giovedì 28 marzo 2024

Abbi cura di me

Adesso chiudi dolcemente gli occhi e stammi ad ascoltare

Sono solo quattro accordi ed un pugno di parole

Più che perle di saggezza sono sassi di miniera

Che ho scavato a fondo a mani nude in una vita intera

Non cercare un senso a tutto perché tutto ha senso

Anche in un chicco di grano si nasconde l’universo

Perché la natura è un libro di parole misteriose

Dove niente è più grande delle piccole cose

È il fiore tra l’asfalto lo spettacolo del firmamento

È l’orchestra delle foglie che vibrano al vento

È la legna che brucia che scalda e torna cenere

La vita è l’unico miracolo a cui non puoi non credere

Perché tutto è un miracolo tutto quello che vedi

E non esiste un altro giorno che sia uguale a ieri

Tu allora vivilo adesso come se fosse l’ultimo

E dai valore ad ogni singolo attimo


Ti immagini se cominciassimo a volare

Tra le montagne e il mare

Dimmi dove vorresti andare

Abbracciami se avrò paura di cadere

Che siamo in equilibrio

Sulla parola insieme

Abbi cura di me ... Abbi cura di me


Il tempo ti cambia fuori, l’amore ti cambia dentro

Basta mettersi al fianco invece di stare al centro

L’amore è l’unica strada, è l’unico motore

È la scintilla divina che custodisci nel cuore

Tu non cercare la felicità semmai proteggila

È solo luce che brilla sull’altra faccia di una lacrima

È una manciata di semi che lasci alle spalle

Come crisalidi che diventeranno farfalle

Ognuno combatte la propria battaglia

Tu arrenditi a tutto, non giudicare chi sbaglia

Perdona chi ti ha ferito, abbraccialo adesso

Perché l’impresa più grande è perdonare se stesso

Attraversa il tuo dolore arrivaci fino in fondo

Anche se sarà pesante come sollevare il mondo

E ti accorgerai che il tunnel è soltanto un ponte

E ti basta solo un passo per andare oltre


Ti immagini se cominciassimo a volare

Tra le montagne e il mare

Dimmi dove vorresti andare

Abbracciami se avrai paura di cadere

Che nonostante tutto

Noi siamo ancora insieme

Abbi cura di me qualunque strada sceglierai, amore

Abbi cura di me ... Abbi cura di me


Che tutto è così fragile

Adesso apri lentamente gli occhi e stammi vicino

Perché mi trema la voce come se fossi un bambino

Ma fino all’ultimo giorno in cui potrò respirare

Tu stringimi forte e non lasciarmi andare.

Abbi cura di me

Album Abbi cura di me (2019)

Simone Cristicchi, cantautore italiano




La debolezza dell'amore


Il fatto che milioni di uomini si siano nutriti del suo nome, che abbiano dipinto con oro il suo volto e fatto risuonare la sua parola sotto cupole di marmo, tutto questo non prova alcunché riguardo alla verità di quest'uomo. Non si può prestar credito alla sua parola sulla base della potenza che ne è storicamente scaturita: la sua parola è vera solo in quanto disarmata. La sua potenza è di essere privo di potenza, nudo, debole, povero: messo a nudo dal suo amore, reso debole dal suo amore, fatto povero dal suo amore...

L'uomo che cammina

Christian Bobin (1951 – 2022), scrittore e poeta francese

La croce è troppo pesante


Signore,
la croce è troppo pesante per te,
e tuttavia tu la porti
perchè il Padre lo vuole, per noi.
Il suo carico è superiore alle tue forze,
e tuttavia tu non la rifiuti.
Cadi, ti rialzi e prosegui ancora.

Insegnami a capire che ogni vera sofferenza
presto o tardi, in un modo o nell’altro,
risulterà alla fine troppo pesante
per le nostre spalle,
perchè non siamo creati per il dolore,
ma per la felicità.

Ogni croce sembrerà superiore alle forze.
Sempre si udrà il grido stanco
e pieno di paura: “Non ne posso più!”.
Signore, aiutami in quell’ ora
con la forza della tua pazienza e del tuo amore
affinché non mi perda d’animo.

Tu sai quanto grande può essere
il peso di una croce.
Non ci imputare il diventare deboli,
ma aiutaci a rialzarci.

Rinnovami nella pazienza,
infondimi la tua forza nell’anima.
Allora mi rialzerò di nuovo,
accetterò il mio peso e andrò oltre.

Romano Guardini, prete, teologo, scrittore italiano (1885 - 1968)

mercoledì 27 marzo 2024

Perché piangi madre?


Come una pecora che vede il suo agnello condotto al macello (Is 53,7), 
consumata dal dolore, Maria seguiva con le altre donne: 

«Dove vai, figlio mio? Perché finisce così la tua breve vita? 
Ci sono altre nozze a Cana, è là che vai per fare del vino con l’acqua? 
Posso accompagnarti, figlio mio, o meglio aspettarti? 
Dimmi una parola, Verbo, non passare in silenzio davanti a me, 
tu che sei mio figlio e mio Dio.

Vai a una morte ingiusta e nessuno condivide il tuo dolore. 
Pietro non è con te, lui che diceva: “Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò” (Mt 26,35). 
Ti ha abbandonato Tommaso che diceva: “Andiamo anche noi a morire con lui!” (Gv 11,16). 
E pure gli altri, i più vicini, che devono giudicare le dodici tribù (Mt 19,28), 
dove sono adesso? Non ne resta che uno solo; ma tu, tutto solo figlio mio, tu muori per tutti. 
É la tua ricompensa per aver salvato tutti gli uomini e averli serviti, figlio mio e Dio mio».

Volgendosi a Maria, colui che da lei era nato, disse: «Perché piangi, madre?
Non dovrei soffrire? non dovrei morire? 
Come potrei salvare Adamo? Non dovrei scendere nella tomba? 
Come potrei riportare alla vita coloro che sono morti? 
Perché piangi? Di’ piuttosto: 
“É per sua volontà che soffre, mio figlio e mio Dio”

Vergine saggia, non divenire simile alle stolte (Mt 25,1ss);
tu sei nella sala delle nozze, non fare come se fossi fuori… 
Non piangere dunque, di’ piuttosto: 
“Abbi pietà di Adamo, sii misericordioso verso Eva, 
tu, figlio mio e Dio mio”.

Sta’ certa, madre, per prima mi vedrai risorgere dalla tomba. 
Verrò a mostrarti da quali mali ho riscattato Adamo, quali sudori ho versato per lui. 
Ai miei amici ne rivelerò i segni che mostrerò nelle mie mani. 
Allora tu vedrai Eva viva come una volta e griderai di gioia: 
“Ha salvato i miei progenitori, mio figlio e mio Dio!”».

Inno 25, Maria sotto la croce

San Romano il Melode (490 ca - 556 ca), diacono cristiano, poeta e compositore di inni bizantino, santo



martedì 26 marzo 2024

Il dialogo con i non credenti

Il contesto epocale

Al di là delle interpretazioni possibili della crisi delle ideologie, della fine della modernità e del profilarsi del tempo postmoderno, ciò che oggi in Occidente rende culturalmente più poveri è la mancanza di un orizzonte comune rispetto a cui porre l’ethos, non soltanto come prassi e costume, ma anche come radicamento e dimora, come ultimo fondamento del vivere, dell’agire e del morire umani. Questo senso di abbandono e di addio, questa fragilità e debolezza è terreno di cultura per ogni scetticismo o relativismo, ma può anche essere un luogo in cui credenti e non credenti si confrontano. Non però combattendosi muovendo da facili certezze o impugnando la clava della verità, con cui punire o giudicare l’altro, ma cercando di comprendere e interpretare questo spaesamento. Infatti un po’ tutti, sia gli orfani dell’ideologia come i credenti pensosi sul comune destino, si trovano, anche se per motivi diversi, interpellati e in parte spiazzati da quanto in questa crisi epocale andiamo vivendo. In questo senso, il "pensiero debole" o le varie forme di nichilismo – prima che atteggiamenti mentali – riflettono condizioni esistenziali di smarrimento, naufragio e caduta, in cui credenti e non credenti si trovano accomunati nello sforzo di interpretare il proprio tempo.


La riscoperta dell’Altro

Questo senso di smarrimento, di disagio, di bisogno di patria, questo dolore dell’abbandono, può essere evaso, nascosto, fuggito: si può tentare di essere non pensanti, e dunque negligenti di fronte alla condizione del naufragio. Ma nel momento in cui si pensa e si è coscienti, la lama di questo dolore non può non interrogarci tutti, oggi, a proposito delle diverse manifestazioni di questa inquietudine. Fede e ragione più consce delle proprie tentazioni epocali. Meno ideologiche, non più rigidamente chiuse in se stesse, sono proprio per questo più aperte alla ricerca, e perciò accomunate nell’esperienza del pensiero dell’Altro. La categoria che tutti ci provoca non è l’identità, ma l’alterità, in quanto essa ci raggiunge nel bisogno d’altri, nell’urgenza della com-passione e nell’inquietante oscurità dell’ultimo orizzonte verso cui muovere il cammino.

E’ forse per questo che il Dio crocefisso appare a molti dei nostri contemporanei più eloquente che l’Altissimo onnipotente, che sembra loro lontano dal dolore umano. Nell’Abbandonato della Croce si lascia riconoscere il volto dei tanti "abbandonati" della storia di questo Novecento, dalle vittime delle guerre mondiali e dell’Olocausto, a quelle della miseria e dei genocidi che continuano a perpetrarsi fino ai nostri giorni. E il grido di questo abbandono provoca un bisogno di trascendenza, di uscita da sé verso l’Altro, verso gli altri.


La sfida dell’etica

È qui che si presenta con nuova rilevanza, come termine di comune interrogazione per tutti, la sfida dell’etica. Non si tratta infatti solo di un esistere davanti all’Altro e con l’Altro, ma anche di un esistere per gli altri: che non possono essere colti soltanto come produzione del nostro pensiero, o condizione del nostro operare, o limite o sfida della nostra libertà e delle nostre scelte, ma si offrono anche e soprattutto come esigitività radicale, come fondamento dell’esistere responsabile. E l’altro invocato da E. Lévinas come crisi della metafisica a favore di un suo superamento nell’etica. E ancora più radicalmente l’altro della caritas evangelica, del comandamento "simile" al primo, partecipativo e realizzativo di esso, che è il comandamento dell’amore. Gli altri sfidano fede e ragione a superare la falsa separatezza di teoria e prassi. La dimensione morale investe oggi la riflessione in maniera forte, come domanda di esistere e di pensare l’esistere non solo in sé, ma per gli altri. Se è molto difficile immaginare un’etica senza l’Altro ultimo e sovrano (la cosiddetta "etica di chi non crede"), non può esistere un’etica senza gli altri senza l’altro penultimo verso cui muovere nell’esodo da sé al di là del proprio tornaconto. Ed è proprio nel volto di questo altro prossimo e concreto che può affacciarsi la traccia dell’Altro misterioso e sovrano.


Due lotte, due fedi

Nel raccogliere la sfida dell’alterità, credenti e non credenti si scoprono più vicini di quanto si potrebbe supporre: il credente, nella sua lotta interiore per aprirsi al Dio dell’avvento, si riconosce in certo modo come un ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere, e il non credente pensante si riconosce come il credente che ogni giorno vive la lotta di cominciare a non credere. Non si tratta quindi qui dell’ateo banale, negligente e in fuga da se stesso, ma di chi vive le tensioni profonde che agitano una coscienza retta, in ricerca di coerenza globale; si tratta di chi, avendo cercato e non avendo ancora trovato, patisce l’infinito dolore dell’assenza di Dio. Questo tipo di ateo può considerarsi in qualche modo l’altra parte di chi crede. E’ quella parte – evidenziata dal noto apologo rabbinico – che oppone alla fede la voce interiore "ma se poi non fosse vero?" e che oppone alla non fede la voce "ma forse è vero!".

Questo riconoscere nell’altro, nel diverso, non un pericolo, ma un dono, un incontro, è una forma esigente di eticità sulla quale si possono sintonizzare anche credenti e non credenti. Si tratta di amare l’altro come è, per quello che è, cercando in lui la verità di noi stessi e offrendogli umilmente, ma al tempo stesso fiduciosamente, la verità di noi stessi. E non ne viene forse da tutto questo un no condiviso, il no alla negligenza della fede, il no ad una fede indolente, statica ed abitudinaria, fatta di intolleranza comoda che si difende condannando perché non sa vivere la sofferenza dell’amore? E non ne viene il sì ad una fede interrogante, tentata anche dal dubbio, ma capace ogni giorno di cominciare a consegnarsi perdutamente all’altro, a vivere l’esodo senza ritorno verso il Silenzio di Dio, dischiuso e celato nella Sua Parola?


Pensanti, non pensanti

Da quanto detto fin qui appare che, dal punto di vista della metodologia dell’incontro, la differenza da marcare non sarà tanto quella tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti, tra uomini e donne che hanno il coraggio di vivere la sofferenza, di continuare a cercare per credere, sperare e amare, e uomini e donne che hanno rinunciato alla lotta, che sembrano essersi accontentati dell’orizzonte penultimo e non sanno più accendersi di desiderio e di nostalgia al pensiero dell’ultimo orizzonte e dell’ultima patria. La sfida pastorale che ne deriva è allora quella di ascoltare le domande vere del pensiero davanti al mistero dell’esistenza, ponendosi insieme, credenti e non credenti pensosi, a capire ciascuno le ragioni dell’altro. Per chi crede ciò potrà significare una purificazione delle motivazioni dell’atto di fede e al tempo stesso una nuova possibilità di proporle a chi non crede con la fedeltà del testimone e il rispetto del compagno di strada, che si riconosce nell’altro e scopre l’altro in sé.

Il dialogo con i non credenti. Fondamenti teologico - pastorali

Carlo Maria Martini (1927 – 2012), cardinale, arcivescovo cattolico, biblista e teologo italiano



Jung, l'inconscio, la guerra


La psicologia del singolo corrisponde alla psicologia delle nazioni

La guerra “ha mostrato spietatamente all’uomo civile che egli è ancora un barbaro” perché il conflitto alberga dentro ognuno di noi in quanto: “la psicologia del singolo corrisponde alla psicologia delle nazioni. Ogni singolo individuo fa ciò che fanno le nazioni e, fin quando lo fa l’individuo, lo fa anche la nazione. La psicologia della nazione può cambiare soltanto se cambia l’atteggiamento dell’individuo. I grandi problemi dell’umanità non sono mai stati risolti da leggi generali, ma sempre e soltanto da un mutato atteggiamento del singolo.

Psicologia dell’Inconscio (1912)


Cominciare da sé stessi

La visione di questa catastrofe [ il Primo conflitto mondiale ] risospinge su sé medesimo l’uomo, nel sentimento della sua totale impotenza; lo induce a guardare dentro di sé e, poiché tutto oscilla e sembra lì lì per crollare, l’uomo cerca qualcosa a cui appigliarsi. Sono ancora molti, troppi coloro che cercano al di fuori; alcuni credono all’illusione della vittoria e della forza vittoriosa, altri confidano nei trattati e nelle leggi, altri ancora sperano nella distruzione dell’ordine esistente. Troppo pochi invece cercano al didentro, nel proprio Sé, e troppo pochi si domandano se il miglior servizio che si può rendere alla società umana non consista dopo tutto nel cominciare da sé stessi, applicando prima e unicamente alla propria persona e nel proprio foro interiore il sommovimento dell’ordine esistente, le leggi, le vittorie di cui va cianciando ad ogni angolo di strada, anziché pretendere di imporle ai propri simili. Il singolo individuo ha bisogno di un rivolgimento, di una rottura interna, di staccarsi da ciò che già esiste per rinnovarsi, ma non deve imporre tutto ciò ai suoi simili sotto il manto ipocrita del cristiano amor del prossimo o del senso di responsabilità sociale, e delle altre belle parole con cui copre inconsci bisogni personali di potenza. Conoscenza di sé, ritorno del singolo al fondo dell’essenza umana, alla propria essenza e alla certezza individuale e sociale di questa, ecco il modo per cominciare a guarire dalla cecità che predomina nell’ora attuale.

Due testi di psicologia analitica (1918), Opere 7


Domani la tua sovranità sarà ridotta in cenere

Ma che cosa vuoi ancora conquistare? Di più della terra non puoi conquistare. E cos’è poi la terra? É tutta tonda, una goccia sospesa nell’universo. Al sole non puoi arrivare e neppure alla desolata luna basta il tuo potere; non puoi assoggettare il mare, la neve dei poli o la sabbia del deserto, ma alla fin fine soltanto qualche lembo di terra verde. E le tue conquiste non sono nemmeno di lunga durata. Domani la tua sovranità sarà ridotta in cenere, perché dovresti soprattutto – e perlomeno – assoggettare la morte. Dunque, non essere folle e metti via le armi. Dio stesso ha fatto in mille pezzi la tua arma. L'armatura ti sia sufficiente a proteggerti dai folli che pensano ancora alle conquiste.

Il Libro Rosso (1913 - 1930), 2, IX

Carl Gustav Jung (1875-1961), psichiatra, psicoanalista, antropologo e filosofo svizzero


Sei venuto nudo



Sei venuto nudo,
te ne andrai nudo.

Sei venuto senza niente
te ne andrai senza niente.

Allora da dove vengono così tanto odio, risentimento, cattiveria, invidia, egoismo e orgoglio?

Andremo tutti a mani vuote, abbiamo vinto tutte le cose materiali, abbiamo vinto qui e lasceremo tutto qui.

L'unica cosa che ti accompagnerà, che hai effettivamente guadagnato qui è l'amore che hai condiviso, la tua umiltà, la tua gratitudine, il tuo aiuto, la tua gentilezza.

Questa è l'eredità che lascerai qui e che tutti ricorderanno, probabilmente con un sorriso.