“Sono un cittadino, non di Atene o della Grecia, ma del mondo" (Socrate)
Se è vero quel che dicono i filosofi sulla parentela tra Dio e gli uomini, che cosa resta da fare a costoro se non seguire l'esempio di Socrate e cioè non rispondere mai a chi vuole sapere la loro città: "Sono cittadino d'Atene o cittadino di Corinto", ma "cittadino dell'universo"? Perché dici di essere ateniese e non semplicemente di quell'angolo di terra in cui fu gettato il tuo povero corpo al momento della nascita? Ovvero è chiaro che derivi da un principio superiore, che abbraccia non solo quell'angolo di terra, ma anche l'intera tua casa, e, in una parola, il paese dove si è perpetuata fino a te la stirpe dei tuoi antenati, e di qui, se mai, ti chiami ateniese o corinzio? Chi dunque ha penetrato l'organizzazione dell'universo e ha capito che "di tutte le cose la più grande, la più importante, la più universale è la società formata dagli uomini e da Dio, e che da lui le forze generatrici scendono non solo fino a mio padre e a mio nonno, ma a tutto ciò che sulla terra nasce e cresce, specialmente agli esseri ragionevoli, giacché essi soli per natura partecipano alla comunione divina, essendo legati a Dio per la ragione", perché non dirà di essere cittadino dell'universo?
Primo libro delle Diatribe, capitolo 9