lunedì 24 ottobre 2022

La pace non esiste se non è corroborata da verità e giustizia


Il momento in cui avviene questo incontro richiama tutti noi a corrispondere a una responsabilità esigente.

Lo “Spirito di Assisi” spira dal 27 ottobre del 1986, giorno in cui Giovanni Paolo II riunì, per la prima volta, rappresentanti delle religioni mondiali per chiedere la fine dei conflitti nella città di San Francesco.

Rappresentò una breve tregua universale, mentre si levava la preghiera interreligiosa per invocare la pace.

Testimonianza di quanto religioni e politica possano e debbano parlarsi; e della forza che le religioni racchiudono e possono esprimere nella loro accezione più alta e consapevole.

Dinanzi a un presente tanto inquietante, al proliferare di conflitti in tante parti del mondo, a una guerra che di nuovo insanguina l’Europa, si sarebbe indotti a pensare che l’umanità non sia in grado di imparare dai propri errori, che si sia smarrita quella memoria collettiva che dovrebbe guidare e dovrebbe impedire di commettere gli stessi tragici errori.

La preghiera di Assisi è stata un seme gettato consapevolmente dai leader religiosi di fronte alla aggressione recata al bene della vita, al diritto della persona – di ogni persona - a vivere in pace. È stata un’espressione vigorosa della loro capacità di raccogliere - come diceva poc’anzi il professor Riccardi – “gli aneliti, le sensibilità, le attese di comunità radicate nei territori vicini alle sofferenze, alle speranze, al sudore delle persone”. Ed è stata, altresì, un’espressione vigorosa della loro libertà.

Un seme fatto fruttare da chi, come la Comunità di Sant’Egidio opera quotidianamente, anche con una azione preziosa di mediazione per la pace: non “incontri casuali” ma tenace perseguimento di sentieri di pace.

È questo l’impegno di tanti protagonisti - di ispirazione religiosa e non - per costruire ponti di solidarietà e di dialogo: a loro va la nostra sincera riconoscenza.

Si tratta di un impegno che invoca il contributo di ciascuno affinché “il grido della pace” si diffonda con sempre nuova forza.

Per questo siamo qui oggi, in tanti, da diverse parti del mondo.

La sfida è sempre la stessa: realizzare con perseveranza percorsi di pace, attraverso un impegno collettivo della comunità internazionale che valorizzi il dialogo, i negoziati, il ricorso alla diplomazia in luogo delle armi.

Si tratta di un lavoro faticoso, che richiede cura e opera paziente, perché la pace è tale soltanto se porta con sé l’antidoto contro l’insorgere di nuove guerre, se è sostenibile nel tempo e se è ampiamente condivisa.

È un patrimonio che in Europa abbiamo dato per scontato e di cui oggi, invece, ci viene drammaticamente ricordata la fragilità.

La pace è un processo, non un momento della storia: ha bisogno di coraggio, di determinazione, di volontà politica e di impegno dei singoli.

L’opera delle religioni e dei loro leaders in questa direzione è fondamentale, a partire dal richiamo che uomini e donne sono “figli e figlie dello stesso cielo”.

Vale per il rispetto reciproco tra le diverse comunità dei credenti, vale per il rispetto della dignità di ogni persona e di ogni popolo.

Dunque, se le religioni sono - come ha ricordato Sua Santità Francesco - “parte della soluzione per una convivenza più armoniosa”, con l’affermazione di “un sacro valore della fraternità”, è il valore della solidarietà a dover ispirare l’ordinamento internazionale.

È la convinzione del Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayeb, quando ribadisce che “la pace fra i popoli è un frutto della pace tra le religioni e la fraternità religiosa è il motore della fraternità umana universale”.

Sono parole che rappresentano passi avanti fondamentali.

Non esiste una “guerra santa”!

Deve esistere, invece, una “pace santa”, per servire autenticamente l’umanità e il suo futuro.

Il disordine produce disordine. Le guerre hanno un effetto “domino”, moltiplicatore. Le guerre sono contagiose.

Ma, come ha scritto il rabbino Haïm Korsia “occorre reinventare le aurore”.

L’impegno genuino delle religioni sul terreno temporale non può prescindere da questo orizzonte. Ed è confortante registrare quanti passi sono stati compiuti nel dialogo tra i leader di diverse confessioni religiose e il contributo che recano alla causa della pace.

Esistono ampi spazi nei quali leader civili e religiosi, ciascuno nell’ambito e nel rispetto delle prerogative proprie, possono unire i loro sforzi per il bene collettivo universale.

Come è naturale, è compito delle istituzioni e dei leaders politici collaborare alla definizione di un ordine internazionale che sottragga alla tentazione della guerra.

La condizione dei popoli è caratterizzata da forti disuguaglianze. Il rapporto Nord-Sud, in particolare - gravato da eredità e da condizioni contemporanee di grande sofferenza - è lontano dall’aver raggiunto un accettabile equilibrio che riconosca la dignità di ogni essere umano. Il tema della emigrazione e della immigrazione, che ne sono conseguenza, chiama la coscienza di ciascuno a interrogarsi sulla effettiva, autentica applicazione della Carta internazionale dei diritti umani.

Tutto questo invita a riflettere su quale sia la base che può consentire l’edificazione di un ordine internazionale più giusto, consapevole che i destini dell’umanità sono inevitabilmente condivisi e che il bene comune di una singola comunità deve integrarsi con il bene comune di ciascun’altra, e non contrapporvisi.

Il “fare pace” parte da una esigenza urgente: quella di restaurare i rapporti fra gli uomini.

La fine delle guerre ha sovente rappresentato, a mezzo di convenzioni e la stipula di trattati, l’elemento costituente di un nuovo equilibrio internazionale, basato sul riconoscimento dell’esistenza di potenze vincitrici e di Stati soccombenti.

A settantasette anni dalla Carta di San Francisco delle Nazioni Unite è legittimo guardare al prezioso cammino percorso e, insieme, valutare i limiti dell’esperienza compiuta.

Serve il coraggio di un passo avanti.

È possibile immaginare che il potere costituente dell’ordine internazionale non sia più soltanto la auspicabile conclusione dei conflitti, ma che, alla base di un nuovo ordine globale, vi possa essere spirito di pace?

Se vuoi la pace preparala: è stata un’esortazione più volte ripetuta nei secoli.

Non si può giungere alla pace esaltando la guerra e la volontà di potenza.

Perché la pace è integrale o non esiste.

E non esiste se non è corroborata da verità e giustizia.

A questi principi si sono conformate la Costituzione e i comportamenti della Repubblica Italiana sin dal suo sorgere.

Una Costituzione frutto di una coscienza che abbiamo dolorosamente maturato nella ferocia devastante della Seconda guerra mondiale, cui ci avevano condotto le dittature del Novecento.

È lo stesso spirito che ha animato i fondatori della costruzione europea – a partire dalla Dichiarazione Schuman del 1950 sino all’odierna Unione - dove è prevalsa una cultura di pace laddove per secoli aveva imperversato la guerra.

All’indomani del conflitto, la comunità internazionale decise di dotarsi di un sistema multilaterale teso anzitutto a prevenire e gestire i conflitti.

La condizione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu ben presto avrebbe limitato in larga misura il perseguimento di questa aspirazione e, ciò nonostante, innegabili sono stati i successi conseguiti nella cooperazione fra gli Stati.

Occorreva un ulteriore passo avanti che non riuscì a produrre - negli anni ‘90 del secolo scorso - neppure il venir meno della competizione tra sistemi politico-economici diversi che aveva caratterizzato la tensione bipolare del mondo.

Sono riapparse pulsioni che ci hanno ricondotto indietro. Persino ambiti fin qui dedicati a un comune impegno scientifico, come lo spazio, rischiano di diventare teatro di competizione militare.

Hanno fatto la loro ricomparsa i demoni, i fantasmi dell’aggressione dell’uomo contro l’uomo.

La sciagurata guerra mossa dalla Federazione Russa contro l’Ucraina rappresenta una sfida diretta ai valori della pace, mette ogni giorno in grave pericolo il popolo ucraino, colpisce anche il popolo russo, genera drammatiche conseguenze per il mondo intero.

Quella aggressione stravolge le regole, i principi e i valori della vita internazionale.

Approfondisce le divisioni nella comunità globale chiamata, invece, a trovare soluzioni cooperative urgenti a problemi comuni: le crisi sanitarie e alimentari, gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici, le minacce terroristiche.

Più che mai, in questo momento, abbiamo bisogno di un multilateralismo efficace.

In questo impegno comune, accanto alle istituzioni internazionali e agli Stati, risulta sempre più importante il contributo di tutte le espressioni della società.

La minaccia che ci troviamo ad affrontare induce taluno a porre di fronte allo spettro di un ricorso all’arma nucleare.

Sarebbe la perversa tentazione dell’escalation, della spirale di violenze che si alimentano di violenza.

L’affermazione della logica dei più brutali e insensati rapporti di forza, che credevamo relegati a un oscuro passato.

Dinanzi all’evocazione di scenari tanto terribili le nostre coscienze invocano la difesa di quel diritto alla pace che ci riunisce qui, oggi.

Una pace che non ignori il diritto a difendersi e non distolga lo sguardo dal dovere di prestare soccorso a un popolo aggredito.

Avvenga in Europa, in Medio-Oriente, in Africa, ovunque nel mondo.

In Ucraina, come altrove, occorre riannodare i fili dell’umanità che la guerra spezza: vite, famiglie, legami umani e sociali.

Occorre impedire che una nuova linea di “faglia” attraversi il mondo e si aggiunga alle troppe che già caratterizzano l’Europa, il Medio-Oriente, in tanti luoghi del mondo, separando i popoli con rinnovate cortine di odio.

Per quanto ci riguarda è anzitutto una sfida in Europa e per l’Europa.

Non possiamo consegnarci all’ingiustizia delle situazioni di fatto, né allo strazio di guerre “infinite”.

L’Europa non può e non deve permettersi di cadere “prigioniera” della precarietà, incapace di assolvere al suo naturale ruolo di garante di pace e di stabilità nel continente e nelle aree vicine.

Ne va della nostra stessa libertà e prosperità.

Non saranno mai abbastanza numerose le iniziative dirette a promuovere la pace, qui, come a Parigi, con la imminente quinta edizione del Forum de Paris sur la Paix, con un’ambizione inclusiva per una pace integrale.

Dobbiamo saper raccogliere l’urlo della sofferenza e il grido della pace che viene dalle donne e dagli uomini del pianeta, per tradurli in atti concreti che diano forza a un impegno condiviso e traducano in realtà la comune speranza.


Intervento in occasione dell’Incontro Internazionale “Il grido della pace. Religioni e culture in dialogo” 
Roma, 23 Ottobre 2022

Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica italiana

mercoledì 19 ottobre 2022

Condividete la compassione


Per tutti la vita è un ritorno a casa, commessi viaggiatori, segretari, minatori, apicoltori, mangiatori di spade. Per tutti. Tutti i cuori irrequieti del mondo. Cercano tutti la strada di casa. È difficile descrivere che cosa provassi allora: immaginate di camminare per giorni in un turbine di neve, senza neppure accorgerti di camminare in tondo. La pesantezza delle gambe nei cumuli, le vostre grida che scompaiono nel vento. Con la sensazione di essere piccoli... e immensamente lontani da casa. Casa. Il dizionario la descrive sia come un luogo di origine, sia come uno scopo o una destinazione e la bufera? La bufera era tutta nella mia mente o come dice dante il divino poeta, nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura che la diritta via era smarrita. Alla fine ho ritrovato la diritta via ma nel posto più improbabile.

Signore, può definire la parola cura?

Certo.. definiamo cura l’attenzione data ad un paziente che richiede un intervento medico. Lei ha pazienti in cura signor Adams?

Io convivo con numerose persone che vanno e vengono liberamente alle quali offro il mio modesto aiuto.

Signor Adams, ammette o non ammette di prestare cure a pazienti nel suo ranch?

Chiunque venga al mio ranch è un paziente, sì.
E qualunque persona venga al ranch è anche un medico.

Come ha detto?

Ogni persona che venga al ranch e necessiti di un aiuto fisico o mentale in qualunque forma è un paziente, ma nello stesso tempo, ogni persona che venga al ranch e si incarichi di prendersi cura degli altri che sia cucinare per loro, lavarli o anche semplicemente ascoltarli, ecco che diventa un medico. Uso il termine in senso lato, signori, ma un medico non è qualcuno che aiuta qualcun altro? Quando il termine medico ha preso un eccezione referenziale? A che punto della storia un medico è diventato più di un fidato e dotto amico che visitava e curava gli infermi? Voi mi chiedete se esercito la medicina... se questo significa aprire la porta a chi ha bisogno, a chi è sofferente... accudirlo, ascoltarlo e mettergli un panno freddo in fronte, finché la febbre non si abbassa, se è questo fare il medico, se è questo curare un paziente allora mi dichiaro colpevole, signori.

Ha considerato le implicazioni del suo modo di agire?se uno dei suoi pazienti morisse?

Cos’ha la morte che non va? Di cosa abbiamo così mortalmente paura? Perché non trattare la morte con un po’ di umanità e dignità e decenza e, Dio non voglia, perfino di umorismo? Signori, il vero nemico non è la morte. Vogliamo combattere le malattie? Combattiamo la più terribile di tutte: l’indifferenza.

Nelle vostre aule ho assistito a disquisizioni sul transfert e la distanza professionale. Il transfert è inevitabile, signore. Ogni essere umano ha un impatto su di un altro. Perché vogliamo evitarlo in un rapporto paziente-medico? È sbagliato quello che insegnate nelle vostre lezioni, la missione di un medico non deve essere solo prevenire la morte ma anche migliorare la qualità della vita. Ecco perché se si cura una malattia si vince o si perde… se si cura una persona vi garantisco che, in quel caso, si vince qualunque esito abbia la terapia. Qui vedo oggi un’aula piena di studenti di medicina. Non lasciatevi anestetizzare, non lasciatevi intorpidire di fronte al miracolo della vita. Vivete sempre con stupore il glorioso meccanismo del corpo umano. Questo deve essere il fulcro dei vostri studi e non la caccia ai voti che non vi daranno alcuna idea di che tipo di medico potrete diventare.

E non aspettate di essere in corsia per acquistare la vostra umanità, sviluppate subito la capacità di comunicare. Parlate con gli estranei, con gli amici, con chi sbaglia numero... con chi vi capita! E coltivate l’amicizia di quelle stupende persone che vedete in fondo all’aula, infermiere che possono insegnarvi, stando con la gente tutti i giorni, tra sangue e merda e hanno un patrimonio di conoscenza da dividere con voi e così fate con quei professori che non sono morti dal cuore in su. Condividete la compassione che hanno, fatevi contagiare.

Signore io voglio fare il medico con tutto il mio cuore. Io volevo diventare medico per assistere il mio prossimo, e per questo motivo ho perso tutto, però così ho anche guadagnato tutto: ho condiviso le vite dei pazienti e del personale dell’ospedale, abbiamo riso insieme e pianto insieme. Questo è ciò che voglio fare nella mia vita. E Dio mi sia testimone, comunque decidiate oggi, signori, guarderò ancora con fiducia il mio scopo: diventare il miglior medico che il mondo abbia mai visto. Voi avete la facoltà di impedire che io mi laurei, potete impedirmi di ottenere il titolo, il camice bianco, ma non potete controllare il mio spirito, non potete impedirmi di apprendere, non potete impedirmi di studiare. A voi la scelta: avermi come collega di lavoro, passionale, oppure avermi come voce fuori dal coro, sincera e determinata. In entrambi i casi verrò forse considerato una spina, ma vi prometto una cosa: sarò una spina che non riuscirete a togliere.

...

Molto bene, e adesso? che cosa vuoi da me? Si potrei farlo, lo sai che tu che non mi fermeresti, quindi rispondimi ti prego.. dimmi che cosa stai facendo... va bene, analizziamo la logica, tu crei l’uomo, l’uomo sopporta dolori ed enormi sofferenze, l’uomo alla fine muore. Avresti potuto anche lavorarci sopra un po’ di più prima di passare direttamente alla creazione. Hai riposato il settimo giorno, potevi dedicare quel settimo giorno alla compassione. Sai che ti dico? Non ne vale la pena.


Robin Williams / Hunter "Patch" Adams nel film Patch Adams del 1998 diretto da Tom Shadyac




Ogni maledetta domenica

 

Non so cosa dirvi davvero.

Tre minuti alla nostra più difficile sfida professionale.

Tutto si decide oggi.

Ora noi, o risorgiamo come squadra, o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l'altro, sino alla disfatta. Siamo all'inferno adesso, signori miei. Credetemi.

E... possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi oppure aprirci la strada lottando verso la luce.

Possiamo scalare le pareti dell'inferno un centimetro alla volta.

Io però non posso farlo per voi, sono troppo vecchio.

Mi guardo intorno vedo i vostri giovani volti e penso... certo che... ho commesso tutti gli errori che un uomo di mezza età possa fare. Sì perché io ho sperperato tutti i miei soldi, che ci crediate o no. Ho cacciato via tutti quelli che mi volevano bene e da qualche anno mi dà anche fastidio la faccia che vedo nello specchio.

Sapete col tempo, con l'età tante cose ci vengono tolte ma questo fa... fa parte della vita.

Però tu lo impari solo quando quelle cose le cominci a perdere e scopri che la vita è un gioco di centimetri. E così è il football.

Perché in entrambi questi giochi, la vita e il football, il margine d'errore è ridottissimo. Capitelo...

Mezzo passo fatto un po' in anticipo o in ritardo e voi non ce la fate. Mezzo secondo troppo veloci o troppo lenti e mancate la presa. Ma i centimetri che ci servono sono dappertutto, sono intorno a noi, ci sono in ogni break della partita, ad ogni minuto, ad ogni secondo.

In questa squadra si combatte per un centimetro. In questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi, per un centimetro. Ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro.

Perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri, il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza tra vivere e morire.

E voglio dirvi una cosa: in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro.

E io so che se potrò avere un'esistenza appagante sarà perché sono disposto ancora a battermi e a morire per quel centimetro. La nostra vita è tutta lì. In questo consiste, e in quei 10 centimetri davanti alla faccia.

Ma io non posso obbligarvi a lottare! Dovrete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi. Io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi. Che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui.

Questo è essere una squadra, signori miei!

Perciò... o noi risorgiamo adesso, come collettivo, o saremo annientati individualmente.

È il football ragazzi! È tutto qui.

Allora, che cosa volete fare?


Al Pacino / Tony D'Amato in Ogni maledetta domenica (Any Given Sunday) film del 1999 diretto da Oliver Stone



martedì 18 ottobre 2022

Agisci sempre con amore

Un imprenditore chiede ad un suo operaio di costruirgli una casa. L’operaio è molto risentito poiché mancano solo tre mesi al suo pensionamento e per costruire una casa, ce ne vogliono molti di più. “Guarda il progetto - disse l’imprenditore -: ci sono tre piani, un grande giardino ed una bella piscina. Voglio che tu faccia tutto come da progetto”

L’operaio sempre più furioso si mette subito all’opera deciso ad impiegarci meno tempo possibile. Addirittura per sbrigarsi, salta dei passaggi fondamentali, non rispetta i normali tempi di asciugatura di vernici e cemento, procede con l’unico obiettivo di farla pagare al suo datore di lavoro per avergli dato quell’arduo compito solo tre mesi prima della sua desiderata pensione. Era così adirato che decise anche di fregare l’imprenditore acquistando materiali scadenti e tenendo molti soldi per sè.

Finalmente la casa fu terminata. L’operaio convocò l’imprenditore sul posto: “Ecco questa è la casa che mi hai chiesto di costruire” disse.

“Tieni tu le chiavi” rispose l’imprenditore. “Questa casa è per te, è per ringraziarti per tutti gli anni che hai lavorato per me, qui potrai goderti al meglio la tua pensione” disse.

Chissà come si sarà sentito l’operaio. Stava raccogliendo quello che aveva seminato: una casa inagibile, pericolante e pericolosa. 

Morale: Agisci sempre con amore, non fare mai del male a nessuno. Perchè la vita è come un boomerang e tutto torna a te.

domenica 16 ottobre 2022

Non giudicare dalle apparenze

Un ragazzo guardando attraverso la finestra del bus gridò:
"Papà, guarda: gli alberi ci vengono incontro!"
Il padre alzò lo sguardo, lo guardò e sorrise.
Una giovane coppia seduta vicino rise per il comportamento infantile del ragazzo.
Il ragazzo tornò a esclamare: "Guarda, papà, le nuvole ci seguono!"
La coppia non potè resistere e disse al padre del ragazzo:
"Perché non porta suo figlio da un bravo medico?"
L'uomo sorrise e rispose: "Ci siamo appena stati. Siamo da poco usciti dall'ospedale: mio figlio era cieco dalla nascita e oggi per la prima volta può vedere!"

OGNI persona ha una storia, NON giudicate!

domenica 2 ottobre 2022

Quando i genitori invecchiano


Lasciali invecchiare con lo stesso amore con cui ti hanno fatto crescere.

Lasciali parlare e raccontare ripetutamente storie con la stessa pazienza e interesse con cui hanno ascoltato le tue quando eri bambino.

Lasciali vincere, come tante volte loro ti hanno lasciato vincere.

Lasciali godere dei loro amici, delle chiacchiere con i loro nipoti.

Lasciali godere vivendo tra gli oggetti che li hanno accompagnati per molto tempo, perché soffrono sentendo che gli strappi pezzi della loro vita.

Lasciali sbagliare, come tante volte ti sei sbagliato tu.

Lasciali vivere e cerca di renderli felici l’ultimo tratto del cammino che gli manca da percorrere, allo stesso modo in cui loro ti hanno dato la loro mano quando iniziavi il tuo.

Pablo Neruda (1904 - 1973), poeta, diplomatico e politico cileno


sabato 1 ottobre 2022

Come sono gli abitanti di questa città?


Un anziano trascorreva le giornate seduto accanto ad un pozzo.
Un giorno un giovane gli si avvicinò e gli chiese:
- Vengo da lontano. Come sono gli abitanti di questa città?
L’anziano rispose con un’altra domanda:
- Come erano gli abitanti della città dalla quale provieni?
- Erano egoisti, malvagi, invidiosi. Perciò me ne sono andato via.
- Purtroppo, anche gli abitanti di questa città hanno le stesse caratteristiche - rispose l’anziano.

Poco dopo arrivò un altro giovane e rivolse all’anziano la stessa domanda:
- Sto arrivando ora. Come sono gli abitanti di questa città?
L’anziano rispose nuovamente con una domanda:
- Come erano gli abitanti della tua città?
- Erano buoni, generosi, ottimi lavoratori. Avevo tanti amici e mi molto dispiaciuto lasciarli.
- Sei fortunato. Gli abitanti di questa città hanno le stesse caratteristiche -
gli rispose l’anziano.
 
Un uomo che aveva condotto i suoi animali al pozzo per farli bere ed aveva ascoltato la conversazione, quando il giovane si allontanò, disse all’anziano:
- Hai dato due risposte differenti alla stessa domanda. Come mai?
- Guarda -
rispose l’anziano - ciascuno porta l’universo nel suo cuore. Chi pensa di non aver incontrato niente di buono, non troverà il bene nemmeno qui.
Invece, chi aveva molti amici nell’ambiente di provenienza, anche qua troverà amici leali e fedeli.
Perchè ciascuno è quel che incontra in se stesso.
Noi incontriamo sempre ciò che speriamo di incontrare.
Tutto il buono e il bello della vita lo fai crescere dentro di te, devi farlo venir fuori e metterlo a disposizione degli altri. Sarai felice se saprai aiutare gli altri ad essere felici.

Il professore e l'orologio


- Si ricorda di me? - chiese un giovane ad un anziano incontrato per strada. Il vecchio fissandolo bene per un attimo rispose di no.

Allora il giovane gli disse che è stato il suo studente. 

E il professore: Ah sì? E che lavoro fai adesso?

Il giovane risponde: Faccio l’insegnante.

- Oh, che bello, come me? gli disse il vecchio.

- Beh, sì. In realtà, sono diventato un insegnante perché mi ha ispirato ad essere come lei.

L'anziano, curioso, chiese al giovane di raccontargli come mai. E il giovane gli raccontò questa storia: Un giorno, un mio amico, anch'egli studente, è arrivato a scuola con un bellissimo orologio nuovo e io l’ho rubato. Poco dopo, il mio amico ha notato il furto e subito si è lamentato con il nostro insegnante, che era lei. Allora, lei ha detto alla classe:

- L'orologio del vostro compagno è stato rubato durante la lezione di oggi. Chi l'ha rubato, per favore, lo restituisca.

Ma io non ho voluto restituirlo. Poi lei hai chiuso la porta ed ha detto a tutti di alzarci in piedi perché avrebbe controllato le nostre tasche una per una. Ma prima ci ha detto di chiudere gli occhi. Così abbiamo fatto e lei ha cercato tasca per tasca e, quando è arrivato da me, ha trovato l'orologio e l'ha preso.

Ha continuato a cercare nelle tasche di tutti e, quando ha finito, ha detto: - Aprite gli occhi. Ho trovato l'orologio.

Non mi ha mai detto niente e non ha mai menzionato l'episodio. Non ha mai fatto il nome di chi era stato quello che aveva rubato. Quel giorno, lei ha salvato la mia dignità per sempre. È stato il giorno più vergognoso della mia vita. Non mi ha mai detto nulla e, anche se non mi ha mai sgridato né mi ha mai chiamato per darmi una lezione morale, ho ricevuto il messaggio chiaramente. E, grazie a lei ho capito che questo è quello che deve fare un vero educatore. Si ricorda di questo episodio, professore?

E il professore rispose: - Io ricordo la situazione, l'orologio rubato, di aver cercato nelle tasche di tutti ma non ti ricordavo, perché anche io ho chiuso gli occhi mentre cercavo.

Questo è l'essenza della decenza. 

"Se per correggere hai bisogno di umiliare, allora non sai insegnare".