martedì 27 settembre 2016

Come la sabbia tra le dita


Il tempo scivola via 
come la sabbia tra le dita,
restano granelli di ricordi 
incastrati fra cuore e anima.

Nel suo passare via ne comprendi il senso;
a volte con sollievo, spesso con tormento.
Si intrecciano passato e presente,
i sogni belli con quelli brutti.

Conta i granelli, sono davvero tanti.
Trafiggono il cuore, feriscono l'anima.
Portano sollievo e qualche rimpianto.
Poi ne guardi il cuore, ne senti il profumo.

Volta pagina, 
non è finita.
Tra i ricordi ieri e quelli di domani
vivi il presente.

Silvana Stremiz, poetessa e scrittrice italiana 

Insegnami il tempo

Dio mio,
insegnami ad usare bene il tempo che tu mi dai
e ad impiegarlo bene, senza sciuparne.

Insegnami a prevedere senza tormentarmi,
insegnami a trarre profitto dagli errori passati,
senza lasciarmi prendere dagli scrupoli.

Insegnami ad immaginare l'avvenire
senza disperarmi che non possa essere
quale io l'immagino.

Insegnami a piangere sulle mie colpe
senza cadere nell'inquietudine.

Insegnami ad agire senza fretta,
e ad affrettarmi senza precipitazione.

Insegnami ad unire la fretta alla lentezza,
la serenità al fervore, lo zelo alla pace.

Aiutami quando comincio,
perché è  proprio allora che io sono debole.

Veglia sulla mia attenzione quando lavoro,
e soprattutto riempi Tu i vuoti delle mie opere.

Fa' che io ami il tempo
che tanto assomiglia alla Tua grazia
perché esso porta tutte le opere alla loro fine
e alla loro perfezione
senza che noi abbiamo l'impressione
di parteciparvi in qualche modo.

Jean Guitton (1901 – 1999), filosofo e scrittore francese

Signore, fammi buon amico di tutti


Signore, fammi buon amico di tutti,
fa' che la mia persona ispiri fiducia
a chi soffre e si lamenta.
A chi cerca luce lontano da Te,
a chi vorrebbe cominciare e non sa come,
a chi vorrebbe confidarsi e non se ne sente capace.

Signore aiutami,
perché non passi accanto a nessuno
con il volto indifferente,
con il cuore chiuso,
con il passo affrettato.

Signore, aiutami ad accorgermi subito
di quelli che mi stanno accanto,
di quelli che sono preoccupati e disorientati,
di quelli che soffrono senza mostrarlo,
di quelli che si sentono isolati senza volerlo.

Signore, dammi una sensibilità
che sappia andare incontro ai cuori.
Signore, liberami dall'egoismo,
perché ti possa servire,
perché ti possa amare,
perché ti possa ascoltare,
in ogni fratello che mi fai incontrare.

Vincenzo de’ Paoli, [ Vincent de Paul] (1581 – 1660), santo, presbitero francese, fondatore della Congregazione della Missione e delle Suore Figlie della Carità

giovedì 15 settembre 2016

I ciechi e l’elefante


C’erano una volta sei saggi che vivevano insieme in una piccola città.
I sei saggi erano ciechi. Un giorno fu condotto in città un elefante. I sei volevano conoscerlo, ma come avrebbero potuto?
“Io lo so”, disse il primo saggio , “ lo toccheremo.”
“Buona idea”, dissero gli altri ,”così sapremo com’è un elefante.”
I sei andarono dall’elefante.
Il primo gli toccò l’orecchio grande e piatto. Lo sentì muoversi lentamente avanti e indietro.“L’elefante è come un ventaglio”, proclamò.
Il secondo toccò le gambe dell’elefante. “E’ come un albero”, affermò.
“Siete entrambi in errore”, disse il terzo. “L’elefante è simile a una fune”. Egli stava toccando la coda dell’elefante.
Subito dopo il quarto toccò con la mano la punta aguzza della zanna .”L’elefante è come una lancia”, esclamò.
“No, no”, disse il quinto , “è simile ad un’alta muraglia”. Aveva toccato il fianco dell’elefante. Il sesto aveva afferrato la proboscide. “Avete torto”, disse, “l’elefante è come un serpente”.
“No, come una fune”.
“Serpente!”
“Muraglia!”
“Avete torto!” “Ho ragione!”

I sei ciechi per un’ora continuarono a urlare l’uno contro l’altro e non riuscirono a scoprire come fosse fatto un elefante!

Morale della storia: ognuno  vede i problemi a modo suo, tende a non ascoltare gli altri e non riesce quasi mai a raffigurarsi l’intera realtà.

Questa è la versione rielaborata e più breve del seguente racconto indiano...

Successe in India, tanto tempo fa.
Una volta nel parco di Anatapindika, nella città di Jetavana presso Savatthi, religiosi, dotti e scienziati litigavano furiosamente, si accapigliavano, si offendevano. Ognuno pensava di dire ciò che era giusto e ciò che era sbagliato e ognuno aveva l’idea che era giusto ciò che diceva lui e sbagliato quello che diceva un altro. Ognuno era così convinto di essere dalla parte della ragione che neanche ascoltava quello che l’altro aveva da dire e appena si accorgeva che voleva dire qualcosa di diverso lo offendeva dicendo: «È giusto come la penso io, la tua idea è sbagliata». E l’altro lo stesso: «Ma che dici? La mia è l’idea giusta, è la tua che è sbagliata». E litigavano ancora. Per lo più litigavano per un fatto: che uno diceva che l’universo è grande grande grande, così grande che praticamente non ha né una fine e né un inizio. Praticamente: l’universo è infinito. Ma l’altro non era d’accordo perché diceva che invece il mondo è finito e faceva un disegno del villaggio in cui vivevano per dimostrarlo. Ma non litigavano solo per questo. C’era chi diceva che gli animali hanno un’anima e chi diceva di no. Uno che il tempo non ha né un inizio e né una fine – come quell’altro aveva detto dell’universo – e l’altro santone si stropicciava la barba e iniziava a contare «uno due tre… mille… vedi che si può contare il tempo? Quindi se si può contare con i numeri a un certo punto finirà!» Nonostante fossero tutte persone molto colte e istruite ognuno però usava la sua sapienza per offendere con le parole l’altro. Uno diceva: «Sei uno stupido. La terra gira, altro che ferma». E l’altro: «Se gira allora tutto dovrebbe cambiare sempre». Poi si davano dello sciocco perché per uno la terra era rotonda e per un altro piatta. Insomma in questa città, che si chiamava Savatthi, regnava una grande confusione. Ma per fortuna tra tutti i saggi ce n’era uno di gran lunga più saggio. Tanto saggio da non cadere nei facili tranelli delle discussioni, da vivere in disparte e con modestia ma sempre disposto ad accettare l’idea espressa da un’altra persona. Questa sua serenità lo rendeva ancora più saggio ed era da tutti riconosciuto come un saggio dei saggi. Anzi diciamo pure il saggio per eccellenza. Ma il nostro dotto amico, saputo di quello strano conflitto, si era molto contrariato perché pensava che era buffo che persone così intelligenti e profonde non riuscissero a trovare un accordo sulla loro ricerca di verità e che fossero convinte che la loro verità fosse così giusta da offendere quella dell’altro. Avrebbe potuto intervenire anche lui cercando di capire cosa diceva uno e cosa l’altro, ma rendendosi conto che non sarebbe servito a nulla entrare nella discussione decise di raccontare una storia che li aiutasse a capire. La storia che gli raccontò era quella di un gruppo di ciechi e di un elefante. E la storia diceva così. Cari monaci, un re in un tempo molto antico, in questa stessa città mandò a chiamare tutti coloro che erano nati ciechi. Dopo che questi si furono raccolti in una piazza mandò a chiamare il proprietario di un elefante a cui fece portare in piazza l’animale. Poi chiamando a uno a uno i ciechi diceva loro: questo è un elefante, secondo te a cosa somiglia? E uno diceva una caldaia, un altro un mantice a seconda della parte dell’animale che gli era stata fatta toccare. Un altro toccava la proboscide e diceva il ramo di un albero. Per uno le zanne erano un aratro. Per un altro il ventre era un granaio. Chi aveva toccato le zampe le aveva scambiate per le colonne di un tempio, chi aveva toccato la coda aveva detto la fune di una barca, chi aveva messo la mano sull’orecchio aveva detto un tappeto. Quando ognuno incontrò l’altro dicendo quello a cui secondo lui somigliava l’animale discutevano animatamente perché ognuno era convinto assolutamente di quello che aveva toccato. Perciò se gli chiedevano a cosa somigliasse un elefante diceva l’oggetto che gli era sembrato di toccare. Naturalmente se uno diceva un mantice e l’altro una caldaia volavano gli insulti perché nessuno metteva in dubbio quello che aveva sentito toccando la parte del corpo dell’elefante. Il re vedendoli così convinti della loro sicurezza e litigiosi si divertiva un mondo. Ma alla fine decise di aiutarli a capire, e a due a due li invitava a toccare quello che aveva toccato l’altro e a chiedergli a cosa somigliasse. Così tutti dicevano quello che sosteneva l’altro e si invertivano i ruoli. Come se fosse stato un gioco li invitò a parlare tra di loro e alla fine tutti si formarono l’idea di come in realtà l’elefante fosse. Tutti furono d’accordo che era un mantice con un ramo di un albero nel mezzo e a lato un aratro con due tappeti sopra un granaio sostenuto da colonne e tirato da una fune di barca.
Dopo che il saggio Maestro ebbe finito di raccontare questa storia disse: «Miei saggi discepoli voi fate la stessa cosa. Non sapete ciò che è giusto e ciò che è sbagliato né ciò che è bene e ciò che è male e per questo litigate, vi accapigliate e vi insultate. Se ognuno di voi parlasse e ascoltasse l’altro contemporaneamente la verità vi apparirebbe come una anche se ha molte forme».

Parabola buddhista tratta dagli Udanda


Immagine: Francisco Goya,“La follia degli animali” incisione del 1820

domenica 11 settembre 2016

Gli uomini sono su per giù tutti uguali


Il delitto dell'ultimo prigioniero arrivato consisteva in una piccola osservazione che aveva fatto. Aveva detto che, a suo parere, gli uomini erano su per giù tutti uguali e che un uomo valeva l'altro, a parte gli abiti. Aveva detto che, a suo parere, se avessero denudato tutta la popolazione e avessero mandato in giro tra la folla uno straniero, questi non sarebbe riuscito a distinguere un re da un medicante, né un duca da un portiere d'albergo. A quel che sembrava, questo era un uomo il cui cervello non era stato ridotto in poltiglia da un'educazione idiota.
(Un americano alla corte di re Artù)

Mark Twain [Samuel Langhorne Clemens] (1835 – 1910), scrittore e docente statunitense

venerdì 9 settembre 2016

Appassionatevi alla vita


Ricordo i miei anni del ginnasio: un mare di dubbi.
Dubitavo perfino della mia capacità di affrontare la vita.
Che età difficile!
Hai paura di non essere accettato dagli altri,
dubiti del tuo charme, della tua capacità d'impatto con gli altri e non ti fai avanti.
E poi problemi di crescita, problemi di cuore...

Ma voi non abbiate paura, non preoccupatevi!
Se voi lo volete,
se avete un briciolo di speranza
e una grande passione
per gli anni che avete...
cambierete il mondo e non
lo lascerete cambiare agli altri.

Vivete la vita che state vivendo con una forte passione.
Non recintatevi dentro di voi circoscrivendo la vostra vita
in piccoli ambiti egoistici, invidiosi, incapaci di aprirsi agli altri.
Appassionatevi alla vita perché è dolcissima.
Mordete la vita!

Non accantonate i vostri giorni, le vostre ore,
le vostre tristezze con quegli affidi malinconici ai diari.
Non coltivate pensieri di afflizione, di chiusura, di precauzioni.
Mandate indietro la tentazione di sentirvi incompresi.
Non chiudetevi in voi stessi, ma sprizzate gioia da tutti i pori.
Bruciate... perché quando sarete grandi potrete scaldarvi
ai carboni divampati nella vostra giovinezza.

Incendiate... non immalinconitevi.
Perché se voi non avete fiducia gli adulti che vi vedono saranno più infelici di voi.
Coltivate le amicizie, incontrate la gente.
Voi crescete quanto più numerosi sono gli incontri con la gente,
quante più sono le persone a cui stringete la mano.
Coltivate gli interessi della pace, della giustizia,
della solidarietà, della salvaguardia dell'ambiente.
Il mondo ha bisogno di giovani critici.

Vedete! Gesù Cristo ha disarmato per sempre gli eserciti quando ha detto:
"rimetti la spada nel fodero, perché chi di spada ferisce, di spada perisce".
Ma noi cristiani non siamo stati capaci di fare entrare
nelle coscienze questo insegnamento di Gesù.
Diventate voi la coscienza critica del mondo.  Diventate sovversivi.
Non fidatevi dei cristiani "autentici" che non incidono la crosta della civiltà.
Fidatevi dei cristiani "autentici sovversivi"  come San Francesco d'Assisi
che ai soldati schierati per le crociate sconsigliava di partire.
Il cristiano autentico è sempre un sovversivo;
uno che va contro corrente non per posa ma perché sa
che il Vangelo non è omologabile alla mentalità corrente.

E verranno i tempi in cui non ci saranno più né spade e né lance,
né tornado e né aviogetti, né missili e né missili-antimissili.
Verranno questi tempi.
E non saremo più allucinati da questi spettacoli di morte!
Non so se li ricordate, se li avete letti  in qualche vostra antologia
quei versi di Neruda in cui egli si chiede cosa sia la vita.
Tunnel oscuro, - dice - tra due vaghe chiarità
o nastro d'argento su due abissi d'oscurità?
Quando ero parroco li citai durante una messa con i giovani.
Poi chiesi: perché la vita non può essere un nastro d'argento
tra due vaghe chiarità, tra due splendori? Non potrebbe essere così la vostra vita?

Vi auguro davvero che voi la vita possiate interpretarla in questo modo bellissimo.
                                             
Don Tonino Bello, vescovo italiano (1935 - 1993)

mercoledì 7 settembre 2016

"Preghiera semplice" della famiglia



Signore, fa’ della nostra famiglia uno strumento della tua pace:
dove prevale l'egoismo, che portiamo amore,

dove domina la violenza, che portiamo tolleranza,
dove scoppia la vendetta, che portiamo riconciliazione,

dove serpeggia la discordia, che portiamo comunione,
dove regna l'idolo del denaro, che portiamo libertà dalle cose,

dove c’è scoraggiamento, che portiamo fiducia,
dove c'è sofferenza, che portiamo consolazione,

dove c'è solitudine, che portiamo compagnia,
dove c’è tristezza, che portiamo gioia,
dove c'è disperazione, che portiamo speranza.

O Maestro, fa' che la nostra famiglia non cerchi tanto di accumulare, quanto di donare,
non si accontenti di godere da sola ma sappia condividere.

Perché c'è più gioia nel dare che nel ricevere,
nel perdonare che nel prevalere,
nel servire che nel dominare.

Così costruiremo insieme una società solidale e fraterna.
Amen


Credo nella famiglia

Credo nella famiglia, o Signore:
quella che è uscita dal tuo disegno creativo,
fondata sulla roccia dell’amore eterno e fecondo;
Tu l’hai scelta come tua dimora tra noi,
Tu l’hai voluta come culla della vita.

Credo nella famiglia, o Signore:
anche quando nella nostra casa
entra l’ombra della croce,
quando l’amore perde il fascino originario,
quando tutto diventa arduo e pesante.

Credo nella famiglia, o Signore:
come segno luminoso di speranza
in mezzo alle crisi del nostro tempo;
come sorgente di amore e di vita,
come contrappeso alle molte aggressioni
di egoismo e di morte.

Credo nella famiglia: o Signore: come la mia strada
verso la piena realizzazione umana
come la mia chiamata alla santità,
come la mia missione per trasformare il mondo
a immagine del tuo Regno.
Amen.

Enrico Masseroni, arcivescovo di Vercelli


Beati voi che siete una famiglia!

Beati perché siete la culla dell’amore, dove ci si ama,
dove, se vivete l’uno per l’altro, diventate una sola carne.
Beati perché fate sprigionare l’amore che unisce:
voi siete il luogo in cui si impara fin da piccoli a vivere relazioni gratuite,
a diventare "dono" l’uno per l’altro.

Beati perché fate sbocciare la vita e date un futuro alla società.
Voi siete il luogo naturale dove avviene la procreazione delle nuove vite
e dove i figli possono crescere sereni e ricevere una educazione equilibrata.
Beati perché fate crescere le persone:
formate la loro personalità, le aiutate a crescere come "esseri in relazione",
le educate nella vita affettiva e nella socialità.

Beati perché educate i figli:
trasmettete loro i valori essenziali della convivenza civile,
quali la dignità della persona, la fiducia reciproca,
il buon uso della libertà, il dialogo, la solidarietà.

Beati perché consolate il vecchio e il malato;
siete l’unico ambiente in grado di offrire
un’accoglienza ricca di calore al bambino e al malato, al disabile e al vecchio.

Beati perché siete il "soggetto sociale" intermedio,
che garantisce il giusto rapporto tra il singolo e la società,
e aiutate le persone a non scivolare nell'individualismo che isola
e a non lasciarsi assorbire dal collettivismo che schiaccia.
Beati perché siete la cellula della società.

Da voi dipende il futuro della persona e della società.
Se muoiono le famiglie, muore la società. Se le famiglie sono sane, è sana anche la società.
Beati perché garantite la sopravvivenza della società,
contribuite all’edificazione della convivenza civile, promuovete la solidarietà sociale,
date un contributo originale al mondo della scuola, del lavoro, dell’economia e della politica.

E per le famiglie che hanno consacrato il loro amore con il sacramento del matrimonio, aggiungo:
"Beati voi, che siete famiglie cristiane!".
Beati perché siete un "Vangelo vivo":
in cui si può "leggere" il volto di Dio-Trinità, il suo amore per l’umanità,
l’amore paziente, eccedente, gratuito di Cristo per la Chiesa.

Beati perché siete le "cellule" vitali delle parrocchie,
costruite la Chiesa e fate crescere la parrocchia come "famiglia di famiglie".
Beati perché avete il dono di poter testimoniare,
annunciare e comunicare l’amore di Dio
per l’umanità e di Cristo per la Chiesa
attraverso i vostri gesti di amore, di perdono,
di accoglienza e di solidarietà, Cristo stesso accoglie, perdona e ama.

Beati perché siete la "piccola Chiesa",
in cui l'annuncio del Vangelo può essere da tutti vissuto
e verificato in maniera semplice e spontanea.

Beati perché avete la possibilità di portare il Vangelo nel contesto della vita di tutti i giorni,
soprattutto nelle situazioni vitali di gioia e dolore, di speranza e attesa,
dove si ripropongono i grandi interrogativi sulla vita.

Beati perché potete trasformare la vostra gioia di essere sposi
in preghiera di lode e di ringraziamento
e con essa potete affrontare i momenti del dolore e della sofferenza.

Lucio Soravito, vescovo di Adria-Rovigo


Preghiera della famiglia

Fa o Signore che nella nostra casa
quando si parla sempre ci si guardi negli occhi.
Non si sia mai soli o nell’indifferenza o nella noia:
i problemi degli altri non siano sconosciuti o ignorati;
chi abbia bisogno possa entrare e sia il benvenuto.
Il lavoro sia importante:
ma non più importante della gioia,
il cibo sia il momento di gioia insieme e di parola,
il riposo sia la pace del cuore oltre che del corpo;
la ricchezza più grande sia la gioia di essere insieme:
il più debole sia al centro della casa;
il più piccolo e il più vecchio siano i più amati;
il domani non faccia paura, perché Dio è sempre vicino.
Si renda grazie a Dio per tutto ciò che la vita offre
e che il Suo amore ci ha dato;
non si abbia paura di essere onesti
e di soffrire per gli altri;
il crocifisso esposto in casa non sia un portafortuna,
ma ricordi tutto questo:
la parrocchia e la chiesa siano sempre
l ’orizzonte più ampio;
la volontà di Dio sia fatta,
così che ciascuno segua la sua vocazione,
la strada indicata dal Signore.
Amen.

Armando Trasarti, vescovo di Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola


Dio, dal quale proviene ogni paternità in cielo e in terra, Padre, che sei Amore e Vita,
fa che ogni famiglia umana sulla terra diventi, mediante il tuo Figlio, Gesù Cristo, "nato da Donna",
e mediante lo Spirito Santo, sorgente di divina carità, un vero santuario della vita e dell'amore
per le generazioni che sempre si rinnovano.
Fa' che la tua grazia guidi i pensieri e le pene dei coniugi verso il bene delle loro famiglie
e di tutte le famiglie del mondo.
Fa' che le giovani generazioni trovino nella famiglia un forte sostegno per la loro umanità
e la loro crescita nella verità e nell'amore.
Fa' che l'amore, rafforzato dalla grazia del sacramento del matrimonio,
si dimostri più forte di ogni debolezza e di ogni crisi,
attraverso le quali, a volte, passano le nostre famiglie.
Fa' infine, te lo chiediamo per intercessione della Sacra Famiglia di Nazareth,
che la Chiesa in mezzo a tutte le nazioni della terra possa compiere fruttuosamente
la sua missione nella famiglia e mediante la famiglia.
Tu che sei la Vita, la Verità e l'Amore, nell'unità del Figlio e dello Spirito Santo.
Amen

Giovanni Paolo II (Per il Sinodo sulla famiglia, 1980)


Beata la famiglia

Beata la famiglia aperta alla vita
che accoglie i figli come un dono,
valorizza la presenza degli anziani,
è sensibile ai poveri e ai sofferenti.
Beata la famiglia che prega insieme
per lodare il Signore,
e affidargli preoccupazioni e speranze.
Beata la famiglia
che vive i propri legami nella libertà,
lasciando a tutti autonomia di crescita.
Beata la famiglia dove regna la pace
al suo interno e con tutti:
in lei mette radici la pace del mondo.
Beata la famiglia che vive
in sintonia con l'universo
e si impegna per la costruzione
di un mondo più umano.
Beata la famiglia in cui vivere è gioia,
allontanarsi è nostalgia,
tornare è festa.