venerdì 30 dicembre 2022

Cedere il posto ai più deboli

Una volta, mentre si trovava in viaggio, sorpreso da una tempesta, [Cesare] riparò nella casupola di un poveraccio e poiché c’era solo una stanzetta che a malapena poteva ospitare una persona ordinò che la occupasse Oppio. «Fra i potenti», disse, «bisogna cedere il posto a chi sta più in alto, ma fra gli amici ai più deboli». E passò la notte con gli altri sotto la gronda della porta.

Vite parallele, Cesare, 17
Plutarco (46 / 48 – 125 / 127), biografo, scrittore, filosofo greco


martedì 27 dicembre 2022

Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali

Greccio (Umbria – Italia), notte del 25 dicembre 1223...

La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l'impegno, con tutto lo slancio dell'anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo.
Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l'umiltà dell'Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro.
 A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore.

C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”. Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuta come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è li estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.
Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali, perché era diacono e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava “il Bambino di Betlemme”, e quel nome “Betlemme” lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva “Bambino di Betlemme” o “Gesù”, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.
Vi si manifestano con abbondanza i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.

S. Francisci Assisensis vita et miracula

Tommaso da Celano (1200 – 1260), beato, presbitero francescano, poeta e scrittore italiano

Il primo presepe


Giotto, affresco raffigurante "Il presepe di Greccio", Assisi Basilica di San Francesco (1300)  

Tre anni prima della sua morte, decise di celebrare vicino al paese di Greccio, il ricordo della natività del bambino Gesù, con la maggior solennità possibile, per rinfocolarne la devozione.
Ma, perché ciò non venisse ascritto a desiderio di novità, chiese ed ottenne prima il permesso del sommo Pontefice. Fece preparare una stalla, vi fece portare del fieno e fece condurre sul luogo un bove ed un asino.
Si adunano i frati, accorre la popolazione; il bosco risuona di voci e quella venerabile notte diventa splendente di innumerevoli luci, solenne e sonora di laudi armoniose.
L'uomo di Dio stava davanti alla mangiatoia, ricolmo di pietà, cosparso di lacrime, traboccante di gioia.
Il santo sacrificio viene celebrato sopra la mangiatoia e Francesco, levita di Cristo, canta il santo Vangelo. Predica al popolo e parla della nascita del re povero e nel nominarlo, lo chiama, per tenerezza d'amore, il “bimbo di Bethlehem”.
Un cavaliere, virtuoso e sincero, che aveva lasciato la milizia secolaresca e si era legato di grande familiarità all'uomo di Dio, il signor Giovanni di Greccio, affermò di aver veduto, dentro la mangiatoia, un bellissimo fanciullino addormentato, che il beato Francesco, stringendolo con ambedue le braccia, sembrava destare dal sonno.
Questa visione del devoto cavaliere è resa credibile dalla santità del testimone, ma viene comprovata anche dalla verità che essa indica e confermata dai miracoli da cui fu accompagnata. Infatti l'esempio di Francesco, riproposto al mondo, ha ottenuto l'effetto di ridestare la fede di Cristo nei cuori intorpiditi; e il fieno della mangiatoia, conservato dalla gente, aveva il potere di risanare le bestie ammalate e di scacciare varie altre malattie.
Così Dio glorifica in tutto il suo servo e mostra l'efficacia della santa orazione con l'eloquenza probante dei miracoli. 

Legenda maior (Fonti Francescane X 1186,7)

San Bonaventura da Bagnoregio (1221 – 1274) Santo, cardinale, filosofo e teologo italiano 


lunedì 26 dicembre 2022

Venne anche il giorno di Natale


Venne anche il giorno di Natale.
Sapevo che era il giorno di Natale perché il tenente la sera prima era venuto nella tana a dirci: “É Natale domani!”. Lo sapevo anche perché dall'Italia avevo ricevuto tante cartoline con alberi e bambini.
Una ragazza mi aveva mandato una cartolina in rilievo con il presepio, e la inchiodai sui pali di sostegno del bunker.
Sapevamo che era Natale. Quella mattina avevo finito di fare il solito giro delle vedette. Nella notte ero andato per tutti i posti di vedetta del caposaldo e ogni volta che trovavo fatto il cambio dicevo:
“Buon Natale!”
Anche ai camminamenti dicevo: “Buon Natale!” anche alla neve, alla sabbia, al ghiaccio del fiume, anche al fumo che usciva dalle tane, anche ai russi.
Era mattina. Me ne stavo nella postazione più avanzata sopra il ghiaccio del fiume e guardavo il sole che sorgeva dietro il bosco di roveri sopra le postazioni dei russi.
Guardavo il fiume ghiacciato da su, dove compariva dopo una curva, fin giù, dove scompariva in un'altra curva.
Guardavo la neve e le peste di una lepre sulla neve: andavano dal nostro caposaldo a quello dei russi.
“Se potessi prendere la lepre!” – pensavo. Guardavo attorno tutte le cose e dicevo: “Buon Natale!”.
Era troppo freddo star lì fermo e risalendo il camminamento rientrai nella tana della mia squadra.
“Buon Natale!” – dissi – “Buon Natale!”.
Meschini stava pestando il caffè nell'elmetto con il manico della baionetta.
Bodei faceva bollire i pidocchi.
Giuanin stava appollaiato nella sua nicchia vicino alla stufa.
Moreschi si rammendava le calze.
Quelli che avevano fatto gli ultimi turni di vedetta dormivano. C'era un odore forte lì dentro: odore di caffè e di tante altre cose. A mezzogiorno Moreschi mandi per i viveri. Ma siccome quel rancio non era da Natale si decise di fare la polenta.
Meschini ravvivò il fuoco, Bodei andò a lavare il pentolone. Tourn e io si voleva sempre stacciare la farina e, chissà dove e come, un giorno Tourn riuscì a trovare uno staccio.
Ma quello che restava nello staccio, tra crusca e grano appena spezzato era più di metà e allora si decise a maggioranza di non stacciarla più. La polenta era dura e buona.
Era il pomeriggio di Natale. Il sole incominciava ad andarsene per i fatti suoi dietro la mugila e noi si stava nella tana attorno alla stufa fumando e chiacchierando.
Venne poi dentro il cappellano del Vestone: “Buon Natale, figlioli, buon Natale!”, e si appoggiò con la schiena ad un palo di sostegno. “Sono stanco – disse – ho fatto tutti i bunker del battaglione.
Quanti ce ne sono ancora dopo il vostro?”
“Una squadra sola” – dissi.
Più tardi mandai fuori la prima coppia di vedette perché era buio. Ero lì che mi  grattavo la schiena vicino alla stufa quando entrò Chizzarri a chiamarmi: “Sergente – disse – ti vogliono al telefono: è il capitano”. Mi infilai il pastrano e presi il moschetto domandando mi cosa potessi aver fatto di male.
Il telefono era nella tana del tenente.
Il tenente era fuori, forse a passeggiare lungo la riva del fiume per sentire gli starnuti delle vedette russe.
Era proprio Beppo, il capitano, che mi voleva su a Valstagna, al comando di compagnia. Aveva qualcosa da dirmi. “Che sarà?” – pensavo, mentre andavo su alla chiesa diroccata.
Con la faccia tonda e rossa il capitano mi aspettava nella sua tana che era larga e comoda.
Aveva il cappello sulle ventitré con la penna dritta come un coscritto, le marni in tasca. “Buon Natale!” –  disse. E poi mi tese la mano e poi un bicchiere di latta con dentro cognac.
Mi chiese come andava al mio paese e come al caposaldo.
Mi cacciò tra le braccia un fiasco di vino e due pacchi di pasta. Ritornai giù alla mia tana saltando fra la neve come un capretto a primavera.
Nella furia scivolai e caddi ma non ruppi il fiasco né mollai la pasta. Bisogna saper cadere.
Una volta sono scivolato sul ghiaccio con quattro gavette di vino e non versai una goccia: io ero giù per terra ma le gavette le avevo salde in mano con le braccia tese.
Quando arrivai al caposaldo le vedette mi diedero l'alt-chi-va-là-parola-d'ordine e gridai, forte che mi sentirono anche i russi: “Pastasciutta e vino!”.

Il sergente nella neve.  Ricordi della ritirata di Russia (1963)

L’alba del 25 dicembre 1943, dopo una notte quasi insonne e molto fredda, fu molto strana perché in quell’aria lattiginosa e gelata si udì d’un tratto un chiaro suono di campane. Forse quel suono veniva dal campanile di legno? O dagli altoparlanti del lager? O dalla mia immaginazione? Insomma erano pur sempre campane che suonavano a festa […]. 
Quel mattino divenne più silenzioso degli altri. Mi alzai, accesi la stufa, scaldai l’acqua, con pazienza e con la lametta che non tagliava e con poca saponata mi tagliai la barba, e dopo, per quel giorno, mi passai sulle guance alcune gocce di acqua di colonia: pensando a quello che avrebbe dovuto essere il mio Natale, una settimana prima avevo scambiato con un marinaio di passaggio due lamette da barba nuove con un quarto di bottiglietta di acqua di colonia. 
Prima di mezzogiorno la guardia venne a chiamarci per la zuppa; e fu allora che vidi scritto sulla neve lungo i reticolati, pestata con i piedi, questa frase: Fröhliche Weihnachten – [Buon Natale!]. 

Quel Natale nella steppa (2006)

Mario Rigoni Stern (1921 – 2008), militare e scrittore italiano

domenica 25 dicembre 2022

Per ultima venne la morte


La morte non voleva credere alle proprie orecchie quando le fu comunicato che il suo dominio universale stava per finire. Pur riconoscendosi la più inamabile di tutte le creature, un po' di riguardo l'avrebbe gradito da parte dell'Arcangelo messaggero. Non era mica l'ultima delle ancelle di Dio, anzi. Il suo ruolo nei piani del Creatore era fondamentale.
«E continuerà ad esserlo - le aveva garantito il messo celeste - per tutte le creature viventi, tranne che per l'uomo».
«Perché?gli aveva domandato la Morte - diventerà immortale?».
«Non fare troppe domande... tu non capiresti».
Era stato a questo punto che la Morte si era gravemente offesa. Che oltre a fare un lavoraccio infame, la si giudicasse imbecille, non lo poteva tollerare! Di essere perdente non le importava affatto, tanto il suo lavoro le era ingrato, ma come sarebbe avvenuta la metamorfosi?
Le bastò uno sguardo circolare sulla superficie terrestre per individuare il punto. Forse nessuno, davanti alla grotta di Betlemme, provò maggior sbalordimento della Morte. Eppure, ora che lo aveva davanti, il progetto le appariva chiaro e di un'incredibile semplicità: quel batuffolo di carne, per il solo fatto di essere vita, era già sua preda. La Morte desiderò a quel punto che il Creatore avesse scelto un'altra strada, per non essere chiamata in causa. Ma fu allora che, dal sonno profondo in cui era immerso, il Bimbo le sorrise. E la Morte si sentì vinta e capì come sarebbe stata vinta: da un amore talmente intenso che proprio attraverso di lei sarebbe passato, per dimostrare all'universo la propria potenza e la propria vastità.

Fiabe della Notte Santa

Piero Gribaudi (1933 - 2019), scrittore, editore e bibliofilo italiano

Il Figlio dell'Altissimo


Era nato il “Figlio dell'Altissimo”. Giuseppe mi guardava, non era figlio suo... ma era figlio suo! Il Signore Dio aveva scelto me come madre del figlio dell'Altissimo, ma aveva scelto anche lui come padre del Figlio dell'Altissimo. Giuseppe pianse, pianse per la gioia di quel figlio, pianse per me. Adesso comprendevo le parole di Elisabetta: “...e beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. Capivo anche le mie stesse parole che qualche tempo prima mi erano sgorgate dalla bocca come un fiume in piena: “D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome”. Il bambino era nato, Gesù, “Dio-salva”, questo sarebbe stato il suo nome. È l'Emmanuele, l’Altissimo, fra noi. Presi il bambino, lo pulii e lo tenni stretto sul mio seno. Stavo accudendo il Figlio dell'Altissimo! Non riuscivo a pensare ad altro... com'era possibile? Ma era lì, con me, fra le mie braccia! Poi lo avvolsi in alcune fasce che mi aveva portato quella buona donna e lo poggiai in quella che sembrava una mangiatoia, al caldo. Non volevo lasciarlo, come facevo a non tenere su di me il Figlio dell'Altissimo? Quel tenero fagottino? Ma quella “mangiatoia” Giuseppe l'aveva sistemata bene, in modo che il bambino stesse più caldo. Era sera, ma fuori c'era ancora molta luce, argentea. La luna splendeva alta nel cielo, ma la luce non era solo la sua. Dalla finestrella, in lontananza si vedeva una stella molto brillante, era la stella che vedevamo in cielo da giorni, sembrava quasi che avesse seguito me e Giuseppe.
All'improvviso sentimmo bussare alla porta, semplici assi che chiudevano l'uscio di quella piccola stanza.Entrarono dei pastori: man mano che entravano si guardavano tra di loro, si facevano dei segni con gli occhi, come se riconoscessero qualcuno. Si guardarono intorno poi, timorosi, si addossarono lungo le pareti della grotta, erano un po' spaventati anche perché erano dei pastori, un lavoro che era disprezzato dalle autorità giudaiche, ma nessuno di noi li fermò: videro la mangiatoia e un fagottino dentro, e si diressero lì, capirono che il bambino era stato deposto lì. “Chi vi ha parlato di noi? Perché siete venuti qui da noi e vi siete diretti proprio verso il bambino?” chiese Giuseppe preoccupato e stupito alla vista di quei pastori. È vero, lui era originario di Betlemme, ma non aveva riconosciuto nessuno di quei pastori venuti lì. Giuseppe era andato via da Betlemme quando era ragazzo.
Anche prima, girando per le stradine del villaggio in cerca di un alloggio, Giuseppe non aveva incontrato persone che lo conoscevano. Non capiva il significato di quella visita. Un pastore, quello che sembrava il più anziano, si fece avanti e gli disse di non preoccuparci. Ci raccontò che tutti loro stavano vegliando per fare la guardia al loro gregge. Erano intenti a confabulare tra loro per tenersi sveglie, all'improvviso avevano visto uno che aveva addosso una luce particolare. Si erano spaventati per questa presenza strana. Quel messaggero gli aveva detto che era lì per annunciare una grande gioia, riguardava loro e tutto il popolo: “Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore”, questo ci ha detto. Poi ha continuato: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. Il pastore continuò: “Prima, qualcuno di noi ha notato del trambusto qui vicino, abbiamo pensato che è questo il posto giusto qui; siamo venuti per vedere questo bambino. Siamo persone semplice, ma come tutto il nostro popolo, stiamo aspettando il Messia. Quel messaggero ha parlato in modo strano, ha parlato di Messia”. “Gesù, si chiama Gesù il nostro bambino. Gesù figlio di Giuseppe, Yeshùa bar Yosef” disse Giuseppe, con orgoglio, scoprendo un poco il bambino affinché i pastori lo potessero vedere meglio.

 "Non temere, Maria..." Romanzo storico (2020), p. 46 - 49

Claudio Penna, insegnante, autore e scrittore italiano 


sabato 24 dicembre 2022

E se invece venisse per davvero?


E se invece venisse per davvero?
Se la preghiera, la letterina, il desiderio
espresso così, più che altro per gioco,
venisse preso sul serio?

Se il regno della fiaba 
e del mistero si avverasse? 
Se accanto al fuoco
al mattino si trovassero i doni,
la bambola, il revolver, il treno,
il micio, l'orsacchiotto, il leone
che nessuno di voi ha comperati?

Se la vostra bella sicurezza
nella scienza e nella dea ragione
andasse a carte quarantotto?
Con imperdonabile leggerezza
forse troppo ci siamo fidati.

E se sul serio venisse?
Silenzio! O Gesù Bambino,
per favore cammina piano
nell'attraversare il salotto.
Guai se tu svegli i ragazzi:
che disastro sarebbe per noi
così colti, così intelligenti,
brevettati miscredenti,
noi che ci crediamo chissà cosa
coi nostri atomi, coi nostri razzi.
Fa' piano, Bambino, se puoi.

Poesia pubblicata sul numero 165 della rivista "Novità" del Dicembre 1964

Dino Buzzati (1906 - 1972), giornalista e scrittore italiano 


mercoledì 21 dicembre 2022

I cani del Signore

Quando un gregge è piccolo e le pecore sono docili e vi sono pochi lupi o non ve ne sono affatto, il pastore può far a meno del cane. Quando il gregge è grande e le pecore sono vagabonde, non una sola ma a branchi, e i lupi sono numerosi, bisogna che il pastore abbia un cane e magari più di uno. I cani somigliano sempre ai lupi, e spesso i migliori cani da pastore sono proprio i cani lupi. E quel che hanno conservato del lupo che permette loro di fare per il pastore ciò che lui stesso non farebbe: fiutano, corrono, si arrampicano alla maniera degli animali che sono. Ma è quel che il pastore ha comunicato loro di se stesso che fa di essi dei cani da pastore: amare le pecore come un pastore o come un lupo, non è affatto la stessa cosa. È condividendo un po’ la vita del pastore che il cane rimane un cane e non diventa un lupo. Non vive più nei boschi, ma accanto alla casa del pastore. Si nutre del cibo dell’uomo. Ode la voce dell’uomo. È l’uomo che lo chiama senza tregua a sé, è l’uomo che lo manda incessantemente alle frontiere del gregge. I suoi due estremi sono la testa del gregge e i piedi del pastore. Le pecore non possono né ritrovarsi le une le altre, né difendersi. Ma non diventeranno mai lupi. I cani possono ritrovare le pecore e difenderle, ma c’è sempre un lupo nascosto dentro di loro; possono tornare ad esserlo.

Ai piedi di San Domenico, in San Pietro a Roma, c’è un cane simbolo della sua missione. L’ovile della Chiesa, in certi periodi, ha bisogno di cani da pastore. In queste ore, il Signore li ha sempre fatti sorgere. Se sono fedeli, li si riconoscerà sempre da due cose: le spine e i morsi sulle zampe, il segno del collare intorno al collo. Come tutti i cani pastori, porteranno la contraddizione di essere al tempo stesso gli amici dell’uomo e gli antichi abitatori della foresta. Come tutti i cani pastori, un giorno o l’altro riceveranno la «correzione» del pastore… perché non possono capire tutto ciò che egli dice. Come tutti i cani da pastore, saranno disprezzati, ai margini del bosco, un giorno, una sera, a causa del collare dell’uomo.

Il testo, dedicato al domenicano Fr. Jacques Loew (1908 - 1999), 
è tratto da Madeleine Delbrêl, Strade di città, sentieri di Dio» di Christine de Boismarmin (Città Nuova, 1978)

Madeleine Delbrêl (1904 – 1964), assistente sociale, poetessa e mistica francese

martedì 20 dicembre 2022

L'asino e la tigre


L’asino disse alla tigre: “L’erba è blu”.
La tigre rispose: “No, l’erba è verde.”
La discussione si animò, così i due animali decisero di ricorrere al leone, il re della giungla.
Già prima di arrivare alla foresta, dove il leone era seduto sul suo trono, l’asino cominciò a gridare: “Vostra Altezza, non è vero che l’erba è verde.”
Il leone rispose: Vero, l’erba è blu.”
L’asino continuò: “La tigre non è d’accordo con me e mi dà fastidio; per favore, puniscila”.
Il re allora dichiarò: “La tigre sarà punita con 4 anni di silenzio”.
L’asino saltò allegramente e proseguì contento il suo cammino, ripetendo: “L’erba è blu”.
La tigre accettò la punizione per 4 anni, ma prima chiese al leone: “Sua Maestà, perché mi ha punito? Dopo tutto, l’erba è verde”.
Il leone rispose: “In realtà, l’erba è verde”.
La tigre chiese: “Allora perché mi punisci?”
Il leone rispose: “Questo non ha nulla a che vedere con la domanda se l’erba è blu o verde.
La punizione è dovuta al fatto che non è possibile che una creatura coraggiosa e intelligente come te perda tempo a litigare con un asino, e soprattutto che venga a disturbare me con questa domanda”.


Mai perdere tempo in discussioni che non hanno senso.
Ci sono persone che non hanno la capacità di comprendere concetti semplici ed evidenti e altre che sono accecate dall’ego per cui l’unica cosa che desiderano è avere ragione.
La pace e la tranquillità valgono molto di più. 
Dunque, non perdete tempo a discutere con gli asini!

Il vostro valore

Questo è un lingotto di ferro, il suo valore è di circa 100 dollari. 

Se fosse ferro usato varrebbe circa 25 dollari. 

Se decideste di farne dei ferri da cavallo, il suo valore salirebbe a 250 dollari. 

Qualora, invece decideste  di farne aghi per cucire, il valore salirebbe a  circa 70.000 dollari. 

Se invece decideste di produrre molle per orologi il valore salirebbe a circa 6 milioni di dollari. 

Il vostro valore non è solo in ciò di cui siete fatti, ma soprattutto in quali modi siete in grado di trarre il meglio da ciò che siete.

domenica 11 dicembre 2022

Metterò in pratica la malvagità che ci insegnate!


Egli m’ha vilipeso in tutti i modi, e una volta m’ha impedito di concludere un affare per un milione.
Ha goduto per le mie perdite e ha dileggiato i miei guadagni,
ha disprezzato la mia razza, ha intralciato i miei buoni affari,
ha allontanato da me i miei buoni amici e mi ha aizzato contro i nemici!
E tutto questo per quale ragione? Perché sono ebreo! E dunque?
Non ha forse occhi un ebreo? Non ha mani, organi, membra, sensi, affetti e passioni?
Non si nutre egli forse dello stesso cibo di cui si nutre un cristiano?
Non viene ferito forse dalle stesse armi?
Non è soggetto alle sue stesse malattie?
Non è curato e guarito dagli stessi rimedi?
E non è infine scaldato e raggelato dallo stesso inverno e dalla stessa estate che un cristiano?
Se ci pungete non versiamo sangue, forse?
E se ci fate il solletico non ci mettiamo forse a ridere?
Se ci avvelenate, non moriamo?
E se ci usate torto non cercheremo di rifarci con la vendetta?
Se siamo uguali a voi in tutto il resto, dovremo rassomigliarvi anche in questo.
Se un ebreo fa un torto a un cristiano, a che si riduce la mansuetudine di costui? Nella vendetta.
E se un cristiano fa un torto a un ebreo quale esempio di sopportazione gli offre il cristiano? La vendetta.
La stessa malvagità che voi ci insegnate sarà da me praticata,
e non sarà certo difficile che io riesca persino ad andare oltre l’insegnamento.

Shylock ne Il Mercante di Venezia, Atto III – Scena 1

William Shakespeare (1564 – 1616), drammaturgo e poeta inglese


Al Pacino / Shylock ne Il Mercante di Venezia (2004) di Michael Radford


venerdì 9 dicembre 2022

É Gesù che cercate quando sognate la felicità

É Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna.

Veglia di preghiera alla XV Giornata Mondiale della Gioventù, Tor Vergata, 19 agosto 2000

Giovanni Paolo II / Karol Jozef Wojtyla (1920 - 2005), papa 


giovedì 8 dicembre 2022

Lo zampognaro

Se comandasse lo zampognaro
che scende per il viale,
sai che cosa direbbe
il giorno di Natale?
“Voglio che in ogni casa
spunti dal pavimento
un albero fiorito
di stelle d’oro e d’argento”
.

Se comandasse il passero
che sulla neve zampetta
sai che cosa direbbe
con la voce che cinguetta?
“Voglio che i bimbi trovino,
quando il lume sarà acceso,
tutti i doni sognati,
più uno, per buon peso”
.

Se comandasse il pastore
dal presepe di cartone
sai che legge farebbe
firmandola col lungo bastone?
“Voglio che oggi non pianga
nel mondo un solo bambino,
che abbiano lo stesso sorriso
il bianco, il moro, il giallino”
.

Sapete che cosa vi dico
io che non comando niente?
Tutte queste belle cose
accadranno facilmente;
se ci diamo la mano
i miracoli si fanno
e il giorno di Natale
durerà tutto l’anno.

Gianni Rodari (1920 – 1980), scrittore e pedagogista italiano


lunedì 5 dicembre 2022

Noi commerciamo illusioni


Perché io dico poveri noi? Perché voi, il pubblico, ed altri sessantadue milioni di Americani, ascoltate me in quest'istante. Perché meno del 3% di voialtri legge libri, capito? Perché meno del 15% di voi legge giornali o riviste. Perché l'unica verità che conoscete è quella che ricevete alla TV. Attualmente, c'è da noi un'intera generazione che non ha mai saputo niente che non fosse trasmesso alla TV. La TV è la loro Bibbia, la suprema rivelazione!

La TV può creare o distruggere presidenti, papi, primi ministri. La TV è la più spaventosa, maledettissima forza di questo mondo senza Dio. E poveri noi se cadesse nelle mani degli uomini sbagliati. [...] Perché questa società è ora nella mani della CCA, la Communication Corporation of America [...]. E quando una tra le più grandi corporazioni del mondo controlla la più efficiente macchina per una propaganda fasulla e vuota, in questo mondo senza Dio, io non so quali altre cazzate verranno spacciate per verità, qui!

Quindi ascoltatemi. Ascoltatemi! La televisione non è la verità! La televisione è un maledetto parco di divertimenti, la televisione è un circo, un carnevale, una troupe viaggiante di acrobati, cantastorie, ballerini, cantanti, giocolieri, fenomeni da baraccone, domatori di leoni, giocatori di calcio! Ammazzare la noia è il nostro solo mestiere.

Quindi, se volete la verità andate da Dio, andate dal vostro guru. Andate dentro voi stessi, amici, perché quello è l'unico posto dove troverete mai la verità vera! Sapete, da noi non potrete mai ottenere la verità. Vi diremo tutto quello che volete sentire mentendo senza vergogna: noi vi diremo che... che Nero Wolfe trova sempre l'assassino e che nessuno muore di cancro in casa del dottor Kildare! E per quanto si trovi nei guai il nostro eroe, non temete: guardate l'orologio, alla fine dell'ora l'eroe vince. Vi diremo qualsiasi cazzata vogliate sentire!

Noi commerciamo illusioni, niente di tutto questo è vero! Ma voi tutti ve ne state seduti là, giorno dopo giorno, notte dopo notte, di ogni età, razza, fede. Conoscete soltanto noi. Già cominciate a credere alle illusioni che fabbrichiamo qui. Cominciate a credere che la TV è la realtà, e che le vostre vite sono irreali. Voi fate tutto quello che la TV vi dice: vi vestite come in TV, mangiate come in TV, tirate su bambini come in TV, persino pensate come in TV! Questa è pazzia di massa! Siete tutti matti! In nome di Dio, siete voialtri la realtà. Noi siamo le illusioni.

Quindi spegnete i vostri televisori, spegneteli ora. Spegneteli immediatamente! Spegneteli e lasciateli spenti! Spegnete i televisori proprio a metà della frase che sto dicendo adesso, spegneteli subito!

Questa non è più una nazione di individui indipendenti, oramai. È una nazione composta da duecento e oltre milioni di esseri transistorizzati, deodorizzati, più bianchi del bianco, tutti profumati al limone: dei tutto inutili come esseri umani, e rimpiazzabili come pezzi di un'auto.

Peter Finch (Howard Beale) nel film "Quinto potere" (1976) diretto da Sidney Lumet




venerdì 2 dicembre 2022

Aforismi Desiderio

Se a un bambino si regala tutto, gli si sottrae ciò che è fondamentale: il desiderio, ovvero il sentimento fondamentale per costruire una passione. (Paolo Crepet)