Editoriale del “Giornale del sud”, 1981
Giuseppe Fava (1925 – 1984) scrittore, giornalista, drammaturgo e sceneggiatore italiano
domenica 31 gennaio 2016
Un concetto etico di giornalismo
Io ho un concetto etico di giornalismo. Un giornalismo fatto di verità, impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, sollecita la costante attuazione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo si fa carico di vite umane. Un giornalista incapace, per vigliaccheria o per calcolo, della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori che avrebbe potuto evitare, le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze, che non è stato capace di combattere.
martedì 26 gennaio 2016
La felicità senza invidia
Rendi ricchi i tuoi amici, arricchirai te stesso; rendi più potente la tua città, procurerai alleati a te stesso; considera la tua famiglia la tua patria, tuoi compagni i cittadini, tuoi figli gli amici, i tuoi figli come se fossero la tua stessa vita, e sforzati di vincerli tutti quanti facendo loro del bene. Infatti se nel far del bene supererai gli amici, neppure i nemici potranno resisterti. Se fai tutto quello che ti ho suggerito, sappilo bene, possiederai il bene più bello e prezioso esistente al mondo: la felicità senza invidia.
(Ierone)
Senofonte (430/425 a.C. circa – 355 circa), storico e mercenario greco
domenica 24 gennaio 2016
Aforismi Libertà
Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza. (Benjamin Franklin)
Un prigioniero è un predicatore della libertà. (Friedrich Hebbel, "Grido del Popolo" del 27 maggio 1916)
La libertà presenta molti difetti e la democrazia non é perfetta, ma noi non abbiamo mai costruito un muro per tenere dentro il nostro popolo... (John F. Kennedy, in occasione della sua visita a Berlino, nel 1963, allora divisa in due)
La libertà è come l’aria:
si vive nell’aria;
se l’aria è viziata, si soffre;
se l’aria è insufficiente, si soffoca;
se l’aria manca si muore. (Don Luigi Sturzo)
Chi non si muove non può rendersi conto delle proprie catene. (Rose Luxembourg)
Il modo migliore di evitare che un prigioniero scappi è assicurarsi che non sappia mai di essere in prigione. (Fëdor Dostoevskij)
L'uomo è condannato ad essere libero. (Jean Paul Sartre, L'essere e il nulla)
Nessuno è più inesorabilmente schiavo di coloro che falsamente credono di essere liberi. (Johann Wolfgang von Goethe)
La libertà è come l’aria:
si vive nell’aria;
se l’aria è viziata, si soffre;
se l’aria è insufficiente, si soffoca;
se l’aria manca si muore. (Don Luigi Sturzo)
La libertà, Sancio, è uno dei più preziosi doni che i cieli abbiano mai dato agli uomini; né i tesori che racchiude la terra né che copre il mare sono da paragonare ad essa; per la libertà, come per l'onore, si può e si deve mettere a repentaglio la vita; la schiavitù invece è il peggiore dei mali che agli uomini possono toccare. (Miguel de Cervantes, Don Chisciotte, LVIII)
Namque pauci libertatem, pars magna iustos dominos volunt. In effetti, soltanto pochi desiderano la libertà. I più non cercano che giusti padroni. (Sallustio, Epistula Mithridatis 8,18)
giovedì 21 gennaio 2016
Odio gli indifferenti
L'indifferenza è il peso morto della storia. È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.
L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti.
Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo.
Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa.
Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile.
Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini.
Non c'è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l'attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
“La Città futura”, 1917, p. 1 - 2
Antonio Gramsci (1891 – 1937), politico, filosofo, giornalista, linguista e critico letterario italiano
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