Nel romanzo "I fratelli Karamazov" di Dostoevskij, una donna alla ricerca della fede dialoga con un santo monaco.
Questa – disse lo starec – questa è l’antica “Rachele che piange i suoi figli e non può consolarsi perché essi non sono più”; tale è la sorte assegnata sulla terra a voi madri. E tu non consolarti, non occorre che tu ti consoli, piangi pure; ma ogni volta che piangi, ricordati che il tuo bambino è uno degli angeli di Dio, che di là ti guarda e ti vede, gioisce delle tue lacrime e le indica al Signore Iddio. E ancora a lungo durerà questo tuo sublime pianto di madre, ma alla fine si trasformerà in una quieta gioia, e le tue amare lacrime non saranno più che lacrime di dolce tenerezza e di purificazione del cuore che laveranno la tua anima dal peccato.
Come, come riconquistare la fede? Del resto, io ho creduto soltanto quando ero bambina, meccanicamente, senza pensare a nulla… Ma come, come averne una dimostrazione? Per chiedervi questo sono venuta a inginocchiarmi davanti a voi… Se io perdo anche quest’occasione, nessuno più mi risponderà per tutta la vita! Come dimostrarlo, come convincersi? Oh, me infelice! Mi guardo attorno e vedo che per tutti, o quasi per tutti, la cosa è indifferente; nessuno oggi se ne dà pensiero e io, da sola, non riesco a sopportare questa angoscia. È una cosa che uccide, una cosa che uccide! Senza dubbio una cosa che uccide. Quanto a dimostrare, non si può dimostrare nulla; convincersi sì è possibile. Come? In che modo?
Con l’esperienza dell’amore attivo. Cercate di amare i vostri simili attivamente e senza posa. A mano a mano che progredirete nell’amore, vi persuaderete anche dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima. E se, nell’amore per il prossimo arriverete all’abnegazione, allora crederete senza più alcun dubbio, e nessun dubbio penetrerà mai più la vostra anima. È cosa sperimentata, sicura.
L’amore attivo? Ecco un altro problema, e che problema! Vedete: io amo tanto l’umanità che, vi assicuro, a volte sogno di abbandonare tutto, tutto ciò che ho, di lasciare Lise e di farmi suora di carità. Chiudo gli occhi, penso e sogno, e in quei momenti sento in me una forza invincibile. Nessuna ferita, nessuna piaga purulenta potrebbe spaventarmi. Io le laverei e le benderei con le mie mani, farei da infermiera a quei sofferenti, pronta anche a baciarle, quelle piaghe…
È già molto ed è già una gran bella cosa che il vostro spirito sogni questo e non altro. Ma sì, sì… senza farlo di proposito, voi compirete certamente qualche buona azione.
Già ma potrei durare a lungo in una simile esistenza? – continuò la dama con calore e quasi con esaltazione. – Ecco il problema più importante, il più tormentoso dei miei problemi. Io chiudo gli occhi e mi chiedo: potrai camminare a lungo su questa strada? E se il malato a cui lavi le piaghe non ti ripagasse subito con la sua gratitudine ma, al contrario, ti tormentasse con i suoi capricci, senza notare e senza nemmeno notare la tua opera umanitaria? Se si mettesse a inveire contro di te, a comportarsi in modo grossolano e magari addirittura si lagnasse con qualche superiore, come spesso accade a coloro che soffrono molto, che faresti allora? Persisterebbe il tuo amore o no? E, figuratevi, io ho già risposto con un tremito al quesito: se c’è una cosa che può raggelare il mio amore “attivo” per l’umanità, questa è unicamente la ingratitudine. In una parola, io lavoro per mercede ed esigo delle lodi e dell’amore in cambio del mio amore. Diversamente non sono capace di amare nessuno!
Era in preda a un vero accesso di autoflagellazione e, quando ebbe finito guardò lo starec con provocante risolutezza.
Queste sono le precise parole che molto tempo fa mi diceva un medico – osservò lo starec – era una uomo già maturo e di indiscutibile intelligenza. Parlava con la vostra stessa sincerità, scherzando, sì, ma con amarezza. Io, diceva, amo l’umanità, però sono stupito di me stesso: quanto più amo l’umanità in generale, tanto meno amo gli uomini in particolare, cioè presi separatamente come singoli individui. Spesso nei miei sogni, diceva, sono giunto a concepire progetti appassionati a servizio dell’umanità, e per gli uomini sarei forse davvero salito sulla croce, se ciò fosse stato in qualche modo necessario; ma con tutto questo non sono capace di vivere con qualcuno nella stessa camera per due giorni. Lo so per esperienza. Appena qualcuno mi è vicino, ecco che la sua personalità opprime il mio amor proprio e soffoca la mia libertà. In sole ventiquattro ore posso odiare i migliori uomini di questo mondo: uno perché si trattiene troppo a lungo a tavola, l’altro perché è raffreddato e non fa che soffiarsi il naso. Io, diceva, divento nemico degli uomini non appena mi trovo a contatto con loro. In compenso, però, mi è sempre accaduto che, quanto più odiavo gli uomini in particolare, tanto più si faceva ardente il mio amore per l’umanità.
Ma che fare dunque? Che fare in un caso simile? Ci si deve abbandonare alla disperazione?
No, perché è già sufficiente che ne proviate dolore. Fate ciò che potete, e ve ne sarà tenuto conto. E voi avete già fatto molto, visto che siete riuscita a leggere dentro di voi così sinceramente e profondamente.
I fratelli Karamazov (1880)
Fedor Michajlovic Dostoevskij (1821 - 1881), scrittore e filosofo russo