sabato 27 novembre 2010

Ma io difendo quella croce

Dipendesse da me, il crocifisso resterebbe appeso nelle scuole. E non per le penose ragioni accampate da politici e tromboni di destra, centro, sinistra e persino dal Vaticano. Anzi, se fosse per quelle, lo leverei anch’io.

Fa ridere Feltri quando, con ignoranza sesquipedale, accusa i giudici di Strasburgo di “combattere il crocifisso anziché occuparsi di lotta alla droga e all’immigrazione selvaggia”: non sa che la Corte può occuparsi soltanto dei ricorsi degli Stati e dei cittadini per le presunte violazioni della Convenzione sui diritti dell’uomo. Fa tristezza Bersani che parla di “simbolo inoffensivo”, come dire: è una statuetta che non fa male a nessuno, lasciatela lì appesa, guardate altrove. Fa ribrezzo Berlusconi, il massone puttaniere che ieri pontificava di “radici cattoliche”. Fanno schifo i leghisti che a giorni alterni impugnano la spada delle Crociate e poi si dedicano ai riti pagani del Dio Po e ai matrimoni celtici con inni a Odino. Fa pena la cosiddetta ministra Gelmini che difende “il simbolo della nostra tradizione” contro i “genitori ideologizzati” e la “Corte europea ideologizzata” tirando in ballo “la Costituzione che riconosce valore particolare alla religione cattolica”. La racconti giusta: la Costituzione non dice un bel nulla sul crocifisso, che non è previsto da alcuna legge, ma solo dal regolamento ministeriale sugli “arredi scolastici”.

Alla stregua di cattedre, banchi, lavagne, gessetti, cancellini e ramazze. Se dobbiamo difendere il crocifisso come “arredo”, tanto vale staccarlo subito. Gesù in croce non è nemmeno il simbolo di una “tradizione” (come Santa Klaus o la zucca di Halloween) o della presunta “civiltà ebraico-cristiana” (furbesco gingillo dei Pera, dei Ferrara e altri ateoclericali che poi non dicono una parola sulle leggi razziali contro i bambini rom e sui profughi respinti in alto mare).
Gesù Cristo è un fatto storico e una persona reale, morta ammazzata dopo indicibili torture, pur potendosi agevolmente salvare con qualche parola ambigua, accomodante, politichese, paracula. È, da duemila anni, uno “scandalo” sia per chi crede alla resurrezione, sia per chi si ferma al dato storico della crocifissione. L’immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di resistenza inerme all’ingiustizia, ma soprattutto di laicità (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”) e gratuità (“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”).

Gratuità: la parola più scandalosa per questi tempi dominati dagli interessi, dove tutto è in vendita e troppi sono all’asta. Gesù Cristo è riconosciuto non solo dai cristiani, ma anche dagli ebrei e dai musulmani, come un grande profeta. Infatti fu proprio l’ideologia più pagana della storia, il nazismo – l’ha ricordato Antonio Socci – a scatenare la guerra ai crocifissi. È significativo che oggi nessun politico né la Chiesa riescano a trovare le parole giuste per raccontarlo.
Eppure basta prendere a prestito il lessico familiare di Natalia Ginzburg, ebrea e atea, che negli anni Ottanta scrisse: “Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente… Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli scolari ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato morto nel martirio come milioni di ebrei nei lager? Nessuno prima di lui aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e fratelli".

A me sembra un bene che i bambini, i ragazzi lo sappiano fin dai banchi di scuola. Basterebbe raccontarlo a tanti ignorantissimi genitori, insegnanti, ragazzi: e nessuno – ateo, cristiano, islamico, ebreo, buddista che sia – si sentirebbe minimamente offeso dal crocifisso. Ma, all’uscita della sentenza europea, nessun uomo di Chiesa è riuscito a farlo. Forse la gerarchia è troppo occupata a fare spot per l’8 per mille, a batter cassa per le scuole private e le esenzioni fiscali, a combattere Dan Brown e Halloween, e le manca il tempo per quell’uomo in croce. Anzi, le mancano proprio le parole. Oggi i peggiori nemici del crocifisso sono proprio i chierici. E i clericali.

Il Fatto Quotidiano, 38 - 5 Novembre 2009
Marco Travaglio, giornalista italiano

venerdì 26 novembre 2010

Cacciata la paura della morte, pensiamo all'immortalità

Non dobbiamo fare la nostra volontà, ma quella di Dio. È una grazia che il Signore ci ha insegnato a chiedere ogni giorno nella preghiera. Ma è una contraddizione pregare che si faccia la volontà di Dio, e poi, quando Egli ci chiama e ci invita ad uscire da questo mondo, mostrarsi riluttanti ad obbedire al comando della sua volontà! Ci impuntiamo e ci tiriamo indietro come servitori caparbi. Siamo presi da paura e dolore al pensiero di dover comparire davanti al volto di Dio. E alla fine usciamo da questa vita non di buon grado, ma perché costretti e per forza. Pretendiamo poi onori e premi da Dio dopo che lo incontriamo tanto di malavoglia!

Ma allora, domando io, perché preghiamo e chiediamo che venga il regno dei cieli, se continua a piacerci la prigionia della terra? Perché con frequenti suppliche domandiamo ed imploriamo insistentemente che si affretti a venire il tempo del regno, se poi coviamo nell'animo maggiori desideri e brame di servire quaggiù il diavolo anziché di regnare con Cristo?

Dal momento che il mondo odia il cristiano, perché ami chi ti odia e non segui piuttosto Cristo, che ti ha redento e ti ama? Giovanni in una sua lettera grida per esortarci a non amare il mondo, andando dietro ai desideri della carne. «Non amate né il mondo, ci dice, né le cose del mondo. Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita.

E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!» (1Gv 2,15-16). Piuttosto, fratelli carissimi, con mente serena, fede incrollabile e animo grande, siamo pronti a fare la volontà di Dio. Cacciamo la paura della morte, pensiamo all'immortalità che essa inaugura. Mostriamo con i fatti ciò che crediamo di essere.

Dobbiamo considerare e pensare spesso che noi abbiamo rinunziato al mondo e nel frattempo dimoriamo quaggiù solo come ospiti e pellegrini. Accettiamo con gioia il giorno che assegna ciascuno di noi alla nostra vera dimora, il giorno che, dopo averci liberati da questi lacci del secolo, ci restituisce liberi al paradiso e al regno eterno. Chi, trovandosi lontano dalla patria, non si affretterebbe a ritornarvi? La nostra patria non è che il paradiso. Là ci attende un gran numero di nostri cari, ci desiderano i nostri genitori, i fratelli, i figli in festosa e gioconda compagnia, sicuri ormai della propria felicità, ma ancora trepidanti per la nostra salvezza. Vederli, abbracciarli tutti: che gioia comune per loro e per noi! Che delizia in quel regno celeste non temere mai più la morte; e che felicità vivere in eterno!

Ivi è il glorioso coro degli apostoli, la schiera esultante dei profeti; ivi l'esercito innumerevole dei martiri, coronati di gloria per avere vinto nelle lotte e resistito nei tormenti; le vergini trionfanti, che vinsero la concupiscenza della carne e del corpo con la virtù della continenza; ivi sono ricompensati i misericordiosi, che esercitarono la beneficenza, nutrendo e aiutando in varie maniere i poveri, e così osservarono i precetti del Signore e, con le ricchezze terrene, si procurarono i tesori celesti. Affrettiamoci con tutto l'entusiasmo a raggiungere la compagnia di questi beati. Dio veda questo nostro pensiero; questo proposito della nostra mente, della nostra fede, lo scorga Cristo, il quale assegnerà, nel suo amore, premi maggiori a coloro che avranno avuto di lui un desiderio più ardente.

Dal trattato «Sulla morte» (Cap. 18.24.26; CSEL 3,308.312-314)

Cipriano di Cartagine (Tascio Cecilio Cipriano) (210 – 258), vescovo, poeta, scrittore, martire e santo

sabato 20 novembre 2010

Mi sazierò quando apparirà la tua gloria

Quando saranno compiuti tutti i nostri desideri, cioè nella vita eterna, la fede cesserà. Non sarà più oggetto di fede tutta quella serie di verità che nel «Credo» si chiude con le parole: «vita eterna. Amen».

La prima cosa che si compie nella vita eterna è l'unione dell'uomo con Dio.

Dio stesso, infatti, è il premio ed il fine di tutte le nostre fatiche: «lo sono il tuo scudo, e la tua ricompensa sarà molto grande» (Gn 15,1). Questa unione poi consiste nella perfetta visione: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia» (1Cor 13,12).

La vita eterna inoltre consiste nella somma lode, come dice il Profeta: «Giubilo e gioia saranno in essa, ringraziamenti e inni di lode» (Is 51,3). Consiste ancora nella perfetta soddisfazione del desiderio. Ivi infatti ogni beato avrà più di quanto ha desiderato e sperato. La ragione è che nessuno può in questa vita appagare pienamente i suoi desideri, né alcuna cosa creata è in grado di colmare le aspirazioni dell'uomo. Solo Dio può saziarlo, anzi andare molto al di là, fino all'infinito. Per questo le brame dell'uomo si appagano solo in Dio, secondo quanto dice Agostino: «Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è senza pace fino a quando non riposa in te».

I santi, nella patria, possederanno perfettamente Dio. Ne segue che giungeranno all'apice di ogni loro desiderio e che la loro gloria sarà superiore a quanto speravano. Per questo dice il Signore: «Prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25,21); e Agostino aggiunge: «Tutta la gioia non entrerà nei beati, ma tutti i beati entreranno nella gioia. Mi sazierò quando apparirà la tua gloria»; ed anche: «Egli sazia di beni il tuo desiderio». Tutto quello che può procurare felicità, là è presente ed in sommo grado. Se si cercano godimenti, là ci sarà il massimo e più assoluto godimento, perché si tratta del bene supremo, cioè di Dio: «Dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 15,11).

La vita eterna infine consiste nella gioconda fraternità di tutti i santi. Sarà una comunione di spiriti estremamente deliziosa, perché ognuno avrà tutti i beni di tutti gli altri beati. Ognuno amerà l'altro come se stesso e perciò godrà del bene altrui come proprio.

Così il gaudio di uno solo sarà tanto maggiore quanto più grande sarà la gioia di tutti gli altri beati.

Conferenze sul Credo; Opuscula theologica 2; Torino 1954, pp. 216-217

Tommaso d'Aquino (1225 - 1274), santo, sacerdote domenicano, teologo e filosofo

mercoledì 10 novembre 2010

Aforismi Vita

La vita è un viaggio, non una destinazione. Godetevi il viaggio.

La vita è come un arcobaleno: ci vogliono la pioggia e il sole per vederne i colori. (Detto Indiano)

La vita è una malattia mortale che si trasmette per via sessuale. (Anonimo)

La vida es sueňo. (Calderon de la Barca)

La vita è la più monotona delle avventure: finisce sempre allo stesso modo (Roberto Gervaso, Il grillo parlante, Bompiani, Milano, 1983, p. 22)

Soltanto una vita vissuta per gli altri è una vita che vale la pena vivere. (Albert Einstein, Pensieri di un uomo curioso, Mondadori, Milano, 1997, p. 141)

Una vita che miri principalmente a soddisfare i desideri personali conduce prima o poi a un'amara delusione. (Albert Einstein, Pensieri di un uomo curioso, Mondadori, Milano, 1997, p. 142)

Solo chi abbia vissuto un'intera vita sa quanto effimera sia quest'unità temporale. (Alessandro Morandotti, Le minime di Morandotti (3), Scheiwiller, Milano, 1980, p. 74)

Nella vita nulla avviene né come si teme né come si spera (Alphonse Karr, Aforismi, Newton Compton, Roma, 1993, p. 84)

Non puoi tornare indietro e cambiare l’inizio, ma puoi iniziare dove sei e cambiare il finale.
(C.S. Lewis)

Non si vive se non il tempo in cui si ama. (Claude-Adrien Helvétius)

Il vivere che è un correre alla morte. (Dante, Purgatorio 33,54)

Tutta la vita umana è profondamente immersa nella non verità. (Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano, I Adelphi, Milano 19772, p. 41)

Aveva sentito dire che la gente non muore quando deve, ma quando vuole… (Gabriel García Márquez, Il mare del tempo perduto, Mondadori, 1983).

La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. (Gabriel García Márquez)

Gli esseri umani non nascono soltanto il giorno in cui le loro madri li danno alla luce, ma la vita li costringe ancora molte altre volte a partorirsi da sé. (Gabriel García Márquez, L'amore ai tempi del colera)

Nulla gli uomini desiderano maggiormente conservare, e nulla sanno meno risparmiare, della loro vita. (Jean de la Bruyère,  I caratteri, Einaudi, Torino, 1981, p. 212)

La vita bene spesa lunga è. (Leonardo da Vinci, Aforismi, novelle e profezie, Newton Compton, Roma, 1993, p. 33)

Chi non stima la vita, non la merita. (Leonardo da Vinci, Aforismi, novelle e profezie, Newton Compton, Roma, 1993, p. 38)

Al momento della morte tutti dovremo rinunciare a tutto quello che il monaco ha rinunciato in vita (Louis Bouyer, Introduzione alla vita spirituale, Borla, p. 212)

La vita non ha senso a priori. Prima che voi la viviate, la vita di per sé non è nulla; sta a voi darle un senso, e il valore non è altro che il senso che scegliere (Jean-Paul Sartre, L'esistenzialismo è un umanismo, Mursia, s.d., p. 104)

La breve durata della vita non può distoglierci dai suoi piaceri, né consolarci delle sue pene. (Luc de Clapiers de Vauvenargues, Riflessioni e massime, TEA, Milano, 1989, p. 84)

Chi ama la vita, teme la morte. (Luc de Clapiers de Vauvenargues, Riflessioni e massime, TEA, Milano, 1989, p. 122)

Nella morte permane la vita, nella menzogna la verità, nella tenebra la luce (Mohandas Karamchand Gandhi)

La vita, essendo un dono gratuito e un fenomeno inesplicabile, proprio per questo è in fondo senza scopo e senza senso. (Ruggero Guarini, Aforismi, Rizzoli, Milano, 1993, p. 260)

Nella vita l'unica cosa certa è la morte, cioè l'unica cosa di cui non si può sapere nulla con certezza. (Sören Kierkegaard)

Ogni giorno è un giorno in più per amare, un giorno in più per sognare, un giorno in più per vivere.
(San Pio di Pietrelcina)

Anche se i giorni sfortunati non finiscono mai, la vita è meglio della morte. (Proverbio sumero)

Una delle peggiori tragedie dell’umanità è quella di rimandare il momento di cominciare a vivere. Sogniamo tutti giardini incantati al di là dell’orizzonte, invece di goderci la vista delle aiuole in fiore sotto le nostre finestre. (Orazio)

Lo scopo della vita è lo sviluppo del proprio io. Il completo sviluppo di se stessi - ecco la ragione d'essere di ognuno di noi.  (Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, Mondadori Scuola, Milano, 1990, p. 24)

Non conta quanto, ma come si vive (Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, 93,1- 4)

Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita. (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

giovedì 4 novembre 2010

L'aquila che si credeva un pollo

Un uomo trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una chioccia. L’uovo si schiuse contemporaneamente a quelle della covata, e l’aquilotto crebbe insieme ai pulcini. Per tutta la vita, l’aquila fece quel che facevano i polli del cortile, pensando di essere uno di loro. Frugava il terreno in cerca di vermi e insetti, chiocciava e schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da terra di qualche decimetro. Trascorsero gli anni e l’aquila divenne molto vecchia. Un giorno vide sopra di sé, nel cielo sgombro di nubi, uno splendido uccello che planava, maestoso ed elegante, in mezzo alle forti correnti d’aria, movendo appena le robuste ali dorate. La vecchia aquila alzò lo sguardo, stupita – chi è quello? - chiese. – E’ l’aquila il re degli uccelli – rispose il suo vicino. – appartiene al cielo. Noi invece apparteniamo alla terra, perché siamo polli. –“ E così l’aquila visse e morì come un pollo, perché pensava d’essere tale.

Messaggio per un aquila che si crede un pollo
 
Anthony De Mello (1931 - 1987), prete gesuita e scrittore indiano