giovedì 25 agosto 2011

Perdonare

Perdonare è un cammino
non un'azione estemporanea.

A perdonare
bisogna essere preparati
o almeno disposti a... mettersi in cammino.

Per perdonare bisogna avere un animo misericordioso,
capace di riconoscere prima di tutto in se stessi
limiti, peccati, mali e contraddizioni.

Per perdonare bisogna essere coscienti
di essere prima di tutto personalmente bisognosi di perdono.

Perdonare è un cammino perchè
chi perdona non si ferma al male fatto o subìto
ma va oltre:
fa di tutto perchè l'ultima parola sia il bene, l'amore, la vita.

Chi perdona cerca di amare e pregare per il proprio "nemico".
“Porgere l'altra guancia” non significa essere passivi
di fronte al male o far finta di niente
ma vuol dire spezzare il circolo vizioso dell'odio e della vendetta
(a volte mascherata da una falsa "sete di giustizia")
ed impegnarsi a costruire o ri-costruire il bene,
anzi "voler il bene" del fratello che sbaglia,
fargli capire che sbaglia e che c'e' qualcuno
che nonostante tutto lo ama...

Questo è quanto ci chiede Gesù.
Sì, a volte, perdonare non è "umano",
ossia a volte non ce la facciamo proprio.

Perdonare è "divino"
ossia va oltre una giustizia o una visione umana.
Bisogna quindi pregare perchè il Signore
ci dia la forza di perdonare... almeno "formalmente"!
Sì, non è per esteriorità o formalismo:
il "formalmente" potrebbe essere
il primo passo di questo cammino.

Gli altri passi potrebbero essere, appunto,
chiedere al Signore la forza e il coraggio di perdonare
ed anche di ...dimenticare.

Il primo passo del perdono è il non conservare rancore.
Perchè se il Signore - come dice la Bibbia (Isaia 38,17) –
“si getta alle spalle i nostri peccati” e li dimentica...
vuol dire che anche noi dovremmo fare lo spesso!
Anche psicologicamente il ricordare il male ricevuto
è una specie di meccanismo perverso
che ci intrappola e ci paralizza.
Il passato è passato
e neanche Dio può cambiarlo!

Francesco Pignatelli

martedì 23 agosto 2011

Unione e divisione

Per diventare me stesso devo cessare di essere ciò che ho sempre pensato di voler essere, per trovare me stesso devo uscire da me stesso, per vivere devo morire.
Perché sono nato nell’egoismo e di conseguenza tutti i miei sforzi naturali per rendermi più reale e più me stesso mi rendono meno reale e meno me stesso, in quanto gravitano tutti attorno a una menzogna.
Coloro che nulla sanno di Dio e che basano tutta la vita su se stessi immaginano di poter trovare se stessi soltanto rivendicando i propri desideri, le proprie ambizioni ed i propri appetiti in una lotta con il resto del mondo. Essi cercano di diventare reali imponendosi agli altri, impossessandosi di una parte della limitata riserva dei beni creati e sottolineando così la differenza fra loro e gli altri uomini che hanno meno di loro, o non hanno nulla.
Essi possono concepire un solo modo di diventare reali: staccarsi dagli altri e innalzare una barriera di contrasto e di distinzione fra se stessi e gli altri.
Non sanno che la realtà va cercata non nella divisione ma nell’unità, perché noi siamo «membri gli uni degli altri».
L’uomo che vive diviso dagli altri non è una persona, è soltanto un individuo.
Io ho quel che tu non hai. Io sono quel che tu non sei. Io ho preso quello che tu non sei riuscito a prendere, ho afferrato quel che tu non potrai mai afferrare. Perciò tu soffri ed io sono felice, tu sei disprezzato e io sono lodato, tu muori ed io vivo: tu non sei nulla e io sono qualcosa, e tanto più sono qualcosa in quanto tu non sei nulla. Così passo la vita ad ammirare la distanza fra te e me; talvolta questo mi aiuta persino a dimenticare gli altri uomini che hanno quello che io non ho che hanno preso quello che io sono stato troppo lento a prendere, che hanno afferrato ciò che era fuori dalla mia portata, che sono lodati quanto io non posso essere lodato e che vivono della mia morte…
L’uomo che vive così, vive nella morte. Non può trovare se stesso perché è perduto; ha cessato di essere una realtà. La persona che egli crede di essere è un brutto sogno. E quando morrà si accorgerà di aver cessato di esistere da molto tempo, perché Dio, Che è infinita realtà e al Cui cospetto è l’essere di tutto ciò che esiste, gli dirà: «Non ti conosco».
E ora penso a quella malattia che è l’orgoglio spirituale. Penso a quella caratteristica irrealtà che penetra nel cuore dei santi e divora la loro santità prima che essa sia matura. Vi è qualcosa di questo verme nel cuore di tutti i religiosi. Appena hanno fatto qualcosa che sanno essere buono agli occhi di Dio, tendono a impossessarsi della sua realtà per farla propria. Essi tendono a distruggere le loro virtù reclamandone la proprietà e a rivestirsi illusoriamente di valori che appartengono a Dio. Chi può sfuggire al segreto desiderio di respirare un’atmosfera differente da quella degli altri uomini? Chi può fare cose buone senza cercar di gustare in esse la dolcezza di distinguersi dalla massa dei peccatori di questo mondo?
Questa malattia è più pericolosa quando riesce a sembrare umiltà. Quando un uomo orgoglioso pensa di essere umile, il suo caso è senza speranza.
Ecco un uomo che ha fatto molte cose che la sua natura ha trovato dure. Egli ha superato difficili prove, ha compiuto molto lavoro e, per grazia di Dio, è giunto a possedere una forza morale e uno spirito di sacrificio per cui, alla fine, fatica e sofferenza diventano facili. La sua coscienza è giustamente in pace. Ma prima che egli se ne renda conto, la pace pura di una volontà in comunione con Dio diventa la compiacenza di una volontà che ama la propria eccellenza.
Il piacere che è nel suo cuore, quando egli compie cose difficili e riesce a compierle bene, gli dice in segreto: «Io sono un santo». Al tempo stesso altri sembrano riconoscerlo diverso da loro stessi. Lo ammirano, o forse lo sfuggono — dolce omaggio di peccatori! Il piacere arde in un fuoco divoratore. Il calore di questo fuoco assomiglia molto all’amore di Dio. Lo alimentano le stesse virtù che nutrono la fiamma della carità. Egli brucia di ammirazione per se stesso e pensa: «È il fuoco dell’amore di Dio».
Pensa che il suo orgoglio sia lo Spirito Santo.
Il dolce calore del piacere diventa l’incentivo di tutte le sue opere. Il gusto che egli assapora negli atti che lo rendono ammirabile ai suoi propri occhi lo spinge a digiunare, o a pregare, o a nascondersi in solitudine, o a scrivere molti libri, o a costruire chiese e ospedali, o a fondare mille organizzazioni. E quando tutto ciò gli riesce, egli pensa che il suo senso di soddisfazione sia l’unzione dello Spirito Santo.
E la voce segreta del piacere canta nel suo cuore: «Non sum sicut caeteri homines».
Quando si è messo per questa via, non ci sono limiti al male che la sua auto soddisfazione può spingerlo a compiere in nome di Dio e del Suo amore, e per la Sua gloria. Egli è così soddisfatto di sé, che non può tollerare il consiglio di altri — o i comandi di un superiore. Quando qualcuno si oppone ai suoi desideri, egli congiunge umilmente le mani e sembra sottomettersi per il momento, ma in cuor suo dice: «Sono perseguitato da uomini mondani. Essi non possono comprendere chi è guidato dallo Spirito di Dio. È sempre stato così per i santi».
E sentendosi martire egli è dieci volte più ostinato di prima.
È terribile quando ad un uomo simile viene l’idea di essere un profeta o un messaggero di Dio o un uomo che abbia avuto la missione di riformare il mondo… Egli è capace di distruggere la religione e di rendere il nome di Dio odioso agli uomini.
Io devo cercare la mia identità, in un certo senso, non solo in Dio, ma anche negli altri uomini.
Io non potrò mai trovare me stesso se non mi isolo dal resto dell’umanità, come se fossi un essere di specie diversa.

Non essere troppo pronto...

Non essere troppo pronto a credere che il tuo nemico è un selvaggio proprio perché è tuo nemico. Forse egli è il tuo nemico perché crede che tu sia un selvaggio. O forse ha paura di te perché sente che tu hai paura di lui. E forse, se sapesse che tu sei in grado di amarlo, non sarebbe più tuo nemico.
Non essere pronto a credere che il tuo nemico è un nemico di Dio appunto perché è tuo nemico. Forse egli è tuo nemico proprio perché non può trovare in te nulla che dia gloria a Dio. Forse egli ha paura di te perché non può trovare in te nulla dell'amore di Dio e della tenerezza di Dio e della pazienza e misericordia e comprensione di Dio per la debolezza umana.
Non essere troppo pronto a condannare l'uomo che non crede più in Dio, perché forse sono stati la tua freddezza, la tua avarizia, la tua mediocrità, il tuo materialismo, la tua sensualità, il tuo egoismo a uccidere la sua fede.

Semi di contemplazione, Garzanti, Milano 1991, pp. 45-47

Thomas Merton (1915 - 1968), monaco e scrittore statunitense 

Tutto passa, ma tutto rimane

Caro Kirill, [...] la mia unica speranza è che tutto ciò che si fa rimane: spero che un giorno, in qualche modo pur a me sconosciuto, sarete ricompensati di tutto ciò che ho tolto a voi, miei cari. Se non fosse per voi, rimarrei in silenzio.

Tutto passa, ma tutto rimane. Questa è la mia sensazione più profonda: che niente si perde completamente, niente svanisce, ma si conserva in qualche modo e da qualche parte. Ciò che ha valore rimane, anche se noi cessiamo di percepirlo.

Non dimenticatemi, 1933-1937, Mondadori 2000, p.156

Pavel Aleksandrovič Florenskij, prete, filosofo e matematico russo (1882-1937)

lunedì 22 agosto 2011

Peccato

Il peccato esige che l'uomo sia solo. Lo sottrae alla comunione. Quanto più è solo, tanto più distruttivo è il dominio del peccato su di lui; e ancora, quanto più intricata la rete del peccato, tanto più disperata la solitudine. Il peccato vuol rimanere sconosciuto. Ha orrore della luce. Nell'oscurità dell'inespresso il peccato avvelena tutto l'essere dell'uomo. Nella confessione, la luce dell'evangelo irrompe nelle tenebre e nell'oscurità in cui il cuore si chiude. Il peccato reso esplicito nella confessione perde tutto il suo potere.

La vita comune
Dietrich Bonhoeffer (1906 - 1945), pastore e teologo tedesco