mercoledì 29 dicembre 2021

La nostra mano nella mano di Dio


Dovremmo attraversare il mondo stringendo la mano di Dio. Vi sono molte sofferenze da sopportare in questa vita; invece una pena sarà leggera se teniamo la nostra mano in quella di Dio. La mortificazione stessa diventa allora soave… 

Le sofferenze che ho io, le ha avute anche Gesù: per esempio, la monotonia. Per anni ed anni fu un semplice falegname. 

Se trovate la vita penosa, diteglielo. Se vi sembra difficile essere buoni, diteglielo. Se soffrite e non potete pregare, e ve ne dispiace, diteglielo. Questa è la preghiera. Se credete di attraversare il mondo con le vostre forze , non vi riuscirete mai. Ma se affronterete la vita tenendo la mano di Dio Padre, l’amore Suo renderà facile ogni cosa.

Dio ci ama, lasciamoci amare

Padre Daniel Considine (1849- 1922), presbitero gesuita irlandese

Non abbiate paura di Dio

Pensate a Dio con benevolenza, con rettitudine, abbiate buona opinione di Lui. Non dovete credere che egli perdoni difficilmente. La prima cosa necessaria per amare il Signore è di crederlo degno di amore. Quanti, in fondo al cuore, pensano che ci si possa intendere facilmente con Dio? 

Molti lo pensano inaccessibile, permaloso, facilmente disgustato ed offeso. Eppure questo timore gli dà grande pena. Vorrebbe forse nostro padre vederci vergognosi e tremanti alla sua presenza? Tanto meno il Padre celeste. Una madre non fu mai così cieca ai difetti della sua creatura come il Signore lo è davanti ai nostri mancamenti.

Dio è infinitamente più pronto a compatire e ad aiutare, che a punire e a biasimare. Non potete peccare per eccesso di confidenza in Dio: non temete quindi di abbandonarvi con troppa totalità al suo amore. Se ve lo immaginate difficile e inavvicinabile, se avrete paura di Lui, non lo amerete.

I peccati passati, una volta detestati non costituiscono più nessun ostacolo tra noi e Dio. É assolutamente falso pensare che Egli conservi rancore per il passato. Egli perdona tutto e non importa quanto abbiate tardato prima di venire al suo servizio. In un momento Dio vi aiuterà a rimediare a tutto un passato. 

Pensieri

Padre Daniel Considine (1849- 1922), presbitero gesuita irlandese


Serenità e fiducia

Noi dovremo dire: “Signore ti do il mio cuore come un foglio su cui nulla è scritto, scrivici Tu la tua volontà”.

Quando mi alzo al mattino posso dire con tutta verità: “Questo giorno con tutte le sue circostanze e conseguenze è stato fatto, previsto, ordinato da Dio perché io l’ami e lo serva meglio”.

Se il Figlio di Dio venne a servire, noi dovremmo reputare un privilegio di essere chiamati a servire in qualsiasi forma.

Dio si rende conto della nostra debolezza più di noi, ci compatisce e ci dà tempo per correggere i nostri difetti.

Spesso la depressione causata dal peccato fa più male e ci tiene lontani da Dio più del peccato stesso. Non perdete tempo nello scoraggiamento, ma alzatevi e andate a Dio.

Non perdete tempo deplorando il passato e preoccupandovi del futuro. La grazia vi sarà data ogni giorno per vincere le difficoltà del momento presente.

Il credere che il Signore rinuncerà a noi perché siamo infedeli é assolutamente errato, contrario a verità. Non potremo mai amare il Signore come dovremmo se pensiamo che Egli ci serbi rancore.

Spesso la depressione causata dal peccato fa più male e ci tiene lontani da Dio più del peccato stesso.

Non importa quali peccati possiate aver commesso: Egli vi perdonerà tutto. E non importa quanto abbiate tardato prima di venire al Suo servizio: in un momento Egli vi aiuterà a rimediare al passato.

Dio desidera esaudire la nostra preghiera, molto più che noi non desideriamo farla. Uno dei maggiori ostacoli alla vita spirituale è la persuasione che per una ragione o per l’altra Dio non ci guardi con compiacenza.

Per quanto i nostri pensieri possano essere fiduciosi nel Signore, saranno sempre inferiori al vero.

Dio vuole che tutti siamo santi.

Non esiste una malattia dell’anima che sia incurabile. Domandate di essere guariti, ma domandatelo con tutto il cuore e con fede nel desiderio che Dio ha di curarvi. Se non credete pienamente che vi curerà Egli non lo farà.

Nostro Signore ama ciascuno di noi con tale intensità che se fosse necessario, Egli ripeterebbe tutta la Sua Passione per assicurare la nostra felicità in cielo.

Nostro Signore perdona con la più grande facilità e non vuole che stiamo lontani da Lui a causa dei nostri peccati. É assurdo pensare che Egli trattenga da noi la grazia per quello che possiamo aver fatto in passato.

L’abbattimento non viene mai da Dio: e da Lui non viene neppure nessun pensiero che rende il Suo servizio difficile.

Non dobbiamo aver rimpianti sterili e renderci troppo infelici quanto ai peccati, le mancanze, gli errori passati. Non sediamoci a piangere sul margine della strada, ma sorgiamo e proseguiamo col nostro Amico.

Siate lieto, soave ed energico e fate vedere agli altri che la religione rende le persone facili a trattare.

È soltanto amandoci l’un l’altro che noi possiamo far capire che cosa sia l’amore di Dio.

Parole d’incoraggiamento, 1952

Padre Daniel Considine (1849- 1922), presbitero gesuita irlandese

Incoerente comportamento verso l’Amore

Se mi fosse richiesto da qualcuno, che non conosco bene intimamente, il segno migliore per sapere quanto potrebbe inoltrarsi nella vita spirituale e quanto grandi cose potrebbe compiere per il Signore, cercherei di capire fino a che punto egli possieda la virtù della speranza; e per speranza intendo la convinzione pratica che Dio non solamente è molto buono, ma molto buono con me.

Quello che ci trattiene nella vita spirituale è la mancanza di speranza, la poca confidenza. Ognuno potrebbe diventar santo, se volesse soltanto credere che Dio vuol farne un santo.

Ciò che sorprende è che certuni, essendo buoni come sono, non siano molto migliori. La ragione di ciò è la scarsa speranza. Siamo così terribilmente incoerenti! Crediamo che, una mattina dopo l’altra, Dio ci dia il suo Corpo e il suo Sangue nell’Eucarestia, e che più tardi, nella giornata, quando andiamo a Lui per chiedergli una piccola grazia, Egli ce la rifiuti. C’è qualcosa di più assurdo ed illogico?

Se volete sapere quale grado avete raggiunto nella vita spirituale, guardate che cosa sperate. Una piccola grazia o grazie immense?

Se voi dite: “Dio è stato così meravigliosamente buono con me, che io spero di arrivare a sopportare la tale umiliazione per amor suo, o di vincere il carattere orribile, in modo che i miei nemici, invece di chiamarmi un demonio, possano pensare che io sia divenuto un angelo”, allora voi avete la speranza e siete molto vicini a Dio.

Perché domandargli piccole cose? Vi darebbe più volentieri ciò che è magnifico, che ciò che è meschino. La differenza tra un santo e una persona qualunque è che il santo ha di Dio idee molto più larghe.

Se voi dite: “Ho sprecato tanti anni della mia vita e adesso è troppo tardi, non posso far niente per il Signore”, non vi accorgete che così intendete male la sua potenza e il suo amore infinito?

Abbiamo concetti così irriverenti e indegni del buon Dio! Lo chiamiamo Padre, e poi lo trattiamo come uno straniero e quasi come un nemico.

Lo so, molti di noi si trascinano a fatica e quando ascoltano la dottrina che vado esponendo, dicono: “Non è fatta per quelli come me”.

Un santo e un’altra persona qualsiasi commettono – supponiamo – la stessa colpa. Il santo n’è subito addoloratissimo, ma si comporta come prima, senza turbamenti e rilassamenti nella sua condotta; l’altro si allontana e si tiene in disparte, impegolato dalla diffidenza.

“È troppo tardi, dicono alcuni, perché non ho cominciato cinquant’anni fa?”. Il tempo non conta per il Signore. Forse che il padre del figliol prodigo gli disse di rimanere in penitenza, per alcuni anni di servizio, e poi lo avrebbe ripreso con sé? Lo accolse invece, sull’istante, lo rivestì della veste migliore e ne festeggiò il ritorno.

Allargate i vostri pensieri intorno al Signore: Egli non cessa mai di amarvi.

Parole d’incoraggiamento, 1952

Padre Daniel Considine (1849- 1922), presbitero gesuita irlandese


martedì 23 novembre 2021

Quando morirò dirò tutto a Dio

 

Quando morirò dirò tutto a Dio. 
Gli dirò che nel mondo che ha creato
a comandare c'è un essere ingrato. 

Quando morirò dirò tutto a Dio, 
gli dirò del vostro fare indifferente, 
del vostro guardarci come fossimo niente. 

Quando morirò dirò tutto a Dio. 
Gli dirò che mi manca il mio papà 
e che ora sento freddo in questa stanza. 

Vorrei un mondo per chi come me
è nato dall'altra parte della strada, 
è nato dall'altra parte della vita, 
dalla parte sbagliata.

Quando morirò dirò tutto a Dio, 
dei beni che ci avete confiscato, 
tra questi ci sono 
le persone che abbiamo amato. 

Quando morirò dirò tutto a Dio, 
dicono lui sia amico dei bambini 
non come questi idioti
travestiti d'assassini.

Vorrei un mondo per chi come me 
è cullato dalle bombe della notte,
dalla polvere da sparo,
dai palazzi in fiamme, 
dalle grida disperate delle mamme.
Dove hai nascosto la mia mamma, maledetta guerra?

Quando morirò dirò tutto a Dio, 
degli anni che mi avete rubato, 
della vita che non ho mai vissuto, 
ora vi saluto... vado a dire tutto a Dio.

Parole attribuite ad un bambino siriano rimasto vittima dei bombardamenti nel 2013. Il testo ha ispirato la cantante romana Martina Attili per la sua composizione: «Quando morirò, dirò tutto a Dio» (2019).

mercoledì 27 ottobre 2021

Vivere lontano da casa

 Vivere lontano da casa non è per tutti

Devi avere un cuore grande, grande a sufficienza per far da valigia a tutto ciò che lasci: gioie e dolori, amici e amori.

Questo bagaglio cardiaco che batte anche quando tocchi un suolo che non ti appartiene o quando sei steso su un materasso che non ha la tua forma e un cuscino scomodo, e guardi il soffitto chiedendoti dove stai andando.

Amici che non sono i tuoi, una città che non è tua.

Devi avere un cuore grande, così grande da far spazio a cose nuove. 

Un cuore che a volte temi che altri si siano scordati, perché il presente ha preso il sopravvento nelle loro vite.

Un cuore grande, ma non troppo forte. Allora è lì che si ferma un attimo. Va in arresto, ti confonde e non sa più chi sei.

Così ti stendi sul materasso che ora ha subito un po' il tuo peso, e il cuscino è più molle da una parte e ti chiedi chi stai diventando più che dove stai andando.

Perché quando parti, più che muoverti verso una destinazione, vai verso un destino: il tuo.

domenica 24 ottobre 2021

Antica benedizione irlandese

Possa il vento stare sempre alle tue spalle.

Possa il sole splendere caldo sul tuo viso.

E la pioggia cadere leggera sui tuoi campi.

E finchè ci incontriamo di nuovo, 

possa Dio tenerti nel palmo della sua mano!


Antica benedizione irlandese

martedì 5 ottobre 2021

Il nostro fratello di Assisi


Se analizziamo i primi passi dei grandi santi scopriremo sempre un passaggio previo: un risveglio. L’uomo arriva a convincersi che tutta la realtà è effimera e transitoria e che non esiste nulla che possegga validità assoluta, tranne Dio.
Ogni adesione a Dio, se è piena, nasconde una ricerca inconscia di trascendenza e di eternità. In ogni passo decisivo verso l’infinito palpita un desiderio di liberazione dall’oppressione del limite e, in questo modo, la conversione si trasforma in una suprema liberazione dall’angoscia.
L’uomo nel risveglio diventa saggio: sa che è pazzia assolutizzare ciò che è relativo e relativizzare l’assoluto.
Sa che siamo per natura cercatori di orizzonti eterni e che le realtà umane possono solo offrire prospettive anguste che opprimono le nostre ansie di trascendenza.
Solo Dio vale la pena perché solo Lui offre reali possibilità di canalizzazione degli impulsi ancestrali e profondi del cuore umano.

Nei castelli fondati sopra il denaro, il potere, la gloria, non può entrare Dio. Nella vita, quando tutto va liscio, l’uomo tende a fare di se stesso il centro. Questa è una grande disgrazia perché allora entra in lui la paura di perdere tutto, vive angosciato e si sente infelice. Per l’uomo uscire dalla stabilità significa salvarsi.
La conversione è quasi sempre un cammino di ricerca nella quale l’uomo va sperimentando alternativamente “la dolcezza di Dio” ed il fascino delle creature, fino a quando progressivamente queste si decantano e si afferma e conferma la “presenza”.
Nella conquista della libertà ci sono oscillazioni. Non sempre lo spirito può mantenere lo stesso livello d’animo. Quando non si appoggia su Dio, istintivamente, l’uomo si inchina verso se stesso, e in questo caso, appare il verme della insicurezza.
Possedendo Dio ottenne tutto, però per possedere Dio dovette spogliarsi di tutto.
La vera predica di Francesco erano la sua persona e la sua vita. C’erano calore e convinzione nelle sue parole perché parlava solo di ciò che aveva sperimentato. 

L’apostolato per Francesco era: il perdono delle offese, la gioia nelle tribolazioni, pregare per i persecutori, aver pazienza nei maltrattamenti, ricambiare il male con il bene, non  turbarsi per le calunnie, non maledire chi ci maledice.

Quando Francesco ebbe la crisi sentiva che il cumulo dei suoi peccati era maggiore della misericordia di Dio. Non avrebbe dovuto fissare l’attenzione sulla sua vita dissipata, sui suoi peccati passati, ma nell'inesauribile pietà di Dio. Non guardare se stessi ma guardare l’Altro. Bisogna uscire, cioè dimenticarsi di se stessi e ricordarsi dell’Altro. Il Signore ci dice: “perché ti preoccupi, perché c’è bisogno di soffrire tanto?  Credi in me, spera in me. Fa il salto, vieni verso di me. A te manca solamente di metterti nelle mie mani. Il resto lo farò io”.

Nella sua notte oscura dello spirito, Francesco si domandava: dove si trova la volontà di Dio? Dio dove si trova? Dio si può trovare, sì o no?

L’oscurità è completa. Non si vede nulla o non c’è nulla?

Francesco pensava: “Il Signore mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo vangelo. E se non fosse stato il Signore? Se fosse stata la mia voce? Avendo fallito sui campi di battaglia e nella società, non potrei essermi appoggiato ad una chimera, ad una proiezione di me stesso obbedendo alle leggi della compensazione?”.

“Accettami così come sono”.

Chiara a Francesco [quando Francesco era in crisi per stabilire la “regola” dell’ordine]: “Se guardi Dio ciò che tanto ti preoccupa ti sembrerà insignificante. Liberati da te stesso e fa’il salto mortale: Dio c’è e basta!”

A Natale diceva: “Figli miei, un bambino è una creatura indifesa e quindi inoffensiva. Vive nel cuore profondo della gratuità. Ha bisogno di ricevere tutto. Non guadagna e non gli si deve nulla. Riceve ogni cosa gratuitamente. Viene anche amato gratuitamente. Così siamo noi nelle mani di Dio. Che gioia. Dio è nostra “madre”.

“La vita è lotta e nella lotta nasce il conflitto. Non si deve aver paura perché ciò è inevitabile. Ciò che importa è riconciliarsi. È il primo obbligo di ogni giorno.

“Durante tutta la mia vita non ho fatto altro che amare”.

Il nostro fratello di Assisi. Storia di una esperienza di Dio, 2012

Ignacio Larrañaga (1928-2013), scrittore e presbitero francescano spagnolo 

domenica 5 settembre 2021

La solitudine dell'individuo in una società atomizzata


Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l'individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più

Il livellamento delle condizioni dei sudditi è sempre stato una delle principali preoccupazioni dei despoti e dei tiranni fin dai tempi più antichi; ma un simile livellamento non è sufficiente per il regime totalitario, perché lascia più o meno intatti certi legami non politici, come i vincoli familiari e gli interessi culturali comuni. Se tale regime vuole sul serio raggiungere il suo scopo, deve far sì che «finisca una volta per tutte la neutralità del gioco degli scacchi», vale a dire l'esistenza autonoma di qualsiasi attività.

L'atomizzazione della società sovietica venne ottenuta con l'abile uso di ripetute epurazioni, che invariabilmente precedevano l'effettiva liquidazione di un gruppo. Per distruggere tutti i legami sociali e familiari, le epurazioni venivano condotte in modo da minacciare della stessa sorte l'accusato e tutta la sua cerchia, dai semplici conoscenti agli amici e ai parenti più stretti. La conseguenza dell'ingegnoso criterio della «colpa per associazione» era che, appena un uomo veniva accusato, i suoi vecchi amici si trasformavano di colpo nei suoi nemici più accaniti […]. In ultima analisi, fu con l'impiego radicale di questi metodi polizieschi che il regime staliniano riuscì a instaurare una società atomizzata quale non si era mai vista prima, e a creare intorno a ciascun individuo un'imponente solitudine quale neppure una catastrofe da sola avrebbe potuto causare.

Le origini del totalitarismo (1948)

Hannah Arendt (1906 - 1975), politologa, filosofa e storica tedesca naturalizzata statunitense

mercoledì 25 agosto 2021

Dove sei felicità?


Dove sei felicità?
Sono qui.
Nella tazza di caffè che stai bevendo stamattina.
Nel sorriso ieri notte di quel passante.
Nel tramonto che muore nel mare.
Nell'aria fresca delle sei.
Nelle coperte calde in cui ti addormenti.
Nella voce del tuo amore.
Nel goal di quel bambino.
Nell'abbraccio dei tuoi genitori.
Nel viaggio dell'ultimo minuto.
Sono qui.
Nelle cose semplici.
Nelle cose complesse non cercarmi.
È tempo perso.
Sono qui.
Mentre guardi e sorridi
all'immensità di ogni giorno.

lunedì 23 agosto 2021

Baciami sulla guancia e tienimi la mano


Non chiedermi di ricordare,
non cercare di farmi capire.
Lasciami riposare, fammi capire che sei con me,
baciami sulla guancia e tienimi la mano.

Sono confuso ben oltre la tua concezione,
sono triste e sofferente e perso.
Tutto quello che so è che ho bisogno di te,
stammi vicino se puoi.

Non perdere la pazienza con me,
non imprecare, non rimproverarmi, non mi sgridare.
Non riesco a dirti perché mi comporto così,
non posso essere diverso, anche se ci provo.

Ricorda solo che ho bisogno di te,
che la parte migliore di me se n'è andata.
Ti prego di non evitare di starmi vicino,
amami finché la mia vita se ne va.

(Versi scritti su un biglietto lasciato vicino al letto di un paziente malato di Alzheimer)

domenica 15 agosto 2021

Aforismi animali


La pietà verso gli animali è talmente legata alla bontà del carattere da consentire di affermare fiduciosamente che l'uomo crudele con gli animali non può essere buono. Questa compassione proviene dalla medesima fonte donde viene la pietà verso gli uomini. (Arthur Schopenhauer, Il fondamento della morale, III, 19, 7)

Si ha pietà di un peccatore, di un malfattore, ma non di un innocente e fedele animale che spesso procura il pane al suo padrone e non riceve che misero foraggio. «Aver pietà»! Non già pietà, ma giustizia si deve all'animale! (Arthur Schopenhauer, L'arte di insultare)

Non è una richiesta di pietà, ma di giustizia. […] Occorre coltivare un ampio senso di universale giustizia (non di pietà) verso tutti gli esseri viventi. (Henry Stephens Salt)

Essendo, dunque, gli atti degli animali analoghi a quelli umani e derivando dagli stessi princìpi, in tanto noi abbiamo dei doveri verso di essi in quanto, osservando questi, noi promuoviamo quelli verso l'umanità. Chi perciò facesse uccidere il proprio cane, non essendo questo più in grado di guadagnarsi il pane, non agirebbe affatto contro i doveri riguardanti i cani, i quali sono sprovvisti di giudizio, ma lederebbe nella loro intrinseca natura quella socievolezza e umanità, che occorre rispettare nella pratica dei doveri verso il genere umano. Per non distruggerla, l'uomo deve mostrare bontà di cuore già verso gli animali, perché chi usa essere crudele verso di essi è altrettanto insensibile verso gli uomini. Si può conoscere il cuore d'un uomo già dal modo in cui egli tratta le bestie. (Immanuel Kant, Lezioni di etica)

L'uomo segue dei modelli di comportamento acquisiti verso gli animali e troppo raramente si domanda cosa provoca con questo. Se pensiamo all'atteggiamento che l'uomo ha verso il mondo animale, potremmo quasi dire che costui non è un essere umano. Pensiamo a tutti i mattatoi o agli allevamenti intensivi di bestiame e pollame con condizioni di vita invivibili per gli animali e pensiamo alle condizioni di trasporto nei camion, tante volte senz'acqua e senza niente; questo è un comportamento estremamente crudele verso gli animali. Non che la gente sia cattiva, è solo che non ci pensa. Quando il prodotto finito è servito in tavola, non si pongono domande sul contenuto, sulla provenienza e le fasi precedenti della produzione. (Janez Drnovšek - politico sloveno 1950 – 2008) 

La crudeltà verso gli animali equivale per l'uomo a non amare Dio. (John Henry Newman)

Se avete uomini che escluderanno una qualsiasi delle creature di Dio dal rifugio della compassione e della pietà, avrete uomini che trattano nello stesso modo i simili. Non ferire o umiliare i nostri fratelli è il nostro primo dovere verso di loro, ma non è sufficiente fermarsi lì. Abbiamo una missione più alta: essere loro di servizio dovunque ne abbiano necessità. (Marie Matthews, Floriterapia australiana per i nostri animali, Sonia Sferzi ed., Tecniche Nuove, Milano, 2009, p. 30 – passo attribuito a San Francesco d’Assisi) 

La vera bontà dell’uomo si può manifestare in tutta purezza e libertà solo nei confronti di chi non rappresenta alcuna forza. Il vero esame morale dell’umanità, l’esame fondamentale (posto così in profondità da sfuggire al nostro sguardo) è il suo rapporto con coloro che sono alla sua mercè: gli animali. E qui sta il fondamentale fallimento dell’uomo, tanto fondamentale che da esso derivano tutti gli altri. (Milan Kundera)

Saevitia in bruta est tirocinium crudelitatis in homines / La crudeltà nei confronti degli animali è un allenamento alla crudeltà verso gli uomini. (Publio Ovidio Nasone) 

L'uomo si distingue dall'animale in virtù della compassione verso l'animale stesso. (Richard Wagner, Lettera aperta, 1879)

La caccia è una forma secondaria di malattia mentale umana. (Theodor Heuss, Presidente della Repubblica Federale di Germania dal 1949 al 1959)

Se un uomo mostra una pietosa compassione verso gli animali, ancor più sarà disposto a comportarsi con pietà verso i propri simili. (Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae I-II, q. 102, art. 6 ad. 8)

La primavera è tornata, il sole ha abbracciato la terra. Presto vedremo i figli del loro amore. Ogni seme, ogni animale si è svegliato. Anche noi siamo stati generati da questa grande forza. Per questo crediamo che anche gli altri uomini e i nostri fratelli animali abbiano il nostro stesso diritto a vivere su questa terra! (Toro Seduto / Tȟatȟaŋka Iyotȟaŋka - 1831 – 1890)

Le sofferenze degli animali ci sembrano dei mali perché, essendo anche noi animali, pensiamo che saremmo molto da compiangere se a noi si facesse altrettanto. Sentiremmo la stessa pietà per una pianta o per una pietra se sapessimo che, quando viene tagliata, essa soffre, ma la compiangeremmo molto meno di un animale, perché la pianta e la pietra ci somigliano meno. (Voltaire, Il faut prendre parti, ou le principe d'action


 

sabato 14 agosto 2021

Il prete che aveva fallito

Il parroco di un piccolo paese andò in chiesa incoraggiato e motivato a celebrare un'altra messa serale, ma l'ora era passata e nessuno del paese era arrivato. Dopo 15 minuti, entrano tre bambini, dopo 20 minuti entrano due giovani. Così decise di iniziare la Messa con i cinque fratelli. Nel corso della Messa, una coppia entrò e si sedette negli ultimi banchi della chiesa.  

Mentre il sacerdote predicava e spiegava il Vangelo, entrò un altro uomo, mezzo sporco, con una corda in mano. Deluso e senza capire la causa della debole partecipazione dei fedeli, il sacerdote celebrò la Messa con amore e predicò con entusiasmo.

Quando stava tornando a casa, fu aggredito e picchiato da due ladri che presero la sua borsa  contenente la Bibbia e altri oggetti di valore. Arrivando alla canonica, medicandosi le ferite, descrisse quel giorno come il giorno più triste della sua vita, il fallimento del suo ministero e il giorno più infruttuoso della sua carriera; ma… non importa, avrebbe fatto tutto con Dio e per Lui.

Dopo cinque anni, il prete decise di condividere questa storia con i parrocchiani della chiesa. Quando la storia finisce, una coppia importante in quella parrocchia si ferma e dice: "Padre, la coppia nella storia di cui ha parlato, seduti in fondo alla chiesa, siamo noi. Eravamo sull'orlo della separazione, basata su varie questioni e disaccordi nella nostra casa. Quella sera avevamo finalmente deciso per il nostro divorzio, ma prima abbiamo deciso di venire in chiesa a lasciare le nostre fedi e poi ognuno avrebbe continuato nel suo cammino. Nel frattempo, dopo aver ascoltato l’omelia, quella stessa sera, abbiamo deciso di non lasciarci. Di conseguenza, oggi siamo qui con casa e famiglia restaurate".

Mentre la coppia parlava, uno degli uomini d'affari di maggior successo che hanno contribuito a sostenere la Chiesa, ha salutato con la mano, chiedendo di parlare e quando gli è stata data l'opportunità ha detto: "Padre, io sono l'uomo che è arrivato mezzo sporco con una corda in mano. Ero sull'orlo della bancarotta, perso nella droga, mia moglie e i miei figli hanno lasciato casa a causa delle mie aggressioni. Quella notte ho cercato di uccidermi, ma la corda si è rotta, così sono uscito per comprarne un'altra. Nel cammino, ho visto la chiesa aperta, ho deciso di entrare anche se ero molto sporco e con la corda in mano. Quella notte, la sua omelia mi ha trafitto il cuore e sono partito da qui con la voglia di vivere. Oggi sono libero dalla droga, la mia famiglia è tornata a casa e sono diventato il più grande uomo d'affari della città"

Sulla porta d'ingresso della sagrestia, il diacono gridò: "Padre, io ero uno di quei ladri che l'hanno derubata. L'altro è morto quella stessa notte quando abbiamo compiuto la seconda rapina. Nella sua valigetta c'era una Bibbia. La leggevo ogni volta che mi svegliavo la mattina. Dopo tante letture, ho deciso di prestare il mio servizio in questa chiesa".

Il Padre rimase sconvolto e cominciò a piangere insieme ai fedeli. Dopotutto, era una notte che considerava una notte di fallimento.


Esercita la tua chiamata, cioè il tuo lavoro, la tua missione, con dedizione indipendentemente dal numero dei partecipanti.
Dai il massimo ogni giorno, perché ogni giorno sei uno strumento di bene per la vita di qualcuno.
Nei giorni peggiori della tua vita puoi ancora essere una benedizione nella vita di qualcuno.
Dio può usare le "cattive circostanze" di una vita per produrre grandi vittorie.

sabato 31 luglio 2021

Ecco il mio Dio

(Kathy Lawrence, "Thy tender care")

Ecco il mio Dio,
quello che cammina per le strade buie,
quello che riaccende in cuori “spenti” 
la fiamma dell’amore.

Quello che “legge” nell’anima...
Non importa di che colore è la tua pelle, 
che lingua parli, quante ricchezze terrene hai.

Ti ama per quello che sei, 
non per quello che possiedi
o per un tornaconto umano.

Non lo vedi?
Eppure ti è accanto.
Non avverti la sua mano che accarezza il tuo cuore?
Quella pace che inonda il tuo essere 
quando guardi un tuo simile e lo chiami: "fratello"?

C’è rabbia, angoscia, preoccupazione nella tua inquietudine. 
Rincorri i fantasmi di un "passato".
Impazzisci per un "futuro" che non ti appartiene.
"Ad ogni giorno basta la sua pena..."
Che grande verità!

Ecco questo è il nostro Dio.
Quello che è salito su di un legno a forma di Croce.
Come un malfattore, un rifiuto umano.
Quello che ha sconfitto la morte,
per donarci la Vita vera.

Il suo nome è Gesù.

venerdì 30 luglio 2021

Litanie dell'umiltà


Signore, pietà
Cristo, pietà
Signore, pietà
Cristo, ascoltaci
Cristo, esaudiscici

Padre del cielo, che sei Dio ...abbi pietà di noi
Figlio redentore del mondo, che sei Dio
Spirito Santo, che sei Dio
Santa Trinità, unico Dio

Dal desiderio di essere stimato ...liberami, Signore
Dal desiderio di essere lodato
Dal desiderio di essere esaltato
Dal desiderio di essere ricercato
Dal desiderio di essere amato
Dal desiderio di essere onorato
Dal desiderio di essere preferito agli altri
Dal desiderio di essere consultato
Dal desiderio di essere approvato

Da ogni odio e da ogni invidia ...liberaci, Signore
Da ogni risentimento e rancore
Da ogni rivalsa
Da ogni pregiudizio
Da ogni forma di egoismo
Da ogni ingiustizia e da ogni viltà
Da ogni tendenza a giudicare e condannare
Dalla mormorazione e dalla critica
Da ogni giudizio affrettato e da ogni calunnia
Dall'orgoglio e dalla ostentazione
Da ogni permalosità e impazienza
Dalla tendenza ad appartarci
Dal sospetto e dalla sfiducia
Da ogni cattiva disposizione
Da ogni forma d'indifferenza
Da ogni prepotenza
Da ogni scortesia e sospetto
Da ogni suggestione del demonio
Da ogni offuscamento delle passioni

Dal timore di essere umiliato ...liberami, Signore
Dal timore di essere disprezzato
Dal timore di essere rifiutato
Dal timore di essere calunniato
Dal timore di essere sospettato
Dal timore di essere dimenticato
Dal timore di essere schernito
Dal timore di essere ingiuriato
Dal timore di essere abbandonato

Che gli altri siano amati più di me ...Gesù, datemi la grazia di desiderarlo!
Che gli altri siano stimati più di me
Che gli altri possano crescere nell'opinione del mondo e che io possa diminuire
Che gli altri possano essere prescelti ed io messo in disparte
Che gli altri possano essere lodati ed io dimenticato
Che gli altri possano essere preferiti a me in ogni cosa
Che gli altri possano essere più santi di me, purché lo divenga santo in quanto posso

San Giuseppe, protettore degli umili: prega per me
San Michele Arcangelo, che fosti il primo ad abbattere l'orgoglio: prega per me
O Giusti tutti santificati specialmente dallo spirito di umiltà: pregate per me
O Gesù, la cui prima lezione è stata questa: "Imparate da me che sono mite e umile di Cuore", insegnami a divenire umile come lo sei Tu

Perché vogliamo veramente bene ai nostri fratelli ...esaudiscici, Signore
perché siamo tra noi un cuore solo e un'anima sola
perché i nostri sentimenti siano come quelli del tuo cuore
perché rimaniamo uniti nello spirito
perché siamo concordi nell'azione
perché sappiamo comprenderci
perché sappiamo ammettere i torti e perdonarci reciprocamente
perché diveniamo servi premurosi gli uni degli altri
perché siamo sempre sinceri e aperti fra di noi
perché nelle nostre case regni la gioia della carità
perché nella nostra carità il mondo veda il Signore
perché nella nostra Patria regni la concordia
perché cessino le lotte di classe
perché la giustizia sociale sia compiuta nella carità
perché tutti gli uomini si amino

Gesù, che sei venuto sulla terra per servire gli uomini ...rendi il nostro cuore simile al Tuo
Gesù, che hai amato i poveri
Gesù, che hai consolato i sofferenti
Gesù, che hai sofferto per i peccatori
Gesù, che hai parlato dolcemente a chi ti schiaffeggiava e ti tradiva
Gesù, che hai raccolto l'invocazione del ladrone
Gesù, che hai lodato il buon Samaritano
Gesù, che sei morto sulla croce
Gesù, che continui a rinnovare il tuo sacrificio d'Amore per noi
Gesù, che ti fai cibo per sostenerci nel nostro cammino
Santa Maria, Vergine piccola ed umile prega per noi
Santa Maria, Vergine piena d'Amore e di carità

Agnello di Dio, che vivi nell'Amore del Padre: abbi pietà di noi
Agnello di Dio, che hai portato agli uomini l'amore del Padre: esaudiscici
Agnello di Dio, che t'immoli per amore degli uomini: convertici

Perdonaci, o Signore tutti i nostri peccati
come noi perdoniamo a coloro che ci hanno offeso.

O Dio, che resisti ai superbi e dai la grazia agli umili: concedici la virtù della vera umiltà, di cui l'Unigenito tuo Figlio s'è fatto esempio, affinché non provochiamo mai il tuo sdegno con l'orgoglio, ma otteniamo piuttosto il dono del tuo Amore ubbidendo umilmente alla tua Parola.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

Rafael Merry del Val (1865 – 1930), cardinale, arcivescovo cattolico e diplomatico spagnolo


martedì 27 luglio 2021

Ogni cosa è un dono


Sei single e ti manca un partner. 

Sei in coppia e ti manca la libertà. 

Lavori e ti manca il tempo. 

Hai troppo tempo libero e vorresti lavorare. 

Sei giovane e vuoi crescere per fare le cose degli adulti. 

Sei adulto e vorresti fare le cose dei giovani. 

Vivi nella tua città ma vorresti vivere altrove. 

Sei altrove ma vorresti tornare nella tua città. 

Forse è tempo di smettere col guardare sempre a ciò che ci manca e iniziare a vivere nel presente, apprezzando davvero quello che abbiamo. 

Goditi il profumo della tua casa prima di aprire la porta ed uscire a cercare i profumi del mondo. Perché niente è scontato, e ogni cosa è un dono. Dagli valore.

Sette secondi. Pensieri liberi di uno psicoterapeuta (2018)

Oscar Travino

domenica 25 luglio 2021

Sorridi


Sorridi anche se il tuo cuore soffre,
Sorridi anche se si sta rompendo:
quando ci sono nuvole nel cielo,
te la caverai,
se sorridi durante 
la tua paura e il tuo dolore.

Sorridi e forse domani
scoprirai che la vita 
vale ancora la pena di essere vissuta
solo se...

Illumina il tuo viso di gioia,
nascondi ogni traccia di tristezza.
Anche se una lacrima sta per arrivare
è quello il momento 
in cui devi continuare a provare a sorridere!

Sorridi, a che serve piangere?
Scoprirai che la vita 
vale ancora la pena di essere vissuta
solo se...
...sorridi!


Charlie Chaplin (1889 – 1977) attore, comico, regista, compositore e produttore cinematografico britannico

Nat King Cole, nel 1956, e Judy Garland, nel 1964, ci hanno lasciato le prime interpretazioni della famosa canzone "Smile" con la melodia utilizzata da Charlie Chaplin nel film "Tempi moderni" (1936) e il testo rielaborato da John Turner e Geoffrey Parsons. 

Smile, though your heart is aching
Smile, even though it's breaking
When there are clouds, in the sky, you'll get by
If you smile, through your fear and sorrow
Smile, and there'll be tomorrow
You'll see the sun come shining through,

If you'll...

Light up your face with gladness
Hide every trace of sadness
Although a tear, may be ever so near,
That's the time, you must keep on trying
Smile, what's the use of crying?
You'll find that life is still worthwhile,

If you'll just...

Light up your face with gladness
Hide every trace of sadness
Although a tear, may be ever so near,
That's the time, you must keep on trying.

Smile, what's the use of crying?
You'll find that life is still worthwhile,
If you'll just...
Smile

giovedì 22 luglio 2021

Rischiare


Ridere, è rischiare di apparire matti.
Piangere, è rischiare di apparire sentimentali.

Tendere la mano, significa rischiare di impegnarsi.
Mostrare i sentimenti, è rischiare di esporsi.

Far conoscere le proprie idee ed i propri sogni, 
è rischiare di essere respinti.
Amare, è rischiare di non essere contraccambiati.

Vivere, è rischiare di morire.
Sperare, è rischiare di disperare.
Tentare, è rischiare di fallire.

Ma noi dobbiamo correre il rischio!
Il più grande pericolo nella vita
è quello di non rischiare.

Colui che non rischia niente...
...non fa niente
...non ha niente
...non è niente!

Joseph Rudyard Kipling (1865 - 1936), scrittore e poeta britannico 

lunedì 19 luglio 2021

L’uomo nell’arena

 Non è colui che critica a contare, né colui che indica quando gli altri inciampano, o che commenta come una certa azione si sarebbe dovuta compiere meglio.

L’onore spetta all’uomo nell’arena. L’uomo il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue.

L’uomo che lotta con coraggio, che sbaglia ripetutamente, sapendo che non c’è impresa degna di questo nome che sia priva di errori e mancanze.

L’uomo che dedica tutto sé stesso al raggiungimento di un obiettivo, che sa entusiasmarsi e impegnarsi fino in fondo, e che si spende per una causa giusta.

L’uomo che quando le cose vanno bene, conosce finalmente il trionfo delle grandi conquiste e che, quando le cose vanno male, cade sapendo di aver osato.

Quest’uomo non avrà mai un posto accanto a quelle anime mediocri che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta.

Dal discorso tenuto all’Università Sorbona di Parigi il 23 aprile 1910

Theodore Roosevelt (1858 - 1919), politico e Presidente degli Stati Uniti d’America

giovedì 8 luglio 2021

La vita in Cristo secondo Paolo


Paolo – Hai mai navigato?

Mauritius – Sì 

Paolo – Allora immagina di guardare la vastità del mare davanti a te. Poi ti abbassi e immergi la mano dentro l'acqua e ne raccogli un po’ nel palmo. L'acqua inizierà subito colarti tra le dita fino a che il palmo non sarà vuoto. L'acqua rappresenta la vita di un uomo: dalla nascita alla morte ci sfugge continuamente dalle mani finché non finisce. Insieme a tutto ciò che amiamo in questo mondo. È tuttavia il regno di cui parlo sempre. Per il quale vivo. 
É come tutto il resto dell'acqua di quel mare: gli uomini vivono per quel poco di acqua che scivola via tra le loro dita. Coloro che seguono Gesù Cristo vivono per la distesa senza fine di quel mare. 

Mauritius – E se io, dopo tutto questo, ancora non credessi nel tuo Cristo?

Paolo – Non cercavo di convincerti! Ascoltami: è solo un momento e non sarò io, ma Cristo che ti rivolgerà lo sguardo e abbatterà le tue difese: in quel preciso istante ti renderai finalmente conto che Dio ti conosce a fondo e ti ama incondizionatamente! 
Pregherò per te perchè arrivi quel momento...

Dal film: Paolo, apostolo di CristoPaul, apostle of Christ, (2018) scritto e diretto da Andrew Hyatt





mercoledì 7 luglio 2021

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.

Cosí li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (22 Marzo 1950)

Cesare Pavese (1908 – 1950) scrittore, poeta, traduttore e critico letterario italiano

lunedì 28 giugno 2021

L’uomo di massa: ignorante e addormentato


Per soffocare in anticipo ogni rivolta, non bisogna essere violenti. I metodi del genere di Hitler sono superati. Basta creare un condizionamento collettivo così potente che l’idea stessa di rivolta non verrà nemmeno più alla mente degli uomini.

L’ ideale sarebbe quello di formattare gli individui fin dalla nascita limitando le loro abilità biologiche innate.

In secondo luogo, si continuerebbe il condizionamento riducendo drasticamente l’istruzione, per riportarla ad una forma di inserimento professionale. Un individuo ignorante ha solo un orizzonte di pensiero limitato e più il suo pensiero è limitato a preoccupazioni mediocri, meno può rivoltarsi.

Bisogna fare in modo che l’accesso al sapere diventi sempre più difficile e elitario. Il divario tra il popolo e la scienza, che l’informazione destinata al grande pubblico sia anestetizzata da qualsiasi contenuto sovversivo.

Niente filosofia. Anche in questo caso bisogna usare la persuasione e non la violenza diretta: si diffonderanno massicciamente, attraverso la televisione, divertimenti che adulano sempre l’emotività o l’istintivo. Affronteremo gli spiriti con ciò che è futile e giocoso. È buono, in chiacchiere e musica incessante, impedire allo spirito di pensare.

Metteremo la sessualità al primo posto degli interessi umani. Come tranquillante sociale, non c’è niente di meglio.

In generale si farà in modo di bandire la serietà dell’esistenza, di ridicolizzare tutto ciò che ha un valore elevato, di mantenere una costante apologia della leggerezza; in modo che l’euforia della pubblicità diventi lo standard della felicità umana. E il modello della libertà.

Il condizionamento produrrà così da sé tale integrazione, l’unica paura, che dovrà essere mantenuta, sarà quella di essere esclusi dal sistema e quindi di non poter più accedere alle condizioni necessarie alla felicità.

L’uomo di massa, così prodotto, deve essere trattato come quello che è: un vitello, e deve essere monitorato come deve essere un gregge. Tutto ciò che permette di far addormentare la sua lucidità è un bene sociale, tutto ciò che metterebbe a repentaglio il suo risveglio deve essere ridicolizzato, soffocato, combattuto.

Ogni dottrina che mette in discussione il sistema deve prima essere designata come sovversiva e terrorista e coloro che la sostengono dovranno poi essere trattati come tali.

L'uomo è antiquato, 1956

Günther Anders (1902 - 1992), filosofo e scrittore tedesco



mercoledì 14 aprile 2021

Bevi dove beve il cavallo


Bevi dove beve il cavallo, lui non berrà mai acqua cattiva.

Prepara il letto laddove si stende il gatto.

Mangia il frutto che ha toccato il verme.

Prendi il fungo dove si siede l’insetto.

Pianta il tuo albero dove scava la talpa.

Costruisci la casa dove si scalda al sole la vipera.

Scava un pozzo laddove gli uccelli si annidano quando fa caldo.

Coricati e svegliati insieme alle galline, così il grano d’oro della giornata sarà tuo.

Mangia più verdure e avrai gambe forti e cuore resistente come di un animale robusto.

Nuota spesso e ti sentirai sulla terra come un pesce nell'acqua.

Guarda più spesso il cielo e non i tuoi piedi, così i tuoi pensieri saranno limpidi e leggeri.

Taci di più e parla di meno e nella tua anima regnerà il silenzio e il tuo animo sarà pacifico e tranquillo.


Seraphim di Sarov (1754-1833), monaco e mistico russo 

lunedì 12 aprile 2021

Le virtù del vero dialogo

Ritengo utile, perciò, richiamare qui le qualità di un vero dialogo. Esse si applicano, innanzitutto, al dialogo tra le persone; ma penso anche e soprattutto al dialogo tra i gruppi sociali, tra le forze politiche in una nazione, tra gli Stati in seno alla comunità internazionale. […]

Il dialogo è un elemento centrale e indispensabile del pensiero etico degli uomini, chiunque essi siano. Sotto l'aspetto di uno scambio, di una comunicazione tra gli esseri umani, quale permette il linguaggio, esso è in realtà una ricerca comune.

Fondamentalmente, esso suppone la ricerca di ciò che è vero, buono e giusto per ogni uomo, per ogni gruppo e ogni società, sia nella parte con cui si è solidali, sia in quella che si presenta come avversa. 

Esso dunque esige, in via preliminare, l'apertura e l'accoglienza: che ogni parte esponga i propri elementi, ma ascolti anche l'esposizione della situazione così come è descritta dall'altra parte, la recepisca sinceramente con i veri problemi suoi propri, i suoi diritti, le ingiustizie di cui ha coscienza, le soluzioni ragionevoli che propone. Come potrebbe stabilirsi la pace, se una delle parti non si è neppure data pensiero di considerare le condizioni di esistenza dell'altra? 

Il dialogare suppone, dunque, che ciascuno accetti questa differenza e questa specificità dell'altro, prenda bene la misura di ciò che lo separa dall'altro, e che l'assuma col rischio di tensione che ne risulta, senza rinunciare per viltà o per costrizione a ciò che sa essere vero e giusto, ciò che sfocerebbe in un compromesso zoppicante e, inversamente, senza pretendere di ridurre l'altro ad un oggetto, ma stimandolo come soggetto intelligente, libero e responsabile. 

Il dialogo, nello stesso tempo, è la ricerca di ciò che è e resta comune agli uomini, anche in mezzo alle tensioni, opposizioni e conflitti. In questo senso, vuol dite fare dell'altro il proprio prossimo. Vuol dire accettare il suo contributo, e condividere con lui la responsabilità di fronte alla verità e alla giustizia. Vuol dire proporre e studiare tutte le possibili formule di onesta conciliazione, sapendo congiungere alla giusta difesa degli interessi e dell'onore della parte, che si rappresenta, la non meno giusta comprensione e il rispetto delle ragioni dell'altra parte, come pure le esigenze del bene generale comune ad entrambe. 

Del resto, non è forse sempre più evidente che tutti i popoli della terra si trovano in una situazione di interdipendenza vicendevole sul piano economico, politico e culturale? Chi pretendesse di sottrarsi a questa solidarietà non tarderebbe a soffrirne egli stesso. 

Dal messaggio per la Giornata mondiale della pace (1 gennaio 1983): "Il dialogo per la pace una sfida per il nostro tempo"

Giovanni Paolo II / Karol Jozef Wojtyla (1920 - 2005), papa 

Amato d'un amore d'eternità

«Mi ami tu?»: è l'ultima domanda di Gesù a Pietro. Pietro era triste al pensiero di aver rinnegato tre volte Gesù, prima della sua crocifissione. Ed ecco il Risorto sta dinanzi a lui. Gesù non lo condanna per il suo rinnegamento. Non prende l'atteggiamento del forte. Non tira sulla corda della cattiva coscienza già attaccata al collo di Pietro. Nel Cristo vi sono viscere d'umanità: lui pure durante la sua vita terrena ha percorso cammini d'oscurità.

A Pietro, Cristo dice solo queste tre parole: «Mi ami tu?» E Pietro risponde: «Signore, tu sai che ti amo». Una seconda volta Gesù riprende: «Mi ami tu?». E Pietro di nuovo: «Ma lo sai che ti amo». Una terza volta Gesù insiste: «Mi ami più di tutti costoro?» E Pietro, scosso: «Signore, tu conosci ogni cosa, tu sai che ti amo».

Da quel giorno ad ogni essere umano sulla terra, il Cristo instancabilmente domanda: «Mi ami tu?».

Vi sono giorni in cui ci turiamo le orecchie: la domanda ci è insopportabile. Essa è intollerabile per colui che non ha mai sperimentato l'amore umano, per chi esperimenta solo l'abbandono o la ferita ricevuta nell'innocenza della sua infanzia.

Essa è intollerabile per noi tutti quando ci rivela quella parte di solitudine che nessuna intimità umana può colmare, quella parte di solitudine nella quale Dio ci aspetta. E quando la rivolta si esaspera, la domanda ci appare come una condanna poiché per amare non basta un atto della volontà.

Lo sappiamo abbastanza? Il Cristo non obbliga mai ad amarlo. Ma lui, il Vivente, rimane al fianco di ciascuno, come un povero, come un oscuro. É presente anche negli eventi più squallidi, nella fragilità dell'esistenza. Il suo amore è presenza non d'un solo istante ma di sempre. Quell'amore di eternità apre un al di là al nostro vivere. Senza quell'altrove, senza quell'aldilà, l'uomo non ha più speranza... e svanisce il gusto di procedere. Di fronte a quell'amore d'eternità, lo sentiamo, la nostra risposta concreta non può essere fuggitiva, per un periodo soltanto, con la possibilità di ritornare sulle nostre decisioni in seguito. La nostra risposta non può neppure essere uno sforzo della volontà; taluni vi si infrangerebbero. Essa è innanzitutto un abbandonarsi.

Rimanere dinanzi a lui, con o senza parole, significa sapere dove riposare il nostro cuore, significa rispondergli da poveri. In questo consiste la molla segreta dell'esistenza, il rischio del Vangelo. «Anche se talvolta io non so più se ti amo o no, o Cristo, tu sai tutto, tu sai che ti amo».

Grandi felicità sono offerte a colui che corre il rischio di un tale amore, senza calcolarne troppo le conseguenze. Quando ricerchiamo in primo luogo la felicità per noi stessi, essa a breve o lunga scadenza ci abbandona. Quanto più ardentemente la inseguiamo, tanto più lontano se ne fugge da noi.

Cercatore appassionato del suo amore d'eternità, chiunque tu sia, saprai dove riposare il tuo cuore? Attraverso le tue stesse ferite, egli apre la porta della pienezza: la lode del suo amore. Abbandonati, donati. In questo consiste la guarigione delle ferite, e non solo delle tue: già, in Lui, ci guariamo reciprocamente.

Roger Schutz (1915 – 2005), monaco cristiano svizzero, fondatore della comunità monastica di Taizé


domenica 11 aprile 2021

Quando una mamma dice che è stanca...

Illustrazione di Snezhana Soosh

Quando una mamma dice che è stanca,
non ditele che anche voi oggi avete fatto un sacco di cose.

Quando una mamma dice che ha bisogno di dormire, 
non ditele che anche voi non avete dormito per il caldo.

Quando una mamma chiede un aiuto, 
non datele solo il minimo richiesto.

Quando una mamma dice che è stanca 
vuol dire che lo è già oltre ad ogni suo limite, chissà da quanto tempo.

Quando una mamma dice che ha bisogno di dormire 
vuol dire che non dorme da mesi, 
a volte anni, tanto che forse non è più capace di dormire

Quando una mamma chiede aiuto,
vuol dire che ha già fatto tutto il possibile e anche di più, 
vuol dire che ha bisogno di mangiare, di bere, di lavarsi, 
vuol dire che ha già annullato se stessa per troppo tempo.

Quando una mamma chiede,
ha già fatto uno sforzo che non dovrebbe fare.

Quando una mamma dice che è stanca, 
questo è tutto ciò che voleva dire!

Le mamme dovrebbero sentirsi dire:
«Io ci sono, ti vedo, ti apprezzo, so quello che fai. Vieni che ti abbraccio!»


Anche la mamma si stanca, si arrabbia, ha voglia di sparire... 
Prima di giudicarla per aver perso la pazienza, offri aiuto. 
Chi si prende cura di tutti anche lei ha bisogno di essere curata.

mercoledì 7 aprile 2021

Vorrei insegnarti

Quello che io ti voglio insegnare
è il verbo essere più del verbo fare:
essere in grado di fare da solo,
dopo cadute librarti nel volo;
se non riesci voglio insegnarti,
a esser tenace e mai scoraggiarti,
a esser modesto, chiedere aiuto
senza sentirti deluso e avvilito.

Voglio insegnarti a credere in te,
che è meglio in tre che fare da sé
ad essere unico, esser speciale
senza per questo sentirti il migliore.

Voglio insegnarti ad usare la testa,
a essere chi nessuno calpesta
e che rispetta e sa ascoltare
quello che gli altri hanno da dire.

Voglio insegnarti a chieder perdono
se per errore non sei stato buono,
ad essere in grado di sopportare
un no che mai vorresti sentire.

Io tutto questo vorrei insegnarti,
la chiave giusta vorrei regalarti
perché tu possa entrar nella vita
ed esser capace di affrontar la salita.

Germana Bruno, poetessa e scrittrice italiana 

martedì 6 aprile 2021

Dopo... a volte è troppo tardi!

Dopo ti chiamo.
Dopo lo faccio.
Dopo lo dico.
Dopo io cambio.
Ci penso dopo.

Lasciamo tutto per dopo
come se il dopo fosse il meglio,
...ma non sappiamo che:

dopo il caffè si raffredda…
dopo la priorità cambia…
dopo l’incanto si perde…
dopo il presto si trasforma in tardi…
dopo la malinconia passa…
dopo le cose cambiano…
dopo i figli crescono…
dopo la gente invecchia…
dopo le promesse si dimenticano…
dopo il giorno é notte…

...dopo la vita finisce.


Dum differtur, vita transcurrit.

Mentre si rinvia, la vita passa. (Lucio Anneo Seneca)

domenica 4 aprile 2021

"Oggi è proprio Pasqua per me, perché ho avuto la grazia di vedere te!"


Benedetto però non amava affatto le lodi del mondo: bramava piuttosto sottoporsi a disagi e fatiche per amore di Dio, che non farsi grande negli onori di questa vita. Proprio per questo prese la decisione di abbandonare anche la sua nutrice e nascostamente fuggì. Si diresse verso una località solitaria e deserta chiamata Subiaco, distante da Roma circa 40 miglia, località ricca di fresche e abbondantissime acque, che prima si raccolgono in un ampio lago e poi si trasformano in fiume.

Si affrettava dunque a passi svelti verso questa località, quando si incontrò per via con un monaco di nome Romano, che gli domandò dove andasse.

Conosciuta la sua risoluzione, gli offrì volentieri il suo aiuto. Lo rivestì quindi dell'abito santo, segno della consacrazione a Dio, lo fornì del poco necessario secondo le sue possibilità e gli rinnovò la promessa di non dire il segreto a nessuno.

In quel luogo di solitudine, l'uomo di Dio si nascose in una stretta e scabrosa spelonca. Rimase nascosto lì dentro tre anni e nessuno seppe mai niente, fatta eccezione del monaco Romano. Questi dimorava in un piccolo monastero non lontano, sotto la guida del padre Adeodato; con pie industrie, cercando il momento opportuno, sottraeva una parte della sua porzione di cibo e in giorni stabiliti la portava a Benedetto.

Dal monastero di Romano però non era possibile camminare fino allo speco, perché sopra di questo si stagliava un'altissima rupe. Romano quindi dall'alto di questa rupe, calava abilmente il pane con una lunghissima fune, a cui aveva agganciato un campanello: l'uomo di Dio sentiva, usciva fuori e lo prendeva.

Il bene però non piace mai allo spirito maligno: sentiva rabbia della carità dell'uno e della refezione dell'altro. Un giorno, osservando che veniva calato il pane, scagliò un sasso e ruppe il campanello. Romano però continuò lo stesso, come meglio poteva, a prestare questo generoso servizio.

Dio però, che tutto dispone, volle che Romano sospendesse la sua laboriosa carità e più ancora volle che la vita di Benedetto diventasse luminoso modello agli uomini: questa splendente lucerna, posta sopra il candelabro, doveva ormai irradiare la sua luce a tutti quelli che sono nella casa di Dio.

Per questo il Signore stesso si degnò di trovarne la via. Un certo sacerdote, che abitava parecchio distante, si era preparata la mensa nel giorno di Pasqua. All'improvviso ecco una visione: è il Signore che parla: "Tu ti sei preparato cibi deliziosi, e va bene: ma guarda là; vedi quei luoghi? Lì c'è un mio servo che soffre la fame".

Il buon sacerdote balzò in piedi e nello stesso giorno solenne di Pasqua, raccolti gli alimenti che aveva preparato per sé, volò nella direzione indicatagli. Cercò l'uomo di Dio tra i dirupi dei monti, tra le insenature delle valli e tra gli antri delle grotte: lo trovò finalmente, nascosto nella spelonca.

Tutti e due volarono prima di tutto al Signore, innalzando a Lui benedizioni e preghiere. Sedettero poi, insieme, scambiandosi dolci pensieri sulle cose del cielo.

"Ora - disse poi il sacerdote - prendiamo anche un po' di cibo, perché oggi è Pasqua". "Oh, sì, - rispose Benedetto - oggi è proprio Pasqua per me, perché ho avuto la grazia di vedere te". Così lontano dagli uomini il servo di Dio ignorava persino che quel giorno fosse la solennità di Pasqua.

"Ma oggi è veramente il giorno della Risurrezione del Signore - riprese il sacerdote - e dunque non è bene che tu faccia digiuno. Io sono stato inviato qui proprio per questo, per cibarci insieme, da buoni fratelli, di questi doni che l'Onnipotenza di Dio ci ha messo davanti".

E così, con la lode di Dio sulle labbra, desinarono. Finita poi la refezione e scambiata qualche altra buona parola, il sacerdote fece ritorno alla sua chiesa.

Vita di San Benedetto (Dialoghi, Libro II)

Gregorio Magno (540 - 604), papa e santo

lunedì 22 marzo 2021

La pace è un cammino


La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia.
Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio.
Rifiuta la tentazione del godimento.
Non tollera atteggiamenti sedentari.
Non ha molto da spartire con la banale ‘vita pacifica’.
Sì, la pace prima che traguardo è cammino.
E per giunta cammino in salita.
E sarà beato, perché operatore di pace, 
non chi pretende di trovarsi all’arrivo senza essere mai partito,
ma chi parte.

Don Tonino Bello (1935 - 1993), vescovo italiano 

Caro papà, vorrei dirti queste cose…


Tra padri e figli il buon esempio non basta: occorre anche un dialogo aperto alle migliori intese.

1. Non viziarmi. So benissimo che non dovrei avere tutto quello che ti chiedo. Voglio solo metterti alla prova.

2. Non aver paura di essere severo con me. Lo preferisco. Questo mi permette di capire in che cosa sono valido.

3. Non usare la forza con me. Questo mi insegna che la potenza è tutto ciò che conta e perciò sarò meno disponibile a lasciarmi guidare.

4. Non essere incoerente. Questo mi sconcerta e mi spinge a cercare di farla franca tutte le volte che posso.

5. Non fare promesse: potresti non essere in grado di mantenerle. Questo farebbe diminuire la mia fiducia in te.

6. Non cedere alle mie provocazioni quando dico e faccio cose solo per imbarazzarti, perché cercherei allora di avere altre vittorie simili.

7. Non essere troppo turbato quando ti dico: "Ti odio". Non intendo proprio questo, lo dico perché tu sia triste per quello che mi hai fatto.

8. Non farmi sentire più piccolo di quanto non sia: rimedierei comportandomi da più grande di quanto non sia.

9. Non fare per me le cose che posso fare da solo. Questo mi fa sentire come un bambino e potrei continuare a tenerti al mio servizio.

10.Non fare che le mie "cattive abitudini" mi guadagnino molta parte della tua attenzione. Ciò mi incoraggia a continuare con esse.

11. Non correggermi davanti alla gente. Ti presterò molta più attenzione se mi parlerai tranquillamente a quattr'occhi. 

12. Non cercare di discutere sul mio comportamento nella foga di un litigio. Ovviamente il mio udito non è molto buono in quel momento. È giusto comportarsi come si deve, ma bisogna parlarne con calma.

13. Non cercare di farmi prediche. Saresti sorpreso di vedere come so bene che cosa è giusto e che cosa è sbagliato.

14. Non farmi sentire che i miei errori sono colpe. Devo imparare a fare errori senza avere la sensazione di non essere onesto.

15. Non brontolare continuamente. Se lo fai dovrò difendermi facendo finta di essere sordo.

16. Non pretendere  spiegazioni per il mio comportamento scorretto. Davvero non so perché l'ho fatto.

17. Non mettere troppo a dura prova la mia sincerità. Vengo facilmente intimorito, tanto da dire bugie.

18. Non dimenticare che mi piace molto fare esperimenti. Imparo da questi, per cui ti prego di sopportarli.

19. Non difendermi dalle conseguenze. Ho bisogno di apprendere dall'esperienza.

20. Non badare troppo alle mie piccole indisposizioni: potrei imparare a godere cattiva salute se questo mi attira la tua attenzione.

21. Non zittirmi quando faccio domande “oneste”. Se lo fai, scoprirai che smetto di chiedere e andrò a cercare le mie informazioni altrove.

22. Non rispondere invece alle mie domande "sciocche" o senza senso. Desidero solo tenerti occupato con me.

23. Non pensare assolutamente di apparire ridicolo se ti scusi con me. Una scusa leale mi fa sentire sorprendentemente affettuoso verso di te.

24. Non sostenere mai di essere perfetto o infallibile. Questo mi offre il pretesto per non seguirti.

25. Non preoccuparti per il poco tempo che passiamo insieme. É "come" lo passiamo, che conta.

26. Non permettere  che i miei timori suscitino la tua ansia, perché allora diventerei più pauroso. Indicami il coraggio.

27. Non dimenticare che non posso crescere bene senza molta comprensione e incoraggiamento. Ma non ho bisogno di dirtelo, vero?

Trattami allo stesso modo con cui tratti i tuoi amici: così anch'io sarò tuo amico. Ricordati che io imparo di più da un esempio che da un rimprovero. 

The King's Business Magazine” (Los Angeles)


sabato 20 febbraio 2021

Il bello e il sublime

Il bello della natura si riferisce alla forma dell'oggetto, la quale consiste nella limitazione. Il sublime invece può riferirsi anche ad un oggetto informe, in quanto in esso, o per suo motivo, sia rappresentata un'illimitatezza a cui si aggiunga il pensiero della sua totalità. L'oggetto stesso può essere rappresentato come sublime in duplice modo: sublime matematico e sublime dinamico. Noi diciamo sublime matematico ciò che è assolutamente grande, ciò che è grande al di là di ogni comparazione. Se poi la natura deve essere giudicata da noi dinamicamente sublime, deve essere rappresentata come tale da provocare timore. Il piacere del sublime è diverso da quello del bello; questo infatti produce direttamente un sentimento di esaltazione della vita; quello invece è un piacere che ha solo un'origine indiretta, giacché esso sorge dal sentimento di un momentaneo arresto delle energie vitali, seguito da una più intensa loro esaltazione. Possiamo aggiungere alle formule precedenti della definizione del sublime anche questa: sublime è ciò di cui la sola possibilità di esser pensato dimostra la presenza di una facoltà dell'animo nostro che trascende ogni misura sensibile. Il sentimento del sublime nella Natura è dunque rispetto per la nostra propria destinazione, che ci rende per così dire intuibile la superiorità della determinazione razionale delle nostre facoltà conoscitive anche sul massimo potere della sensibilità. La sublimità dunque non sta in nessuna cosa della Natura, ma solo nell'animo nostro, in quanto noi possiamo riconoscerci superiori alla Natura.

Critica del Giudizio (1790)

Immanuel Kant (1724 – 1804), filosofo tedesco 

giovedì 18 febbraio 2021

Educazione

L’educazione è il grande motore dello sviluppo personale. È grazie all’educazione che la figlia di un contadino può  diventare medico, il figlio di un minatore il capo miniera o  un bambino nato in una famiglia povera il presidente di  una grande nazione. Non ciò che ci viene dato, ma la capacità di valorizzare al meglio ciò che abbiamo è ciò che distingue una persona dall’altra.

Nelson Mandela (1918 – 2013), politico e attivista sudafricano, presidente del Sudafrica dal 1994 al 1999


martedì 9 febbraio 2021

Elogio della fragilità

La storia della salvezza si compie «nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18) attraverso le nostre debolezze. Troppe volte pensiamo che Dio faccia affidamento solo sulla parte buona e vincente di noi, mentre in realtà la maggior parte dei suoi disegni si realizza attraverso e nonostante la nostra debolezza. È questo che fa dire a San Paolo: «Affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l'allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”» (2 Cor 12,7-9).

Se questa è la prospettiva dell’economia della salvezza, dobbiamo imparare ad accogliere la nostra debolezza con profonda tenerezza.

Il Maligno ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità, lo Spirito invece la porta alla luce con tenerezza. È la tenerezza la maniera migliore per toccare ciò che è fragile in noi. Il dito puntato e il giudizio che usiamo nei confronti degli altri molto spesso sono segno dell’incapacità di accogliere dentro di noi la nostra stessa debolezza, la nostra stessa fragilità. Solo la tenerezza ci salverà dall’opera dell’Accusatore (cfr Ap 12,10). Per questo è importante incontrare la Misericordia di Dio, specie nel Sacramento della Riconciliazione, facendo un’esperienza di verità e tenerezza. Paradossalmente anche il Maligno può dirci la verità, ma, se lo fa, è per condannarci. Noi sappiamo però che la Verità che viene da Dio non ci condanna, ma ci accoglie, ci abbraccia, ci sostiene, ci perdona. La Verità si presenta a noi sempre come il Padre misericordioso della parabola (cfr Lc 15,11-32): ci viene incontro, ci ridona la dignità, ci rimette in piedi, fa festa per noi, con la motivazione che «questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (v. 24).

Anche attraverso l’angustia di Giuseppe passa la volontà di Dio, la sua storia, il suo progetto. Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca. A volte noi vorremmo controllare tutto, ma Lui ha sempre uno sguardo più grande.

Lettera apostolica "Patris corde", 8 Dicembre 2020

Papa Francesco, Jorge Mario Bergoglio, Papa della Chiesa cattolica e vescovo di Roma

lunedì 1 febbraio 2021

La leggenda del grande inquisitore

Matthias Stom, Gesù di fronte a Caifa (1630)

[ Ivàn Karamàzov narra al fratello Aljòsa un suo racconto fantasioso... ]

 – La mia azione si svolge in Spagna, a Siviglia, al tempo più pauroso dell’inquisizione quando ogni giorno nel paese ardevano i roghi per la gloria di Dio e con grandiosi autodafé si bruciavano gli eretici.

Oh, certo, non è così che Egli scenderà, secondo la Sua promessa, alla fine dei tempi, in tutta la gloria celeste, improvviso “come folgore che splende dall’Oriente all’Occidente”. No, Egli volle almeno per un istante visitare i Suoi figli proprio là dove avevano cominciato a crepitar i roghi degli eretici.

Nell’immensa Sua misericordia, Egli passa ancora una volta fra gli uomini in quel medesimo aspetto umano col quale era passato per tre anni in mezzo agli uomini quindici secoli addietro. Egli scende verso le “vie roventi” della città meridionale, in cui appunto la vigilia soltanto, in un “grandioso autodafé”, alla presenza del re, della corte, dei cavalieri, dei cardinali e delle più leggiadre dame di corte, davanti a tutto il popolo di Siviglia, il cardinale grande inquisitore aveva fatto bruciare in una volta, ad majorem Dei gloriam, quasi un centinaio di eretici.

Egli è comparso in silenzio, inavvertitamente, ma ecco – cosa strana – tutti Lo riconoscono. Spiegare perché Lo riconoscano, potrebbe esser questo uno dei più bei passi del poema. Il popolo è attratto verso di Lui da una forza irresistibile, Lo circonda, Gli cresce intorno, Lo segue. Egli passa in mezzo a loro silenzioso, con un dolce sorriso d’infinita compassione. Il sole dell’amore arde nel Suo cuore, i raggi della Luce, del Sapere e della Forza si sprigionano dai Suoi occhi e, inondando gli uomini, ne fanno tremare i cuori in una rispondenza d’amore. Egli tende loro le braccia, li benedice e dal contatto di Lui, e perfino dalle Sue vesti, emana una forza salutare. Ecco che un vecchio, cieco dall’infanzia, grida dalla folla: “Signore, risanami, e io Ti vedrò”, ed ecco che cade dai suoi occhi come una scaglia, e il cieco Lo vede.

Il popolo piange e bacia la terra dove Egli passa. I bambini gettano fiori dinanzi a Lui, cantano e Lo acclamano: “Osanna!”. “É Lui, è Lui”, ripetono tutti, “dev’essere Lui, non può esser che Lui”. Egli si ferma sul sacrato della cattedrale di Siviglia nel preciso momento in cui portano nel tempio, fra i pianti, una candida bara infantile aperta: c’è dentro una bambina di sette anni, unica figlia di un insigne cittadino. La bimba morta è tutta coperta di fiori.

“Egli risusciterà la tua bambina”, gridano dalla folla alla madre piangente. Il prete della cattedrale uscito incontro alla bara guarda perplesso e aggrotta le sopracciglia. Ma ecco risonare a un tratto il grido della madre della bambina morta. Essa si getta ai Suoi piedi: “Se sei Tu, risuscita la mia creatura!”, esclama, tendendo le braccia verso di Lui. Il corteo si ferma, la bara è deposta sul sacrato ai Suoi piedi. Egli la guarda con pietà e le Sue labbra pronunziano piano ancora una volta: “Talitha kum”, “e la fanciulla si levò”. La bambina si solleva nella bara, si siede e guarda intorno sorridendo con gli occhietti sgranati, pieni di stupore. Ha nelle mani il mazzo di rose bianche col quale era distesa nella bara. Il popolo si agita, grida, singhiozza; ed ecco in questo stesso momento passare accanto alla cattedrale, sulla piazza, il cardinale grande inquisitore in persona.

È un vecchio quasi novantenne, alto e diritto, dal viso scarno, dagli occhi infossati, ma nei quali, come una scintilla di fuoco, splende ancora una luce. Oh, egli non ha più la sontuosa veste cardinalizia di cui faceva pompa ieri davanti al popolo, mentre si bruciavano i nemici della fede di Roma: no, egli non indossa in questo momento che il suo vecchio e rozzo saio monastico. Lo seguono a una certa distanza i suoi tetri aiutanti, i servi e la “sacra” guardia. Si ferma dinanzi alla folla e osserva da lontano. Ha visto tutto, ha visto deporre la bara ai piedi di Lui, ha visto la bambina risuscitare, e il suo viso si è abbuiato. Aggrotta le sue folte sopracciglia bianche e il suo sguardo brilla di una luce sinistra. Egli allunga un dito e ordina alle sue guardie di afferrarlo.

E tanta è la sua forza e a tal punto il popolo è docile, sottomesso e pavidamente ubbidiente, che la folla subito si apre davanti alle guardie e queste, in mezzo al silenzio di tomba che si è fatto di colpo, mettono le mani su Lui e Lo conducono via. Per un istante tutta la folla, come un solo uomo, si curva fino a terra davanti al vecchio inquisitore; questi benedice il popolo in silenzio e passa oltre. Le guardie conducono il Prigioniero sotto le volte di un angusto e cupo carcere nel vecchio edificio del Santo Uffizio e ve Lo rinchiudono.

Passa il giorno, sopravviene la scura, calda, “afosa” notte di Siviglia. L’aria “odora di lauri e di limoni”. In mezzo alla tenebra profonda si apre a un tratto la ferrea porta del carcere, e il grande inquisitore in persona con una fiaccola in mano lentamente si avvicina alla prigione. È solo, la porta si richiude subito alle sue spalle. Egli si ferma sulla soglia e considera a lungo, per uno o due minuti, il volto di Lui. Infine si accosta in silenzio, posa la fiaccola sulla tavola e gli dice:

– “Sei Tu, sei Tu?” – Ma, non ricevendo risposta, aggiunge rapidamente: – “Non rispondere, taci. E che potresti dire? So troppo bene quel che puoi dire. Del resto, non hai il diritto di aggiunger nulla a quello che Tu già dicesti una volta. Perché sei venuto a disturbarci? Sei infatti venuto a disturbarci, lo sai anche Tu. Ma sai che cosa succederà domani? Io non so chi Tu sia, e non voglio sapere se Tu sia Lui o soltanto una Sua apparenza, ma domani stesso io Ti condannerò e Ti farò ardere sul rogo, come il peggiore degli eretici, e quello stesso popolo che oggi baciava i Tuoi piedi si slancerà domani, a un mio cenno, ad attizzare il Tuo rogo, lo sai? Si, forse Tu lo sai”, – aggiunse, profondamente pensoso, senza staccare per un attimo lo sguardo dal suo Prigioniero.

– Io non comprendo bene Ivan, che voglia dir questo – sorrise Aljòsa, che aveva sempre ascoltato in silenzio; – è semplicemente una fantasia delirante, o un errore del vecchio, un assurdo qui pro quo?

– Ammetti pure quest’ultima ipotesi, – scoppiò a ridere Ivan, – se il realismo contemporaneo ti ha già tanto guastato che tu non possa tollerare nulla di fantastico; vuoi che sia un qui pro quo? E sia pure! È vero, – e tornò a ridere, – il vecchio ha novant’anni e da un pezzo la sua idea poteva averlo fatto impazzire. Egli poteva essere stato colpito dall’aspetto esteriore del Prigioniero. Poteva infine essere un semplice delirio, la visione di un vecchio novantenne sulla soglia della morte, sovreccitato per giunta dall’autodafé dei cento eretici bruciati la vigilia. Ma qui pro quo o fantasia troppo sfrenata, non è lo stesso per noi? L’importante qui è solo che il vecchio deve infine manifestare il proprio pensiero e lo manifesta e dice ad alta voce ciò che per novant’anni ha taciuto.

– E il Prigioniero rimane zitto? Lo guarda e non dice nemmeno una parola?

– Ma è cosí che deve essere, in ogni caso, – rise nuovamente Ivan. – Il vecchio stesso Gli osserva che Egli non ha il diritto di aggiunger nulla a quanto già fu detto. C’è appunto qui, se vuoi, il tratto più fondamentale del cattolicesimo romano, come a dire. “Tutto è stato da Te trasmesso al papa, tutto quindi è ora nelle mani del papa, e Tu non venirci a disturbare, quanto meno prima del tempo”. In questo senso non solo parlano, ma anche scrivono i cattolici, i gesuiti almeno. L’ho letto io stesso nelle opere dei loro teologi. “Hai Tu il diritto di rivelarci anche un solo segreto del mondo da cui sei venuto?”. – Gli domanda il mio vecchio e risponde egli stesso per Lui: – “No, Tu non l’hai, se non vuoi aggiungere qualcosa a quello che già fu detto e togliere agli uomini quella libertà che tanto difendesti quando eri sulla terra. Tutto ciò che di nuovo Tu ci rivelassi attenterebbe alla libertà della fede umana, giacché apparirebbe come un miracolo, mentre la libertà della fede già allora, millecinquecent’anni or sono, Ti era più cara di tutto. Non dicevi Tu allora spesso: “Voglio rendervi liberi?”. Ebbene, adesso Tu li ha veduti, questi uomini “liberi”, – aggiunge il vecchio con un pensoso sorriso. – Si, questa faccenda ci è costata cara, – continua, guardandolo severo, – ma noi l’abbiamo finalmente condotta a termine, in nome Tuo. Per quindici secoli ci siamo tormentati con questa libertà, ma adesso l’opera è compiuta e saldamente compiuta. Non credi che sia saldamente compiuta? Tu mi guardi con dolcezza e non mi degni neppure della Tua indignazione? Ma sappi che adesso, proprio oggi, questi uomini sono più che mai convinti di essere perfettamente liberi, e tuttavia ci hanno essi stessi recato la propria libertà, e l’hanno deposta umilmente ai nostri piedi. Questo siamo stati noi ad ottenerlo, ma è questo che Tu desideravi, è una simile libertà?”.

– Io torno a non comprendere, – interruppe Aljòsa, – egli fa dell’ironia, scherza?

– Niente affatto. Egli fa un merito a sé ed ai suoi precisamente di avere infine soppresso la libertà e di averlo fatto per rendere felici gli uomini. “Ora infatti per la prima volta (egli parla, naturalmente, dell’inquisizione) è diventato possibile pensare alla felicità umana. L’uomo fu creato ribelle; possono forse dei ribelli essere felici? Tu eri stato avvertito, – Gli dice, – avvertimenti e consigli non Ti erano mancati, ma Tu non ascoltasti gli avvertimenti. Tu ricusasti l’unica via per la quale si potevano render felici gli uomini, ma per fortuna, andandotene, rimettesti la cosa nelle nostre mani. Tu ci hai promesso, Tu ci hai con la Tua parola confermato, Tu ci hai dato il diritto di legare e di slegare, e certo non puoi ora nemmeno pensare a ritoglierci questo diritto. Perché dunque sei venuto a disturbarci?”.

 – Ma che cosa significa: “Non Ti sono mancati avvertimenti e consigli?” – domandò Aljòsa.

 – Ma qui appunto sta l’essenza di ciò che il vecchio deve esprimere. “Lo spirito intelligente e terribile, lo spirito dell’autodistruzione e del non essere, – continua il vecchio, – il grande spirito. Ti parlò nel deserto, e nei libri ci è riferito come egli Ti avesse “tentato”. Non è così? Ma si poteva mai dire qualcosa di più vero di quanto egli Ti rivelò nelle tre domande che Tu respingesti e che nei libri sono dette “tentazioni”? Tuttavia, se mai ci fu sulla terra un vero e clamoroso miracolo, fu in quel giorno, nel giorno di quelle tre tentazioni. Precisamente nella formulazione di quelle tre domande era racchiuso il miracolo. Se si potesse, soltanto a mo’ di esempio e di ipotesi, immaginare che quelle tre domande dello spirito terribile fossero scomparse dai libri senza lasciare traccia e che occorresse ricostruirle, pensarle e formularle di nuovo, per rimetterle nei libri, e se per questo si riunissero tutti i sapienti della terra – governanti, prelati, dotti, filosofi, poeti, – e si assegnasse loro questo compito: immaginate, formulate tre domande tali da corrispondere all’importanza dell’evento non solo, ma da esprimere per giunta in tre parole, in tre proposizioni umane, tutta la futura storia del mondo e dell’umanità, – ebbene, credi Tu che tutta la sapienza della terra, insieme raccolta, potrebbe concepire qualcosa di simile per forza e profondità a quelle tre domande che Ti furono allora rivolte nel deserto dallo spirito intelligente e possente? Già solo da quelle domande e dal prodigio della loro formulazione si può capire che si ha da fare non con lo spirito umano transitorio, ma con quello eterno ed assoluto. In quelle tre domande infatti è come compendiata e predetta tutta la storia ulteriore dell’umanità, sono dati i tre archetipi in cui si concreteranno tutte le insolubili, contraddizioni storiche dell’umana natura su tutta la terra. Questo non poteva ancora, a quel tempo, essere così chiaro, poiché l’avvenire era ignoto, ma adesso, passati quindici secoli, noi vediamo che in quelle tre domande tutto era stato a tal segno divinato e predetto e che tutto si è a tal segno avverato, che non è più possibile aggiungervi o toglierne alcunché.

Decidi Tu stesso chi avesse ragione, se Tu o colui che allora T’interrogava. Ricordati la prima domanda: se non la lettera il senso era questo: “Tu vuoi andare e vai al mondo con le mani vuote, con non so quale promessa di una libertà che gli uomini, nella semplicità e nella innata intemperanza loro, non possono neppur concepire, che essi temono e fuggono, giacché nulla mai è stato per l’uomo e per la società umana più intollerabile della libertà! Vedi Tu invece queste pietre in questo nudo e infocato deserto? Mutale in pani e l’umanità sorgerà dietro a Te come un riconoscente e docile gregge, con l’eterna paura di vederti ritirare la Tua mano, e di rimanere senza i Tuoi pani”. Ma Tu non volesti privar l’uomo della libertà e respingesti l’invito, perché, cosí ragionasti, che libertà può mai esserci, se la ubbidienza è comprata coi pani?

Tu obiettasti che l’uomo non vive di solo pane, ma sai Tu che nel nome di questo stesso pane terreno, insorgerà contro di Te lo spirito della terra e lotterà con Te e Ti vincerà, e tutti lo seguiranno, esclamando: “Chi è comparabile, a questa bestia? Essa ci ha dato il fuoco del cielo!”. Sai Tu che passeranno i secoli e l’umanità proclamerà per bocca della sua sapienza e della sua scienza che non esiste il delitto, e quindi nemmeno il peccato, ma che ci sono soltanto degli affamati? “Nutrili e poi chiedi loro la virtù!”, ecco quello che scriveranno sulla bandiera che si leverà contro di Te e che abbatterà il Tuo tempio. Al posto del Tuo tempio sorgerà un nuovo edificio, sorgerà una nuova spaventosa torre di Babele, e, quand’anche essa restasse, come la prima, incompiuta, Tu avresti però potuto evitare questa nuova torre e abbreviare di mille anni le sofferenze degli uomini, giacché essi verranno a noi, dopo essersi arrovellati per mille anni intorno alla loro torre! Essi torneranno allora a cercarci sotto terra, nelle catacombe, dove ci nasconderemo (perché saremo di nuovi perseguitati e torturati), ci troveranno e ci grideranno: “Nutriteci, perché quelli che ci avevano promesso il fuoco del cielo non ce l’han dato”. E allora saremo noi a ultimare la loro torre, giacché la ultimerà chi li sfamerà e noi soli li sfameremo, in nome Tuo, facendo credere di farlo in nome Tuo. Oh, mai, mai essi potrebbero sfamarsi senza di noi! Nessuna scienza darà loro il pane, finché rimarranno liberi, ma essi finiranno per deporre la loro libertà ai nostri piedi e per dirci: “Riduceteci piuttosto in schiavitù ma sfamateci!”. Comprenderanno infine essi stessi che libertà e pane terreno a discrezione per tutti sono fra loro inconciliabili, giacché mai, mai essi sapranno ripartirlo fra loro! Si convinceranno pure che non potranno mai nemmeno esser liberi, perché sono deboli, viziosi, inetti e ribelli. Tu promettevi loro il pane celeste, ma, lo ripeto ancora, può esso, agli occhi della debole razza umana, eternamente viziosa ed eternamente abietta, paragonarsi a quello terreno? E se migliaia e diecine di migliaia di esseri Ti seguiranno in nome del pane celeste, che sarà dei milioni e dei miliardi di esseri che non avranno la forza di posporre il pane terreno a quello celeste? O forse Ti sono care soltanto le diecine di migliaia di uomini grandi e forti, mentre i restanti milioni, numerosi come la sabbia del mare, di esseri deboli, che però Ti amano, non devono servire che da materiale per i grandi e per i forti? No, a noi sono cari anche i deboli. Essi sono viziosi e ribelli, ma finiranno per diventar docili. Essi ci ammireranno e ci terranno in conto di dei per avere acconsentito, mettendoci alla loro testa, ad assumerci il carico di quella libertà che li aveva sbigottiti e a dominare su loro, tanta paura avranno infine di esser liberi! Ma noi diremo che obbediamo a Te e che dominiamo in nome Tuo. Li inganneremo di nuovo, perché allora non Ti lasceremo più avvicinare a noi. E in quest’inganno starà la nostra sofferenza, poiché saremo costretti a mentire. Ecco ciò che significa quella domanda che Ti fu fatta nel deserto, ed ecco ciò che Tu ricusasti in nome della libertà, da Te collocata più in alto di tutto.

In quella domanda tuttavia si racchiudeva un grande segreto di questo mondo. Acconsentendo al miracolo dei pani, Tu avresti dato una risposta all’universale ed eterna ansia umana, dell’uomo singolo come dell’intera umanità: “Davanti a chi inchinarsi?”. Non c’è per l’uomo rimasto libero più assidua e più tormentosa cura di quella di cercare un essere dinanzi a cui inchinarsi. Ma l’uomo cerca di inchinarsi a ciò che già è incontestabile, tanto incontestabile, che tutti gli uomini ad un tempo siano disposti a venerarlo universalmente. Perché la preoccupazione di queste misere creature non è soltanto di trovare un essere a cui questo o quell’uomo si inchini, ma di trovarne uno tale che tutti credano in lui e lo adorino, e precisamente tutti insieme. E questo bisogno di comunione nell’adorazione è anche il più grande tormento di ogni singolo, come dell’intera umanità, fin dal principio dei secoli. È per ottenere quest’adorazione universale che si sono con la spada sterminati a vicenda. Essi hanno creato degli dei e si sono sfidati l’un l’altro: “Abbandonate i vostri dei e venite ad adorare i nostri, se no guai a voi e ai vostri dei!”. E così sarà fino alla fine del mondo, anche quando gli dei saranno scomparsi dalla terra: non importa, cadranno allora in ginocchio davanti agli idoli.

- Tu conoscevi, Tu non potevi non conoscere questo fondamentale segreto della natura umana, ma Tu rifiutasti l’unica irrefragabile bandiera che Ti si offrisse per indurre tutti a inchinarsi senza discussione dinanzi a Te; la bandiera del pane terreno, e la rifiutasti in nome della libertà e del pane celeste. Guarda poi quel che hai fatto in seguito. E sempre in nome della libertà! Io Ti dico che non c’è per l’uomo pensiero più angoscioso che quello di trovare al piú presto a chi rimettere il dono della libertà con cui nasce questa infelice creatura. Ma dispone della libertà degli uomini solo chi ne acqueta la coscienza. Col pane Ti si dava una bandiera indiscutibile: l’uomo si inchina a chi gli dà il pane, giacché nulla è più indiscutibile del pane; ma, se qualcun altro accanto a Te si impadronirà nello stesso tempo della sua coscienza, oh, allora egli butterà via anche il Tuo pane e seguirà colui che avrà lusingato la sua coscienza. In questo Tu avevi ragione. Il segreto dell’esistenza umana infatti non sta soltanto nel vivere, ma in ciò per cui si vive. Senza un concetto sicuro del fine per cui deve vivere, l’uomo non acconsentirà a vivere e si sopprimerà piuttosto che restare sulla terra, anche se intorno a lui non ci fossero che pani. Questo è giusto, ma che cosa è avvenuto? Invece di impadronirti della libertà degli uomini. Tu l’hai ancora accresciuta! Avevi forse dimenticato che la tranquillità e perfino la morte è all’uomo più cara della libera scelta fra il bene ed il male? Nulla è per l’uomo più seducente che la libertà della sua coscienza, ma nulla anche è più tormentoso. Ed ecco che, in luogo di saldi principi, per acquetare la coscienza umana una volta per sempre, Tu hai scelto tutto quello che c’è di più inconsueto, enigmatico e impreciso, hai scelto tutto quello che superava le forze degli uomini, e hai perciò agito come se Tu non li amassi per nulla, e chi mai ha fatto questo? Colui che era venuto a dare per essi la Sua vita! Invece d’impadronirti della libertà umana, Tu l’hai moltiplicata e hai per sempre gravato col peso dei suoi tormenti la vita morale dell’uomo. Tu volesti il libero amore dell’uomo, perché Ti seguisse liberamente, attratto e conquistato da Te. In luogo di seguire la salda legge antica, l’uomo doveva per l’avvenire decidere da sé liberamente, che cosa fosse bene che cosa fosse male, avendo dinanzi come guida la sola Tua immagine; ma non avevi Tu pensato che, se lo si fosse oppresso con un così terribile fardello come la libertà di scelta, egli avrebbe finito per respingere e contestare perfino la Tua immagine e la Tua verità? Essi esclameranno, alla fine, che la verità non è in Te, perché era impossibile abbandonarli fra ansie ed angosce maggiori di come Tu facesti, lasciando loro tante inquietudini e tanti insolubili problemi. In tal modo preparasti Tu stesso la rovina del Tuo regno, e non darne più la colpa a nessuno. Ma è questo intanto che Ti offriva? Ci sono sulla terra tre forze, tre sole forze capaci di vincere e conquistare per sempre la coscienza di questi deboli ribelli, per la felicità loro; queste forze sono: il miracolo, il mistero e l’autorità. Tu respingesti la prima, la seconda e la terza e desti così l’esempio. Lo spirito sapiente e terribile. Ti aveva posto sul culmine del tempio e Ti aveva detto: “Se vuoi sapere se Tu sei Figlio di Dio, gettati in basso, poiché di Lui è detto che gli angeli Lo sosterranno e Lo porteranno, ed Egli non cadrà e non si farà alcun male, e saprai allora se Tu sei il Figlio di Dio e proverai allora quale sia la Tua fede nel Padre Tuo”; ma Tu, udito ciò, respingesti l’offerta, non Ti lasciasti convincere e non Ti gettasti giú. Oh, certo, Tu agisti allora con una magnifica fierezza, come Iddio, ma gli uomini, questa debole razza di ribelli, sono essi forse dei? Oh, Tu comprendesti allora che, facendo un solo passo, un solo movimento per gettarti giù, avresti senz’altro tentato il Signore e perduto ogni fede in Lui, e Ti saresti sfracellato sulla terra che eri venuto a salvare, e si sarebbe rallegrato lo spirito sagace che Ti aveva tentato. Ma, ripeto, ce ne sono forse molti come Te? E in verità potevi Tu ammettere, non fosse che per un momento, che anche gli uomini avessero la forza di resistere a una simile tentazione? È forse fatta la natura umana per respingere il miracolo e, in così terribili momenti della vita, di fronte ai più terribili, fondamentali e angosciosi problemi dell’anima, rimettersi unicamente alla libera decisione del cuore? Oh, Tu sapevi che la Tua azione si sarebbe tramandata nei libri, avrebbe raggiunto la profondità dei tempi e gli ultimi confini della terra, e sperasti che, seguendo Te, anche l’uomo si sarebbe accontentato di Dio, senza bisogno di miracoli. Ma Tu non sapevi che, non appena l’uomo avesse ripudiato il miracolo, avrebbe subito ripudiato anche Dio, perché l’uomo cerca non tanto Dio quanto i miracoli. E siccome l’uomo non ha la forza di rinunziare al miracolo, così si creerà dei nuovi miracoli, suoi propri, e si inchinerà al prodigio di un mago, ai sortilegi di una fattucchiera, fosse egli anche cento volte ribelle, eretico ed ateo.

Tu non scendesti dalla croce quando Ti si gridava, deridendoti e schernendoti: “Discendi dalla croce e crederemo che sei Tu”. Tu non scendesti, perché una volta di più non volesti asservire l’uomo col miracolo, e avevi sete di fede libera, non fondata sul prodigio. Avevi sete di un amore libero, e non dei servili entusiasmi dello schiavo davanti alla potenza che l’ha per sempre riempito di terrore. Ma anche qui Tu giudicavi troppo altamente degli uomini, giacché, per quanto creati ribelli, essi sono certo degli schiavi. Vedi e giudica, son passati quindici secoli, guardali: chi hai Tu innalzato fino a Te? Ti giuro, l’uomo è stato creato più debole e più vile che Tu non credessi! Può egli forse compiere quel che puoi compiere Tu? Stimandolo tanto, Tu agisti come se avessi cessato di averne pietà, perché troppo pretendesti da lui, e chi ha fatto questo? Colui che lo amava più di se stesso! Stimandolo meno, avresti anche meno preteso da lui, e questo sarebbe stato più vicino all’amore, perché più leggera sarebbe stata la sua soma. Egli è debole e vile. Che importa che egli adesso si sollevi dappertutto contro la nostra autorità e si inorgoglisca della sua rivolta? È l’orgoglio del bambino e dello scolaretto. Sono i piccoli bimbi che si sono ribellati in classe e hanno cacciato il maestro.

Ma anche l’esaltazione dei ragazzetti avrà fine e costerà loro cara. Essi abbatteranno i templi e inonderanno di sangue la terra. Ma si avvedranno infine, gli sciocchi fanciulli, di essere bensì dei ribelli, ma dei ribelli deboli e incapaci di sopportare la propria rivolta. Versando le loro stupide lacrime, riconosceranno infine che chi li creò ribelli se ne voleva senza dubbio burlare. Essi lo diranno nella disperazione, e le loro parole saranno una bestemmia che li renderà anche più infelici, perché la natura umana non sopporta la bestemmia e alla fin fine se ne vendica sempre da sé. Inquietudine dunque, tumulto e infelicità: ecco l’odierna sorte degli uomini, dopo che Tu tanto patisti per la loro libertà! Il Tuo grande profeta dice nella sua visione e nella sua parabola di aver visto tutti i partecipi della prima resurrezione e che ce n’erano dodicimila per ciascuna tribù. Ma se erano tanti, vuol dire che quelli erano più dei che uomini. Essi sopportarono la Tua croce, essi sopportarono decine d’anni di vita famelica nel nudo deserto, cibandosi di cavallette e di radici; e certo Tu puoi appellarti con orgoglio a questi eroi della libertà, dell’amore libero, del libero e magnifico sacrificio da essi compiuto in nome Tuo. Ma ricordati che erano in tutto appena alcune migliaia, ed erano per giunta degli dei, ma i rimanenti? E che colpa hanno gli altri, gli uomini deboli, di non aver potuto sopportare ciò che i forti poterono? Che colpa ha l’anima debole, se non ha la forza di accogliere così terribili doni? Possibile che Tu sia venuto davvero solo agli eletti e per gli eletti? Ma se è così, c’è qui un mistero e noi non possiamo comprenderlo. E se c’è un mistero, anche noi avevamo il diritto di predicarlo e di insegnare agli uomini che non è la libera decisione dei loro cuori quello che importa, né l’amore, ma un mistero, a cui essi debbono ciecamente inchinarsi, anche contro la loro coscienza. E così abbiamo fatto.

Abbiamo corretto l’opera Tua e l’abbiamo fondata sul miracolo, sul mistero e sull’autorità. E gli uomini si sono rallegrati di essere nuovamente condotti come un gregge e di vedersi infine tolto dal cuore un dono così terribile, che aveva loro procurato tanti tormenti. Avevamo noi ragione d’insegnare e di agire così? Parla! Forse che non amavamo l’umanità, riconoscendone così umilmente l’impotenza, alleggerendo con amore il suo fardello e concedendo alla sua debole natura magari anche di peccare, ma però col nostro consenso?

Perché mi guardi in silenzio coi tuoi miti occhi penetranti? Va in collera, io non voglio il Tuo amore, perché io stesso non Ti amo. E che cosa dovrei nasconderti? Non so forse con chi parlo? Tutto ciò che ho da dirti, già Ti è noto, lo leggo nei Tuoi occhi. E dovrei io nasconderti il nostro segreto? Forse Tu vuoi proprio udirlo dalle mie labbra, ascolta dunque: noi non siamo con Te, ma con lui, ecco il nostro segreto! Da lungo tempo non siamo più con Te, ma con lui, sono ormai otto secoli. Sono esattamente otto secoli che accettammo da lui ciò che Tu avevi rifiutato con sdegno, quell’ultimo dono ch’egli Ti offriva, mostrandoti tutti i regni della terra: noi accettammo da lui Roma e la spada di Cesare e ci proclamammo re della terra, gli unici re, sebbene non abbiamo ancora avuto il tempo di compiere interamente l’opera nostra. Ma di chi la colpa? Oh, quest’opera è finora soltanto agli inizi, ma è cominciata! Ancora a lungo si dovrà attenderne il compimento e molto ancora soffrirà la terra, ma noi raggiungeremo la mèta, saremo Cesari, e allora penseremo all’universale felicità degli uomini. Tu però già allora avresti potuto accettare la spada di Cesare. Perché ricusasti quest’ultimo dono? Accogliendo questo terzo consiglio dello spirito possente, Tu avresti compiuto tutto ciò che l’uomo cerca sulla terra, e cioè: a chi inchinarsi, a chi affidare la propria coscienza e in qual modo, infine, unirsi tutti in un formicaio indiscutibilmente comune e concorde, giacché il bisogno di unione universale è il terzo e l’ultimo tormento degli uomini. Sempre l’umanità mirò nel suo insieme ad organizzarsi universalmente.

Molti furono i grandi popoli con una grande storia, ma quanto più elevati erano quei popoli, tanto più erano infelici, perché più fortemente degli altri sentivano il bisogno dell’unione universale degli uomini. I grandi conquistatori, i Timùr e i Gengis-Chan, passarono come un turbine sulla terra, cercando di conquistare l’universo, ma anche essi, per quanto inconsapevolmente, espressero quello stesso potente bisogno umano di unione mondiale ed universale. Accettando il mondo e la porpora di Cesare, Tu avresti fondato il regno universale e dato la pace universale. Chi mai infatti deve dominare gli uomini, se non quelli che dominano la loro coscienza e nelle cui mani è il loro pane? E noi abbiamo preso la spada di Cesare, ma naturalmente, prendendola, ripudiammo Te e andammo dietro a lui. Oh, passeranno ancora secoli di orgia del libero pensiero, di umana scienza e di antropofagia, perché, avendo cominciato a costruire la loro torre di Babele senza di noi, è con l’antropofagia che termineranno. Ma proprio allora la bestia striscerà verso di noi e leccherà i nostri piedi e li spruzzerà con le lacrime di sangue dei suoi occhi. E noi ci assideremo sulla bestia e leveremo in alto una coppa su cui sarà scritto “Mistero!”. Ma allora soltanto, e allora spunterà per gli uomini il regno della pace e della felicità. Tu sei fiero dei Tuoi eletti, ma Tu non hai che eletti, mentre noi daremo la pace a tutti. D’altra parte, c’è anche questo: quanti di quegli eletti, e di quei forti che avrebbero potuto diventarlo, si sono infine stancati di attenderli, e hanno portato e ancora porteranno su altri campi le forze del loro spirito e la fiamma del loro cuore, e finiranno anche per sollevare contro di te la loro libera bandiera! Ma questa bandiera l’innalzasti Tu stesso.

Con noi invece tutti saranno felici e più non si rivolteranno, né si stermineranno fra loro, come facevano dappertutto nella Tua libertà. Oh, noi li persuaderemo che allora soltanto essi saranno liberi, quando rinunzieranno alla libertà loro in favore nostro e si sottometteranno a noi. Ebbene, avremo ragione, perché ricorderanno a quali orrori di servitù e di turbolenza li conducesse la Tua libertà. La libertà, il libero pensiero e la scienza li condurranno in tali labirinti e li porranno davanti a tali portenti e misteri insolubili, che di essi gli uni, ribelli e furiosi, si distruggeranno da sé, gli altri, ribelli ma deboli si distruggeranno fra loro, mentre i rimanenti, imbelli e infelici, si trascineranno ai nostri piedi e ci grideranno: “Si, voi avevate ragione, voi soli possedevate il Suo segreto e noi torniamo a voi, salvateci da noi medesimi”. Ricevendo i pani da noi, certo vedranno chiaramente che prendiamo i loro stessi pani, guadagnati dalle loro stesse braccia, per distribuirli fra essi, senza miracolo alcuno, vedranno che noi non abbiamo mutato in pani le pietre, ma in verità, più che del pane stesso, saranno lieti di riceverlo dalle nostre mani! Giacché troppo bene ricorderanno che prima, senza di noi, gli stessi pani da essi guadagnati si mutavano nelle loro mani in pietre, mentre, dopo il ritorno a noi, le pietre medesime si sono mutate nelle mani loro in pani. Troppo, troppo apprezzeranno quel che significa sottomettersi una volta per sempre! E finché gli uomini non capiranno questo, saranno infelici. Ma chi piú di tutti, dimmi, ha favorito questa incomprensione? Chi ha diviso il gregge e l’ha disperso per vie sconosciute?

Ma il gregge tornerà a raccogliersi, tornerà a sottomettersi, e questa volta per sempre. Allora noi daremo loro la tranquilla, umile felicità degli esseri deboli, quali essi furono creati. Oh, noi li persuaderemo infine a non inorgoglirsi, ché Tu li innalzasti e in tal modo insegnasti loro a inorgoglirsi: proveremo loro che sono deboli, che sono soltanto dei poveri bimbi, ma che la felicità infantile è la più dolce di tutte. Essi diverranno mansueti, guarderanno a noi e a noi si stringeranno, nella paura, come i pulcini alla chioccia. Ci ammireranno e avranno paura di noi, e saranno fieri che noi siamo così potenti e così intelligenti da aver potuto pacificare un così tumultuoso e innumerevole gregge. Temeranno la nostra collera, i loro spiriti si faranno timidi, i loro occhi lacrimosi, come quelli dei bambini e delle donne, ma altrettanto facilmente passeranno, a un nostro cenno, all’allegrezza, ed al riso, alla gioia luminosa ed alle felici canzoni infantili. Certo li obbligheremo a lavorare, ma nelle ore libere dal lavoro organizzeremo la loro vita come un gioco infantile con canti e cori e danze innocenti. Oh, noi consentiremo loro anche il peccato, perché sono deboli e inetti, ed essi ci ameranno come bambini, perché permetteremo loro di peccare. Diremo che ogni peccato, se commesso col nostro consenso, sarà riscattato, che permettiamo loro di peccare perché li amiamo e che, in quanto al castigo per tali peccati, lo prenderemo su di noi. Così faremo, ed essi ci adoreranno come benefattori che si saranno gravati coi loro peccati dinanzi a Dio. E per noi non avranno segreti. Permetteremo o vieteremo loro di vivere con le proprie mogli ed amanti, di avere o di non avere figli, – sempre giudicando in base alla loro ubbidienza, – ed essi s’inchineranno con allegrezza e con gioia. Tutti, tutti i più tormentosi segreti della loro coscienza, li porteranno a noi, e noi risolveremo ogni caso, ed essi avranno nella nostra decisione una fede gioiosa, perché li libererà dal grave fastidio e dal terribile tormento odierno di dovere personalmente e liberamente decidere. E tutti saranno felici, milioni di esseri, salvo un centinaio di migliaia di condottieri. Giacché noi soli, noi che custodiremo il segreto, noi soli saremo infelici.

Ci saranno miliardi di pargoli felici e centomila martiri che avranno preso su di sé la maledizione di discernere il bene dal male. Essi morranno in pace, in pace si spegneranno nel nome Tuo e oltre la tomba non troveranno che la morte. Ma noi conserveremo il segreto e li lusingheremo, per la loro felicità, con una ricompensa celeste ed eterna. Infatti, quand’anche in quell’altro mondo ci fosse qualcosa, non sarebbe certo per esseri simili. Si dice e si profetizza che Tu verrai e vincerai di nuovo, che verrai coi Tuoi eletti, superbi e possenti, ma noi diremo che essi hanno salvato solamente se stessi, mentre noi abbiamo salvato tutti. Si dice che la meretrice seduta sulla bestia, con la coppa del mistero nelle mani, sarà svergognata, che i deboli torneranno a rivoltarsi, strapperanno la sua porpora e denuderanno il suo corpo “impuro”. Ma io allora mi alzerò e Ti additerò i mille milioni di bimbi felici, che non conobbero il peccato. E noi, che ci siamo caricati dei loro peccati, per la felicità loro, noi sorgeremo dinanzi a Te e diremo: “Giudicaci, se puoi e se osi”. Sappi che io non Ti temo. Sappi che anch’io fui nel deserto, che anch’io mi nutrivo di cavallette e di radici, che anch’io benedicevo la libertà di cui Tu rendesti lieti gli uomini, che anch’io mi ero preparato ad entrare nel numero dei Tuoi eletti, nel numero dei potenti e dei forti, con la brama di “completare il numero”. Ma mi ricredetti e non volli servire la causa della follia. Tornai indietro e mi unii alla schiera di quelli che hanno corretto l’opera Tua. Lasciai gli orgogliosi e tornai agli umili per la felicità di questi umili. Ciò che Ti dico si compirà e sorgerà il regno nostro. Ti ripeto che domani stesso Tu vedrai questo docile gregge gettarsi al primo mio cenno ad attizzare i carboni ardenti del rogo sul quale Ti brucerò per essere venuto a disturbarci. Perché se qualcuno più di tutti ha meritato il nostro rogo, sei Tu. Domani Ti arderò. Dixi”.

Ivan, si fermò. Egli si era accalorato e aveva parlato con fervore; quando poi ebbe finito, fece improvvisamente un sorriso.

Aljòsa, che l’aveva sempre ascoltato in silenzio e verso la fine, in preda a straordinaria agitazione, molte volte aveva voluto interrompere il discorso del fratello, ma si era visibilmente trattenuto, si mise d’un tratto a parlare, come scattando.

– Ma… è un assurdo! – esclamò, arrossendo. – Il tuo poema è l’elogio di Gesú e non la condanna… come tu volevi. E chi ti crederà là dove parli della libertà? È così, è forse così che va intesa? È quello il concetto che ne ha l’ortodossia?… Quella è Roma, e neppure tutta Roma, sbaglio, sono i peggiori fra i cattolici, sono gli inquisitori, i gesuiti!… E un personaggio fantastico come il tuo inquisitore non può esistere affatto. Che cosa sono quei peccati degli uomini che egli ha presi su di sé? Chi sono quei detentori del mistero, che si sono addossata non so quale maledizione per la felicità degli uomini? Quando mai si son visti? Noi conosciamo i gesuiti, se ne parla male, ma sono forse come i tuoi? Non sono affatto così, sono tutt’altra cosa… Sono semplicemente l’armata romana per il futuro regno universale terreno, con l’imperatore, il pontefice romano, alla testa… ecco il loro ideale, ma senza nessun mistero e nessuna sublime tristezza… La più semplice brama di potere, di sordidi beni terreni, di asservimento… una specie di futura servitù della gleba, nella quale essi sarebbero i proprietari fondiari … ecco tutto quello che essi vogliono. Forse non credono nemmeno in Dio. Il tuo inquisitore con le sue sofferenze non è che una fantasia…

– Fermati, fermati! – rise Ivan, – come ti sei scaldato! Fantasia, tu dici, sia pure! Fantasia, certo. Permetti però: credi tu davvero che tutto questo movimento cattolico degli ultimi secoli non sia in realtà che una brama di potere in vista soltanto di beni volgari? È forse padre Paisio che t’insegna così?

– No, no, al contrario, padre Paisio diceva una volta perfino qualcosa del tuo genere… ma era una cosa diversa, certo, tutta diversa, – si riprese Aljòsa.

– Informazione preziosa, però, nonostante il tuo “tutta diversa”. Io ti domando: perché i tuoi gesuiti e inquisitori si sarebbero collegati solo in vista di beni materiali e volgari? Perché non può incontrarsi fra di loro neanche un solo martire, tormentato da una nobile sofferenza e amante dell’umanità? Vedi: supponi che fra tutti questi uomini non desiderosi che di sordidi beni materiali se ne sia trovato anche uno solo come il mio vecchio inquisitore, che abbia mangiato anche lui radici nel deserto e si sia accanito a domare la propria carne per rendersi libero e perfetto, ma che però abbia in tutta la sua vita amato l’umanità: a un tratto ha aperto gli occhi e ha veduto che non è una gran felicità morale raggiungere la perfezione del volere, per doversi in pari tempo convincere che milioni di altre creature di Dio sono rimaste imperfette, che esse non saranno mai in grado di servirsi della loro libertà, che dai miseri ribelli non usciranno mai dei giganti per condurre a compimento la torre, che non per simili paperotti il grande idealista ha sognato la sua armonia… Dopo aver compreso tutto ciò, egli è tornato indietro e si è unito… alle persone intelligenti. Non poteva questo accadere?

 – A chi si è unito, a quali persone intelligenti? – esclamò Aljòsa quasi adirato. – Essi non hanno né tanta intelligenza, né misteri o segreti di sorta… Forse soltanto l’ateismo, ecco tutto il loro segreto. Il tuo inquisitore non crede in Dio, ecco tutto il suo segreto!

– E anche se fosse così? Infine tu hai indovinato. È proprio così, è ben qui soltanto che sta tutto il segreto, ma non è forse una sofferenza, almeno per un uomo come lui, che ha sacrificato tutta la sua vita nel deserto per una grande impresa e non ha perduto l’amore per l’umanità? Al tramonto dei suoi giorni egli acquista la chiara convinzione che unicamente i consigli del grande e terribile spirito potrebbero instaurare un qualche ordine fra i deboli ribelli, “esseri imperfetti e incompiuti, creati per derisione”. Ed ecco che, di ciò convinto, vede come occorra seguire le indicazioni dello spirito intelligente, del terribile spirito della morte e della distruzione, e, all’uopo, accettare la menzogna e l’inganno, guidare ormai consapevolmente gli uomini alla morte e alla distruzione, e intanto ingannarli per tutto il cammino, affinché non possano vedere dove sono condotti affinché questi miseri ciechi almeno lungo il cammino si stimino felici. E nota: l’inganno è compiuto in nome di Quello nel cui ideale il vecchio ha per tutta la sua vita così appassionatamente creduto!

– Non è questa un’infelicità? E anche se un solo uomo simile si fosse trovato alla testa di tutta quell’armata “avida di potere in vista di soli beni volgari”, non sarebbe sufficiente quest’unico perché si avesse la tragedia? Più ancora: basterebbe che ci fosse alla testa un solo uomo così perché si scoprisse, finalmente, la vera idea direttiva di tutta l’opera di Roma, con tutte le sue armate e i suoi gesuiti, l’idea suprema dell’opera stessa. Te lo dico schietto, io credo fermamente che quest’unico non sia mai mancato fra quelli che erano alla testa del movimento. Chissà, ce ne sono stati anche fra i pontefici romani! Chissà, questo vecchio maledetto, che così ostinatamente e così a modo suo ama l’umanità, esiste forse anche oggidì sotto l’aspetto di tutta una schiera di vecchi consimili, e non già casualmente, ma perché esiste come un accordo, come una segreta alleanza, già da gran tempo stabilita per custodire il mistero, per salvaguardarlo dagli uomini sventurati ed imbelli, allo scopo di rendere costoro felici. Così è senza dubbio, e così dev’essere. Io immagino che perfino i massoni abbiano, fra i loro principi, qualcosa di analogo a questo mistero e che i cattolici odino tanto i massoni perché vedono in essi dei concorrenti, che spezzano l’unità dell’idea, mentre unico deve essere il gregge e unico il pastore... Del resto, difendendo il mio pensiero, io ho l’aria di un autore che non sopporta la tua critica. Ma basta di ciò!

 – Sei forse massone anche tu! – sfuggì ad Aljòsa. – Tu non credi in Dio, – soggiunse, ma ormai con profonda amarezza. Gli parve inoltre che il fratello lo guardasse con fare canzonatorio. 

– E come termina il tuo poema? – domandò a un tratto, con lo sguardo a terra, – o è già terminato?

 – Io volevo finirlo così: l’inquisitore, dopo aver taciuto, aspetta per qualche tempo che il suo Prigioniero gli risponda. Il Suo silenzio gli pesa. Ha visto che il Prigioniero l’ha sempre ascoltato, fissandolo negli occhi col suo sguardo calmo e penetrante e non volendo evidentemente obiettar nulla. Il vecchio vorrebbe che dicesse qualcosa, sia pure di amaro, di terribile. Ma Egli tutt’a un tratto si avvicina al vecchio in silenzio e lo bacia piano sulle esangui labbra novantenni. Ed ecco tutta la Sua risposta. Il vecchio sussulta. Gli angoli delle labbra hanno avuto un fremito; egli va verso la porta, la spalanca e Gli dice: “Vattene e non venir più… non venire mai più mai più!!”E Lo lascia andare per “le vie oscure della città”. Il Prigioniero si allontana.

– E il vecchio?

– Quel bacio gli brucia in cuore, ma il vecchio rimane fisso nell’idea di prima.

I fratelli Karamazov (1880)

Fedor Michajlovic Dostoevskij (1821 - 1881), scrittore e filosofo russo