mercoledì 18 dicembre 2019

Bellezza


Quando le chiesero di rivelare i suoi segreti di bellezza, Audrey Hepburn scrisse questo bellissimo testo che venne poi letto anche al suo funerale.

"Per avere labbra attraenti, pronuncia parole gentili.
Per avere uno sguardo amorevole, cerca il lato buono delle persone.
Per avere un aspetto magro, condividi il tuo cibo con l'affamato.
Per avere capelli bellissimi, lascia che un bimbo li attraversi con le proprie dita una volta al giorno.
Per avere un bel portamento, cammina sapendo di non essere mai sola, perchè coloro che ti amano e ti hanno amato, ti accompagnano.
Le persone, ancora più che gli oggetti, hanno bisogno di essere riparate, viziate, risvegliate, volute e salvate: non rinunciate mai a nessuno.
Ricorda, se mai avrai bisogno di una mano, le troverai alla fine di entrambe le tue braccia. Quando diventerai anziana, scoprirai di avere due mani, una per aiutare te stessa, la seconda per aiutare gli altri.
La bellezza di una donna non è nei vestiti che indossa, nel suo viso o nel suo modo di sistemare i capelli. La bellezza di una donna si vede nei suoi occhi, perchè quella è la porta aperta sul suo cuore, la fonte del suo amore.
La bellezza di una donna non risiede nel suo trucco, ma la vera bellezza in una donna è riflessa nella propria anima. È la tenerezza che da' l'amore, la passione che essa esprime.
La bellezza di una donna cresce con gli anni".

Audrey Hepburn (1929 – 1993), attrice britannica

lunedì 16 dicembre 2019

Natale: una serie fortunata di imprevisti



Il cristianesimo si poggia sua una serie fortunata di imprevisti. Il primo è la nascita di un bambino in una sperduta regione della Giudea. Nascere al tempo di Gesù era un gran rischio.

È il rischio che corrono ancora oggi tutti quei bambini che vengono al mondo in quelle regioni della terra dove la globalizzazione ha solo tolto le risorse ma non ha lasciato nessun confort e nessun segno di quella che noi oggi chiamiamo civilizzazione. I bambini poveri nascono non nelle cliniche, ma dove capita. Vengono al mondo per espulsione della natura e non per decisione di qualche parto cesareo. Gesù nasce così. Nasce povero, in uno sperduto villaggio della Giudea di nome Betlemme. E questo bambino non solo fin da subito combatte per restare in vita, nonostante sia nato in una stalla e adagiato in una mangiatoia. Questo bambino nasce già con addosso la taglia dei potenti del tempo. Erode fin da subito manda il suo esercito a sterminarlo, e per sicurezza fa ammazzare tutti i bambini del contado dove si dice sia venuto al mondo. Ma “imprevedibilmente” si salva.

Già “imprevedibilmente” era nato da una fanciulla Vergine. Poi “imprevedibilmente”, protetto dalla dedizione di un uomo che credeva ancora al valore dei “sogni”, Giuseppe, riesce ad espatriare, divenendo ancora piccolo, profugo. Oggi si chiamerebbe “rifugiato politico”, ma alla gente piace chiamarli extracomunitari.

L'Onnipotente ha un Figlio. E questo figlio è un bambino debole, povero e profugo. È improbabile che possa compiere quello per cui è venuto al mondo. Eppure “imprevedibilmente” ce la fa.

Molte volte la nostra vita, ci suggerisce che forse è improbabile che ci sia davvero un senso a tutto. Che esista davvero qualcosa che ci renderà felici. Che esista giustizia per tutti gli oppressi della storia. Consolazione per chi soffre in maniera innocente. Pace per chi vive l'inquietudine delle cose brutte. Eppure la nostra fede ci ricorda che “imprevedibilmente” questo può accadere.

Ecco perché il Natale è una festa di immensa speranza, perché ci fa attendere a occhi spalancati l'arrivo di quell'“imprevisto” che cambia il finale di una partita quasi persa. Ma questo imprevisto non viene nella “gloria”, ma nella “fragilità” e nella “povertà” della nostra condizione umana. Per questo auguro a me e a tutti di tener sempre da conto la nostra umanità, anche se fragile, anche se ferita, anche se debole, anche se a volte  indegna, perché in essa Cristo è voluto nascere.

Buon Natale.

Luigi Maria Epicoco, presbitero cattolico, teologo, filosofo e scrittore italiano

lunedì 9 dicembre 2019

Aforismi Povertà

Vedi anche #Giustizia #Ricchezza
 
É più facile avere un pezzo di pane da un povero, che una moneta da un ricco.

Non osare mai rinfacciare a un uomo la maledetta povertà che consuma il cuore. (Esiodo, Le opere e i giorni)

È dell'inferno dei poveri che è fatto il paradiso dei ricchi. (Victor Hugo)

domenica 1 dicembre 2019

Permettere a Dio di essere Dio

Il Signore ci chiede di essere vigilanti e pronti perché non possiamo conoscere in anticipo l'ora di Dio, l'ora in cui Dio viene a visitarci con un intervento speciale. Sono ormai abbastanza anziano e saggio da pensare che non posso forzare quest'ora di Dio.
Dio verrà da me e da te, a modo suo e quando vorrà. A volte siamo tentati di comportarci come coloro che addestrano gli animali con i cerchi. Chiediamo a Dio di venire e di saltare attraverso i nostri cerchi proprio come vogliamo noi! Ma, alla fine, scopriamo che Dio non è un animale ammaestrato. Dio sceglie i suoi momenti e suoi mezzi. La nostra parte è solo di essere pronti per questi momenti speciali. A volte, l'ora di Dio sembra giungere proprio nel momento in cui non ce la facciamo più. Ad ogni modo, la nostra fiducia in Dio ci dice che Dio verrà, al momento migliore e nel modo migliore. Io devo permettere a te di essere te stesso, e tu devi permettere a me di essere me stesso.
E noi dobbiamo permettere a Dio di essere Dio.

John Powell (1925 – 2009), presbitero gesuita e scrittore statunitense

domenica 17 novembre 2019

Mia madre

Zitti, coi cuori colmi,
ci allontanammo un poco.
Tra il nereggiar degli olmi
brillava il cielo in fuoco.

…Come fa presto sera
o dolce madre, qui!

Vidi una massa buia
di là del biancospino:
vi ravvisai la thuia,
l’ippocastano, il pino…

…Or or la mattiniera
voce mandò il luì;

Tra i pigolìi dei nidi,
io vi sentii la voce
mia di fanciullo… E vidi,
nel crocevia, la croce.

…sonava a messa, ed era
l’alba del nostro dì:

E vidi la Madonna
dell’Acqua, erma e tranquilla,
con un fruscìo di gonna,
dentro, e l’odor di lilla.

… pregavo… E la preghiera
di mente già m’uscì!

Sospirò ella, piena
di non so che sgomento.
Io me le volsi: appena
vidi il tremor del mento.

…Come non è che sera,
madre, d’un solo dì?

Me la miravo accanto
esile sì, ma bella;
pallida sì, ma tanto
giovane! una sorella!

Bionda così com’era
quando da noi partì.
Canti di Castelvecchio,1907
Giovanni Pascoli (1855 – 1912), poeta, accademico e critico letterario italiano

Mamma

La casa senza mamma
è un fuoco senza fiamma,
un prato senza viole,
un cielo senza sole.
Dove la mamma c'è
il bimbo è un piccol re,
la bimba reginella,
la casa è tanto bella.

Renzo Pezzani

Le mani della mamma

Quando perdemmo tutto,
ci restarono ancora le tue mani
come una grande ricchezza.
Come due foglie verdi di sole
nascondevano sempre qualche cosa:
un uccellino d’ oro, un fiore, un frutto.
Se le posavi,
eran bianche colombe avute in dono;
se per casa le alzavi,
tu ci accendevi sempre un caldo lume;
se le cambiavi di posto
per noi muovevi sempre un angelo nascosto;
se sedevi in disparte solitaria,
raccolta come una Madonna bambina,
le intrecciavi sul seno 'a coroncina...

Corrado Govoni 

Quando nacqui mia madre ne piangeva

Quando nacqui mia madre ne piangeva,
sola, la notte, nel deserto letto.
Per me, per lei che il dolore struggeva,
trafficavano i suoi cari nel ghetto.

Da sé il più vecchio le spese faceva,
per risparmio, e più forse per diletto.
Con due fiorini un cappone metteva
nel suo grande turchino fazzoletto.

Come bella doveva essere allora
la mia città: tutta un mercato aperto!
Di molto verde, uscendo con mia madre
io, come in sogno, mi ricordo ancora.

Ma di malinconia fui tosto esperto;
unico figlio che ha lontano il padre.

Umberto Saba

La mamma

La mamma non è più giovane
e ha già molti capelli
grigi: ma la sua voce è squillante
di ragazzetta e tutto in lei è chiaro
ed energico: il passo, il movimento,
lo sguardo, la parola.

Ada Negri (1870 - 1945) poetessa, scrittrice ed insegnante italiana

Le mani della Madre

Tu non sei più vicina a Dio
di noi; siamo lontani tutti. Ma tu hai stupende
benedette le mani.
Nascono chiare in te dal manto,
luminoso contorno:
io sono la rugiada, il giorno,
ma tu, tu sei la pianta.

Rainer Maria Rilke (1875 - 1926) narratore e drammaturgo austriaco ma di origine boema

La madre

La madre è un angelo che ci guarda
che ci insegna ad amare!
Ella riscalda le nostre dita, il nostro capo
fra le sue ginocchia, la nostra anima
nel suo cuore: ci dà il suo latte quando
siamo piccini, il suo pane quando
siamo grandi e la sua vita sempre.

Victor Hugo

A mia madre

Ora che il coro delle coturnici
ti blandisce nel sonno eterno, rotta
felice schiera in fuga verso i clivi
vendemmiati del Mesco, or che la lotta
dei viventi più infuria, se tu cedi
come un’ombra la spoglia
(e non è un’ombra,
o gentile, non è ciò che tu credi)
chi ti proteggerà? La strada sgombra
non è una via, solo due mani, un volto,
quelle mani, quel volto, il gesto d’una
vita che non è un’altra ma se stessa,
solo questo ti pone nell’eliso
folto d’anime e voci in cui tu vivi;
e la domanda che tu lasci è anch’essa
un gesto tuo, all’ombra delle croci.

Eugenio Montale

Preghiera alla madre

Madre che ho fatto
soffrire
(cantava un merlo alla finestra, il giorno
abbassava, sì acuta era la pena
che morte a entrambi io mi invocavo)
madre
ieri in tomba obliata, oggi rinata
presenza,
che dal fondo dilaga quasi vena
d’ acqua, cui dura forza reprimeva,
e una mano le toglie abile o incauta
l’impedimento;
presaga gioia io sento
il tuo ritorno, madre mia che ho fatto,
come un buon figlio amoroso, soffrire.
Pacificata in me ripeti antichi
moniti vani. E il tuo soggiorno un verde
giardino io penso, ove con te riprendere
può a conversare l’ anima fanciulla,
inebriatasi del tuo mesto viso,
sì che l’ ali vi perda come al lume
una farfalla. È un sogno
un mesto sogno; ed io lo so. Ma giungere
vorrei dove sei giunta, entrare dove
tu sei entrata
— ho tanta
gioia e tanta stanchezza! —
farmi, o madre,
come una macchia della terra nata,
che in sé la terra riassorbe ed annulla.

Umberto Saba

'A Mamma

Chi tene ‘a mamma
è ricche e nun ‘o sape;
chi tene ‘o bbene
è felice e nun ll’apprezza

Pecchè ll’ammore ‘e mamma
è ‘na ricchezza
è comme ‘o mare
ca nun fernesce maje.

Pure ll’omme cchiù triste e malamente
è ancora bbuon si vò bbene ‘a mamma.
‘A mamma tutto te dà,
niente te cerca

E si te vede e’ chiagnere
senza sapè ‘o pecché,
t’abbraccia e te dice:
“Figlio!!!”
E chiagne nsieme a te.

Salvatore Di Giacomo (1860 - 1934), poeta, drammaturgo e saggista italiano

Lettera alla Madre

«Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d’acqua, bruciano di neve;
non sono triste nel Nord: non sono
in pace con me, ma non aspetto
perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
come tutte le madri dei poeti, povera
e giusta nella misura d’amore
per i figli lontani. Oggi sono io
che ti scrivo.» – Finalmente, dirai, due parole
di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore
lo uccideranno un giorno in qualche luogo. –
«Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
di treni lenti che portavano mandorle e arance,
alla foce dell’Imera, il fiume pieno di gazze,
di sale, d’eucalyptus. Ma ora ti voglio, dell’ironia che hai messo
sul mio labbro, mite come la tua.
Quel sorriso m’ha salvato da pianti e da dolori.
E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
per tutti quelli che come te aspettano,
e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
non toccare l’orologio in cucina che batte sopra il muro
tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima Mater».

Salvatore Quasimodo (1901 - 1968), poeta e traduttore italiano

La madre

E il cuore quando d'un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.

Sentimento del tempo, 1930

Giuseppe Ungaretti (1888 - 1970), poeta italiano

sabato 16 novembre 2019

Consolazione


Non pianger più. Torna il diletto figlio
a la tua casa. È stanco di mentire.
Vieni; usciamo. Tempo è di rifiorire.
Troppo sei bianca: il volto è quasi un giglio.

Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato
serba ancóra per noi qualche sentiero.
Ti dirò come sia dolce il mistero
che vela certe cose del passato.

Ancóra qualche rose è ne' rosai,
ancóra qualche timida erba odora.
Ne l'abbandono il caro luogo ancóra
sorriderà, se tu sorriderai.

Ti dirò come sia dolce il sorriso
di certe cose che l'oblìo afflisse.
 Che proveresti tu se fiorisse
la terra sotto i piedi, all'improvviso?

Tanto accadrà, ben che non sia d'aprile.
Usciamo. Non coprirti il capo. È un lento
sol di settembre; e ancor non vedo argento
su 'l tuo capo, e la riga è ancor sottile.

Perché ti neghi con lo sguardo stanco?
La madre fa quel che il buon figlio vuole.
Bisogna che tu prenda un po' di sole,
un po' di sole su quel viso bianco.

Bisogna che tu sia forte; bisogna
che tu non pensi a le cattive cose...
Se noi andiamo verso quelle rose,
io parlo piano, l'anima tua sogna.

Sogna, sogna, mia cara anima! Tutto,
tutto sarà come al tempo lontano.
Io metterò ne la tua pura mano
tutto il mio cuore. Nulla è ancor distrutto.

Sogna, sogna! Io vivrò de la tua vita.
In una vita semplice e profonda
io rivivrò. La lieve ostia che monda
io la riceverò da le tue dita.

Sogna, ché il tempo di sognare è giunto.
Io parlo. Di': l'anima tua m'intende?
Vedi? Ne l'aria fluttua e s'accende
quasi il fantasma d'un april defunto.

Settembre (di': l'anima tua m'ascolta?)
ha ne l'odore suo, nel suo pallore,
non so, quasi l'odore ed il pallore
di qualche primavera dissepolta.

Sogniamo,  poi ch'è tempo di sognare.
Sorridiamo. È la nostra primavera,
questa. A casa, più tardi, verso sera,
vo' riaprire il cembalo e sonare.

Quanto ha dormito, il cembalo! Mancava,
allora, qualche corda; qualche corda
ancora manca. E l'ebano ricorda
le lunghe dita ceree de l'ava.

Mentre che fra le tende scolorate
vagherà qualche odore delicato,
(m'odi tu?) qualche cosa come un fiato
debole di viole un po' passate,

sonerò qualche vecchia aria di danza,
assai vecchia, assai nobile, anche un poco
triste; e il suono sarà velato, fioco,
quasi venisse da quell'altra stanza.

Poi per te sola io vo' comporre un canto
che ti raccolga come in una cuna,
sopra un antico metro, ma con una
grazia che sia vaga e negletta alquanto.

Tutto sarà come al tempo lontano.
L'anima sarà semplice com'era;
e a te verrà, quando vorrai, leggera
come vien l'acqua al cavo de la mano.
Poema paradisiaco, 1891

Gabriele D'Annunzio (1863 – 1938), scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista e patriota italiano 

giovedì 7 novembre 2019

Io sono l’altro


Io sono l’altro
sono quello che spaventa
sono quello che ti dorme nella stanza accanto.
Io sono l’altro
puoi trovarmi nello specchio
la tua immagine riflessa, il contrario di te stesso.
Io sono l’altro
sono l’ombra del tuo corpo
sono l’ombra del tuo mondo
quello che fa il lavoro sporco
al tuo posto.

Sono quello che ti anticipa al parcheggio
e ti ritarda la partenza,
il marito della donna di cui ti sei innamorato
sono quello che hanno assunto quando ti hanno licenziato.
Quello che dorme sui cartoni alla stazione
sono il nero sul barcone,
sono quello che ti sembra più sereno
perché è nato fortunato o solo perché ha vent’anni in meno.
Quelli che vedi sono solo i miei vestiti
adesso facci un giro e poi mi dici.

Io sono il velo
che copre il viso delle donne
ogni scelta o posizione che non si comprende.
Io sono l’altro
quello che il tuo stesso mare
lo vede dalla riva opposta
io sono tuo fratello, quello bello.

Sono il chirurgo che ti opera domani
quello che guida mentre dormi
quello che urla come un pazzo e ti sta seduto accanto
il donatore che aspettavi per il tuo trapianto.
Sono il padre del bambino handicappato che sta in classe con tuo figlio
il direttore della banca dove hai domandato un fido
quello che è stato condannato
il presidente del consiglio.
Quelli che vedi sono solo i miei vestiti
adesso vacci a fare un giro
e poi mi dici...
Io sono l'altro, 2019
Niccolò Fabi, cantautore italiano

Vento d’amore

Vento d’amore sulla tua fronte,
hai lasciato il male dietro di te.

Dolce violenza
corri verso casa
e spalanca le sue porte.

Segni d’amore
sulla tua bocca,
sulle tue orecchie.

Tutto è nuovo attorno a te,
tutto è nuovo dentro di te.

Una mano scrive
Una mano scrive pace

Scrive pace sul tuo cuore
e spalanca le sue porte.

Luce d’amore,
ora tutto è bianco attorno a te.

Luce d’amore sul tuo vestito.
Canta l’olio nel frantoio
tu l’ascolti e poi canti con lui:

Alleluia!
Alleluia!
Alleluia!
LP I semi del futuro, 1974
Marcello Giombini  (1928 – 2003), autore e compositore italiano 

sabato 2 novembre 2019

'A livella


Ogn'anno, il due novembre, c'é l'usanza
per i defunti andare al cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.

Ogn'anno, puntualmente, in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado, e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.

St'anno m'é capitato 'navventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio.
Madonna! si ce penzo, e che paura!,
ma po' facette un'anema e curaggio.

'O fatto è chisto, statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:
io, tomo tomo, stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del'31".

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
...sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele, cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce stava 'n 'ata tomba piccerella,
abbandunata, senza manco un fiore;
pe' segno, sulamente 'na crucella.

E ncoppa 'a croce appena se liggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardannola, che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i'rimanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura... nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto, che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje: stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato... dormo, o è fantasia?

Ate che fantasia; era 'o Marchese:
c'o' tubbo, 'a caramella e c'o' pastrano;
chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu 'nascopa mmano.

E chillo certamente è don Gennaro...
'o muorto puveriello... 'o scupatore.
'Int 'a stu fatto i' nun ce veco chiaro:
so' muorte e se ritirano a chest'ora?

Putevano sta' 'a me quase 'nu palmo,
quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e tomo tomo, calmo calmo,
dicette a don Gennaro: "Giovanotto!

Da Voi vorrei saper, vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir, per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!

La casta è casta e va, si, rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava, si, inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo, quindi, che cerchiate un fosso
tra i vostri pari, tra la vostra gente"

"Signor Marchese, nun è colpa mia,
i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffa' sta fesseria,
i' che putevo fa' si ero muorto?

Si fosse vivo ve farrei cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse
e proprio mo, obbj'...'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa".

"E cosa aspetti, oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!"

"Famme vedé - piglia sta violenza...
'A verità, Marché, mme so' scucciato
'e te senti; e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so mazzate!...

Ma chi te cride d'essere... nu ddio?
Ccà dinto, 'o vvuo capi, ca simmo eguale?
Muorto si' tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".

"Lurido porco!...Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?"

"Tu qua' Natale... Pasca e Ppifania!!!
T"o vvuo' mettere 'ncapo...'int'a cervella
che staje malato ancora è fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched"e?...è una livella.

'Nu rre, 'nu maggistrato, 'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò, stamme a ssenti... nun fa"o restivo,
suppuorteme vicino-che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie... appartenimmo à morte!"

'A livella. Poesie napoletane, Ed. Fausto Fiorentino, 1964

Antonio De Curtis, Totò (1898 - 1967), attore e poeta italiano


Ogni anno, il due novembre, si usa andare
a far visita ai defunti al cimitero,
una gentilezza e un pensiero
che ognuno di noi dovrebbe avere.

Ogni anno puntualmente nel giorno
di questa triste e malinconica ricorrenza,
ci vado anche io per addobbare con dei fiori
la lapide della zia Vincenza.

Quest’anno, dopo aver compiuto
il mio triste omaggio, mi è capitata un’avventura…
e se ci penso provo una grande paura,
ma poi mi sono dato coraggio.

Il fatto è questo, statemi a sentire:
era ormai l’ora di chiusura
e io mi avviavo verso l’uscita,
dando un’occhiata alle varie lapidi.

“Qui riposa in pace il nobile marchese 
signore di Rovigo e di Belluno 
coraggioso eroe di mille imprese 
morto l’11 maggio del ’31”.

Lo stemma con la corona posto in cima...
sotto la croce illuminata;
tre mazzi di rose, la scritta del lutto:
candele, piccole lanterne e sei lumini.

Accanto alla tomba di questo signore,
c’era una tomba piccola, abbandonata,
senza nemmeno un fiore;
come segno aveva solo una piccola croce.

Sopra la croce si leggeva la scritta:
“Esposito Gennaro - netturbino”:
guardandola, mi faceva tanta pena
questo defunto senza nemmeno un lumino!

Questa è la vita! Pensavo tra me e me...
chi ha avuto tanto e chi nulla!
Questo povero uomo si aspettava
che sarebbe stato pezzente anche nell’altro mondo?

Mentre fantasticavo su questo pensiero,
si era fatta quasi mezzanotte,
e rimasi chiuso prigioniero,
morto di paura... davanti alle candele.

Improvvisamente chi vedo da lontano?
Due ombre che si avvicinavano…
Era una cosa strana, per cui mi chiesi,
se fossi sveglio o se stessi sognando o fantasticando.

Altro che fantasia; era il Marchese:
con il cappello, il bastone e il mantello;
quell’altro accanto a lui un brutto arnese;
tutto puzzolente e con una scopa in mano.

E quello certamente è don Gennaro…
il defunto povero… il netturbino.
Qui non ci vedo chiaro:
sono morti e tornano a quest’ora?

Potevano starmi a quasi un palmo,
quando il Marchese si ferma di botto
e si gira pian piano ...e con calma
disse a don Gennaro: “Giovanotto!

Vorrei sapere da voi, vile carogna, 
con quale coraggio avete osato 
farvi seppellire accanto a me 
che sono aristocratico, facendomi vergognare!

La casta è casta e va rispettata, 
ma voi perdeste il senso e la misura; 
la Vostra salma andava sì tumulata; 
ma seppellita nella spazzatura!

Non posso sopportare oltre 
la vostra vicinanza maleodorante, 
è necessario quindi che cerchiate sepoltura 
tra i vostri pari, tra la vostra gente”.

“Signor Marchese, non è colpa mia, 
non vi ho arrecato io questo torto, 
è stata mia moglie a commettere questa sciocchezza, 
io ero morto cosa potevo fare?

Se fossi vivo vi accontenterei, 
prenderei la cassa con le quattro ossa dentro 
e proprio in questo stesso istante 
entrerei in un’altra fossa”.

“E cosa stai aspettando  brutto maleducato, 
che la mia rabbia raggiunga il limite? 
Se non fossi stato un nobile 
sarei già ricorso alla violenza!”

“Fammi vedere - tutta la tua violenza...
Per la verità, Marchese, mi sono stufato 
di ascoltarti: e se perdo la pazienza 
mi dimentico di essere defunto e sono botte!..

Ma chi credi di essere... un dio? 
Lo vuoi capire che qui dentro siamo uguali? 
Sei morto tu e sono morto io; 
uno è uguale all’altro”.

“Lurido porco! Come ti permetti 
di paragonarti a me che ebbi natali 
illustri, nobilissimi e perfetti, 
da fare invidia a Principi Reali?”.

“Ma quale Natale... Pasqua ed Epifania!!!! 
Lo vuoi capire che stai ancora fantasticando? 
Sai cos’è la morte? È un livello. 

Un re, un giudice o un grande uomo 
oltrepassando questo cancello ha fatto il punto
che ha perso tutto, la vita e pure il nome: 
tu questo conto non lo hai ancora fatto?

Perciò ascoltami e non essere restìo 
sopportami vicino - cosa ti importa? 
Queste pagliacciate le fanno solo i vivi: 
noi siamo seri… apparteniamo alla morte!”


giovedì 10 ottobre 2019

"Ognuno prenda la sua croce e mi segua" (Luca 9,23)


Un uomo, stufo delle propria croce, spesso si lamentava dicendo che era impossibile che lui dovesse portare un tale peso. Andò al cospetto di Dio e gli disse: «Signore io non ce la faccio più, questa croce è troppo pesante, morirò sotto questo peso. Tu che sei misericordioso non puoi cambiarla?»
Dio lo guardo e disse: «Vedi tutte quelle croci? ecco provale a cerca quella che ti è meno pesante».
L'uomo contento, getto la sua, si avvicinò e si mise a cercare una nuova croce tra tantissime altre.
«Questa no, pesa troppo...  pensava provandole  Neanche questa... Mamma mia, come pesa questa! No, no, neanche questa!». 
Passato un po' di tempo, non aveva ancora trovato la croce che faceva per lui, quando ad un certo punto, in un angolo, ne vide una che non aveva ancora provato. La prese e disse: «L'ho trovata, questa è la croce che fa per me. Non pesa: la potrò portare tranquillamente!»
Si diresse verso Dio che aveva assistito a tutto e disse: «Signore, ho trovato la croce giusta per me:  prendo questa!»
Dio lo guardò e con un sorriso disse: «Figliolo, mi fa piacere che hai scelto la croce che fa per te, vedo che ti sei ripreso la tua!»
L'uomo guardò la croce e, riconoscendola, capì che forse la sua vita, a differenza di altre, era meno pesante.

Riflettiamo e analizziamo meglio la nostra vita: ci renderemo conto che in fondo siamo fortunati. Certo, la vita a volte è dura, complicata, ingiusta. La vita è fatta di problemi e difficoltà: ma sono proprio questi che ci stimolano a crescere, a maturare... a vivere!

Portare la croce è difficile, ma alla fine del viaggio scopriremo il motivo per cui Dio ce l'ha affidata.

  • Dio non dà una croce più pesante di quanto un uomo possa sopportare.
  • Se Dio ti affida una croce, ti dà anche la forza per portarla. Se Dio ti affida un compito, ti dona anche la grazia per realizzarlo.
  • «Tutti vengono qua per farsi togliere la croce, nessuno per imparare a portarla» (San Padre Pio)


mercoledì 2 ottobre 2019

Il nostro tesoro è la felicità


Discorso pronunciato da José “Pepe" Mujica, Presidente dell’Uruguay, alla Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile Rio+20, il 21 giugno 2012.

“Ringrazio gli organismi e le autorità provenienti da tutte le latitudini. Molte grazie anche al popolo brasiliano e alla sua Presidente, Dilma Rousseff. Ringrazio la buona fede che, sicuramente, hanno manifestato tutti gli oratori che mi hanno preceduto.

Come governanti, siamo l’espressione dell’intima volontà di avallare tutti gli accordi che questa nostra, povera, umanità possa sottoscrivere. Tuttavia, permettiamo a noi stessi di farci qualche domanda a voce alta.

Per tutto il pomeriggio si è parlato di sviluppo sostenibile, di togliere le immense masse dalla povertà. Ma cosa aleggia nelle nostre menti? Forse l’attuale modello di sviluppo e di consumo delle società ricche? Mi faccio questa domanda: che succederebbe a questo pianeta se gli indiani possedessero la stessa proporzione di automobili per famiglia che hanno i tedeschi? Quanto ossigeno ci rimarrebbe da respirare?

Sarò più chiaro: il mondo ha oggi gli elementi naturali per fare in modo che sette o otto milioni di persone possano avere lo stesso livello di consumo e di spreco che hanno le più opulente società occidentali? Sarà mai possibile? O dovremo forse, un giorno o l’altro, cambiare tipo di discussione?

Perché abbiamo creato un civiltà, quella in cui viviamo, figlia del mercato, figlia della concorrenza e che ha generato un progresso materiale portentoso ed esplosivo. Ma ciò che è nato come economia di mercato, è diventato società di mercato. E ci ha offerto questa globalizzazione, che significa doversi occupare per tutto il pianeta.

Stiamo governando la globalizzazione o è la globalizzazione a governarci? È possibile parlare di solidarietà e di unione in un’economia basata su una concorrenza spietata? Fino a dove arriva la nostra fratellanza?

Quello che dico non vuol negare l’importanza di questo evento. Al contrario: la sfida che abbiamo davanti è di una magnitudo di carattere colossale e la grande crisi non è ecologica, è politica. Oggi l’uomo non governa le forze che ha scatenato, ma sono quelle forze che governano l’uomo e la nostra vita.

Perché non siamo venuti al mondo per svilupparci soltanto, così, in termini generali, ma veniamo alla vita per cercare di essere felici. Perché la vita è corta e se ne va. E nessun bene vale come la vita, questo è elementare! Però se la vita mi scappa via, lavorando e lavorando per consumare di più, allora la società del consumo ne è il motore.

Perché in definitiva, se il consumo si paralizza o si blocca, si rallenta l’economia, e se si rallenta l’economia appare il fantasma della stagnazione per ognuno di noi. Ma è proprio l’iperconsumo che sta aggredendo il pianeta, e quel iperconsumo genera cose che durano poco, perché bisogna vendere molto.

E allora una lampadina elettrica non può durare più di 1000 ore accesa, però esistono lampadine che possono durare 100mila–200mila ore accese! Però non si possono produrre perché il problema è il mercato, perché dobbiamo lavorare e sostenere una civiltà dell’usa e getta, e così ci troviamo in un circolo vizioso.

Questi sono problemi di carattere politico che ci stanno indicando che è ora di iniziare a lottare per un’altra cultura. Non si tratta di voler ritornare all’uomo delle caverne, né di erigere un monumento al passato, e tuttavia non possiamo continuare ad essere indefinitamente governati dal mercato, ma dobbiamo governare noi il mercato.

Per questo dico che il problema è di carattere politico. Gli antichi pensatori – Epicuro, Seneca, gli Aymara – dicevano: “Povero non è colui che possiede poco; povero è, in realtà, colui che ha infinitamente bisogno di molte cose, colui che desidera, desidera, desidera, ancora e ancora”. Questa è una chiave di lettura di carattere culturale.

Voglio dunque salutare lo sforzo, gli accordi che si stringono e, come Presidente, accompagnerò tutto questo. E li appoggerò, come governante. So che alcune delle cose che sto dicendo “stridono”, ma dobbiamo renderci conto che la crisi dell’acqua e dell’aggressione all’ambiente non sono una causa. La causa è il modello di civiltà che abbiamo costruito e ciò che dobbiamo rivedere è il nostro modo di vivere.

Appartengo ad un piccolo paese molto ben dotato di risorse naturali per vivere. Nel mio paese vivono poco più di 3 milioni di persone e ci sono 13 milioni di vacche, delle migliori al mondo. E 10 milioni di capre stupende. Il mio paese è esportatore di cibo, latticini, carne. È un territorio pianeggiante con quasi il 90% del territorio fertile.

I miei compagni lavoratori hanno lottato molto per le otto ore di lavoro e adesso stanno per ottenerne sei! Però chi ha le sei ore, si trova un altro lavoro, e quindi lavora più di prima. E perché? Perché deve pagare una serie di rate: per la moto, l’automobile. E così paga e paga rate finché si ritrova essere vecchio e reumatico, come me, a cui se ne è andata la vita.

Allora viene da chiedersi: è questo il destino della vita umana? Queste cose che dico sono molto elementari. Lo sviluppo non può andare contro la felicità, ma deve essere a favore della felicità umana, dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane, delle cure ai figli, dell’avere amici, dell’avere il necessario. Proprio così, perché il tesoro più importante che abbiamo è la felicità. Quando lottiamo per l’ambiente, il primo elemento dell’ambiente naturale si chiama “felicità umana”. Grazie.”

*  *  *

La mia idea di felicità è soprattutto anticonsumistica. Hanno voluto convincerci che le cose non durano e ci spingono a cambiare ogni cosa il prima possibile. Sembra che siamo nati solo per consumare e, se non possiamo più farlo, soffriamo la povertà. Abbiamo un senso di frustrazione, ci auto-marginalizziamo.
Abbiamo sacrificato i vecchi Dei immateriali e ora stiamo occupando il tempio del Dio-Mercato. Lui organizza la nostra economia, la nostra politica, le nostre abitudini e ci fornisce mutui e carte di credito che ci danno un’apparente felicità. Ma nella vita è più importante il tempo che possiamo dedicare a ciò che ci piace, ai nostri affetti e alla nostra libertà. E non quello in cui siamo costretti a guadagnare sempre di più per consumare sempre di più. Non faccio nessuna apologia della povertà, ma soltanto della sobrietà. 
Credo che l'uomo impari molto di più dalle avversità, purché non lo distruggano, che dalla prosperità. Impari con ciò che vivi, non con ciò su cui contano. Impari di più dal dolore e non dai trionfi. Non sono il Presidente più povero. Il più povero è colui che ha bisogno di tanto per vivere.

José Mujica, Presidente dell'Uruguay (2010 - 2015)

martedì 27 agosto 2019

I novantanove nomi di Dio

«Ad Allah appartengono i nomi più belli: invocateLo con quelli» (Corano, Al-A'râf, 180)


Dio

  Il Misericordioso

  Il Compassionevole

  Il Re

  Il Santo

  La Pace

  Il Fedele

  Il Custode

  Il Potente

  Il Potente

  Il Fiero

  Il Creatore

  Il Plasmatore

  Colui che modella

  Colui che perdona

  Il dominatore

  Il Munifico

  Colui che provvede

  Colui che apre

  Il Sapiente

  Colui che contrae

  Colui che espande

  Colui che diminuisce

  Colui che eleva

  Colui che da' la potenza

  Colui che umilia

  Colui che tutto ascolta

  Colui che tutto osserva

  Il Giudice

  Il Giusto

  Il Sottile, L'Amabile

  Il Ben Informato

  Il Paziente

  L'Immenso, il Sublime

  Colui che perdona

  Il Riconoscente

  L'Altissimo

  Il Grande

  Il Custode

  Colui che vigila

  Colui che chiede il conto

  Il Maestoso

  Il Generoso

  Colui che veglia

  Colui che risponde

  Il Largo (nel dare)

  Il Saggio

  L'Amorevole

  Il Glorioso

  Colui che resuscita

  Il Testimone

  Il Vero, la Verità

  Il Garante, Colui che protegge

  Il Forte

  L'Irremovibile

  Il Patrono

  Il Degno di lode

  Colui che tiene il conto (di tutte le cose)

  Colui che palesa

  Colui al quale tutto ritorna

  Colui che da' la vita

  Colui che da' la morte

  Il Vivente

  Colui che sussiste da Se stesso

  Colui che trova tutto ciò che vuole

  Il Glorioso

  L'Uno

  L'Unico

  L'Assoluto, l'Eterno, l'Impenetrabile

  Il Potente

  L'Onnipotente

  Colui che fa avanzare

  Colui che fa ritardare

  Il Primo

  L'Ultimo

  Il Manifesto

  Il Nascosto

venerdì 16 agosto 2019

Aforismi Tradizione



Perpetuare il passato con la zavorra di usi mantenuti ad oltranza non è tradizione autentica, ma invecchiamento dello spirito, anche se truccato di sapienza e prudenza. 
Non siamo eredi di un pacchetto di verità congelate e impersonali, ma di una fede viva che dobbiamo individualizzare con una scelta personale, che rifletta le beatitudini evangeliche, si manifesti nell’amore come chiave dell’esistenza umana e potenzi i valori della persona per l’impegno cristiano nella soluzione dei problemi che ci circondano. (Basilio Caballero, La Parola per ogni giorno)

Noi siamo come nani seduti sulle spalle dei giganti. Vediamo quindi un numero di cose maggiore degli antichi, e più lontane. E non già perché la nostra vista sia più acuta, o la nostra statura più alta, bensì perché essi ci sostengono a mezz'aria e ci innalzano di tutta la loro gigantesca altezza. (Bernardo di Chartres)

La tradizione è una bellezza da conservare, non un mazzo di catene per legarci. (Ezra Pound)

La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri. (Gustav Mahler)

Che m'importa dunque il passato in quanto passato? Non vi accorgete che quando piango sulla rottura di una tradizione, è soprattutto all'avvenire che penso. Quando vedo marcire una radice, ho pietà dei fiori che seccheranno domani per mancanza di linfa. (Gustave Thibon, L'uomo maschera di Dio, p. 258)

La tradizione non vuol dire che i vivi sono morti, vuol dire che i morti vivono. (Harold MacMillan)

Una vera tradizione non è la testimonianza di un passato concluso, ma una forza viva che anima e informa di sé il presente. (Igor Stravinskij)

Il tradizionalismo è la fede morta dei vivi, la tradizione autentica è la fede viva dei morti. (Jaroslav Pelikan)

Le radici profonde non gelano (John R. R. Tolkien)

Fate come gli alberi: cambiate le foglie e conservate le radici. Quindi, cambiate le vostre idee ma conservate i vostri principi. (Victor Hugo)


mercoledì 14 agosto 2019

Grazie alla vita


Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto,
Mi ha dato due occhi
Che quando li apro
Chiaramente vedo
Il nero e il bianco,
Chiaramente vedo il cielo alto
Brillare al fondo,
Nella moltitudine
L'uomo che amo.

Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto,
Mi ha dato l'udito
Così certo e chiaro
Sento notti e giorni
Grilli e canarini
Turbini martelli
E lunghi pianti di cani
E la voce tenera
Del mio amato.

Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto,
Mi ha dato il passo
Dei miei piedi stanchi
Con loro ho attraversato
Città e pozze di fango
Lunghe spiagge vuote
Valli e poi alte montagne
E la tua casa la tua strada
Il tuo cortile.

Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto,
Del mio cuore in petto
Il battito chiaro
Quando guardo il frutto
Della mente umana
Quando vedo la distanza
Tra il bene e il male
Quando guardo il fondo
Dei tuoi occhi chiari.

Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto
Mi ha dato il sorriso
E mi ha dato il pianto
Così io distinguo
La buona o brutta sorte
Così le sensazioni che fanno
Il mio canto.

Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto...
Gracias a la vida
Violeta Parra Sandoval (1917 – 1967), cantautrice, poetessa e pittrice cilena

[ variante ]

Grazie alla vita che mi ha dato tanto, 
mi ha dato due stelle che quando le apro 
distinguo nitidamente il nero e il bianco, 
nell’alto cielo la volta stellata, 
e in mezzo alla folla quelli che amo. 

Grazie alla vita che mi ha dato tanto, 
mi ha dato il suono e l’alfabeto 
che contiene le parole che penso e dico: 
madre, amico, fratello e luce, illuminando 
la via dell’anima di quelli che amo.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto, 
mi ha dato l’udito che in tutta la sua ampiezza 
registra notte e giorno canarini e grilli,
martelli e turbine, latrati e acquazzoni, 
e la tenera voce di quelli che amo.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato il passo dei miei piedi stanchi, 
con i quali ho camminato per città e pozzanghere, 
spiagge e deserti, montagne e pianure 
e la casa, la strada e il quartiere.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto, 
mi ha dato il cuore inquieto della sua povertà
quando guardo il frutto della mente umana, 
quando guardo il bene così lontano dal male, 
quando guardo la profondità degli occhi chiari.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto, 
mi dato il sorriso e mi ha dato il pianto, 
per non confondere gioia e tristezza 
che insieme esprimono il canto 
e il canto del mondo che somiglia al mio: 
è il canto di tutti ed è anche il mio: 
grazie alla vita e grazie a Dio.

martedì 13 agosto 2019

Ogni cosa è vanità


Se vivessi mille anni,
nella gioia e senza affanni,
alla morte che sarà?
Ogni cosa è vanità.

Se ottenessi ogni favore,
ogni brama ed ogni onore,
alla morte che sarà?
Ogni cosa è vanità.

Se io avessi case e ville,
campi e servi a mille a mille,
alla morte che sarà?
Ogni cosa è vanità.

Se a me docil la fortuna
non negasse brama alcuna,
alla morte che sarà?
Ogni cosa è vanità.

Se io fossi un gran sapiente,
ma superbo nella mente,
alla morte che sarà?
Ogni cosa è vanità.

Ma se vivo da cristiano,
disprezzando il mondo vano,
alla morte che verrà
solo Dio mi basterà.

Dunque a Dio rivolgi il cuore,
dona a lui tutto il tuo amore,
Questo mai non mancherà,
tutto il resto è vanità.

Citato in Giuseppe De Libero, Vita di S. Filippo Neri, apostolo di Roma, Ed. Oratorio di Roma, 1960, pp. 191 s.

Filippo Neri (1515 - 1595) presbitero italiano, fondatore della Congregazione dell'Oratorio, santo

venerdì 2 agosto 2019

Niente è permanente in questo mondo, nemmeno i dispiaceri!


Charlie Chaplin raccontò al pubblico una storiella fantastica e tutti incominciarono a ridere.
Charlie ripeté la stessa storiella e solo pochi risero.
Ripeté di nuovo la stessa storiella e questa volta nessuno rise.
Allora disse queste parole stupende:
“Se non potete continuare a ridere per la stessa battuta, perché continuate a piangere per lo stesso problema?”
Godetevi ogni momento della vita: la vita è bella!
“Niente è permanente in questo mondo, nemmeno i dispiaceri!”


Mi piace camminare sotto la pioggia, perché nessuno può vedere le mie lacrime.
Un giorno senza sorriso è un giorno perso.
La vita è una tragedia se vista in primo piano, ma è una commedia se vista in campo lungo.
Alla fine, tutto è una gag.
Il tempo è un grande maestro: trova sempre il finale migliore.
La risata è il tonico, il sollievo, il rimedio per attenuare il dolore.

Charlie Chaplin (1889 – 1977) attore, comico, regista, compositore e produttore cinematografico britannico

domenica 28 luglio 2019

Compassione o pietà?


La compassione è cosa diversa dalla pietà. La pietà suggerisce distanza, persino una certa condiscendenza. Io spesso agisco con pietà: do del denaro a un mendicante nelle strade di Toronto o di New York, ma non lo guardo negli occhi, non mi siedo con lui, non gli parlo. Sono troppo occupato per fare veramente attenzione all'uomo che mi si rivolge. Il mio denaro sostituisce la mia personale attenzione e mi dà una scusa per proseguire il mio cammino.
Compassione significa stare vicino a chi soffre. Ma possiamo stare vicino a un'altra persona soltanto se siamo disposti a diventare vulnerabili noi stessi. Una persona compassionevole dice: "Sono tuo fratello; sono tua sorella; sono umano, fragile e mortale, proprio come te. Non mi scandalizzo per le tue lacrime e non ho paura del tuo dolore. Anch'io ho pianto. Anch'io ho sofferto". Possiamo essere con l'altro soltanto quando l'altro cessa di essere "altro" e diventa come noi.
È forse questa la ragione principale per cui talvolta troviamo più facile mostrare pietà che non compassione. La persona che soffre ci invita a diventare consapevoli della nostra propria sofferenza. Come posso dare risposta alla solitudine di qualcuno se non ho contatto con la mia stessa esperienza della solitudine? Come posso essere vicino a un handicappato, se rifiuto di riconoscere i miei handicap? Come posso essere col povero quando non sono disposto a confessare la mia propria povertà?
Quando rifletto sulla mia vita, mi rendo conto che i momenti di maggiore conforto e consolazione sono stati momenti in cui qualcuno mi ha detto: "Non posso toglierti il tuo dolore, non posso offrire una soluzione al tuo problema, ma posso prometterti che non ti lascerò solo e starò con te finché potrò e nel modo migliore di cui sarò capace". Vi è molta sofferenza e molto dolore nella nostra vita, ma quale benedizione quando non dobbiamo vivere da soli il nostro dolore e la nostra sofferenza. Questo è il dono della compassione.
Vivere nello Spirito, Ed. Queriniana
Henri J. M. Nouwen (1932 – 1996), presbitero cattolico, teologo e scrittore olandese

venerdì 12 luglio 2019

Senza valori e principi non rimane nulla


Un giorno chiesero il grande matematico persiano Al Khwarizmi (780 ca. – 850 ca.) come potesse essere definito il valore di un essere umano.
Egli rispose:
"Se ha etica, allora il suo valore è 1.
Se in più è intelligente aggiungete uno zero e il suo valore sarà 10.
Se è ricco aggiungete un altro zero e il suo valore sarà 100.
Se, oltre ciò, è una bella persona, aggiungete ancora un altro zero e il suo valore sarà 1000.
Però se perde l'1, che corrisponde all'etica, perderà tutto il suo valore perché gli rimarranno solo gli zeri".

È molto semplice: senza valori etici e solidi principi non rimane nulla. Si è solamente delinquenti, corrotti e cattive persone.

mercoledì 10 luglio 2019

La più bella predica è l'esempio


Un giorno, uscendo dal convento, san Francesco incontrò frate Ginepro. Era un frate semplice e buono e san Francesco gli voleva molto bene. Incontrandolo gli disse: “Frate Ginepro, vieni, andiamo a predicare”. “Padre mio” rispose, “sai che ho poca istruzione. Come potrei parlare alla gente?”.
Ma poiché san Francesco insisteva, frate Ginepro acconsentì. Girarono per tutta la città, pregando in silenzio per tutti coloro che lavoravano nelle botteghe e negli orti. Sorrisero ai bambini, specialmente a quelli più poveri. Scambiarono qualche parola con i più anziani. Accarezzarono i malati. Aiutarono una donna a portare un pesante recipiente pieno d’acqua. Dopo aver attraversato più volte tutta la città, san Francesco disse: “Frate Ginepro, è ora di tornare al convento”. “E la nostra predica?”. “L’abbiamo fatta… L’abbiamo fatta” rispose sorridendo il santo.

Se hai in tasca il profumo del muschio non hai bisogno di raccontarlo a tutti. Il profumo parlerà in tua vece. La predica migliore sei tu.

Racconto apocrifo riportato nel libro: C’è Qualcuno lassù, Torino 1993

Bruno Ferrero, prete salesiano italiano, scrittore



giovedì 4 luglio 2019

La menzogna ha una capacità immensa di costruire argomenti

Ho provato sulla mia pelle la dolorosa esperienza dell’assassinio attraverso il chiacchiericcio, la calunnia e la pubblica umiliazione e ho imparato che quando una persona ha deciso di distruggerti, non le mancheranno le parole, la cattiveria e l’ipocrisia; la menzogna ha una capacità immensa di costruire argomenti, prove e verità sulla sabbia. Quando tale è il comportamento degli uomini di Chiesa, e dei vescovi in particolare, il dolore è anche più profondo. Ma… dobbiamo restare calmi e in silenzio, chiedendo che la grazia non ceda mai al rancore, all'odio e alla sensazione dell’impotenza. Restiamo saldi nel nostro amore per Dio e per la sua Chiesa, nell'umiltà.
La forza del silenzio
Robert Sarah, cardinale e arcivescovo cattolico guineano

mercoledì 3 luglio 2019

La piccola fiammiferaia

Faceva un freddo terribile, nevicava e calava la sera - l'ultima sera dell'anno, per l'appunto - la sera di San Silvestro. In quel freddo, in quel buio, una povera bambinetta girava per le vie, a capo scoperto, a piedi nudi. Veramente, quand'era uscita di casa, aveva certe babbucce; ma a che le eran servite? Erano grandi grandi - prima erano appartenute a sua madre, e così larghe e sgangherate, che la bimba le aveva perdute, traversando in fretta la via, per scansare due carrozze, che s'incrociavano con tanta furia... Una non s'era più trovata, e l'altra se l'era presa un monello, dicendo che ne avrebbe fatto una culla per il suo primo figliuolo.

E così la bambina camminava coi piccoli piedi nudi, fatti rossi e turchini dal freddo: aveva nel vecchio grembiale una quantità di fiammiferi, e ne teneva in mano un pacchetto. In tutta la giornata, non era riuscita a venderne uno; nessuno le aveva dato un soldo; aveva tanta fame, tanto freddo, e un visetto patito e sgomento, povera creaturina... I fiocchi di neve le cadevano sui lunghi capelli biondi, sparsi in bei riccioli sul collo; ma essa non pensava davvero ai riccioli! Tutte le finestre scintillavano di lumi; per le strade si spandeva un buon odorino d'arrosto; era la vigilia del capo d'anno: a questo pensava.

Nell'angolo formato da due case, di cui l'una sporgeva innanzi sulla strada, sedette abbandonandosi, rannicchiandosi tutta, tirandosi sotto le povere gambine. Il freddo la prendeva sempre più, ma non osava tornare a casa: riportava tutti i fiammiferi e nemmeno un soldino. Il babbo l'avrebbe certo picchiata; e, del resto, forse che non faceva freddo anche a casa? Abitavano proprio sotto il tetto, ed il vento ci soffiava tagliente, sebbene le fessure più larghe fossero turate, alla meglio, con paglia e cenci.

Le sue manine erano quasi morte dal freddo. Ah, quanto bene le avrebbe fatto un piccolo fiammifero! Se si arrischiasse a cavarne uno dallo scatolino, ed a strofinarlo sul muro per riscaldarsi le dita... Ne cavò uno, e trracc! Come scoppiettò! come bruciò! Mandò una fiamma calda e chiara come una piccola candela, quando la parò con la manina. Che strana luce! Pareva alla piccina d'essere seduta dinanzi ad una grande stufa di ferro, con le borchie e il coperchio di ottone lucido: il fuoco ardeva così allegramente, e riscaldava così bene!... La piccina allungava già le gambe, per riscaldare anche quelle... ma la fiamma si spense, la stufa scomparve, - ed ella si ritrovò là seduta, con un pezzettino di fiammifero bruciato tra le mani.

Ne accese un altro: anche questo bruciò, rischiarò e il muro, nel punto in cui la luce batteva, divenne trasparente come un velo. La bambina vide proprio dentro nella stanza, dove la tavola era apparecchiata, con una bella tovaglia d'una bianchezza abbagliante, e con finissime porcellane; nel mezzo della tavola, l'oca arrostita fumava, tutta ripiena di mele cotte e di prugne. Il più bello poi fu che l'oca stessa balzò fuor del piatto, e, col trinciante ed il forchettone piantati nel dorso, si diede ad arrancare per la stanza, dirigendosi proprio verso la povera bambina... Ma il fiammifero si spense, e non si vide più che il muro opaco e freddo.

Accese un terzo fiammifero. La piccolina si trovò sotto ad un magnifico albero, ancora più grande e meglio ornato di quello che aveva veduto, a traverso ai vetri dell'uscio, nella casa del ricco negoziante, la sera di Natale. Migliaia di lumi scintillavano tra i verdi rami, e certe figure colorate, come quelle che si vedono esposte nelle mostre dei negozii, guardavano la piccina.

Ella stese le mani... e il fiammifero si spense. I lumicini di Natale volarono su in alto, sempre più in alto; ed ella si avvide allora ch'erano le stelle lucenti. Una stella cadde, e segnò una lunga striscia di luce sul fondo oscuro del cielo.

"Qualcuno muore!" - disse la piccola, perchè la sua vecchia nonna (l'unica persona al mondo che l'avesse trattata amorevolmente, - ma ora anche essa era morta,) la sua vecchia nonna le aveva detto: "Quando una stella cade, un'anima sale a Dio."

Strofinò contro il muro un altro fiammifero, che mandò un grande chiarore all'intorno; ed in quel chiarore la vecchia nonna apparve, tutta raggiante, e mite, e buona...

"Oh, nonna!" - gridò la piccolina: "Prendimi con te! So che tu sparisci, appena la fiammella si spegne, come sono spariti la bella stufa calda, l'arrosto fumante, e il grande albero di Natale!" - Presto presto, accese tutti insieme i fiammiferi che ancora rimanevano nella scatolina: voleva trattenere la nonna. I fiammiferi diedero tanta luce, che nemmeno di pieno giorno è così chiaro: la nonna non era stata mai così bella, così grande...

Ella prese la bambina tra le braccia, ed insieme volarono su, verso lo Splendore e la Gioia, su, in alto, in alto, dove non c'è più fame, nè freddo, nè angustia, - e giunsero presso Dio.

Ma nell'angolo tra le due case, allo spuntare della fredda alba, fu veduta la piccina, con le gotine rosse ed il sorriso sulle labbra, - morta assiderata nell'ultima notte del vecchio anno. La prima alba dell'anno nuovo passò sopra il cadaverino, disteso là, con le scatole dei fiammiferi, di cui una era quasi tutta bruciata. "Ha cercato di scaldarsi..." - dissero. Ma nessuno seppe tutte le belle cose che aveva vedute; nessuno seppe tra quanta luce era entrata, con la vecchia nonna, nella gioia della nuova Alba.
Nuove fiabe, 1848

Hans Christian Andersen (1805 – 1875) scrittore e poeta danese

martedì 25 giugno 2019

Dio e i biscotti


Una mamma si preoccupava di fondare le basi della vita morale del suo bambino approfittando della "sparizione" di alcuni dolci conservati nella credenza del salotto.
«Lo sapevi che quando hai rubato la tortina, Dio era lì con te, anche se io non vedevo?».
«Certo» fece il bambino annuendo vigorosamente.
Ma i dolci continuarono a sparire. Pazientemente la mamma riprese:
«Lo sapevi che in quel momento Dio ti vedeva?».
«Certo».
«E che cosa pensi che ti abbia detto, mentre tu rubavi il dolce?».
«Mi ha detto: Qui ci siamo soltanto io e te, prendine due!».

Aveva ragione il bambino, naturalmente. Dio non fa la guardia a niente, neanche ai cimiteri dove molti lo hanno relegato. E dovendo scegliere tra i biscotti e me, senza ombra di dubbio Dio sceglie me. Quante «maschere» vengono affibbiate a Dio da educatori che hanno tanta buona volontà? Chi in seguito libererà i bambini da immagini di un Dio «guardone», giudice terribile o Babbo Natale? 
Altri, la maggioranza, hanno semplicemente scelto il silenzio. Un tempo si diceva che i due argomenti tabù tra genitori e figli fossero il sesso e Dio. Oggi è rimasto solo Dio. Gesù, nel Vangelo, si arrabbia molto con quelli che impediscono ai bambini di avvicinarsi a lui: «Lasciate che i bambini vengano a me».
Catechismo con i figli? Sì per piacere!, Ed. Elledici, 2004
Bruno Ferrero, prete salesiano italiano, scrittore


lunedì 24 giugno 2019

Il sacramento del mozzicone di sigaretta


Nel fondo del cassetto si nasconde un piccolo tesoro. Un medaglione con un piccolo mozzicone di sigaretta. Di paglia e di fumo giallognolo, come si usa fumare nel sud del Brasile. Fin qui niente di strano. Tuttavia, questo insignificante mozzicone di sigaretta ha una storia unica. Parla al cuore. Possiede un valore evocativo di infinita nostalgia.
Era l'11 agosto del 1965. Monaco, in Germania. Ricordo bene: là fuori le case festeggiavano il sole splendente dell'estate europea; fiori multicolori esplodevano nei parchi e facevano capolino, ridenti, dalle finestre. Sono le due del pomeriggio. Il postino mi porta la prima lettera dalla patria. Essa viene carica di nostalgia lasciata lungo il cammino percorso. La apro con impazienza. Hanno scritto tutti quelli di casa. Sembra quasi un giornale. Vi aleggia un mistero: «Sarai già a Monaco quando leggerai queste righe. Uguale a tutte le altre, questa lettera, eppure diversa dalle altre, ti porta una bella notizia, una notizia che, se vista con l'occhio della fede, è davvero augurale. Dio ha voluto da noi, pochi giorni fa, un tributo d'amore, di fede e di riconoscente ringraziamento. Egli è disceso in mezzo alla nostra famiglia. Ci ha guardato uno per uno e ha scelto per sé il più perfetto, il più santo, il più maturo, il migliore di tutti, il più vicino a Lui, il nostro amato papà. Caro, Dio non ce l'ha portato via, ma l'ha lasciato ancor più tra noi. Dio non ha preso Papà solo per sé, ma l'ha lasciato ancor più per noi. Egli non ha strappato papà dall'allegria delle nostre feste, ma l'ha conficcato più in profondo nella memoria di tutti noi. Dio non ha rubato papà dalla nostra presenza, ma ce l'ha dato più presente. Egli non l'ha tolto, ma l'ha lasciato. Papà non è partito, ma è arrivato. Papà non se n'è andato, ma è venuto per essere ancora di più Padre, per essere presente oggi e sempre, qui in Brasile con tutti noi, con te in Germania, con Ruy e Clodovís a Lovanio e con Waldemar negli Stati Uniti ».
E la lettera continuò con la testimonianza di ogni fratello, per cui la morte, piombata nel cuore della vita di un uomo di 54 anni, era celebrata come sorella e come festa della comunione che univa la famiglia dispersa in tre paesi diversi. Dall'agitazione delle lacrime scaturiva una profonda serenità. La fede illumina ed esorcizza l'assurdità della morte. Essa è il vero “dies natalis” dell'uomo. Perciò, nelle catacombe del vecchio convento, alla presenza di tanti vivi del passato, da Guglielmo d'Ockham fino all'umile infermiere che, da qualche giorno, era appena nato a Dio, celebrai, per tre giorni consecutivi, la messa santa di Natale per colui che, laggiù, in patria, aveva già celebrato il suo Natale definitivo. E che strana profondità acquistavano quei vecchi testi di fede: “puer natus est nobis ...”.
Il giorno seguente, nella busta che mi annunciava la morte, scorsi un segno della vita di colui che ci aveva dato la vita in tutti i sensi, e che mi era passato inosservato: il mozzicone ingiallito di una sigaretta di paglia. Era stata l'ultima che aveva fumato, qualche momento prima di un infarto al miocardio che l'aveva liberato definitivamente da questa stanca esistenza. L'intuizione profondamente femminile e sacramentale di una sorella la spinse a mettere quel mozzicone di sigaretta nella busta.
Da quel momento, il mozzicone di sigaretta non è più un mozzicone di sigaretta. É un sacramento, è vivo e parla della vita. Accompagna la vita. Il suo caratteristico colore, il suo odore forte e la sua punta bruciata lo fanno sembrare ancora acceso nella nostra vita. Perciò ha un valore inestimabile. Appartiene al cuore della vita e alla vita del cuore. Rammenta e fa presente la figura del Padre che adesso ormai è diventato, col passare degli anni, un archetipo familiare e un punto di riferimento per i valori fondamentali di tutti i fratelli. “Dalla sua bocca abbiamo ascoltato, dalla sua vita abbiamo imparato: chi non vive per servire non serve per vivere. É un ammonimento che abbiamo posto per tutti noi sul frontespizio della sua tomba.
I sacramenti della vita, Roma, Ed. Borla, 1985
Leonardo Boff, teologo e scrittore brasiliano

sabato 22 giugno 2019

I fiori del desiderio

Un giovane monaco, guardando un prato magnificamente fiorito, disse al suo anziano:
- É dura per noi monaci la castità. É come avere davanti una moltitudine di splendidi fiori profumati senza poterne cogliere nemmeno uno...
Un uomo sposato che passava di lì, udendo queste parole, osservò: - E che dire di noi uomini sposati? Abbiamo colto un fiore, ne abbiamo assaporato il profumo, ed è forte per noi il desiderio di conoscerne altri. La castità non è forse più difficile per noi?
Una donna, ascoltati questi discorsi, disse:
- Quale sofferenza più grande che non essere colte da chi e quando realmente vorremmo?
Il Signore, udendo i tre, pensò fra sé: «Hanno ragione tutti e tre. La castità è difficile per tutti. Per questo ho promesso ai puri di cuore che mi vedranno in volto».

domenica 16 giugno 2019

Tu non sei i tuoi anni


Tu non sei i tuoi anni,
nè la taglia che indossi,
non sei il tuo peso
o il colore dei tuoi capelli.
Non sei il tuo nome,
o le fossette sulle tue guance,
sei tutti i libri che hai letto,
e tutte le parole che dici
sei la tua voce assonnata al mattino
e i sorrisi che provi a nascondere,
sei la dolcezza della tua risata
e ogni lacrima versata,
sei le canzoni urlate così forte,
quando sapevi di esser tutta sola,
sei anche i posti in cui sei stata
e il solo che davvero chiami casa,
sei tutto ciò in cui credi,
e le persone a cui vuoi bene,
sei le fotografie nella tua camera
e il futuro che dipingi.
Sei fatta di così tanta bellezza
ma forse tutto ciò ti sfugge
da quando hai deciso di esser
tutto quello che non sei.

Erin Hanson, scrittrice statunitense

sabato 8 giugno 2019

Aforismi Predica

La predicazione è un'arte, ed in questa, come in tutte le altre arti, i cattivi esecutori superano di gran lunga quelli buoni. (Aldous Huxley, I diavoli di Loudun)

Una delle prove della divinità del Vangelo è data dalle prediche alle quali è sopravvissuto.
(Anonimo)

Compatisci il povero predicatore e prega per lui, perché con le sue piccole labbra cerca di dire cose grandi. (Bruce Marshall)

Penso al linguaggio che usiamo noi credenti nella preghiera, nella predicazione, nelle varie forme di comunicazione della fede: è talora ripetitivo, convenzionale, senza vivacità e senza mordente. (Card. Carlo Maria Martini)

Il grande predicatore più che contento di sè stentava a credere che quell'uomo avesse cambiato vita e si fosse convertito proprio in seguito ad una sua vibrante omelia. Incuriosito gli chiese quale pensiero, quale frase, quali parole lo avessero colpito di più: «Quando lei, reverendo, dopo una breve pausa ha concluso: "...detto questo, ora passiamo ad altro!"». (Francesco Pignatelli)

Non c’è nessun luogo in cui i volti sono così inespressivi come in chiesa durante le prediche. (François Mauriac)

Per me la predicazione efficace del sacerdote è sempre stata la sua vita. Un buon prete non ha nulla da dirmi: io lo guardo e ciò mi basta. (Fran­çois Mauriac)

Non giudicate Dio dalla balbuzie dei suoi ministri. (François Mauriac)

Una rosa non ha bisogno di predicare. Si limita a diffondere il proprio profumo. Il suo sermone è la sua stessa fragranza. (Mahatma Gandhi)

Il segreto di una buona predica è di avere un buon inizio ed una buona fine e poi che le due cose siano vicine il più possibile. (George Burns)

Non lasciare che i tuoi propositi tradiscano le tue parole, perché non succeda, quando parli in chiesa, che qualcuno possa dirti, "Perché non metti in pratica quello che predichi?" (San Girolamo)

Quando un prete predica, è come quando un innamorato scrive (…) È la nostra poesia, la nostra lettera d’amore, il nostro canto. (Don Giuseppe De Luca)

La Bibbia è decisamente infallibile, altrimenti come avrebbe potuto sopravvivere a tanti anni di cattiva predicazione? (Leonard Ravenhill)

Predica bene chi vive bene. (Miguel de Cervantes)

Ci vuole calore, ci vuole anima nel predicare. Il popolo ha bisogno di sapere che il sacerdote vive la verità che predica. (Don Primo Mazzolari)

Chi ben vive, ben predica; perché gli esempi contano più delle parole. (Proverbio)

Anche nella predica ci va un po’ di sale. (Proverbio)

Il buon predicatore predica a se stesso e poi agli altri. (Proverbio)

I buoni predicatori danno frutti e non fiori. (Proverbio)

Chi predica al deserto perde il fiato e il sermone. (Proverbio)

Pretica, papa, alli curnuti ca li pretichi so' pirduti / Prete, se predichi alle canaglie le prediche sono vane! (Proverbio salentino)

Signore, fa’ che impari a predicarti senza predicare. (John Henry Newman)

I giovani non hanno bisogno di prediche, i giovani hanno bisogno, da parte degli anziani, di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo. (Sandro Pertini)

Le prediche brevi sono le più gradite: se buone, si ascoltano con gusto; e se cattive, annoiano per poco tempo. (San Tommaso d’Aquino)

A proposito di una predica noiosa, lo scrittore francese Duclos esclamò: - Piuttosto che stare a sentirla tutta, mi sarei convertito alla prima parola!

Una buona predica - affermava scherzando un prete - deve avere le tre caratteristiche della minigonna: deve essere corta, aderente alla vita ...aperta al mistero!

domenica 19 maggio 2019

Ovviamente, la gente non vuole la guerra...


Ovviamente, la gente non vuole la guerra. Perché mai un contadino zoticone dovrebbe rischiare la vita in guerra quando il massimo che ne può ottenere è tornare alla sua fattoria tutto intero. Naturalmente, la gente comune non vuole la guerra; né in Russia, né in Inghilterra, né America, e per quello neanche in Germania. Questo è ben chiaro. Ma, dopo tutto, sono i capi della nazione a determinarne la politica, ed è sempre piuttosto semplice trascinare la gente dove si vuole, sia all'interno di una democrazia, che in una dittatura fascista o in un parlamento o in una dittatura comunista [...].
Che abbia o meno diritto a dire la propria, la gente può sempre essere trascinata dai propri leader. È facile. Tutto quello che c’è da fare è dire alla gente che sta per essere attaccata, denunciare i pacifisti per mancanza di patriottismo e perché mettono in pericolo il Paese. Funziona allo stesso modo in ogni Paese.

Hermann Göring (1893 – 1946) politico, generale e gerarca nazista tedesco

Citato nel libro di Clara Usón, La figlia, Ed. Sellerio, che riporta i colloqui che lo psicologo Gustave Gilbert ebbe col gerarca nazista durante il processo di Norimberga, nel 1946.

sabato 18 maggio 2019

Se un giorno mi vedrai vecchio...


Lettera di un padre al figlio


Se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi... abbi pazienza, ricorda il tempo che ho trascorso ad insegnartelo.

Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose, non mi interrompere... ascoltami, quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentavi.

Quando non voglio lavarmi non biasimarmi e non farmi vergognare... ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno.

Quando vedi la mia ignoranza per le nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico, io ho avuto tutta la pazienza per insegnarti l'abc.

Quando ad un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso... dammi il tempo necessario per ricordare e se non ci riesco non ti innervosire: la cosa più importante non è quello che dico, ma il mio bisogno di essere con te ed averti lì che mi ascolti.

Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo non trattarmi come fossi un peso, vieni verso di me con le tue mani forti nello stesso modo con cui io l'ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi.

Quando dico che vorrei essere morto... non arrabbiarti, un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo. Cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive.

Un giorno scoprirai che nonostante i miei errori ho sempre voluto il meglio per te e che ho tentato di spianarti la strada.

Dammi un po' del tuo tempo, dammi un po' della tua pazienza, dammi una spalla su cui poggiare la testa allo stesso modo in cui io l'ho fatto per te.

Aiutami a camminare, aiutami a finire i miei giorni con amore e pazienza, in cambio io ti darò un sorriso e l'immenso amore che ho sempre avuto per te.

Ti amo, figlio mio.

Papà

venerdì 17 maggio 2019

"...scostati un po' dal sole!"

Nicolas Andre Monsiau, Alexander und Diogenes (1818)

Alessandro Magno era andato in Grecia e ormai era giunto a Corinto.
Poiché molti statisti e filosofi erano andati da Alessandro a congratularsi con lui, questi pensò che anche Diogene di Sinope, che era a Corinto, avrebbe fatto altrettanto. Ma dal momento che il filosofo non gli diede la minima attenzione, continuando a godersi il suo tempo libero nel sobborgo di Craneion, Alessandro si recò di persona a rendergli visita; e lo trovò disteso al sole. Al giungere di tanti uomini egli si levò un poco a sedere e guardò fisso Alessandro. Questi lo salutò e gli rivolse la parola chiedendogli se aveva bisogno di qualcosa; e quello: "Scostati un po' dal sole". A tale frase si dice che Alessandro fu così colpito e talmente ammirò la grandezza d'animo di quell'uomo, che pure lo disprezzava, che mentre i compagni che erano con lui, al ritorno, deridevano il filosofo e lo schernivano, disse: "Se non fossi Alessandro, io vorrei essere Diogene".»

Vite parallele. Vita di Alessandro, 14
Plutarco (46/48 – 125/127 d.C.) scrittore e filosofo greco