giovedì 31 gennaio 2019

Ciò che vediamo intorno è il riflesso di ciò che siamo


Due cani, in momenti diversi, entrarono nella stessa stanza.
Uno ne uscì scodinzolando, l’altro ne uscì ringhiando.
Una donna li vide e, incuriosita, entrò nella stanza per scoprire cosa rendesse uno felice e l’altro così infuriato.
Con grande sorpresa scoprì che la stanza era piena di specchi: il cane felice aveva trovato cento cani felici che lo guardavano, mentre il cane arrabbiato aveva visto solo cani arrabbiati che gli abbaiavano contro.

Quello che vediamo nel mondo intorno a noi non è altro che un riflesso di ciò che siamo. Tutto ciò che siamo è un riflesso di quello che abbiamo pensato. 
La mente è tutto. 
Quello che pensiamo diventiamo.

mercoledì 30 gennaio 2019

il "Padre nostro" detto da Dio


Figlio mio, che sei in terra
preoccupato, solitario e tentato;
conosco bene il tuo nome
e lo pronuncio santificandolo, perché ti amo.
Non sarai mai solo; io vengo e abito in te,
e assieme semineremo il regno della vita.
Ho piacere che tu faccia la mia volontà in terra,
come gli angeli in cielo; infatti io voglio la tua felicità.

Ti ho preparato il pane di ogni giorno,
in abbondanza sulla terra;
però ti chiedo di spartirlo con i tuoi fratelli.
Sappi che ti perdono tutti i peccati,
anche prima che tu li commetta;
ma se tu accogli il mio amore,
anche tu perdona quelli che ti offendono.
E per non soccombere alla tentazione,
afferra con tutta la tua forza la mia mano
e ti libererò dal male, figlio mio.
Amen!

Ermanno Montagnoli (1928 - 2014), presbitero salesiano italiano

sabato 26 gennaio 2019

Due bisacce




Giove ci impose due bisacce:
ci mise dietro quella piena dei nostri difetti,
e, davanti, sul petto, quella con i difetti degli altri.
Perciò non possiamo scorgere i nostri difetti,
e, non appena gli altri sbagliano, siamo pronti a biasimarli.

Peras imposuit Iuppiter nobis duas:
propriis repletam vitiis post tergum dedit,
alienis ante pectus suspendit gravem.
Hac re videre nostra mala non possumus:
alii simul delinquunt, censores sumus.

Fedro - Gaio Giulio Fedro (20/15 a.C. circa – 51 d.C.ca.), scrittore romano


sabato 19 gennaio 2019

Il decalogo del buon politico



Nel 1948 sul quotidiano “Popolo e libertà” don Luigi Sturzo pubblica un articolo contenente questo testo interessante e sempre attuale:

Decalogo del buon politico

1. È prima regola dell’attività politica essere sincero e onesto. Prometti poco e realizza quel che hai promesso.

2. Se ami troppo il denaro, non fare attività politica.

3. Rifiuta ogni proposta che tenda all’inosservanza della legge per un presunto vantaggio politico.

4. Non ti circondare di adulatori. L’adulazione fa male all’anima, eccita la vanità e altera la visione
della realtà.

5. Non pensare di essere l’uomo indispensabile, perché da quel momento farai molti errori.

6. È più facile dal No arrivare al Si che dal Sì retrocedere al No. Spesso il No è più utile del Sì.

7. La pazienza dell’uomo politico deve imitare la pazienza che Dio ha con gli uomini. Non disperare mai.

8. Dei tuoi collaboratori al governo fai, se possibile, degli amici, mai dei favoriti.

9. Non disdegnare il parere delle donne che si interessano alla politica. Esse vedono le cose da punti
di vista concreti, che possono sfuggire agli uomini.

10. Fare ogni sera l’esame di coscienza è buona abitudine anche per l’uomo politico.

Luigi Sturzo

domenica 13 gennaio 2019

Trovare una vera ragione di vita è trovare la felicità

Non era tanto bello. Aveva un tronco rugoso, dei rami un po’ rachitici che producevano delle mele aspre che nessuno voleva. Ma la cosa peggiore era il carattere. Albero non faceva che lamentarsi. La cosa dava fastidio soprattutto a Siepe, che era cresciuta proprio accanto ad Albero. Era primavera e Albero continuava a mugugnare:«Vedrai che stasera pioverà e magari anche domani. E poi soffierà il vento e mi spezzerà qualche ramo...»
«Ma è così soave il vento di primavera», diceva Siepe. 
Albero non ascoltava neanche: "Quegli orribili uccelli, poi! Mi faranno il nido addosso e mi mangeranno i germogli..."
Albero continuava a lamentarsi per ore: il campo si sarebbe riempito di fango, le mucche e i conigli gli avrebbero rovinato la corteccia, l’erba alta gli avrebbe fatto il solletico e così via. Per Siepe era un vero supplizio. Decise perciò che doveva far qualcosa per impedire il continuo mugugno di quel brontolone d’Albero. Dovete sapere che il miglior amico di Siepe era il vecchio Corvo, che si appollaiava spesso tra i suoi rami dopo pranzo e dopo cena per far quattro chiacchiere. Siepe spiegò a Corvo il problema: «Come faccio a far smettere Albero di lamentarsi?». Corvo si mise a pensare, poi disse: «Albero non ha una vera ragione di vita, ecco perché si lamenta sempre. Ma dove si trova questa ragione? Di solito, proprio sotto il naso!». La primavera lasciò il posto all’estate e Siepe si riempì di verde. Come sempre, Caprifoglio le si attorcigliò alle foglie, adornandola con i suoi fiori profumati. Le api ronzavano nella calda aria estiva. 
«Albero - chiese Siepe un bel giorno - qual è la cosa più brutta della tua vita?». Albero ci pensò un po’ e poi sussurrò con voce triste: «La cosa peggiore è che non piaccio a nessuno. Perché sono brutto. La mia fioritura dura solo pochi giorni, le mie foglie non sono belle e le mie mele selvatiche hanno un sapore orribile».
«Ma a questo si può rimediare facilmente! - esclamò Siepe - Potrei chiedere a Caprifoglio di crescere lungo il tuo tronco e sui tuoi rami, e così saresti ricoperto di fiori profumati e di foglie verdi per la maggior parte dell’anno. L’unica difficoltà è che... Caprifoglio non vuole: dice che ti lamenti troppo».
Albero rimase in silenzio. Poi disse: «Se io prometto di lamentarmi di meno, potresti convincerlo a crescere sopra di me?»
«Se non ti lamentassi per un anno intero forse accetterebbe», rispose Siepe.
Così, per un anno intero, Albero non si lamentò neppure una volta. Nemmeno quando arrivò la siccità, né quando arrivò una nevicata mai vista e neppure quando le lepri rosicchiavano le radici. E un bel giorno della primavera seguente, Caprifoglio mise fuori un timido germoglio. Si attorcigliò al tronco di Albero e si intrecciò ai suoi rami. Quando il vento di giugno fece volar via i boccioli di Albero, Caprifoglio dischiuse i suoi fiori profumati gialli e rosa, e Albero divenne il più bello tra tutti gli alberi del campo. Da quel giorno non si lamentò più. Nemmeno una volta. Mai più. Un pomeriggio d'inverno, Corvo andò da Siepe: «Non ho più sentito Albero lamentarsi. Deve aver trovato una ragione di vita. Qual è?»
«Chiedilo a lui", rispose Siepe. Corvo volò da Albero e gli chiese che ragione di vita avesse trovato. «Non posso parlare ora, Corvo, devo proteggere Caprifoglio dal vento»
«Ma è tutto marrone e avvizzito ora che è inverno»
«Ora è così», rispose Albero. 
«Ma si appoggia a me perché io lo protegga fino a primavera. E allora sboccerà di nuovo più folto e più bello dell’anno passato».
Il vecchio Corvo e Siepe furono molto contenti nel sentirlo parlare così. Albero aveva trovato la sua ragione di vita e non si sarebbe lamentato mai più. 

Albero rappresenta quel tipo di persona che si incontra spesso: colui che non trova mai nulla di buono, che trova difetti in tutto e in tutti, che non ha mai detto nella sua vita: Questo è bello! Magnifico! Bravo! Sono molte le persone che, "brontolando" sempre, rendono la vita infelice agli altri e soprattutto a se stessi. Trovare una vera ragione di vita,  dice il racconto è trovare la felicità. Uno scopo, un ideale, una missione, una mèta: non bisogna mai dimenticare che questo è un elemento insostituibile della felicità. Solo l'uomo che ha un senso e una direzione si sente realizzato.

Bruno Ferrero, prete salesiano italiano, scrittore

Innamorato del sole


In un giardino ricco di fiori di ogni specie, cresceva, proprio nel centro, una pianta senza nome. Era robusta, ma sgraziata, con dei fiori stopposi e senza profumo. Per le altre piante nobili del giardino era né più né meno una erbaccia e non gli rivolgevano la parola.
Ma la pianta senza nome aveva un cuore pieno di bontà e di ideali.
Quando i primi raggi del sole, al mattino, arrivavano a fare il solletico alla terra e a giocherellare con le gocce di rugiada, per farle sembrare iridescenti diamanti sulle camelie, rubini e zaffiri sulle rose, 
le altre piante si stiracchiavano pigre.
La pianta senza nome, invece, non si perdeva un solo raggio di sole. 
Se li beveva tutti uno dopo l’altro. 
Trasformava tutta la luce del sole in forza vitale, in zuccheri, in linfa. 
Tanto che, dopo un po’, il suo fusto che prima era rachitico e debole, era diventato uno stupendo fusto robusto, diritto, alto più di due metri.
Le piante del giardino cominciarono a considerano con rispetto, e anche con un po’ d’invidia.
«Quello spilungone è un po’ matto», bisbigliavano dalie e margherite.
La pianta senza nome non ci badava. 
Aveva un progetto. 
Se il sole si muoveva nel cielo, lei l’avrebbe seguito per non abbandonarlo un istante.
Non poteva certo sradicarsi dalla terra, ma poteva costringere il suo fusto a girare all'unisono con il sole.
Così non si sarebbero lasciati mai.
Le prime ad accorgersene furono le ortensie che, come tutti sanno, sono pettegole e comari. 
«Si è innamorato del sole!», cominciarono a propagare ai quattro venti.
«Lo spilungone è innamorato del sole!», dicevano ridacchiando i tulipani. 
«Ooooh, com’è romantico!», sussurravano pudicamente le viole mammole.
La meraviglia toccò il culmine quando in cima al fusto della pianta senza nome sbocciò un magnifico fiore che assomigliava in modo straordinario proprio al sole.
Era grande, tondo, con una raggiera di petali gialli, di un bel giallo dorato, caldo, bonario. 
E quel faccione, secondo la sua abitudine, continuava a seguire il sole, nella sua camminata per il cielo.
Così i garofani gli misero nome «girasole».
Glielo misero per prenderlo in giro, ma piacque a tutti, compreso il diretto interessato.
Da quel momento, quando qualcuno gli chiedeva il nome, rispondeva orgoglioso: «Mi chiamo Girasole!».
Rose, ortensie e dalie non cessavano però di bisbigliare su quella che, secondo loro, era una stranezza che nascondeva troppo orgoglio o, peggio, qualche sentimento molto disordinato.
Furono le bocche di leone, i fiori più coraggiosi dei giardino, a rivolgere direttamente la parola al girasole.
«Perché guardi sempre in aria? Perché non ci degni di uno sguardo? Eppure siamo piante, come te», gridarono le bocche di leone per farsi sentire.
«Amici - rispose il girasole - sono felice di vivere con voi, ma io amo il sole. 
Esso è la mia vita e non posso staccare gli occhi da lui. 
Lo seguo nel suo cammino. 
Lo amo tanto che sento già di assomigliargli un po'.
Che ci volete fare? 
Il sole è la mia vita e io vivo per lui...».
Come tutti i buoni, il girasole parlava forte e l’udirono tutti i fiori del giardino. 
E in fondo al loro piccolo, profumato cuore, sentirono una grande ammirazione per «l’innamorato del sole».

Il girasole afferma che la perseveranza non è una virtù cieca. E' l'atteggiamento di chi si propone un obiettivo ben chiaro, un ideale, e poi, costi quello che costi, lo raggiunge.
Il racconto afferma anche che l'ideale "trasforma" colui che lo persegue: i grandi ideali fanno i grandi uomini. ...quali sono i tuoi ideali?
Tutte Storie, ed. Elledici
Bruno Ferrero, prete salesiano italiano, scrittore