a pregare il Padre?

Dietro a questo problema dogmatico, affrontato da Agostino, c'è poi tutto il problema della preghiera conscia e inconscia, della preghiera di cui ci accorgiamo o meno e quindi il brano della Lettera ai Romani costituisce una porta molto interessante per costringerci a entrare in questo mondo immenso.

Vorrei cercare di socchiudere almeno un poco quella porta incominciando col porre due premesse, quindi riprendendo l'espressione: lo Spirito intercede, prega, geme per noi.


Le due definizioni della preghiera

In una prima premessa richiamo le due definizioni tradizionali della preghiera, che non sembrano andare tanto d'accordo.

 - La preghiera è elevatio mentis in Deum, un elevare la mente a Dio. Il riferimento è anzitutto alla preghiera di lode, di ringraziamento, di esaltazione, quella che troviamo bene espressa nel cantico di Maria: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore». O, ancora, nella recita del Padre nostro, quando diciamo: «che sei nei cieli», parole che indicano l'innalzamento degli occhi, la dimensione verticale dell'orazione, che sale dal basso verso l'alto.

- L'altra definizione è petitio decentium a Deo, che probabilmente è complementare alla precedente. La richiesta a Dio di ciò che conviene è una preghiera che si esprime soprattutto nella domanda, nella supplica, nell’implorazione, nella petizione. Se circa una metà dei salmi sono di lode e di esaltazione, l'altra metà sono di petizione, di supplica, di richiesta di perdono. Così pure il Padre nostro, se nella prima parte è elevatio mentis in Deum, nella seconda parte è petitio, richiesta di cose convenienti (il pane, la liberazione dalla tentazione, il perdono). Anche l'Ave Maria incomincia con l'elevazione della mente a Maria e a Gesù e poi si fa richiesta di preghiera per noi peccatori.

Ci sono dunque due linee che si intersecano, quella orizzontale e quella verticale, e costituiscono nel loro insieme la preghiera cristiana. Può essere allora utile, parlando della preghiera, mettere a fuoco ora l'uno ora l'altro dei due elementi, che si alternano anche nella nostra esistenza: a volte siamo più portati a elevare la mente a Dio (nel «prefazio» della messa, per esempio), in altri momenti alla petitio decentium a Deo (come nelle orazioni della messa).

Come si realizza questo secondo elemento della preghiera, che è la richiesta di cose convenienti?

Scrive Agostino nella Lettera a Proba: «Il pregare consiste nel bussare alla porta di Dio e invocarlo con insistente e devoto ardore del cuore. Il dovere della preghiera si adempie meglio con i gemiti che con le parole, più con le lacrime che con i discorsi. Dio infatti “pone davanti al suo cospetto le nostre lacrime"(Salmo 55, 9), e il nostro gemito non rimane nascosto (cf. Salmo 37, 10) a lui che tutto ha creato per mezzo del suo Verbo, e non cerca le parole degli uomini» (Lettera a Proba, 130, 9, 18 - 10, 20: CSEI. 44, 60-63).

Risuona la parola di Gesù: Quando pregate, non pensate di ottenere attraverso il vostro molto pregare, perché il Padre sa benissimo ciò di cui avete bisogno. Tuttavia Gesù stesso ci insegna a esprimere i nostri bisogni. Non tanto però - dice Agostino - con la moltiplicazione delle parole in quanto tale, bensì con una moltiplicazione che esprima il gemito del credente. Viene così introdotta la nozione di «gemito» che ritroviamo nella pagina di san Paolo.

Concludendo, la preghiera di richiesta deve partire dal cuore, non va fatta superficialmente, deve essere un gemito, un desiderio profondo. Gemere, infatti, significa anelare a qualcosa di cui si ha estremo bisogno; anche fisicamente il gemito è l'espressione di chi, mancando di aria, cerca di aspirarla.

Che cos'è conveniente chiedere nella preghiera

Una seconda premessa, limitandoci alla preghiera di petizione: che dobbiamo chiedere? La formula patristica dice: decentium, cose convenienti. E comincia il problema: che cosa ci conviene? Perché Dio non ci dona ciò che non conviene, pur se lo domandiamo. Non a caso Matteo conclude la riflessione sulla preghiera con queste parole: «quanto più il Padre vostro celeste darà cose buone a coloro che gliele chiedono», cose che convengono (Matteo 7, 11).

Paolo insegna che noi non sappiamo che cosa ci con­viene («Nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare») e quindi dobbiamo istruirci sulle cose convenienti per poter pregare bene.

I Padri insistono soprattutto su una cosa conveniente, che esprimono con un'unica parola, ben indicata nella Lettera a Proba: «Quando preghiamo non dobbiamo mai perderci in tante considerazioni, cercando di sapere che cosa dobbiamo chiedere e temendo di non riuscire a pregare come si conviene. Perché non diciamo piuttosto col salmista: "Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore e ammirare il suo santuario" (Salmo 26, 4)?».

E Agostino specifica: si tratta della «vita beata» (Lettera a Proba, 130, 8, 15.17 - 9, 18: CSEL 44, 56-57.59-60). Tale formula sintetica ha il vantaggio di una lunga tradizione filosofica: parte da Aristotele, è ripresa dallo stoicismo, riappare in Cicerone, è usata da Ambrogio.

La sola cosa che dobbiamo chiedere, l'unico oggetto fondamentale della richiesta è la vita beata, la vita felice. Continua la Lettera a Proba: «Per conseguire questa vita beata, la stessa vera Vita in persona ci ha insegnato a pregare, non con molte parole, come se fossimo tanto più facilmente esauditi, quanto più siamo prolissi (...). Potrebbe sembrare strano che Dio ci comandi di fargli delle richieste quando egli conosce, prima ancora che glielo domandiamo, quello che ci è necessario. Dobbiamo però riflettere che a lui non importa tanto la manifestazione del nostro desiderio, cosa che egli conosce molto bene, ma piuttosto che questo desiderio si ravvivi in noi mediante la domanda perché possiamo ottenere ciò che egli è già disposto a concederci (... ). Il dono è davvero grande, tanto che né occhio mai vide, perché non è colore; né orecchio mai udì, perché non è suono; né mai è entrato in cuore d'uomo, perché è là che il cuore dell'uomo deve entrare (...). E perciò che altro vogliono dire le parole dell'Apostolo: "Pregate incessantemente" (1 Tessalonicesi 5, 17) se non questo: desiderate, senza stancarvi, da colui che solo può concederla, quella vita beata che niente varrebbe se non fosse eterna?» (Lettera a Proba, 130, 8, 15.17 - 9, 18: CSEL 44, 56-57.59-60).

La domanda che Dio esaudisce sempre, la domanda che è oggetto di gemito è la pienezza della vita, la vita eterna.

Ogni richiesta che non è orientata a questa non è conveniente e non può né deve essere oggetto di preghiera.

E quando non sappiamo se ciò che chiediamo è o non è ordinato alla vita beata, allora lo è sotto condizio­ne, lo è se e in quanto ci è utile per tale vita.

Mi sembra molto importante capire qual è la cosa fondamentale nella quale si riassume ogni nostro desiderio e ogni nostra richiesta. Noi, uomini e donne, noi persone umane storiche, siamo ciò che desideriamo; il nostro desiderio è il farsi della personalità. Se dunque il nostro desiderio culmina in questa pienezza di vita, diventiamo davvero in Cristo questa pienezza di vita.

Ma se i nostri desideri sono limitati, inferiori, noi stessi finiamo con l'essere persone limitate, blocchiamo il nostro sviluppo verso la pienezza della vita.

Forse a noi dice poco il termine «vita beata» che, invece, era tanto significativo per gli antichi. Lo stesso Nuovo Testamento usa un'altra espressione: «Regno di Dio»; le richieste «venga il tuo Regno», «sia fatta la tua volontà» sottolineano dunque che il desiderio e le invocazioni della seconda parte del Padre nostro sono subordinate al Regno, sono mezzi, condizioni per il suo avvento. E ancora, il Nuovo Testamento parla di «Spi­rito santo».

Gesù, conclude l'istruzione sulla preghiera nel vangelo secondo Luca, dopo aver esortato a cercare, a bussare, a chiedere, con queste parole: «Se dunque voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito santo» (Matteo dice: «cose buone») «a coloro che glielo chiedono» (Luca 11, 13). L'oggetto della domanda è lo Spirito santo, che significa la vita con Cristo, l'essere con lui, la pienezza della vita beata che consiste nell'essere incorporati per sempre a Gesù nella Chiesa.

Le diverse espressioni (vita beata, Regno, Spirito santo) in realtà si completano, si integrano, si sovrappongono come l'oggetto fondamentale della preghiera di domanda, e quindi come l'oggetto del gemito, dell'attesa.

Proclamando, per esempio: «nell'attesa della tua venuta», esprimiamo il nostro desiderio di fondo, cioè che la pienezza del Regno si realizzi, che lo Spirito santo venga e purifichi ogni realtà, che l'umanità si ritrovi presto nella vita beata, nella perfetta pace e nella perfetta giustizia. Sant'Ambrogio usa anche un altro termine: il bene sommo, summum bonum, che ha forse il vantaggio di dire insieme l'essere di Dio e il suo comunicarsi a noi nello Spirito, nel Regno, in Gesù, nella Chiesa, nella Grazia, nella pienezza della redenzione.

Questo dunque è ciò che dobbiamo chiedere, con  assoluta certezza di ottenerlo, alla luce della Sacra Scrittura e dell'insegnamento dei Padri.

Meditazione ai sacerdoti della diocesi di Milano tenuta il 30 ottobre 1991 a Rozzano, diocesi di Milano,
 in "Briciole dalla Tavola della Parola", Edizioni Piemme, Casale Monferrato, 1996, pp. 55-61.

Carlo Maria Martini (1927 – 2012), cardinale, arcivescovo cattolico, biblista e teologo italiano


Preghiera alla Vergine Maria

Vergine Santa, nei vostri giorni gloriosi,

non dimenticate le tristezze della terra.

Date uno sguardo di bontà a coloro che soffrono, 

che lottano contro le difficoltà 

e che non cessano di temprare le loro labbra nelle amarezze della vita.

Abbiate pietà di coloro che si amano e che sono stati separati.

Abbiate pietà della solitudine del cuore.

Abbiate pietà della debolezza della nostra fede.

Abbiate pietà degli oggetti della nostra tenerezza.

Abbiate pietà di quelli che piangono, di quelli che temono 

e date a tutti la speranza e la pace.


Henri Perreyve (1831 - 1865),  un presbitero cattolico e professore francese 

"Darà ordine ai suoi angeli di custodirti..."

"Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi" (Sal 90,11). Ringrazino il Signore per la sua misericordia e per i suoi prodigi verso i figli degli uomini. O Signore, che cos’è l’uomo, per curarti di lui o perché ti dai pensiero per lui? E per dimostrare che il Cielo non trascura nulla che ci possa giovare, ci metti a fianco quegli spiriti celesti, perché ci protegganoci istruiscono e ci guidino. "Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi". Queste parole quanta riverenza devono suscitare in te, quanta devozione recarti, quanta fiducia infonderti! Sono presenti per proteggerti, sono presenti per giovarti. Anche se gli angeli sono semplici esecutori di comandi divini, si deve essere grati anche a loro perché ubbidiscono a Dio per il nostro bene. Siamo dunque devoti, siamo grati a protettori così grandi, riamiamoli, onoriamoli quanto possiamo e quanto dobbiamo. Tutto l'amore e tutto l'onore vada a Dio, dal quale deriva interamente quanto è degli angeli e quanto è nostro. Da lui viene la capacità di amare e di onorare, da lui ciò che ci rende degni di amore e di onore. Amiamo affettuosamente gli angeli di Dio, come quelli che saranno un giorno i nostri coeredi, mentre nel frattempo sono nostre guide e tutori, costituiti e preposti a noi dal Padre. Ora, infatti, siamo figli di Dio. Lo siamo, anche se questo attualmente non lo comprendiamo chiaramente, perché siamo ancora bambini sotto amministratori e tutori e, conseguentemente, non differiamo per nulla dai servi. Gli angeli di Dio non possono essere sconfitti né sedotti e tanto meno sedurre, essi che ci custodiscono in tutte le nostre vie. Sono fedeli, sono prudenti, sono potenti. Perché trepidare? Soltanto seguiamoli, stiamo loro vicini e restiamo nella protezione del Dio del cielo.

Bernardo di Chiaravalle (1090 – 1153), monaco cristiano, abate e teologo francese dell'ordine cistercense, santo

venerdì 6 dicembre 2024

Pasqua

        Io canto la canzon di primavera,

        andando come libera gitana,

        in patria terra ed in terra lontana,

        con ciuffi d'erba ne la treccia nera.

E con un ramo di mandorlo in fiore,

a le finestre batto e dico: «Aprite!

Cristo è risorto e germinan le vite

nuove e ritorna con l’april l’amore.

        Amatevi tra voi pei dolci e belli

        sogni ch’oggi fioriscon sulla terra,

        uomini della penna e della guerra,

        uomini della vanga e dei martelli.

Aprite i cuori. In essi irrompa intera

di questo dì l’eterna giovinezza».

lo passo e canto che la vita è bellezza.

Passa e canta con me la primavera.

Poesie e prose, 2020

Ada Negri (1870 - 1945), docente, poetessa e scrittrice italiana

L'educazione dell'anima

All'educazione dell'uomo animale, dell'uomo cittadino, dell'uomo razziale, dell'uomo economico, dell'uomo volontà di potenza, dell'uomo operaio si oppone l'educazione dell'uomo completo figlio di Dio, che fa precedere la nozione del fine a quella del semplice fare, poiché l'ideale educativo dipende dall'ideale della vita

Secondo tale ideale, destinato a perfezionare la natura dell'uomo, l'anima di tutta l'educazione è l'educazione dell'anima, che si esplica nei valori morali e divini.

Intervento al Congresso pedagogico di Bruxelles (1900)

Bartolo Longo (1841 - 1926), avvocato, filantropo e pedagogo, fondatore della Congregazione delle Suore del Rosario e promotore del santuario di Pompei (Napoli)


lunedì 2 dicembre 2024

Domani, siete voi. Il testamento di Raoul Follereau


Eccomi al crepuscolo di una esistenza che ho condotto il meglio possibile, ma che rimane incompiuta. Il tesoro che vi lascio, è il bene che io non ho fatto, che avrei voluto fare e che voi farete dopo di me. Possa solo questa testimonianza aiutarvi ad amare. Questa è l’ultima ambizione della mia vita, e l’oggetto di questo “testamento”.


Giovani di tutto il mondo, o la guerra o la pace sono per voi. Scrivevo, venticinque anni fa: “O gli uomini impareranno ad amarsi o, infine, l’uomo vivrà per l’uomo, o gli uomini moriranno”. Tutti e tutti insieme.

Il nostro mondo non ha che questa alternativa: amarsi o scomparire. Bisogna scegliere. Subito. E per sempre. Ieri, l’allarme. Domani, l’inferno.

I Grandi – questi giganti che hanno cessato di essere uomini – possiedono, nelle loro turpi collezioni di morte, 20.000 bombe all’idrogeno, di cui una sola è sufficiente a trasformare un’intera Metropoli in un immenso cimitero. Ed essi continuano la loro mostruosa industria producendo tre bombe ogni 24 ore. L’Apocalisse è all’angolo della strada.

Ragazzi, Ragazze di tutto il mondo, sarete voi a dire “no” al suicidio dell’umanità.

“Signore, vorrei tanto aiutare gli altri a vivere”. Questa fu la mia preghiera di adolescente.

Credo di esserne rimasto, per tutta la mia vita, fedele…

Ed eccomi al crepuscolo di una esistenza che ho condotto il meglio possibile, ma che rimane incompiuta.

Il tesoro che vi lascio, è il bene che io non ho fatto, che avrei voluto fare e che voi farete dopo di me. Possa solo questa testimonianza aiutarvi ad amare. Questa è l’ultima ambizione della mia vita, e l’oggetto di questo “testamento”.

Proclamo erede universale tutta la gioventù del mondo. Tutta la gioventù del mondo: di destra, di sinistra, di centro, estremista: che mi importa!

Tutta la gioventù: quella che ha ricevuto il dono della fede, quella che si comporta come se credesse, quella che pensa di non credere. C’è un solo cielo per tutto il mondo.

Più sento avvicinarsi la fine della mia vita, più sento la necessità di ripetervi: è amando che noi salveremo l’umanità.

E di ripetervi: la più grande disgrazia che vi possa capitare è quella di non essere utili a nessuno, e che la vostra vita non serva a niente.

Amarsi o scomparire.

Ma non è sufficiente inneggiare a: “la pace, la pace”, perché la Pace cessi di disertare la terra.

Occorre agire. A forza di amore. A colpi di amore.

I pacifisti con il manganello sono dei falsi combattenti. Tentando di conquistare, disertano. Il Cristo ha ripudiato la violenza, accettando la Croce.

Allontanatevi dai mascalzoni dell’intelligenza, come dai venditori di fumo: vi condurranno su strade senza fiori e che terminano nel nulla.

Diffidate di queste “tecniche divinizzate” che già San Paolo denunciava.

Sappiate distinguere ciò che serve da ciò che sottomette.

Rinunciate alle parole che sono tanto più vuote quanto sonore.

Non guarirete il mondo con dei punti esclamativi.

Ciò che occorre è liberarlo da certi “progressi” e dalle loro malattie, dal denaro e dalla sua maledizione.

Allontanatevi da coloro per i quali tutto si risolve, si spiega e si apprezza in rapporto ai biglietti di banca.

Anche se sono intelligenti essi sono i più stupidi di tutti gli uomini.

Non si fa un trampolino con una cassaforte.

Bisognerà che dominiate il potere del denaro, altrimenti quasi nulla di umano è possibile, ma con il quale tutto marcisce.

Esso, Corruttore, diventi Servitore.

Siate ricchi della felicità degli altri.

Rimanete voi stessi. E non un altro. Non importa chi. Fuggite le facili vigliaccherie dell’anonimato.

Ogni essere umano ha un suo destino. Realizzate il vostro, con gli occhi aperti, esigenti e leali.

Niente diminuisce mai la dimensione dell’uomo. Se vi manca qualcosa nella vita è perché non avete guardato abbastanza in alto.

Tutti simili? No.

Ma tutti uguali e tutti insieme!

Allora sarete degli uomini. Degli uomini liberi.

Ma attenzione! La libertà non è una cameriera tuttofare che si può sfruttare impunemente. Né un paravento sbalorditivo dietro il quale si gonfiano fetide ambizioni.

La libertà è il patrimonio comune di tutta l’Umanità. Chi è incapace di trasmetterla agli altri è indegno di possederla.

Non trasformate il vostro cuore in un ripostiglio; diventerebbe presto una pattumiera.

Lavorate. Una delle disgrazie del nostro tempo è che si considera il lavoro come una maledizione. Mentre è redenzione.

Meritate la felicità di amare il vostro dovere.

E poi, credete nella bontà, nell’umile e sublime bontà.

Nel cuore di ogni uomo ci sono tesori d’amore.

Spetta a voi, scoprirli.

La sola verità è amarsi.

Amarsi gli uni con gli altri, amarsi tutti. Non a orari fissi, ma per tutta la vita.

Amare la povera gente, amare le persone infelici (che molto spesso sono dei poveri esseri), amare lo sconosciuto, amare il prossimo che è ai margini della società, amare lo straniero che vive vicino a voi.

Amare.

Voi pacificherete gli uomini solamente arricchendo il loro cuore.

Testimoni troppo spesso legati al deterioramento di questo secolo (che fu per poco tempo così bello), spaventati da questa gigantesca corsa verso la morte di coloro che confiscano i nostri destini, asfissiati da un “progresso” folgorante, divoratore ma paralizzante, con il cuore frantumato da questo grido “ho fame!” che si alza incessante dai due terzi del mondo, rimane solo questo supremo e sublime rimedio: Essere veramente fratelli.

Allora… domani? Domani, siete voi.

1977

Raoul Follereau (1893 - 1977), giornalista, filantropo e poeta francese 

domenica 1 dicembre 2024

Aforismi Razzismo

Tutti i popoli e le razze vengono da Dio. In realtà, esiste una sola razza, e questa è la razza di Dio. Il suo certificato di nascita si trova nel Libro della Genesi, quando la mano di Dio dal fango della terra ha creato il primo uomo e gli ha infuso lo spirito di vita (Gen 2,7). [...] Ogni appartenente a questa razza è uguale e tale rimarrà fino alla fine dei tempi. (Beato Alojzije Viktor Stepinac)

Vedo in ogni uomo solo un essere umano, e lo valuto solo secondo il suo valore personale e le sue azioni. Considero come una barbarie qualsiasi tipo di offesa o di oppressione nei riguardi di qualcuno che abbia un’etnia, lingua, religione o classe sociale differente dalla mia. (Ludwik Lejzer Zamenhof)

Homo sum, humani nihil a me alienum puto. / Sono un essere umano, niente di ciò che è umano ritengo estraneo a me. (Publio Terenzio Afro, nella commedia Heautontimorùmenos / Il punitore di sé stesso, v. 77 - 165 a.C.)

Le cattedrali: immagini dell'eterno

Molte volte dimentichiamo il significato profondo di ciò che è una chiesa o cattedrale ed enfatizziamo maggiormente il suo aspetto esteriore, storico, artistico.

La corrente culturale attuale tende a considerare i templi cristiani esclusivamente come luoghi di cultura, di esposizione del sapere antico come fossero dei musei o biblioteche, rivolte al turismo e alle indagini storiche e artistiche.

Tuttavia dobbiamo sottolineare che la cattedrale è un luogo di fede nella quale si annuncia e proclama la fede cristiana, la cattedrale è un luogo per la liturgia, uno spazio vivo dove celebra la comunità cristiana di sempre. Per questo motivo la chiesa cattedrale è il centro della vita liturgica della diocesi, dove si proclama la parola di Dio e si celebra e si prega.

La cattedrale è un luogo spirituale di incontro con Dio e con la Chiesa, una casa di preghiera a Dio e di comunione con gli uomini, è un luogo di misericordia e di speranza mentre camminiamo uniti fino alla Gerusalemme celeste.

Lo esprimevano bene i portici di alcune antiche cattedrali. Per mezzo dell'arte si invitavano i fedeli ad entrare in uno spazio differente dallo spazio quotidiano della città, uno spazio che trascendeva i travagli e i dolori del tempo presente e trasportava alle realtà celesti, al mondo della Gerusalemme del cielo, all'intimità con Dio.

La cattedrale è stata, è e sarà sempre un luogo santo per i credenti in Gesù Cristo, un luogo di sapere, è un luogo di studio, di cultura e di arte, di silenzio e dialogo con Dio. Un luogo di perdono e salvezza, di incontro ecclesiale e carità, un luogo di celebrazione e mistero, un luogo infine di speranza in mezzo all'umanità pellegrina di ogni tempo.

Robert Sarah, cardinale e arcivescovo cattolico guineano