Perché buoni un solo giorno e poi basta fino all’anno successivo?
Abbiamo appena finito di riporre nell’armadio le candeline e i gingilli dell’albero, appena finito di rispondere agli auguri dell’anno scorso e già ricominciano a suonare le campane con quel suono così caratteristico. Un altro Natale è arrivato, precipitando su di noi con la spaventosa velocità del tempo. Ed eccoci perciò alle prese con la famosa ricorrenza, la quale ogni anno si presenta esattamente identica, conservando intatto attraverso i cataclismi e i secoli il suo incanto.
Sul Natale sono state dette fiumane di parole, scritti centinaia di libri, migliaia di racconti e di poesie. A prima vista sembra che, per parlarne ancora, ci voglia una bella dose di coraggio. Ma non è vero. Non se ne parlerà mai abbastanza. Il natale ritorna ogni dodici mesi, allo stesso giorno, 25, con precisione matematica, non è quindi una cosa molto rara. Tutti sanno come è fatto, tutti potrebbero descrivere in anticipo nei minuti particolari quello che accadrà nelle case rispettive. Eppure se ne resta sempre sbalorditi.
Senza neppure chiedersi il perché, la gente si smarrisce in quella strana atmosfera di allegrezza, di riposo, di poesia, di bontà e, data l’abitudine, trova tutto molto naturale; però nel profondo dell’animo c’è lo stupore, l’incredulità. Come è possibile che esista un giorno così differente dagli altri 364 giorni dell’anno? Come si spiega che per l’occasione l’umanità si comporti esattamente al contrario del solito?
Certo, è un fenomeno straordinario, uno dei fenomeni più sbalorditivi che siano mai accaduti sulla terra. Più ci si medita, meno si riesce a capacitarsi. Una faccenda così terribilmente diversa da tutto il resto! Provate, per piacere. a pensarci un po’.
La situazione è la seguente: c’è da solennizzare un importante anniversario, il più importante anzi. La scoperta dell’America – tanto per fare degli esempi – o la caduta dell’Impero romano, che cosa volete che siano al paragone del la nascita di cristo, figlio di Dio sceso fra noi per farsi crocifiggere? Anche i cristiani di tiepida fede, anche i dubbiosi, anche i miscredenti, tutti d’accordo che questa è la data più grande della storia, dopodiché si è cambiata la faccia del mondo. Al confronto Waterloo e il trattato di Aquisgrana fanno ridere.
Ebbene – e qui comincia l’incredibile – che cosa decidono di fare gli uomini per festeggiare la ricorrenza massima dell’anno? Osservateli, prego, con grandissima attenzione. Forse che si riuniscono in cortei, come nei giorni di esultanza nazionale, per marciare fino in piazza con le bandiere e i labari, al suono di fanfare? Forse che chiudono la casa e si mettono a girare per il mondo come d’estate quando ci sono le vacanze? Neanche. Oppure si travestono con allegre maschere e scorrazzano per le strade con pifferi, chitarre e bottiglie di buon vino? Ma neppure. Vuol dire dunque che restano tutto il santo giorno in letto a sonnecchiare? O si affollano nelle osterie a vuotare fiaschi e botti? O invadono cinema e teatri? O vanno a caccia? O se ne stanno seduti ai tavolini del caffè a spettegolare? O giocano alla palla? O si danno interamente a far l’amore? Meno che mai.
E allora cosa fanno? Se non lo si constatasse coi nostri personali occhi, non lo si crederebbe. La realtà supera le più pazze favole. perché il fatto sbalorditivo è questo: gli uomini per godere la festa delle feste, non cercano gli spassi soliti; al contrario, essi scelgono proprio quello che normalmente riesce più ostico e ingrato, l’opposto delle abituali preferenze.
Per il giorno di Natale – credere o non credere – diventano buoni all’improvviso. Si mettono a eseguire con entusiasmo sincerissimo il comandamento più spinoso di Nostro Signore Gesù Cristo , che è quello di amare il nostro prossimo!
Cosa è successo? Sono forse diventati tutti matti? Forse li prende un’arcana nostalgia della stagione remotissima quando tra gli alberi e i ruscelletti dell’Eden, Adamo ed Eva si aggiravano spensierati, senza neppure lontanamente sospettare che cosa fosse desiderare il male? O è invece un anticipo, un presentimento, una prova generale dell’età futura, anch’essa lontanissima, ma che certo un giorno arriverà, quando la cattiveria, l’odio e l’egoismo saranno spariti dal consorzio umano?
Quale che sia il motivo, guardateli uno per uno: la mano abituata a bastonare oggi accarezza, la bocca abituata ad imprecare oggi sorride, l’avaro è generoso, l’invidioso gode dei successi del collega, il vendicativo è pronto a perdonare. Sissignori, oggi uomini e donne trovano più soddisfazione nella gioia altrui che nella propria. E questo, salvo errore, si può dire un bel miracolo.
Ma non è finita, non è ancora tutto. State attenti che il bello arriva adesso. Viene infatti istintivo di pensare: tanta bontà, tanto amor del prossimo è certamente una cosa splendida, ma chissà che fatica costa, che sacrifici, che travagli. Chissà che peso, per gli uomini, sostenere uno sforzo simile senza il minimo allenamento preventivo. Macché. Proprio il contrario. A vederli, non si sono mai trovati così bene. Che facce liete, che sguardi benevoli, che sorrisi luminosi, che parole soavi, piene di tolleranza e comprensione. Ciò che di solito è un castigo, cioè il sacrificarsi per il prossimo, diventa luce, soddisfazione, beatitudine. Felici sono, leggeri come piume.
Questo è il prodigio di Natale, sul quale non si scriverà mai abbastanza, da tanto è bello e misterioso. Resta infatti aperto un grande enigma: se in questo giorno gli uomini ci trovano tanta gioia a essere buoni, se si sentono così in pace con se stessi, perché non ci danno dentro, perché non perseverano, perché non si abbandonano definitivamente dopo averne provate le delizie, alle tentazioni del bene? Invece smettono subito. Basta che dal calendario cada il foglietto del 25 dicembre e che compaia il 26, tutto riprende come prima: gli affanni, le facce dure, gli occhi cattivi, l’avidità, le parolacce, gli scatti d’ira, le maldicenze, gli egoismi, l’inquietudine. Come se il Natale fosse stato un sogno, o una colpa vergognosa da nascondere, o una fuggevole pazzia su cui sarebbe pericoloso insistere. Per ventiquattr’ore gli uomini trovano la massima gioia nel fare quello che è nei desideri di Dio; e subito dopo, inesplicabilmente, tornano alle loro squallide abitudini. Perché questo voltafaccia? Ecco un problema che non siamo mai riusciti a decifrare. Perché buoni un solo giorno e poi basta fino all’anno successivo? Eppure sembrano felici.
Ben strana razza, gli uomini. Bravo chi li capisce.
"Lo strano fenomeno che si chiama Natale", Corriere d'informazione, 24-25 dicembre 1954
Dino Buzzati (1906 - 1972), giornalista e scrittore italiano
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