domenica 19 febbraio 2017

Il giullare della Madonna


Glyn Philpot, Le Jongleur Du Notre Dame (1928)

(Personaggi: Jean, il giocoliere; fra’ Bonifacio; il priore; il monaco poeta; il monaco pittore; il monaco musicista; il monaco scultore; folla e mercanti, monaci) 

Siamo nella Francia dell' XI secolo …nel cuore del Medioevo.
È giorno di mercato e di festa nella piazza davanti all'Abazia di Cluny. Jean, un giullare, cerca di guadagnarsi qualche soldo con il suo repertorio di giochi e canzoni quasi tutte dissacratorie e sboccate. La folla lo dileggia e chiede con insistenza che intoni un inno: l’“Alleluja del vino”…
In quel momento esce dall'abazia il priore, arrabbiato per questo canto scandaloso e rimprovera Jean invitandolo a una vita migliore, nel suo convento, dove potrà fare penitenza. Gli occhi di Jean fissano quelli incavati nelle orbite del priore. La sua figura, autoritaria ed austera, severa ma nello stesso tempo “paterna” ha suscitato qualcosa in lui che non sa spiegarsi chiaramente… è un qualcosa che va oltre il suo rimprovero. Jean lo segue senza esitazione: non sa cosa gli succede… ha un senso di vergogna non per ciò che ha fatto, ma per tutta la sua vita: l’allegria e la spensieratezza di quegli anni gli sembravano la maschera della sua vera esistenza… della sua vera persona, del vuoto che aveva dentro e che non sapeva come colmare…
La vita al monastero è molto rigida. I monaci trascorrono le loro giornate pregando e lavorando. Jean “esplora” la grande abazia: prova un senso di meraviglia, stupore ma anche molto disagio e umiliazione: quasi tutti i monaci sono dotti, letterati, poeti, artisti… e lui si sente un poco di buono che non ha mai fatto nulla di valido nella vita. Già... ed è per questo che solo Fra’ Bonifacio, uno dei cuochi del monastero, riesce a dargli retta ed a fargli coraggio. Vedendolo un po’ giù, un giorno, il frate cuciniere tra un pentolone e l’altro, racconta una graziosa leggenda all'umiliato giullare, che nella colta abazia di Cluny, tra monaci poeti, pittori, scultori e musicisti, non sa il latino, nè conosce le arti nobili ma solo il volgare mestiere del giocoliere.
«Fuggendo i soldati di Erode, la Madonna chiede a un cespuglio di rose di poter nascondere il minacciato Bambino Gesù, ma il fiore orgoglioso (come i monaci artisti che disdegnano il novizio giullare) rifiuta di accoglierlo per non sgualcire i suoi petali, mentre l´umile salvia apre le sue foglie odorose e il Bimbo Gesù vi si addormenta come dentro una culla. E la Vergine benedetta tra tutte le donne – concluse Fra’ Bonifacio – chiamò l´umile salvia benedetta tra tutti i fiori».
Proprio questa leggenda “dell’umile salvia” benedetta dalla Vergine potrà dar animo a Jean – pensò Fra’ Bonifacio – tanto più che siamo nel mese di maggio! Sì, maggio, il mese dedicato a Maria. Ognuno dei monaci faceva di tutto per onorare la Vergine con l’arte in cui eccelleva, chi dipingendone e scolpendone le sembianze, chi cantandone le lodi in versi aulici e in musica togata. Jean è solo un giullare. Ed un povero ex giullare da strapazzo cosa può mai dedicare a Maria?
Jean passeggia da solo, a testa bassa, con il saio bianco a ciondoloni perché l’unico che aveva trovato una misura più grande della sua, nella penombra della chiesa della maestosa abazia. Si ferma davanti all'altare della Vergine. Lei lo guarda con il volto illuminato dalla luce fioca e tremolante delle candele. È afflitto perché non sa cosa dedicare alla Vergine. Con l'incubo di non saper parlare in latino, comprende allora  che la sua pochezza non è un peccato e che a Dio si può arrivare attraverso l'umiltà. E non esistono mestieri meno degni di altri, perché se una cosa è fatta con fede ed amore, ogni strada può portare a Dio e alla Madonna. Certo… era molto bella la legenda della salvia!
«Oh, se la tua bianca mano mi benedicesse un giorno - esclama rapito Jean - venga pure la morte; morirò sotto i tuoi occhi e sarà un giorno di festa!».  Basta un po’ di fede e tanto amore!
E così un giorno, riveste segretamente il suo antico costume giullaresco e davanti all'altare saltella giulivo sui ritmi e le melodie delle sue vecchie canzoni, si tiene in equilibrio su sedia… fa roteare in aria tre candelieri… rendendo il suo devoto omaggio alla Vergine con quegli stessi esercizi profani che lui prima faceva in giro per le piazze della Francia.
Il rumore insolito richiama primo alcuni e poi tutti gli altri monaci: «…che irriverenza! …fai il saltimbanco finanche in chiesa! ...Vergogna!»
Jean cade per terra tra sedie, candele e quant'altro aveva usato per i suoi giochi,  ma – cosa succede?  –  sta quasi per essere linciato e malmenato dagli altri monaci quando improvvisamente avviene il miracolo: la statua della Madonna si anima e benedice l’ingenuo giullare.
«Oh, se la tua bianca mano mi benedicesse un giorno!» ...la preghiera di un momento di sconforto fu così esaudita. Ed è davvero un giorno di festa: non c’è più tristezza nel suo cuore, anzi, è colmo di gioia! Il giullare di Maria viene da lei chiamato in Cielo, spirando in una dolcissima estasi.
Jean il giocoliere, va verso una morte di luce: sale una scala che porta in Paradiso, dove la Madonna gli sta tendendo la mano, mentre i frati, ravveduti, si inginocchiano, riconoscendo la sua santità.
«Beati gli umili – esclama alla fine il priore del convento  – perché essi vedranno Dio».

 Sintesi di Francesco Pignatelli liberamente tratta dal testo "Le Jongleur de Notre-Dame"

Jules Massenet (1842 - 1912), compositore e musicista francese

mercoledì 8 febbraio 2017

Non abbiate paura di fallire: imparate tutto ciò che potete dal fallimento


L'autrice della serie di libri best-seller di Harry Potter, offre una propria riflessione sui vantaggi del fallimento e l'importanza di immaginazione: "Non c’è bisogno della magia per cambiare il mondo, noi abbiamo il potere di immaginare il meglio".

Discorso all’Università di Harvard di Joanne Kathleen Rowling, 5 giugno 2008

La prima cosa che mi piacerebbe dire è “grazie”. Non solo Harvard mi ha dato questo straordinario onore, ma le settimane di paura e nausea che ho avuto al pensiero di aprire questo evento mi ha fatto perdere peso. Doppia vittoria! Ora tutto ciò che devo fare è prendere una grande respiro, adocchiare i rossi stendardi e sentirmi stupida nel credere di essere alla convention dei primi della classe del mondo di Harry Potter.

Fare questo discorso è una grande responsabilità; o così pensavo fino a quando sono tornata indietro con la mente alla mia laurea. Al mio posto quel giorno c’era la brillante filosofa inglese Baronessa Mary Warnock. Riflettere sul suo discorso mi ha aiutato enormemente a scrivere questo, perché è andata a finire che non posso ricordare ogni singola parola che disse. Questa liberante scoperta mi ha permesso di procedere senza alcuna paura di influenzarvi inavvertitamente ad abbandonare le promettenti carriere nel mondo degli affari, della legge o della politica per il frivolo piacere di diventare un mago omosessuale.

Vedete? Se tutto ciò che vi ricorderete nei prossimi anni è la battuta “gay wizard”, sono già un passo avanti alla Baronessa Mary Warnock. Obiettivi raggiungibili: il primo passo verso il miglioramento personale.

In realtà, ho devastato la mia mente e il mio cuore per cercare quello che avrei dovuto dire oggi. Mi sono chiesta cosa avrei desiderato sentire alla mia cerimonia di laurea, e quali importanti lezioni io avessi imparato in questi 21 anni che sono passati da quel giorno.

E mi sono comparse due risposte. In questo fantastico giorno in cui siamo tutti riuniti per celebrare i vostri successi accademici, ho deciso di parlarvi dei benefici del fallimento. E mentre siete sulla soglia di quella che qualche volta chiamate “vita reale”, voglio decantare l’importanza cruciale dell’immaginazione.

Queste possono essere donchisciottesche o paradossali scelte, ma per favore abbiate pazienza con me.

Guardare indietro a 21 anni fa quando mi ero appena laureata non è del tutto un esperienza incoraggiante per la 42 enne che sono diventata. A metà della mia vita stavo facendo il bilancio tra le mie ambizioni e ciò che amici e familiari si aspettavano da me.

Ero convinta che l’unica cosa che avrei voluto fare, sempre, fosse scrivere romanzi. Ad ogni modo, i miei genitori, che venivano entrambi da esperienze di povertà e non erano riusciti ad andare all’università, consideravano questa mia iperattiva immaginazione come una deliziosa e personale stranezza che non mi avrebbe fatto pagare un mutuo o provvedere di una pensione.

Avevano sperato che prendessi un diploma professionale; io volevo studiare Letteratura inglese. Fu fatto un compromesso, che in retrospettiva non ha soddisfatto nessuno, mi avviai allo studio di Lingue Moderne. Avevo appena girato l’angolo alla fine della strada con l’auto dei miei genitori che mandai il Tedesco in un fosso e fuggii precipitosamente per i corridoi degli studi classici.

Non posso ricordare quando dissi ai miei genitori che studiavo Lettere classiche; potevano ben scoprirlo per la prima volta il giorno della laurea. Di tutti gli argomenti su questo pianeta, penso che siano stati messi a dura prova col nominarne uno meno utile della mitologia greca quando ci si aspetta la consegna delle chiavi del bagno dei dirigenti.

Mi piacerebbe fosse chiaro, tra parentesi, che non biasimo i miei genitori per il loro punto di vista. C’è un termine ai rimproveri ai vostri genitori per avervi spinto nella direzione sbagliata; il momento in cui siete abbastanza vecchi per prendere il timone, la responsabilità tocca a voi. E quel che più conta, non posso criticare i miei genitori per il desiderio di risparmiarmi l’esperienza della povertà. Lo furono loro stessi, e pure io lo sono stata da allora, e sono abbastanza d’accordo con loro che non sia un’esperienza sublime. La povertà comporta paura, e stress, e qualche volta depressione; vuol dire mille piccole umiliazioni e privazioni. Tirarsi fuori dalla povertà con le proprie forze, questo invece è ciò di cui poter essere orgogliosi, ma la povertà stessa è romantica solo per gli stolti.

Ciò di cui avevo più paura alla vostra età non era la povertà, ma il fallimento.

Alla vostra età, nonostante la chiara mancanza di motivazione all’università, dove avevo perso troppo tempo nei caffè scrivendo storie, e troppo poco tempo alle lezioni, sono stata capace di passare gli esami, e per anni questo è stata la misura del successo della mia vita e di quella dei miei compagni.

Non sono stupida abbastanza da avere la presunzione che perché siete giovani, dotati e istruiti, voi non abbiate conosciuto privazione o delusione. Del resto il talento e l’intelligenza non hanno mai reso immune nessuno dai capricci del fato, e non ho mai supposto per alcun momento che ciascuno qui abbia goduto di una esistenza di tranquilli privilegi e soddisfazioni.

Comunque, il fatto che vi state laureando ad Harvard suggerisce che non avete molta esperienza con il fallimento. Potreste essere guidati un po’ dalla paura del fallimento tanto quanto dal desiderio del successo. Effettivamente, la vostra concezione del fallimento potrebbe non essere troppo lontana dall’idea del successo della media delle persone, così alta che avete raggiunto la vetta accademica.

Alla fine, tutti dobbiamo decidere da soli ciò che rappresenta un fallimento, ma il mondo è abbastanza ansioso di darvi una certa gamma di criteri se voi lo permettete. Così penso sia giusto dire che oltre ogni misura nei soli sette anni seguenti il giorno della laurea ho fallito in modo epico. Un matrimonio eccezionalmente corto si è sgretolato, ed ero senza lavoro, orfana di mia madre, e povera tanto quanto è stato possibile nell’Inghilterra moderna, senza contare la mancanza di una casa. Le paure che i miei genitori avevano manifestato e che io mi ero figurata, erano arrivate e, come da manuale, ero il più grande fallimento che sapessi.

Ora, non starò qui a dirvi che il fallimento è divertente. Quel periodo della mia vita fu brutto, e non avevo idea che la stampa lo avrebbe da allora rappresentato come una sorta di fiabesca determinazione. Non avevo idea quanto lungo fosse quel tunnel, e per molto tempo, ogni luce alla fine di esso era una speranza piuttosto che la realtà.

Allora perché parlare dei benefici del fallimento? Semplicemente perché fallire ha voluto dire spogliarsi dell’inessenziale. Ho smesso di fingere di essere qualcos’altro se non me stessa e ho iniziato a indirizzare tutte le mie energie verso la conclusione dell’unico lavoro che per me aveva importanza. Non mi occupavo davvero di nient’altro, se non trovare la determinazione nel riuscire in un campo a cui credevo di appartenere veramente. Ero finalmente libera perché la mia più grande paura si era davvero avverata, ed ero ancora viva, e avevo già una figlia che ho adorato, e avevo una vecchia macchina da scrivere e una grande idea. E così concrete basi divennero solide fondamenta su cui ricostruire la mia vita.

Non potreste mai fallire su tutta la linea come feci io, una certa dose di fallimento nella vita è inevitabile. È impossibile vivere senza fallire in qualcosa, a meno che non viviate in modo così prudente da non vivere del tutto – in quel caso, avrete fallito in partenza.

Fallire mi ha dato una sicurezza interiore che mai avevo raggiunto superando gli esami. Fallendo ho imparato cose su me stessa che non avrei mai imparato in un altro modo. Ho scoperto che ho una volontà forte, e più disciplina di quanto avessi pensato; ho anche scoperto che avevo amici veramente inestimabili.

Il sapere che vi rialzate più saggi e più forti dalle cadute significa che sarete, da allora in poi, sicuri nella vostra capacità di sopravvivere. Non conoscerete mai voi stessi, e la forza dei vostri legami, fino a quando entrambi non saranno provati dalle avversità. Una tale conoscenza è un vero dono, per tutto ciò che avrete vinto nella sofferenza, e per me ha più valore di ogni altra qualifica abbia mai guadagnato.

Avendo una macchina del tempo o un Giratempo, direi alla me stessa di 21 anni che la felicità personale si trova nel sapere che la vita non è una lista di cose da raggiungere o in cui avere successo. Le vostre qualifiche, il vostro CV, non sono la vostra vita, sebbene possiate incontrare molte persone della mia età e oltre che confondono le due cose. La vita è difficile, è complicata, è oltre la possibilità di essere totalmente sotto controllo, è l’umiltà di sapere che sarete capaci di sopravvivere alle sue sfide.

Potreste pensare che abbia scelto il mio secondo argomento, l’importanza dell’immaginazione, per la parte che essa ha giocato nel ricostruire la mia vita, ma non è del tutto così. Sebbene difenda le storie della buona notte fino all’ultimo respiro, ho imparato a dare valore all’immaginazione in un senso più ampio. Immaginazione non è solo la capacità unicamente umana di prefigurare ciò che non c’è, e perciò la fonte di tutte le invenzioni e le innovazioni. Nella sua capacità discutibilmente più trasformatrice e rivelatoria, è il potere che ci rende capaci di empatia con gli altri esseri umani le cui esperienze non abbiamo mai condiviso.

Una delle più grandi esperienze formative della mia vita precede Harry Potter, sebbene questa sia molto presente in ciò che successivamente scrissi in quei libri. Questa rivelazione arrivò sotto forma di uno dei miei primi lavori. Anche se scappavo a scrivere storie durante le mie pausa pranzo, pagai l’affitto nei miei vent’anni lavorando nella sezione ricerca della sede centrale di Amnesty International a Londra.

Là nel mio piccolo ufficio lessi lettere portate fuori illegalmente dai regimi totalitari scritte precipitosamente da uomini e donne che stavano rischiando la prigione per informare il mondo esterno di ciò che stava loro accadendo. Vidi le foto di coloro che sparirono senza traccia, mandante ad Amnesty dalle loro disperate famiglie e amici. Lessi le testimonianze di vittime della tortura e vidi le immagini delle loro ferite. Aprii i resoconti manoscritti di processi sommari ed esecuzioni, di rapimenti e stupri.

Molti dei miei colleghi erano stati prigionieri politici, persone che erano state prelevate dalle loro case, o erano fuggite in esilio, perché avevano avuto la temerarietà di pensare in modo indipendente dai loro governi. Gli ospiti del nostro ufficio comprendevano chi veniva a dare queste informazioni, o provavano e scoprivano ciò che succedeva a quelli che erano stati costretti a lasciare tutto.

Non potrò mai dimenticare una vittima delle torture in Africa, un giovane uomo poco più vecchio di me a quel tempo, che divenne un malato di mente dopo tutto ciò che aveva subito nella sua patria. Tremava in modo incontrollato mentre parlava alla videocamera delle brutalità che gli erano state inflitte. Era alto circa 30 cm più di me, e sembrava fragile come un bambine. Dopo mi fu dato il compito di accompagnarlo alla stazione della metropolitana, e questo uomo la cui vita era stata distrutta dalla crudeltà mi prese la mano con squisita cortesia e mi augurò felicità per il futuro.

E finché vivrò mi ricorderò il camminare lungo un corridoio vuoto e all’improvviso sentire, da dietro una porta, urla di dolore e orrore come non aveva mai sentito fino ad allora. E poi la porta si aprì, e la ricercatrice sporse la testa e mi chiese di correre e procurarmi una bevanda calda per il giovane che sedeva con lei. Gli aveva appena dato la notizia che per rappresaglia verso il suo chiaro comportamento contro il regime del suo paese sua madre era stata presa ed uccisa.

Ogni giorno della mia settimana lavorativa dei miei vent’anni mi rammentavo quanto incredibilmente fortunata fossi a vivere in un paese con un governo democraticamente eletto dove un rappresentante legale e un pubblico processo erano i diritti di ciascuno.

Ogni giorno vedevo con più evidenza i mali dell’umanità che avrebbero afflitto gli stessi esseri umani per ottenere o mantenere il potere. Inizia ad avere incubi, veri incubi, sulle cose che vedevo, sentivo e leggevo.

E inoltre ho anche imparato molto di più sulla bontà umana ad Amnesty International di quanto mai avessi fatto prima.

Amnesty attiva migliaia di persone che non sono mai state torturate o imprigionate per le loro convinzioni a favore di quelle che lo sono state. Il potere dell’empatia umana, che guida l’azione collettiva, salva vite e libera i prigionieri. Persone ordinarie, a cui non manca benessere e sicurezza, si uniscono insieme in gran numero per salvare persone che non conoscono e che mai incontreranno. La mia piccola partecipazione in quel processo fu una delle esperienze della mia vita che mi hanno reso più umile e che mi hanno più ispirato.

Diversamente da ogni altra creatura su questo pianeta, gli esseri umani possono imparare e capire, senza avere esperienza diretta. Possono immedesimarsi nella mente delle altre persone, immaginarsi al posto degli altri.

Naturalmente questo è un potere, come la magia nel mio romanzo, che è moralmente neutrale. Si può usare una tale abilità per manipolare, o controllare, oltre che per capire o condividere.

E molti preferiscono non esercitare affatto la propria immaginazione. Scelgono di rimanere comodamente nei confini della loro esperienza, mai turbati dal chiedersi come si sentirebbero ad essere se non se stessi. Possono rifiutare di sentire urla o di guardare nelle prigioni; possono chiudere le loro menti e il cuore alla sofferenza che non li tocca personalmente; possono rifiutare di sapere.

Potrei essere tentata di invidiare le persone che vivono in quel modo, eccetto che non penso che per gli incubi che loro non hanno tanto quanto me. Scegliere di vivere in spazi ristretti può portare all’ agorafobia, e quello può portare i suoi propri terrori. Penso che una persona ostinatamente priva di immaginazione veda più mostri. Spesso sono molto più spaventati.

Quel che più conta, quelli che scelgono di non condividere le emozioni possono rivelarsi veri mostri. Pur non commettendo mai un’azione del tutto malvagia, possiamo favorirla attraverso la nostra apatia.

Una delle tante cose che ho imparato arrivata al termine di quel corridoio dei Classici giù per il quale mi avventurai all’età di 18 anni, alla ricerca di qualcosa che non potevo allora definire, fu questo, come scrive il greco Plutarco: Ciò che otteniamo nel nostro intimo cambierà la realtà esterna.

Questa è un frase sorprendente e già provata mille volte ogni giorno della nostra vita. Esprime, in parte, il nostro inspiegabile legame con il mondo esterno, il fatto che influenziamo la vita delle altre persone semplicemente esistendo.

Ma quanto di più voi, laureati di Harvard del 2008, influenzerà le vite degli altri? La vostra intelligenza, la vostra capacità di lavorare sodo, l’educazione che avete meritato e ricevuto, vi mette in una situazione unica, e vi dà eccezionali responsabilità. Anche la vostra nazionalità vi rende diversi. La grande maggioranza di voi appartiene all’unica superpotenza rimasta al mondo. Il modo in cui votate, il modo in cui vivete, il modo in cui protestate, la pressione che attuerete sul vostro governo, ha un impatto oltre i vostri confini. Questo è il vostro privilegio, e il vostro onere.

Se sceglierete di usare il vostro status e influenza per alzare la voce a favore di coloro che voce non hanno; se sceglierete di identificarvi non solo con i potenti ma con i deboli; se conserverete la capacità di immaginarvi nella vita di coloro che non hanno i vostri vantaggi, allora non saranno solo le vostre orgogliose famiglie a ringraziare per la vostra esistenza, ma migliaia e milioni di persone la cui realtà avrete aiutato a trasformare in qualcosa di meglio. Non abbiamo bisogno della magia per trasformare il mondo, noi portiamo tutto il potere di cui abbiamo bisogno già dentro di noi: abbiamo il potere di immaginare le cose come migliori.

Sono quasi alla fine. Ho un’ultima speranza per voi, che è qualcosa che avevo anche io a 21 anni. Gli amici a fianco dei quali sedetti il giorno della laurea sono diventati miei amici per la vita. Sono i padrini dei miei figli, le persone alle quali mi sono potuta rivolgere in tempo di difficoltà, amici che sono stati così carini da non citarmi quando ho usato i loro nomi per i mangiamorte. Alla nostra cerimonia eravamo legati da grande affetto, dalla nostra comune esperienza di un periodo che non potrà più tornare, e, naturalmente, dal sapere che abbiamo tenuto una certa prova fotografica che potrebbe essere di valore eccezionale se qualcuno di noi si presentasse come Primo Ministro.

Così oggi, non posso desiderare per voi niente di meglio che tali amicizie. E per il domani, spero che anche se non ricorderete una singola parola di quanto detto da me, ricorderete queste di Seneca, un altro di quegli antichi romani che incontrai quando percorrevo il corridoio dei Classici, ritraendomi dalla scala alla carriera, in ricerca dell’antica saggezza: La vita è come un racconto: non è importante quanto sia lunga, ma quanto sia buona.

Vi auguro tutto il bene possibile per la vostra vita.

Grazie infinite.

Joanne Kathleen Rowling, scrittrice e sceneggiatrice britannica

Un mondo in frantumi


Discorso all’Università di Harvard di Aleksandr Solzhenitsyn, 8 Giugno 1978

Sono veramente felice di essere qui con voi in occasione del 327° anniversario della nascita di questa antica e illustre università. I miei complimenti e i migliori auguri a tutti i nuovi laureati.
Motto di Harvard è "Veritas". Molti di voi hanno già scoperto e altri lo scopriranno nel corso della loro vita, che la verità ci sfugge, non appena iniziamo a vivere sotto la nostra “bandiera”, lasciandoci per tutto il tempo l'illusione che stiamo continuando a esercitarla. Questo è fonte di grande discordia. Inoltre, raramente la verità è dolce; è quasi sempre amara. Una parte di amara verità sarà anche nel mio discorso di oggi, che offro come amico, e non come avversario.
Tre anni fa, negli Stati Uniti, ho detto certe cose che sono state respinte e sono apparse inaccettabili. Oggi, tuttavia, molte persone sono d'accordo con quanto ho detto allora...
La divisione, nel mondo di oggi è percepibile anche con uno sguardo frettoloso. Chiunque facilmente identifica due potenze del mondo, ciascuna in grado di distruggere completamente l'altra. Tuttavia, troppo spesso la comprensione della divisione è limitata a questo concetto politico: l'illusione secondo la quale può essere abolito il pericolo attraverso il successo dei negoziati diplomatici o raggiungendo un equilibrio delle forze armate. La verità è che la divisione è più profonda, e che le spaccature sono più numerose di quanto si può vedere a prima vista. Queste divisioni profonde possono procurare il pericolo di un disastro per tutti noi, ricordando la verità antica per cui un regno — in questo caso, la nostra terra — non può continuare a vivere se è diviso in se stesso.

Il mondo contemporaneo

Esiste oggi il concetto di terzo mondo: abbiamo così tre mondi. Tuttavia senza dubbio il loro numero è ancora maggiore; sono soltanto mondi troppo lontani per essere percepiti. Ogni cultura autonoma antica e profondamente radicata, soprattutto se si è diffusa su di una vasta parte della superficie della terra, costituisce un mondo indipendente, pieno di rebus e di sorprese per il pensiero occidentale. Come minimo, dobbiamo includere in questa categoria la Cina, l’India, il mondo musulmano e l'Africa, se accettiamo di accostare anche le ultime due per uniformità di visione. Per mille anni la Russia appartenne a una tale logica, anche se il pensiero occidentale ha sistematicamente commesso l'errore di negare il suo carattere particolare, e quindi non lo ha mai capito, così come oggi l'Occidente non conosce ancora a fondo la Russia comunista. Inoltre può essere che in anni passati il Giappone sia sempre più diventato un Far West, (ma io non voglio giudicare) e Israele, credo, non dovrebbe essere considerato come parte dell'Occidente, anche solo per il fatto decisivo del sistema stato fondamentalmente legato alla religione. Per un tempo relativamente breve, il piccolo mondo dell'Europa moderna ha conquistato colonie in tutto il mondo, non solo senza trovare qualsiasi resistenza reale, ma anche con disprezzo dei valori della vita, nell'approccio con i popoli sottomessi. Tutto sembrava rappresentare un successo travolgente, senza limiti geografici. La Società occidentale si espandeva come trionfo dell'indipendenza dell'uomo e del suo potere. Ma all'improvviso il ventesimo secolo ha dimostrato con chiarezza la fragilità della società. Abbiamo visto che le conquiste sono state effimere e precarie (e questo, a sua volta, ha dimostrato i difetti della visione del mondo occidentale che ha generato queste conquiste). Le relazioni con il mondo ex colonialista, ora sono caratterizzati dall'estremo opposto, e il mondo occidentale presenta spesso un eccesso di attenzione, essendo comunque ancora difficile stimare le dimensioni del conto che gli ex paesi coloniali presenteranno all'Occidente ed essendo anche difficile prevedere se la rinuncia non solo delle sue ultime colonie, ma di tutto ciò che in esse possiede, sarà sufficiente all'Occidente per pagare questo debito.

Convergenza

Ma la persistente cecità che deriva dalla presunta “superiorità” occidentale, continua a far mantenere la convinzione per cui tutte le vaste regioni del nostro pianeta dovrebbero sviluppare e maturare il livello del sistema occidentale contemporaneo, il meglio in teoria, e il più attraente in pratica; si pensa che tutti gli altri mondi siano temporaneamente impediti (dai leader malvagi o da gravi crisi o dal loro barbarie e incomprensioni) di perseguire la democrazia pluralistica occidentale e di adottare il modo di vita occidentale. I paesi sono così giudicati sul merito del loro progresso in questa direzione. Ma in realtà tale concezione è un frutto della incomprensione occidentale dell'essenza degli altri mondi, ed è il risultato sbagliato del volere misurare tutto con il metro occidentale. L'immagine reale dello sviluppo del nostro pianeta ha poco a che vedere con tutto questo.
La teoria della convergenza tra i principali paesi occidentali e l'Unione Sovietica ha partorito l'angoscia di un mondo diviso. È una teoria che trascura il fatto che questi mondi non stanno affatto evolvendosi l’uno verso l’altro, dimenticando inoltre il rischio che possa esservi trasformazione non senza violenza. Inoltre, convergenza significa inevitabilmente accettazione dei difetti di un altro, e questo difficilmente può creare soddisfare per chiunque.
Se oggi mi rivolgo a un pubblico interessato a una analisi del mio paese, è per verificare se e come il modello globale di spaccature del mondo possa essere derivato dalle negatività dell'est. Considerando che il mio esilio forzato in Occidente dura da quattro anni, e poiché parlo adesso a un pubblico occidentale, credo che possa essere di maggiore interesse concentrarsi su taluni aspetti dell' Occidente contemporaneo, così come li vedo.

Il declino del coraggio

Il declino del coraggio é la caratteristica più sorprendente che un osservatore può oggi riscontrare in Occidente. Il mondo occidentale ha perso il suo coraggio civile, sia nel suo insieme che separatamente, in ogni paese, in ogni governo, in ogni partito politico e, naturalmente, nell'ambito delle Nazioni Unite. Il declino del coraggio é particolarmente evidente tra le élites intellettuali, generando l’impressione di una perdita di coraggio dell'intera società. Vi sono ancora molte persone coraggiose, ma non hanno alcuna determinante influenza sulla vita pubblica. Funzionari politici e classi intellettuali presentano questa caratteristica, che si concretizza in passività e dubbi nelle loro azioni e nelle loro dichiarazioni, e ancor di più nel loro egoistico considerare razionalmente come realistico, ragionevole, intellettualmente e persino moralmente giustificato il poter basare le politiche dello Stato sulla debolezza e sulla vigliaccheria.
E questo declino del coraggio, a volte raggiunge quella che potrebbe essere definita come una mancanza di carattere, sottolineata quasi con ironia da occasionali scoppi di audacia e di rigidità da parte degli stessi funzionari politici quando trattano con governi deboli, con paesi privi di sostegno o con correnti perdenti che chiaramente non saranno in grado di offrire alcuna resistenza. Si hanno invece silenzio e paralisi quando si tratta di affrontare governi potenti e forze minacciose, con aggressori e terroristi internazionali.
E’ necessario sottolineare che fin dai tempi antichi il declino del coraggio è stato considerato il primo sintomo della fine?

Benessere

Quando si formarono gli Stati occidentali moderni, è stato proclamato come un principio, il fatto che i governi siano destinati al servizio dell'uomo e che l'uomo vive con l’obiettivo di essere libero di perseguire la felicità. (Si vedano, ad esempio, la dichiarazione di indipendenza americana.) Finalmente, nel corso dei decenni passati, il progresso tecnico e sociale ha consentito la realizzazione di tali aspirazioni: lo stato sociale. Ad ogni cittadino è stata concessa la libertà desiderata e beni materiali, in quantità e qualità tali da garantire in teoria il raggiungimento della felicità, nel senso profondo di questa parola, entrata nella vita durante questi decenni senza perdere significato.
Nel processo, tuttavia, un dettaglio psicologico è stato trascurato: il costante desiderio di avere sempre più beni e una vita sempre migliore, il che determina la lotta a questo scopo per molti occidentali, che si scontrano con una condizione di preoccupazione e talvolta persino di depressione, anche se è consuetudine nascondere accuratamente tali sentimenti. Questa tendenza, molto attiva e forte, genera dominio sul pensiero umano in generale, e impedisce un aperto e libero sviluppo spirituale. È stata garantita l'indipendenza dell'individuo da molti tipi di pressione dello stato; alla maggior parte delle persone è stato concesso un benessere che i loro padri e nonni non avrebbero mai potuto immaginare; è diventato possibile educare i giovani secondo questi ideali, e di prepararli per ottenere nella loro fiorente umanità, la felicità, il possesso di beni materiali, il denaro e il tempo libero, verso una quasi illimitata libertà nella scelta dei piaceri.

Così, adesso, chi mai rinuncerebbe a tutto questo, e per quali motivi rischiare la propria preziosa vita in difesa del bene comune, soprattutto nel caso in cui la sicurezza della nazione debba essere difesa in una terra lontana? La biologia inoltre ci insegna che un elevato livello di benessere abituale, non porta vantaggi a un organismo vivente. Oggi il benessere, nella vita della società occidentale, ha cominciato a togliersi la sua pericolosa maschera.

Vita legalistica

La società occidentale ha scelto per sé la migliore organizzazione possibile per le sue finalità, che io chiamo legalistica. I limiti dei diritti umani sono determinati da un sistema di leggi; tali limiti sono molto ampi. Alcune persone in Occidente hanno acquisito notevole abilità nell'utilizzo, interpretazione e manipolazione del diritto (anche se le leggi per una persona media tendono ad essere troppo complicate da comprendere senza l'aiuto di un esperto).
Ogni conflitto è risolto in base alla legge, e questa è considerata la soluzione definitiva. Se uno è di destra, da un punto di vista giuridico, nulla è più necessario, e nessuno ricorda che ci potrebbe ancora non essere una perfetta verità e ragione, sollecitando autodisciplina o una rinuncia a tali diritti, da considerare come sacrificio e “rischio” altruistico: questo sarebbe semplicemente assurdo.
E’ quasi inconcepibile pensare ad una autodisciplina volontaria: tutti si sforzano di ottenere una sempre più grande estensione dei propri diritti, fino al limite estremo degli elementi giuridici.
Una compagnia petrolifera è giuridicamente colpevole se acquista un'invenzione di un nuovo tipo di energia al fine di evitare l'uso. Un produttore di prodotti alimentari è giuridicamente colpevole quando avvelena la sua produzione per farla durare più a lungo: dopo tutto, si pensa, le persone sono libere di non acquistarlo. Ho trascorso tutta la mia vita sotto un regime comunista e vi dirò che una società senza alcun obiettivo o riferimento giuridico, è una terribile realtà. Infatti una società senza elementi giuridici, è indegna umanamente.
Ma una società basata alla lettera sulla legge non permette di raggiungere traguardi elevati e non riesce a sfruttare l'intera gamma delle possibilità umane.
La legge applicata alla lettera è troppo freddo e formale e non può avere un influsso benefico sulla società. Se il tessuto della vita è un tessuto di relazioni legalistiche, si crea un'atmosfera di mediocrità spirituale che paralizza gli impulsi più nobili dell'uomo. E sarà semplicemente impossibile tenere il passo con le sperimentazioni di questo secolo, con nient'altro che il supporto di una struttura legalistica minacciosa.

La direzione della libertà

La società occidentale ha rivelato la disuguaglianza nella libertà, identificando i fatti buoni e i fatti non buoni. Ha uno statista che vuole realizzare qualcosa di importante e altamente costruttivo per il suo paese, con cautela e persino timidamente; migliaia di critici si riferiscono a lui costantemente ed egli è snobbato dal Parlamento e dalla stampa. Deve dimostrare che ogni suo passo è fondato e assolutamente impeccabile. E’ normale che una persona eccezionale, davvero grande, con iniziative insolite e impreviste, non abbia la possibilità di realizzarle; decine di trappole vengono disseminate per lui fin da subito. Così anche in politica la mediocrità trionfa, con il pretesto di necessarie restrizioni democratiche. È possibile e facile ovunque, minare il potere amministrativo e questo in realtà è stato drasticamente indebolito in tutti i paesi occidentali. La difesa dei diritti individuali ha raggiunto estremi tali da rendere la società come un intero sistema in difesa di alcuni individui. È giunto il momento, in Occidente, di difendere i diritti dell'uomo come “obblighi” dell'uomo. In effetti alla libertà distruttiva e irresponsabile, è stato concesso spazio infinito. La Società ha rivelato di avere una scarsa difesa contro l'abisso della decadenza umana, per esempio contro l'abuso della libertà e della violenza morale nei confronti dei giovani, con immagini piene di pornografia, criminalità e orrore. Si ritiene invece di essere in questo dalla parte della libertà e, in teoria, si pensa di essere controbilanciati dalla volontà dei giovani che possono in teoria non guardare e non accettare. Organizzata in modo così legalistico, la vita ha dimostrato l’incapacità a difendersi dalla corrosione del male.
E cosa diciamo delle palesi punibilità? I limiti legali, specialmente negli Stati Uniti, sono abbastanza ampi da incoraggiare non solo la libertà individuale ma anche qualche abuso di tale libertà. Il colpevole può restare impunito e ottenere clemenza immeritata — tutto con il sostegno di migliaia di difensori nella società. Quando un governo si impegna seriamente a sradicare il terrorismo, l'opinione pubblica immediatamente accusa la violazione dei diritti civili dei terroristi. Esiste un certo numero di questi casi. Questa inclinazione della libertà verso il male è avvenuta gradualmente, ma evidentemente deriva da una concezione umanistica e benevola secondo cui l'uomo — il comandante di questo mondo — non reca alcun male nello stesso, e secondo cui tutti i difetti della vita sono causati da imperfetti sistemi sociali, che pertanto devono essere corretti. Stranamente, nonostante le migliori condizioni sociali siano state raggiunte in Occidente, ci sono ancora grandi crimini; ma ancora di più nella società sovietica, bisognosa e senza leggi. Esiste una moltitudine di prigionieri nei nostri campi che vengono definiti criminali. La maggior parte di essi non ha mai commesso alcun reato, cercando solo di difendersi contro uno Stato senza legge, ricorrendo a mezzi al di fuori del quadro giuridico.

La tendenza della stampa

La stampa e tutti i media godono naturalmente della più ampia libertà. Ma questa a che cosa serve? Ancora una volta, la loro principale preoccupazione consiste nel non violare la legge. Non c'è nessuna vera responsabilità morale. Che tipo di responsabilità ha un giornalista o un giornale per i lettori o per la storia? Se hanno tratto in inganno l'opinione pubblica con informazioni inesatte o conclusioni sbagliate, e anche se hanno contribuito a errori nel loro ambito sociale. Conosciamo casi di pentimento e dispiacere apertamente espressi da un giornalista o da uno giornale? No, perché questo danneggerebbe le vendite. Una nazione può diventare peggiore a causa di tali errori, ma il giornalista ottiene sempre di restare impunito. È anche probabile che egli possa iniziare a scrivere l'esatto opposto rispetto alle sue precedenti dichiarazioni, con rinnovata intensità.

Poiché sono sempre necessarie informazioni immediate e credibili, diventa necessario per un giornalista attingere a supposizioni, a incognite, a chiacchiere, per riempire lo spazio, e non potrà mai essere confutato, dopo essere entrato nella memoria dei lettori. Quante notizie affrettate, immature, superficiali e fuorvianti sono espresse ogni giorno, confondendo i lettori, senza che siano confutate? La stampa può avere il ruolo di educazione o diseducazione dell’opinione pubblica. Così è possibile sostenere i terroristi rendendoli eroi, pubblicamente rivelare segreti di stato, realizzare spudorate intrusioni nella privacy delle persone note, secondo lo slogan "tutti hanno il diritto di sapere tutto." Ma questo è un falso. E’ infatti maggiore il valore che deriva dal diritto di un popolo di non sapere, e di non riempire le loro anime di pettegolezzi, sciocchezze, discorsi vani. Una persona che lavora e conduce una vita significativa non ha bisogno di questo flusso di informazioni eccessive e menzognere.
La superficialità è una malattia del XX secolo, e più che altrove si è manifestata nel giornalismo. Un'analisi approfondita di un problema è anatema per la stampa; è contrario alla sua natura. La stampa adotta solo formule sensazionali.
Tuttavia la stampa e i media sono diventati il maggiore potere all'interno dei paesi occidentali, superiore a quella del potere legislativo, esecutivo e magistratura. Eppure vorrei chiedere: secondo quale legge un giornalista è stato eletto, e nei confronti di chi è responsabile? Nell’oriente comunista, un giornalista è nominato da un ufficiale di Stato. Ma chi ha nominato i giornalisti occidentali nella loro posizioni di potere, per quanto tempo, e con quali prerogative?
C'è ancora un'altra sorpresa per chi proviene dall'est totalitario, con la stampa rigorosamente unificata: si scoprono all'interno della stampa occidentale tendenze comuni generate da preferenze, come se vi fosse un complesso, quale spirito del tempo, generalmente accettato quale modello, derivato anche da interessi di imprese, con l’effetto che non può esserci più vera libera concorrenza ma in realtà unificazione. La più ampia libertà esiste dunque per la stampa ma non per i lettori, perché i mezzi di comunicazione trasmettono spesso in modo forzato e deciso le loro opinioni, quasi sempre senza contraddittorio.

La moda nel pensiero

Senza alcuna censura, in Occidente le tendenze e i pensieri di moda sono scrupolosamente separate da quelle che non sono di moda e questi, pur senza essere vietati, hanno scarse possibilità di trovare vita nella stampa, nei libri, o anche di essere in generale considerate. In occidente gli studiosi sono liberi in senso giuridico, ma sono accerchiati e condizionati da idoli, prevalentemente dettati dalla moda. Non c'è alcuna palese violenza, come in Oriente; tuttavia, una scelta condizionata dalla moda, e la necessità di soddisfare gli standard di massa, spesso impediscono che le persone più innovative e indipendenti possano contribuire alla vita pubblica, generandosi in tal modo pericolose “mandrie” mosse da istinti, che bloccano uno sviluppo solido e reale. In America, ho ricevuto lettere da persone molto intelligenti — come ad esempio da un insegnante di un collegio in un piccolo paese lontano, che potrebbe fare molto per rimodernare e salvare così il suo paese. Ma il paese non può ascoltarlo perché i media non gli danno visibilità. Questi fatti generano forti pregiudizi di massa, ottenendo una cecità pericolosa, soprattutto nella nostra epoca, in rapida evoluzione.
Nel mondo contemporaneo, a ben guardare, c’é come un'armatura pietrificata intorno alla mente delle persone, che spesso impedisce lo sviluppo di nuove idee. Essa può essere rotta soltanto dal rompighiaccio inesorabile generato dagli eventi. Ho citato alcuni tratti di vita occidentale che sorprendono arrivando in questo mondo. Lo scopo di questo discorso non mi permetterà adesso di continuare questa analisi, in particolare per valutare l'impatto di questi elementi su aspetti importanti della vita della nazione, come l'istruzione elementare, e dell'istruzione avanzata nelle scienze umane e nell’arte.

Socialismo

Quasi universalmente è riconosciuto che l'Occidente dimostra a tutto il mondo le modalità per ottenere uno sviluppo economico di successo, anche se negli ultimi anni questo é stato bruscamente frenato dall’inflazione. Tuttavia, molte persone che vivono in Occidente sono insoddisfatte della loro società, disprezzandola e accusandola di non essere non più a un livello di umana maturità. E questo fa sì che molti propendano verso il socialismo, corrente falsa e pericolosa. Mi auguro che nessuno dei presenti pensi che io voglia esprimere una critica parziale del sistema occidentale, al fine di suggerire il socialismo come alternativa. No; con l'esperienza di un paese dove è stato realizzato il socialismo, sicuramente non proporrò questa alternativa. Il matematico Igor Shafarevich, membro dell'Accademia sovietica della scienza, ha scritto un libro brillantemente argomentato intitolato –socialismo-; si tratta di una accurata analisi storica che dimostra come il socialismo di qualsiasi tipo e le sue derivazioni, producano una totale distruzione dello spirito umano e un livellamento dell'umanità fino alla sua morte. Il libro del Shafarevich è stato pubblicato in Francia quasi due anni fa e finora nessuno è riuscito a confutarlo. Tra breve sarà pubblicata in inglese negli Stati Uniti.

L’Occidente non é un modello

Ma se mi chiedono se propongo l'Occidente, come è oggi, come modello per il mio paese, francamente rispondo negativamente. No, io non posso raccomandare questa società come ideale per la trasformazione della nostra. Attraverso una profonda sofferenza, le persone nel nostro paese hanno raggiunto uno sviluppo spirituale di una tale intensità, per la quale il sistema occidentale nel suo attuale stato di esaurimento spirituale non è attraente. Alcune caratteristiche della vita occidentale che ho considerato, sono estremamente tristi. Un fatto che non può essere contestato è l'indebolimento della personalità umana in Occidente, mentre in Oriente è diventata più ferma e più forte. In molti decenni siamo passati attraverso la formazione spirituale, molto in anticipo rispetto all’esperienza occidentale. Contrasti e conflitti spesso mortali, hanno prodotto personalità più forti, più profonde e più interessanti di quelle generate dagli standard del benessere occidentale. Pertanto, se la nostra società potesse trasformarsi nella vostra, questo significherebbe un miglioramento di certi aspetti, ma anche un cambiamento in peggio di alcuni punti particolarmente significativi. Naturalmente, una società non può rimanere chiusa in un abisso di illegalità, come avviene nel nostro paese. Ma è anche degradante restare su di un piano sociale senza anima e preda del legalismo, come avviene nel vostro. Dopo una sofferenza di decenni di violenze e oppressioni, l'anima umana desidera cose più elevate, più calde e trasparenti, rispetto a quelle offerte dalle abitudini di massa della vita odierna, introdotte da un'invasione rivoltante di pubblicità commerciale, da stupidi spettacoli TV e da musica intollerabile. Tutto ciò è visibile per i numerosi osservatori provenienti da tutte le nazioni del nostro pianeta. Il modo di vita occidentale ha le minori probabilità di diventare un modello leader. Vi sono sintomi da cui si può vedere come una società sia in decadimento, quali ad esempio, il declino delle arti o la mancanza di grandi statisti. A volte i segnali sono molto espliciti e concreti. Ad esempio, se un paese resta senza energia elettrica per poche ore, e all'improvviso una folla di cittadini americani produce saccheggi e devastazioni, la superficie sociale appare molto debole, e il sistema sociale instabile e malsano. Ma il conflitto materiale e spirituale, nel nostro pianeta, é un conflitto di proporzioni cosmiche, e non una vaga questione nel futuro; esso é già iniziato. Le forze del male hanno iniziato la loro offensiva decisiva. Si può sentire la loro pressione, eppure gli spettacoli sugli schermi e le pubblicazioni sono piene di sorrisi costruiti e la gente si è tolta gli occhiali. Dov’è la felicità?

Miopia

Conosco molto bene alcuni rappresentanti della vostra società, come George Kennan, che dice: "Noi non possiamo applicare criteri morali alla politica". Così abbiamo mescolato il bene e il male, il giusto e lo sbagliato, e creiamo così lo spazio per il trionfo del male assoluto nel mondo. Solo i criteri morali possono aiutare l'Occidente a combattere contro la strategia ben pianificata del mondo comunista. Non vi sono altri criteri. Considerazioni pratiche o occasionali di qualsiasi tipo saranno inevitabilmente spazzate via. Dopo un certo livello, la mentalità legalistica induce paralisi e impedisce di vedere la scala dei valori e il significato degli eventi.
Prescindendo dall'abbondanza di informazioni, o forse in parte a causa di esse, l'occidente ha grandi difficoltà nel trovare relazioni tra eventi in contemporanea. Ci sono state stime ingenue da parte di alcuni esperti americani che credevano che l’Angola sarebbe diventata il Vietnam dell'Unione Sovietica, o che le arroganti spedizioni cubane in Africa sarebbero state fermate da speciali atti di cortesia USA a Cuba. I consigli di Kennan al suo paese — per iniziare un disarmo unilaterale — appartengono alla stessa categoria. Se solo avesse saputo come reagire il più giovane dei funzionari in Piazza Vecchia di Mosca alle mosse politiche! E vedendo Fidel Castro apertamente disprezzare gli Stati Uniti, con coraggio fossero state inviate truppe mercenarie ben lontane dalla sua destra politica. Tuttavia, l'errore più crudele si è verificato nell’incapacità di comprendere la guerra del Vietnam. Qualcuno ha voluto le guerre per poi poterle arrestare, al più presto; altri credevano che le decisioni dovessero essere lasciate all'autodeterminazione nazionale, o comunista, in Vietnam (o in Cambogia, come la vediamo oggi con particolare chiarezza). Ma in realtà, i membri del movimento antiwar US, divennero complici del tradimento delle nazioni dell'Estremo Oriente, del genocidio e delle sofferenze imposte a trenta milioni di persone. Questi convinti pacifisti sanno ascoltare ora la voce proveniente da quei luoghi? Capiscono oggi la loro responsabilità? O preferiscono non ascoltare? L'intellighenzia americana ha perso il suo carattere e di conseguenza il pericolo è giunto molto più vicino agli Stati Uniti. Ma non c'è di questo fatto alcuna consapevolezza. Il politico miope che ha firmato la capitolazione affrettata nel Vietnam, apparentemente portò in America una pausa di respiro e di spensieratezza; tuttavia, il Vietnam ora incombe su di lei. Vi erano stati avvertimenti e un’occasione per mobilitare il coraggio della nazione. Ma se l’America ha subìto una sconfitta completa per mano di un piccolo paese metà comunista, come può l'Occidente sperare di rimanere integro in futuro?
Ho detto in un'altra occasione che la democrazia occidentale del ventesimo secolo non ha vinto alcuna grande guerra; ogni volta essa stessa si è fatta scudo di un alleato in possesso di un potente esercito di terra, la cui filosofia non ha creato problemi. Nella seconda guerra mondiale contro Hitler, invece di vincere il conflitto con le proprie forze, che sarebbero certamente state sufficienti, la democrazia occidentale ha sollevato un altro nemico, che poteva rivelarsi peggiore e più potente, dato che Hitler non aveva né le risorse né il popolo completamente dalla sua, né le idee a cui attingere, né un gran numero di sostenitori in Occidente, come — una quinta colonna — l'Unione Sovietica, lo ha dimostrato. Alcune voci occidentali avevano parlato della necessità di uno schermo protettivo contro le forze ostili nel conflitto mondiale; in questo caso, lo scudo sarebbe stato cinese. Ma non vorrei tale risultato in un qualsiasi paese del mondo. Prima di tutto, è ancora una volta un'alleanza condannata dal male; gli Stati Uniti potrebbero concedere una tregua, ma quando in un’epoca successiva la Cina, con il suo miliardo e più di persone diventasse una potenza armata con armi americane, l'America stessa diventerebbe vittima di un genocidio stile Cambogia.

La perdita della volontà

Ormai non é possibile aiutare l'Occidente, fino a quando non sarà recuperata la sua forza di volontà. In uno stato di debolezza psicologica, le stesse armi diventano un peso e portano alla capitolazione. Per difendere se stesso, un uomo deve essere anche pronto a morire; non c'è tale disponibilità in una società che ha creato il culto del benessere materiale. La debolezza psicologica porta in politica a concessioni, a tentativi di guadagnare tempo e al tradimento. Così alla vergognosa conferenza di Belgrado, liberi diplomatici occidentali, nella loro debolezza, non producono una linea di difesa per i membri dei gruppi Helsinki Watch che sono disposti a sacrificare la loro vita.
Il pensiero occidentale è diventato conservatore: la situazione mondiale deve rimanere come è ad ogni costo; non deve esserci alcuna modifica. Questo segno di uno status quo debilitante, è il sintomo di una società che ha cessato di svilupparsi. Bisogna essere ciechi per non vedere che gli oceani non appartengono più all'Occidente, mentre la terra sotto il suo dominio si restringe.
Le due cosiddette guerre mondiali, non erano ancora mondiali, e riflettevano l'autodistruzione progressiva dell'Occidente, che ha preparato così la propria fine. La prossima guerra, che non deve essere atomica, potrà seppellire per sempre la civiltà occidentale. A fronte di un tale pericolo, con tali valori storici nel passato, con tale elevato livello di libertà raggiunto e, a quanto pare, di devozione, come è possibile perdere a tal punto la volontà di difendere se stessi?

Umanesimo e conseguenze

Come è stato possibile arrivare a creare questo sfavorevole rapporto di forze? Come è stato possibile per l’Occidente passare dalla sua marcia trionfale al suo attuale stato di debilitazione? Sono stati fatali i cambiamenti e la perdite di obiettivi nel suo sviluppo? Non sembra sia così. L'Occidente é avanzato costantemente in conformità con le sue intenzioni sociali proclamate, e con un progressivo brillante progresso nella tecnologia. E all'improvviso si é trovato nel suo attuale stato di debolezza.
Ciò significa che l'errore deve essere alla radice, al fondamento del suo pensiero nei tempi moderni. Mi riferisco alla visione occidentale prevalente, nata nel Rinascimento e che ha trovato espressione politica dopo l'età dell'Illuminismo. Essa divenne la base per la dottrina politica e sociale e potrebbe essere chiamato umanesimo razionalista o autonomia umanistica: l'autonomia dell'uomo da qualsiasi forza superiore di sopra di lui proclamata e praticata. Si potrebbe anche chiamare antropocentrismo, con l'uomo visto come il centro di tutto.
Quanto è stato introdotto dal Rinascimento era storicamente e probabilmente inevitabile: il Medioevo era giunto a una fine naturale per suo esaurimento, essendo diventato un intollerabile repressione dispotica e di natura fisica dell'uomo, in favore della natura spirituale. Poi, come reazione, allontanandosi dallo spirito e abbracciando tutto ciò che è materiale, eccessivamente e incommensurabilmente, il modo umanistico di pensare, che aveva proclamato l’uomo come sua stessa guida, non ha ammesso l'esistenza intrinseca del male nell'uomo, né ha saputo rivolgersi ad un pensiero spirituale superiore, per ottenere la felicità anche sulla terra. E’ iniziata la civiltà occidentale moderna, con la pericolosa tendenza dell'uomo rivolto esclusivamente a soddisfare le sue necessità materiali. Tutto per il benessere fisico e per accumulare beni materiali, mentre tutti gli altri aspetti umani e i caratteri naturali non visibili e superiori, sono rimasti al di fuori dell'attenzione dello Stato e dei sistemi sociali, come se la vita umana non avesse alcun significato superiore. Così molti spazi sono rimasti aperti per il male che può agire liberamente anche oggi. La semplice libertà non risolve tutti i problemi della vita umana e anzi ne aggiunge un gran numero di nuovi.
Nelle democrazie giovani, come nella democrazia americana al momento della sua nascita, tutti i diritti umani individuali sono stati concessi considerando che l'uomo è creatura di Dio. La libertà era per l'individuo data in modo condizionato al presupposto della sua responsabilità religiosa costante. Questo era il patrimonio dei mille anni precedenti. Duecento o addirittura solo cinquant’anni fa, questo sarebbe sembrato assolutamente impossibile. In America, a un individuo sono concesse libertà infinite con nessun fine, semplicemente per la soddisfazione dei suoi capricci. Successivamente tali limitazioni sono state erose ovunque in Occidente, e si è verificata una totale emancipazione dal patrimonio morale dei secoli cristiani con le loro grandi riserve di misericordia e di sacrificio. I sistemi statali sono diventati sempre più materialistici. L'Occidente ha finalmente ottenuto i diritti dell'uomo, anche in eccesso, ma senza il senso per l’uomo della responsabilità di fronte a Dio, e la società è così cresciuta nella negatività e diventa sempre più negativa. Negli ultimi decenni, l'egoismo legalistico dell'approccio al mondo, in occidente ha raggiunto l'apice, e il mondo si é trovato una dura crisi spirituale e in una impasse politica. Tutte le conquiste tecnologiche celebrate dal progresso, compresa la conquista dello spazio esterno, non hanno riscattato la povertà morale del ventesimo secolo, come nessuno nel XIX° secolo avrebbe potuto immaginare.

Un’imprevista parentela

Poiché l'umanesimo nel suo sviluppo stava diventando sempre più materialistico, così si é sempre più consentito che suoi concetti siano stati utilizzati prima dal socialismo e poi dal comunismo. In modo tale che Karl Marx è stata in grado di dire, nel 1844, che "il comunismo è umanesimo naturalizzato."
Questa dichiarazione ha anche dimostrato una non totale irragionevolezza. Si vedevano erose le pietre di base dell’umanesimo, permettendo così l’avvento di un qualsiasi tipo di socialismo nel materialismo infinito; la libertà di religione e la responsabilità religiosa, nei regimi comunisti raggiunge la fase della dittatura antireligiosa; la concentrazione in strutture sociali con un approccio il più possibile scientifico, è tipico sia dell'età dell'Illuminismo sia del marxismo. Non è un caso che tutti gli obiettivi del comunismo sono per l’Uomo e per la sua felicità terrena. A prima vista sembra un brutto parallelo vedere tratti comuni nella mentalità e stile di vita dell'Occidente odierna e dell’Oriente di oggi? Ma tale è la logica dello sviluppo materialistico. L'interrelazione è tale per cui la corrente del materialismo che è più lontano a sinistra e quindi più coerente, si dimostra sempre essere più forte, più attraente e vittoriosa. L’Umanesimo, che ha perso la sua eredità cristiana, non può prevalere in questa competizione.
Così nel corso dei secoli passati e soprattutto negli ultimi decenni, dato che il processo è divenuto più acuto, lo sviluppo delle forze è stato così: il liberalismo, inevitabilmente messo in disparte dal radicalismo, dovette poi arrendersi al socialismo, che a sua volta non poteva resistere al comunismo. Il regime comunista in Oriente potrebbe crescere, a causa di un entusiastico sostegno da parte di un numero enorme di intellettuali occidentali che (strana parentela !) si è rifiutata di vedere i crimini del comunismo, e quando questo non era possibile, hanno cercato di giustificarli. Il problema persiste: nei nostri paesi dell'est, il comunismo ha subìto una sconfitta ideologica completa; è pari a zero e meno di zero. E gli intellettuali occidentali ancora esaminano la questione con notevole interesse ed empatia, ed é proprio questo è ciò che rende così immensamente difficile per l'Occidente resistere a est.

Il cammino per l’uomo

Io non sto esaminando il caso di un disastro, analizzando una guerra mondiale e le modifiche che questa produce nella società. Ma poiché vorremmo svegliarci ogni mattina sotto il sole della pace, dobbiamo pensare a come realizzare la nostra vita quotidiana. Eppure esiste già un disastro. Mi riferisco alla catastrofe generata da una autonoma e irreligiosa coscienza umanistica.
È l’uomo che decide la misura di tutte le cose sulla terra — l’uomo imperfetto, che non è mai privo di orgoglio, egoismo, invidia, vanità e decine di altri difetti. Ora stiamo pagando gli errori che non sono stati correttamente valutati all'inizio. Nel cammino dal Rinascimento, fino ai nostri giorni, abbiamo arricchito la nostra esperienza, ma abbiamo perso il concetto di un'entità completa suprema, da ascoltare per porre limiti alle nostre passioni e alla nostra irresponsabilità. Abbiamo avuto troppa fiducia nella politica e nelle riforme sociali, per poi scoprire che ci stavamo privando del possesso del nostro bene più prezioso: la nostra vita spirituale. Questa è adesso calpestata dalla mafia e dai partiti in Oriente e dalle attività commerciali in Occidente. In questo sta l'essenza della crisi: la divisione del mondo è meno terribile.
Se, come sostiene l’umanesimo, l’uomo è nato solo per essere felice, egli non é nato per morire. Poiché il suo corpo è condannata a morte, il suo compito sulla terra evidentemente deve essere più spirituale: non una totale accaparramento di beni nella vita quotidiana, non la ricerca di modi migliori per ottenere beni materiali e quindi non la spensieratezza con il loro consumo. La vita deve invece essere il compimento di una riflessione costante e seria in modo che il nostro viaggio nel tempo possa essere soprattutto un'esperienza di crescita morale, per diventare esseri umani migliori. Questo é indispensabile per rivalutare la scala dei valori umani normali; la loro attuale assenza è sbalorditiva. Non è possibile che la valutazione del lavoro di un Presidente di uno Stato sia ridotta alla questione relativa a quanti soldi io guadagno, o alla disponibilità di benzina. Solo con l'educazione di noi stessi e l’autodisciplina liberamente accettata e serena, l'umanità potrà risalire il flusso del materialismo e del suo mondo.
Oggi sarebbe regressivo considerare le fossilizzate formule dell'Illuminismo. Tali dogmatismi sociali ci continuerebbero a rendere indifesi di fronte alle prove dei nostri tempi. Anche se ci stiamo risparmiando la distruzione causata dalla guerra, dovremo trovare il modo di non rendere deperibile la nostra vita. Non possiamo evitare di riconsiderare gli elementi fondamentali della vita umana e della società. È vero che l'uomo è al di sopra di tutto ciò? Non c'é nessuno spirito al di sopra di lui? È giusta che la vita dell'uomo e delle attività sociali debbano essere governate soprattutto dall’espansione materiale? È ammissibile promuovere tale espansione a scapito della nostra vita spirituale integrale? Se il mondo non è ancora vicino alla sua fine, ha comunque raggiunto un punto di svolta importante nella storia, di importanza pari alla svolta dal Medioevo al Rinascimento. Questo potrà esigere da noi una “fiammata” spirituale; dovremo salire all’altezza di una nuova visione, per un nuovo livello di vita, dove la nostra natura fisica potrà non essere maledetta, come nel Medioevo. Ma sarà ancor più importante il nostro livello spirituale, nel quale non si potrà essere calpestati, come in the Modern Era. Questa Ascensione è come un’arrampicata antropologica.
Nessuno sulla terra ha un altro modo a sinistra o a destra ma soltanto verso l'alto.

Aleksandr Solzhenitsyn (1918 - 2008), scrittore, drammaturgo e storico russo

martedì 7 febbraio 2017

La democrazia non è per il bene di poche persone

Nel discorso di Pericle (495 - 429 a.C.) che rende omaggio ai caduti ateniesi durante il primo anno della guerra del Peloponneso (431 - 404 a.C.), Tucidide descrive ed esalta la democrazia di Atene.

Comincerò prima di tutto dagli antenati: è giusto infatti e insieme doveroso che in tale circostanza a loro sia tributato l’onore del ricordo.
Questo paese, che essi sempre abitarono, libero lo trasmisero ai discendenti che li seguirono fino al nostro tempo, e fu merito del loro valore. Se però degni di lode sono essi, ancora di piú lo sono i padri nostri, che, oltre a quello che avevano ereditato, conquistarono il dominio che possediamo, quant’esso è grande, e a prezzo di gravi sacrifici a noi d’oggi lo lasciarono. Quello che abbiamo in piú l’abbiamo aggiunto noi qui presenti che siamo ancora nell’età matura e abbiamo fatto sí che la nostra città, in tutti i campi, fosse a sé piú che mai bastante e per la guerra e per la pace.

Tralascerò di ricordare le loro imprese belliche, ciò che con ciascuna di esse fu conquistato o se con slancio abbiamo, noi o i padri nostri, respinto l’invasore, fosse barbaro o greco a noi ostile: non voglio dilungarmi con coloro che sanno ogni cosa. Passerò quindi a tessere l’elogio di costoro, dopo però aver messo in luce con quale sistema di vita giungemmo a tanto e in virtú di quale forma di governo e con quali abitudini s’ingrandí il nostro dominio; convinto come sono che in questo momento non è sconveniente parlarne e che per tutta la folla dei cittadini e dei forestieri sarà utile ascoltarlo.

Noi abbiamo una forma di governo che non guarda con invidia le costituzioni dei vicini, e non solo non imitiamo altri, ma anzi siamo noi stessi di esempio a qualcuno. Quanto al nome, essa è chiamata democrazia, poiché è amministrata non già per il bene di poche persone, bensí di una cerchia piú vasta: di fronte alle leggi, però, tutti, nelle private controversie, godono di uguale trattamento; e secondo la considerazione di cui uno gode, poiché in qualche campo si distingue, non tanto per il suo partito, quanto per il suo merito, viene preferito nelle cariche pubbliche; né, d’altra parte, la povertà, se uno è in grado di fare qualche cosa di utile alla città, gli è di impedimento per l’oscura sua posizione sociale.

Come in piena libertà viviamo nella vita pubblica cosí in quel vicendevole sorvegliarsi che si verifica nelle azioni di ogni giorno, noi non ci sentiamo urtati se uno si comporta a suo gradimento, né gli infliggiamo con il nostro corruccio una molestia che, se non è un castigo vero e proprio, è pur sempre qualche cosa di poco gradito.

Noi che serenamente trattiamo i nostri affari privati, quando si tratta degli interessi pubblici abbiamo un’incredibile paura di scendere nell’illegalità: siamo obbedienti a quanti si succedono al governo, ossequienti alle leggi e tra esse in modo speciale a quelle che sono a tutela di chi subisce ingiustizia e a quelle che, pur non trovandosi scritte in alcuna tavola, portano per universale consenso il disonore a chi non le rispetta.

Inoltre, a sollievo delle fatiche, abbiamo procurato allo spirito nostro moltissimi svaghi, celebrando secondo il patrio costume giochi e feste che si susseguono per tutto l’anno e abitando case fornite di ogni conforto, il cui godimento quotidiano scaccia da noi la tristezza.
Affluiscono poi nella nostra città, per la sua importanza, beni d’ogni specie da tutta la Terra e cosí capita a noi di poter godere non solo tutti i frutti e prodotti di questo paese, ma anche quelli degli altri, con uguale diletto e abbondanza come se fossero nostri.

Anche nei preparativi di guerra ci segnaliamo sugli avversari. La nostra città, ad esempio, è sempre aperta a tutti e non c’è pericolo che, allontanando i forestieri, noi impediamo ad alcuno di conoscere o di vedere cose da cui, se non fossero tenute nascoste e un nemico le vedesse, potrebbe trar vantaggio; perché fidiamo non tanto nei preparativi e negli stratagemmi, quanto nel nostro innato valore che si rivela nell’azione.

Diverso è pure il sistema di educazione: mentre gli avversari, subito fin da giovani, con faticoso esercizio vengono educati all’eroismo; noi, invece, pur vivendo con abbandono la vita, con pari forza affrontiamo pericoli uguali. E la prova è questa: gli Spartani fanno irruzione nel nostro paese, ma non da soli, bensí con tutti gli alleati; noi invece, invadendo il territorio dei vicini, il piú delle volte non facciamo fatica a superare in campo aperto e in paese altrui uomini che difendono i propri focolari.

E sí che mai nessuno dei nemici si è trovato di fronte tutta intera la nostra potenza, dato che noi rivolgiamo le nostre cure alla flotta di mare, ma anche, nello stesso tempo, mandiamo milizie cittadine in molti luoghi del continente. Quando gli avversari vengono a scontrarsi in qualche luogo con una piccola parte delle nostre forze, se riescono ad ottenere un successo parziale si vantano di averci sbaragliati tutti e se sono battuti, vanno dicendo, a loro scusa, di aver ceduto a tutto intero il nostro esercito. E per vero se noi amiamo affrontare i pericoli con signorile baldanza, piuttosto che con faticoso esercizio, e con un coraggio che non è frutto di leggi, ma di un determinato modo di vivere, abbiamo il vantaggio di non sfibrarci prima del tempo per dei cimenti che hanno a venire e, di fronte ad essi, ci dimostriamo non meno audaci di coloro che di fatiche vivono. Se per questi motivi è degna la nostra città di essere ammirata, lo è anche per altre ragioni ancora.

Noi amiamo il bello, ma con misura; amiamo la cultura dello spirito, ma senza mollezza. Usiamo la ricchezza piú per l’opportunità che offre all’azione che per sciocco vanto di parola, e non il riconoscere la povertà è vergognoso tra noi, ma piú vergognoso non adoperarsi per fuggirla.
Le medesime persone da noi si curano nello stesso tempo e dei loro interessi privati e delle questioni pubbliche: gli altri poi che si dedicano ad attività particolari sono perfetti conoscitori dei problemi politici; poiché il cittadino che di essi assolutamente non si curi siamo i soli a considerarlo non già uomo pacifico, ma addirittura un inutile.

Noi stessi o prendiamo decisioni o esaminiamo con cura gli eventi: convinti che non sono le discussioni che danneggiano le azioni, ma il non attingere le necessarie cognizioni per mezzo della discussione prima di venire all’esecuzione di ciò che si deve fare.
Abbiamo infatti anche questa nostra dote particolare, di saper, cioè, osare quant’altri mai e nello stesso tempo fare i dovuti calcoli su ciò che intendiamo intraprendere: agli altri, invece, l’ignoranza provoca baldanza, la riflessione apporta esitazione. Ma fortissimi d’animo, a buon diritto, vanno considerati coloro che, conoscendo chiaramente le difficoltà della situazione e apprezzando le delizie della vita, tuttavia, proprio per questo, non si ritirano di fronte ai pericoli.

Anche nelle manifestazioni di nobiltà d’animo noi ci comportiamo in modo diverso dalla maggior parte: le amicizie ce le procuriamo non già ricevendo benefici, ma facendone agli altri. È amico piú sicuro colui che ha fatto un favore, in quanto vuol mettere in serbo la gratitudine dovutagli con la benevolenza dimostrata al beneficato. Chi invece tale beneficio ricambia è piú tiepido, poiché sa bene che ricambierà non per avere gratitudine, ma per adempiere un dovere. Noi siamo i soli che francamente portiamo soccorso ad altri non per calcolo d’utilità, ma per fiduciosa liberalità.
In una parola, io dico che non solo la città nostra, nel suo complesso, è la scuola dell’Ellade, ma mi pare che in particolare ciascun Ateniese, cresciuto a questa scuola, possa rendere la sua persona adatta alle piú svariate attività, con la maggior destrezza e con decoro, a se stesso bastante.

E che questo che io dico non sia vanto di parole per l’attuale circostanza, ma verità comprovata dai fatti, lo dimostra la potenza stessa di questa città che con tali norme di vita ci siamo procurata.
Sola infatti, tra le città del nostro tempo, si dimostra alla prova superiore alla sua stessa fama ed è pure la sola che al nemico che l’assale non è causa di irritazione, tale è l’avversario che lo domina; né ai sudditi motivo di rammarico, come sarebbe se i dominatori non fossero degni di avere il comando. Con grandi prove, dunque, non già senza testimoni, avendo noi conseguito tanta potenza, da contemporanei e da posteri saremo ammirati; non abbiamo bisogno di un Omero che ci lodi o di altro poeta epico che al momento ci lusinghi, mentre la verità toglierà il vanto alle presunte imprese, noi che abbiamo costretto ogni mare e ogni terra ad aprirsi al nostro coraggio; ovunque lasciando imperituri ricordi di disfatte e di trionfi.
Per una tale città, dunque, costoro nobilmente morirono, combattendo perché non volevano che fosse loro strappata, ed è naturale che per essa ognuno di quelli che sopravvivono ami affrontare ogni rischio.

Per questo io mi sono diffuso a parlare dei pregi della nostra città: per dimostrare che, nella lotta, la posta è ben piú elevata per noi che non per quelli che non hanno nulla di simile da vantare e per fondare su chiare prove l’elogio che intendo pronunciare. Anzi il piú è già stato detto: poiché fu proprio la virtú di questi uomini e di quelli a loro simili che rese splendente il serto di gloria della nostra città, della quale ho tessuto le lodi. Non sono molti i Greci le cui imprese siano all’altezza di un tale elogio, come per costoro. A mio avviso, anzi, questo genere di morte dimostra in pieno la vera virtú dell’uomo: ne costituisce non solo la prima rivelazione, ma anche l’estrema conferma. Poiché giustizia vuole che sia posto in primo piano anche il valore mostrato nelle guerre per la patria da coloro che, per il resto, non brillarono di buona luce: con l’eroismo essi cancellarono le macchie precedenti e maggiore fu l’utile che apportarono al bene comune, che non il danno derivato dai loro difetti privati. Di costoro nessuno fu indotto a viltà per la brama di poter ancora oltre godere il frutto dei suoi beni di fortuna; né per la speranza di sfuggire la povertà e di poter quindi in seguito diventar ricco cercò pretesti o indugi di fronte al cimento. Ma a tutto ciò stimarono preferibile la vendetta contro i nemici; e, convinti che fra i pericoli quello affrontato per la patria è il piú splendido, con tale rischio vollero punire gli avversari e aspirare a questi beni. Alla speranza affidarono l’incertezza del successo, ma all’atto pratico, di fronte alla realtà evidente, ritennero di poter nutrire fiducia nel proprio valore. Nel fervore della lotta, preferendo anche morire piuttosto che salvarsi cedendo, fuggirono il disonore, sostenendo la lotta a prezzo della vita: e, nell’attimo bruciante della sorte, al sommo del coraggio cosciente, non già nel terrore, morirono.

Essi furono, dunque, di quella tempra che l’onore di Atene richiedeva: tutti gli altri devono augurarsi una decisione piú fortunata sí, ma non meno audace e indomabile volerla di fronte ai nemici, avendo di mira non soltanto a parole il bene dello stato (ognuno potrebbe di fronte a voi, che pur non ne siete all’oscuro, dilungarsi molto ad enumerare tutti i vantaggi che la vittoriosa resistenza ai nemici comporta), ma piuttosto di giorno in giorno contemplando, in fervore d’opere, la grandezza della nostra città, che deve essere oggetto del vostro amore. E quando essa veramente grandeggi davanti alla vostra immaginazione, pensate che tale la fecero uomini dal cuore saldo e dall’intelligenza pronta al dovere, sorretti nelle imprese dal sentimento dell’onore: e se mai, alla prova, talvolta fallirono, non ritennero di dover defraudare la città almeno del loro valore; anzi le offersero, prodighi, il piú splendido contributo. Facendo nell’interesse comune sacrificio della vita, si assicurarono, ciascuno per proprio conto, la lode che non invecchia mai e la piú gloriosa delle tombe; non tanto quella in cui giacciono, quanto la gloria che resta eterna nella memoria, sempre e ovunque si presenti occasione di parlare e di agire. Per gli uomini prodi, infatti, tutto il mondo è tomba e non è solo l’epigrafe incisa sulla stele funebre nel paese loro che li ricorda; ma anche in terra straniera, senza iscrizioni, nell’animo di ognuno vive la memoria della loro grandezza, piuttosto che in un monumento. Ora, dunque, proponetevi di imitarli e, convinti che la felicità sta nella libertà e la libertà nell’indomito coraggio, non fuggite i rischi della guerra.

Poiché non sono i miseri che possono far gettito della vita, essi che nulla di buono possono sperare; ma è piú giusto che la gettino allo sbaraglio coloro per i quali, mentre ancora vivono, un grave rischio sarà la sorte contraria e molto amara la differenza di condizione, se saranno sconfitti.
Ben piú doloroso, infatti, è, almeno per un uomo d’alto sentire, l’infortunio col marchio della viltà che non la morte affrontata con fortezza, arrisa dalla comune speranza, trapasso che giunge inavvertito.
Per questo, o genitori dei caduti quanti qui siete, non vi compiango, ma cercherò piuttosto di confortarvi. Sapete, infatti, di esser cresciuti fra le piú varie vicende: felice solo chi ebbe in sorte la piú splendida delle morti, come ora costoro, e il piú nobile dei dolori, come voi. Beati coloro che videro la gioia della vita coincidere con una morte felice.

So che è difficile, senza dubbio, convincervi di questa verità; tanto piú che spesso il vostro ricordo sarà sollecitato dall’altrui felicità, che un giorno pure voi rendeva orgogliosi: dolore vero non ha chi si trova privo di beni di cui non ha esperimentato il valore; ma chi, dopo una dolce abitudine, si vede strappata la sua gioia. Eppure bisogna dar prova di forza anche nella speranza di altri figli, chi è in età di poterne ancora avere: i nuovi germogli attenueranno nel cuore di alcuni, in privato, il dolore cocente per quelli che piú non sono e alla città apporteranno un duplice vantaggio: rifiorire di vita e sicurezza nei pericoli. Non è possibile, infatti, che deliberino in modo imparziale e giusto coloro che non abbiano, come gli altri, dei figli da esporre ai pericoli. E voi quanti ormai siete avanti nell’età considerate come un guadagno la parte piú lunga della vita che avete vissuto felici; pensate che quello che vi resta sarà un tratto breve, e la gloria di costoro vi sia di sollievo. L’amore della gloria è l’unico che non invecchia mai e nella tarda età non dà tanta gioia l’accumular ricchezza, come dicono alcuni, quanta piuttosto ne procura il ricevere onori.

Per voi, figli o fratelli dei caduti che mi ascoltate, io prevedo una difficile gara (tutti, infatti, amano lodare chi non è piú) e a fatica, pur con un merito maggiore, potrete esser giudicati non dico pari ad essi, ma di poco ad essi inferiori. Nel confronto tra vivi, contro l’emulo s’avventa l’invidia; chi invece non può piú essere d’ostacolo viene lodato con benevolenza senza rivalità.
E se devo fare un accenno anche alla virtú delle donne, per quante ora si troveranno in vedovanza, comprenderò tutto in questa breve esortazione. Gran vanto per voi dimostrarvi all’altezza della vostra femminea natura; grande è la reputazione di quella donna di cui, per lode o biasimo, si parli il meno possibile fra gli uomini.

Ho terminato; nel mio discorso, secondo la tradizione patria, ho detto quanto ritenevo utile; di fatto, coloro che qui sono sepolti hanno già avuto in parte gli onori dovuti. Per il resto, i loro figli da oggi saranno mantenuti a spese dello stato fino alla virilità: è questa l’utile corona che per siffatti cimenti la città propone e offre a coloro che qui giacciono e a quelli che restano. Là dove si propongono i massimi premi per la virtú, ivi anche fioriscono i cittadini migliori.
Ora, dopo aver dato il vostro tributo di pianto ai cari che avete perduto, ritornatevene alle vostre case.

Storie, II, 36-46 in La guerra del Peloponneso, Mondadori, Milano, 1971, vol. I, pag. 121-128

Tucidide (460 a.C. - 399 a.C.), filosofo, politico, storico e militare ateniese

Il monaco e la donna


Due monaci buddisti, in cammino verso il monastero, incontrarono sulla riva del fiume una donna molto bella.
Come loro, ella desiderava attraversare il fiume, ma l'acqua era troppo alta.
Così uno dei due monaci se la pose sulle spalle e la portò all'altra sponda.
Il monaco che era con lui era scandalizzato. Per due ore intere lo rimproverò per la sua negligenza nel rispettare la santa regola: aveva dimenticato che era un monaco? Come aveva osato toccare una donna? E peggio, trasportarla attraverso il fiume?
E cosa avrebbe detto la gente? Non aveva screditato la loro santa religione? E così via.
Il monaco rimproverato ascoltò pazientemente l'interminabile predica. Alla fine lo interruppe dicendo: «Fratello, io ho lasciato quella donna al fiume. Non sarà che tu te la stai ancora portando dietro?».

Il canto degli uccelli. Frammenti di saggezza nelle grandi religioni, p. 143

Anthony De Mello (1931 - 1987), prete gesuita e scrittore indiano

lunedì 6 febbraio 2017

Carpe diem

Non chiedere,
non è concesso saperlo, Leuconoe,
il destino che a me e a te hanno dato gli dei;
non consultare i calcoli dei Caldei:
quant’è meglio accettare ciò che sarà,
sia che Giove ci abbia assegnato molti inverni,
o per ultimo questo che logora il mare Tirreno contro gli scogli;
sii saggia,
filtra il vino e tronca nel breve spazio le troppo lunghe speranze;
mentre parliamo,
sarà già fuggito il tempo invidioso:
cogli l’attimo e affidati meno che puoi al domani.

Orazio [Quinto Orazio Flacco] (65 a.C. – 8 a.C.), poeta e scrittore romano

Il tempo è

Il tempo è
troppo lento per coloro che aspettano,
troppo rapido per coloro che temono,
troppo lungo per coloro che soffrono,
troppo breve per coloro che gioiscono;
ma per coloro che amano,
il tempo non è.

Henry Van Dyke (1852 – 1933), scrittore e insegnante statunitense

E l’amore guardò il tempo e rise

E l’amore guardò il tempo e rise,
perché sapeva di non averne bisogno.

Finse di morire per un giorno,
e di rifiorire alla sera,
senza leggi da rispettare.

Si addormentò in un angolo di cuore
per un tempo che non esisteva.

Fuggì senza allontanarsi,
ritornò senza essere partito,
il tempo moriva e lui restava.

Luigi Pirandello (1867 – 1936), drammaturgo, scrittore e poeta italiano

Ti auguro tempo

Non ti auguro un dono qualsiasi,
ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;
se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa.

Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare,
non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.
Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,
ma tempo per essere contento.

Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,
ti auguro tempo perché te ne resti:
tempo per stupirti e tempo per fidarti
e non soltanto per guardarlo sull'orologio.

Ti auguro tempo per toccare le stelle
e tempo per crescere, per maturare.
Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.
Non ha più senso rimandare.

Ti auguro tempo per trovare te stesso,
per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.
Ti auguro tempo anche per perdonare.
Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita!

Dedicato a te, 1987
[ in: "Dir zugedacht", Wunschgedichte, München, Ed. Don Bosco, 2014, 22 ed. ]

Elli Michler (1923 – 2014), poetessa tedesca

[ © Don Bosco Medien GmbH, München | www.ellimichler.de  ]

venerdì 3 febbraio 2017

Libertà è dire che due più due fa quattro

Prese il libro di storia per bambini e guardò il ritratto del Grande Fratello che campeggiava sul frontespizio. I suoi occhi lo fissarono, ipnotici. Era come se una qualche forza immensa vi schiacciasse, qualcosa che vi penetrava nel cranio e vi martellava il cervello, inculcandovi la paura di avere opinioni personali e quasi persuadendovi a negare l'evidenza di quanto vi trasmettevano i sensi. Un bel giorno il Partito avrebbe proclamato che due più due fa cinque, e voi avreste dovuto crederci. Era inevitabile che prima o poi succedesse, era nella logica stessa delle premesse su cui si basava il Partito. La visione del mondo che lo informava negava, tacitamente, non solo la validità dell'esperienza, ma l'esistenza stessa della realtà esterna. Il senso comune costituiva l'eresia delle eresie. Ma la cosa terribile non era tanto il fatto che vi avrebbero uccisi se l'aveste pensata diversamente, ma che potevano aver ragione loro. In fin dei conti, come facciamo a sapere che due più due fa quattro? O che la forza di gravità esiste davvero? O che il passato è immutabile? Che cosa succede, se il passato e il mondo esterno esistono solo nella vostra mente e la vostra mente è sotto controllo? […] Il Partito vi diceva che non dovevate credere né ai vostri occhi né alle vostre orecchie. Era, questa, l'ingiunzione essenziale e definitiva. Winston si sentì assalire dallo sconforto al pensiero dell'enorme potere dispiegato contro di lui, alla facilità con cui un qualsiasi intellettuale del Partito avrebbe demolito le sue tesi in un eventuale dibattito, le sottigliezze argomentative che lui non sarebbe neanche riuscito a capire, figuriamoci a contrastare. Eppure era lui a essere nel giusto! Lui aveva ragione e loro avevano torto. Bisognava difendere tutto ciò che era ovvio, sciocco e vero. I truismi sono veri, era una cosa da tenere per fermo! Il mondo reale esiste e le sue leggi sono immutabili. Le pietre sono dure, l'acqua è bagnata e gli oggetti lasciati senza sostegno cadono verso il centro della Terra. Con […] la convinzione di formulare un importante assioma, scrisse: «Libertà è la libertà di dire che due più due fa quattro. Garantito ciò, tutto il resto ne consegue naturalmente».
1984
George Orwell