lunedì 30 gennaio 2023

La sorgente sia il tuo modello


Tre viandanti si trovavano insieme presso una sorgente che scaturiva dalla roccia sulla quale c’era la scritta: «La sorgente sia il tuo modello». I tre discussero sul significato della frase. 

Il primo disse: La sorgente, lungo il suo percorso, raccoglie altre acque e diventa un grosso fiume. Anche l’uomo durante la sua vita deve ingrossare il suo capitale per diventare più ricco

Il secondo disse: Per me la scritta vuol dire che l’uomo, nel suo modo di parlare, dev’essere limpido, com’è l’acqua di questa fonte

Il terzo, che era un uomo saggio, disse: La sorgente dev’essere modello all’uomo. Essa dà da bere a tutti, senza richiedere niente, fa del bene a tutti, senza aspettare alcuna ricompensa

Lev Tolstoj (1828 – 1910), scrittore, filosofo, educatore e attivista sociale russo

Non iniziò con le camere a gas...

Non iniziò con le camere a gas. 
Non iniziò con i forni crematori. 
Non iniziò con i campi di concentramento e di sterminio. 
Non iniziò con i 6 milioni di ebrei che persero la vita. 
E non iniziò nemmeno con gli altri 10 milioni di persone morte, tra polacchi, ucraini, bielorussi, russi, jugoslavi, rom, disabili, dissidenti politici, prigionieri di guerra, testimoni di Geova e omosessuali.

Iniziò con i politici che dividevano le persone tra “noi” e “loro”. 
Iniziò con i discorsi di odio e di intolleranza, nelle piazze e attraverso i mezzi di comunicazione. 
Iniziò con promesse e propaganda, volte solo all’aumento del consenso. 
Iniziò con le leggi che distinguevano le persone in base alla “razza” e al colore della pelle. 
Iniziò con i bambini espulsi da scuola, perché figli di persone di un’altra religione. 
Iniziò con le persone private dei loro beni, dei loro affetti, delle loro case, della loro dignità. 
Iniziò con la schedatura degli intellettuali. 
Iniziò con la ghettizzazione e con la deportazione. 

Iniziò quando la gente smise di preoccuparsene, quando la gente divenne insensibile, obbediente e cieca, con la convinzione che tutto questo fosse “normale”.

Se questo è un uomo

Primo Levi (1919 – 1987), scrittore, chimico e partigiano italiano

domenica 29 gennaio 2023

Siamo nati per la cooperazione

Dal mattino comincia a dire a te stesso: incontrerò gente vana, ingrata, violenta, fraudolenta, invidiosa, asociale; tutto ciò capita a costoro per l'ignoranza del bene e del male. Io, invece, che ho capito, avendo meditato sulla natura del bene, che esso è bello, e sulla natura del male che esso è turpe e sulla natura di chi sbaglia che egli è mio parente, non perché si sia del medesimo sangue e seme, ma perché egli è, come me, provvisto di mente e partecipe del divino, e che non posso essere danneggiato da alcuno di loro, perché nessuno mi potrà coinvolgere nella sua turpitudine, ebbene, io non posso né adirarmi con un mio parente né provare odio per lui. Siamo, infatti, nati per la cooperazione, come i piedi, le mani, le palpebre, i denti in fila sopra e sotto. L'agire gli uni contro gli altri è dunque contro natura, ed è agire siffatto lo scontrarsi e il detestarsi.

Pensieri

Marco Aurelio (121-180), scrittore, filosofo e imperatore romano

venerdì 27 gennaio 2023

Il discorso del re

In quest'ora grave, forse la più fatidica della nostra storia, mando a ogni famiglia del mio popolo, sia in patria che all'Estero, questo messaggio, pronunciato con la stessa profondità di sentimenti per ognuno di voi come se potessi varcare la soglia della vostra casa e parlarvi di persona.

Per la seconda volta nella vita della maggior parte di noi siamo in guerra. Più e più volte abbiamo cercato di trovare una via d'uscita pacifica alle differenze tra noi e quelli che ora sono i nostri nemici, ma invano. 

Siamo stati costretti a un conflitto perché chiamati insieme ai nostri alleati, ad affrontare la sfida di un principio che, se dovesse prevalere, sarebbe fatale a qualsiasi ordine civile nel mondo.

È il principio che permette a uno Stato, nella ricerca egoistica del potere, di ignorare i suoi trattati e i suoi impegni solenni; che sancisce l'uso della forza, o la minaccia della forza, contro la sovranità e l'indipendenza di altri Stati.

Un tale principio, spogliato di ogni travestimento, non è altro che la dottrina primitiva che afferma che l'uso della forza è giusto; e se questo principio fosse stabilito in tutto il mondo, la libertà del nostro Paese e dell'intero Commonwealth sarebbe in pericolo. Ma, cosa molto più grave, i popoli del mondo sarebbero tenuti nella schiavitù della paura, e tutte le speranze di una pace stabile e della sicurezza della giustizia e della libertà tra le nazioni svanirebbero.

Questo è il punto definitivo che ci riguarda. Per il bene di tutto ciò che ci è caro, per l'ordine mondiale e per la pace, è impensabile rifiutare la sfida.

È a questo alto scopo che chiamo ora il mio popolo in patria e i miei popoli al di là dei mari affinché abbraccino la nostra causa. Chiedo loro di stare calmi, fermi e uniti in questo momento di prova. 

II compito sarà difficile. Davanti a noi potrebbero esserci giorni bui, e la guerra potrebbe non essere più confinata al solo campo di battaglia. Ma noi possiamo solo fare ciò che reputiamo e vediamo essere giusto, e affidare con reverenza la nostra causa a Dio.

Se ognuno di noi vi resterà risolutamente fedele, pronto a qualsiasi servizio o sacrificio, allora, con l'aiuto di Dio, prevarremo.

Che Dio ci benedica e ci protegga tutti.

Discorso trasmesso via radio in Gran Bretagna e in tutto l'Impero britannico, subito dopo la dichiarazione di guerra della Gran Bretagna contro la Germania il 3 settembre 1939.

 Giorgio VI / Albert Frederick Arthur George (1895 – 1952), re del Regno Unito di Gran Bretagna dal 1936 al 1952 

Yossl Rakover si rivolge a Dio


Credo nel Dio di Israele, anche se ha fatto di tutto perché non credessi in lui. 
Credo nelle sue leggi, anche se non posso giustificare i suoi atti. Il mio rapporto con lui non è più quello di uno servo di fronte al suo padrone, ma di un discepolo verso il suo maestro. 
Chino la testa dinanzi alla sua grandezza, ma non bacerò la verga con cui mi percuote. 
Io lo amo, ma amo di più la sua Legge, e continuerei a osservarla anche se perdessi la mia fiducia in lui. Dio significa religione, ma la sua Legge rappresenta un modello di vita, e quanto più moriamo in nome di quel modello di vita, tanto più esso diventa immortale.

Perciò concedimi, Dio, prima di morire, ora che in me non vi è traccia di paura e la mia condizione è di assoluta calma interiore e sicurezza, di chiederTi ragione, per l’ultima volta nella vita.
Tu dici che abbiamo peccato? Di certo è così. Che perciò veniamo puniti? Posso capire anche questo. Voglio però sapere da Te: esiste al mondo una colpa che meriti un castigo come quello che ci è stato inflitto? […]
Tu dici che ora non si tratta di colpa e punizione, ma che hai nascosto il Tuo volto, abbandonando gli uomini ai loro istinti? Ti voglio chiedere, Dio, e questa domanda brucia dentro di me come un fuoco divorante: che cosa ancora, sì, che cosa ancora deve accadere perché Tu mostri nuovamente il Tuo volto al mondo? […]

Il sole tramonta e io Ti ringrazio, Dio, perché non lo vedrò più sorgere. Dei raggi rossi piovono dalla finestra: il pezzetto di cielo che io posso vedere è fiammeggiante e fluido come un flusso di sangue. Tra un’ora al massimo sarò con la mia famiglia, e con milioni di altri uccisi del mio popolo, in quel mondo migliore in cui non vi sono più dubbi e Dio è l’unico pietoso sovrano. Muoio tranquillo, ma non appagato, colpito, ma non asservito, amareggiato, ma non deluso, credente, ma non supplice, colmo d’amore per Dio, ma senza rispondergli ciecamente “Amen”.
Ho seguito Dio anche quando mi ha respinto. Ho adempiuto il suo comando anche quando, per premiare la mia osservanza, Egli mi colpiva. Io L’ho amato, Lo amavo e Lo amo ancora, anche se mi ha abbassato fino a terra, mi ha torturato fino alla morte, mi ha ridotto alla vergogna e alla derisione. [...] 

Tu puoi torturarmi fino alla morte, io crederò sempre in Te; Ti amerò sempre, anche se non vuoi. E queste sono le mie ultime parole, mio Dio di collera: Tu non riuscirai a far si che io Ti rinneghi. Tu hai tentato di tutto per farmi cadere nel dubbio, ma io muoio come ho vissuto: in una fede incrollabile in Te. Lodato sia il Dio dei morti, il Dio della vendetta, il Dio della verità e della fede, che presto mostrerà nuovamente il Suo volto al mondo e ne farà tremare le fondamenta con la Sua voce onnipotente.

Shema’ Jsrael, Adonaj Elohenu, Adonaj echad. 
Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno. (Deutonomio 6,4)
Nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito. (Salmo 31,6)


Yossl Rakover si rivolge a Dio, Ed. Adelphi, Milano 1997, pp. 23-24 e 27-29.

Zvi Kolitz (1912 – 2002), scrittore lituano

Il libro, pubblicato per la prima volta nel 1946 come l'ultimo messaggio scritto da un combattente del ghetto di Varsavia mentre il cerchio della morte si stringeva, minuto dopo minuto, intorno a lui, fu definito da Emmanuel Lévinas, che ne scrive la postfazione, un «salmo moderno» nel quale «tutti noi superstiti riconosciamo con sbalordito turbamento la nostra vita».

domenica 22 gennaio 2023

Aforismi Domenica

Senza Domenica non possiamo vivere. / Sine dominico non possumus. (Atti dei Martiri di Abilene - Tunisia)

La domenica è per eccellenza il giorno dell’assemblea liturgica, giorno in cui i fedeli si riuniscono. (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1167)

Il giorno del Signore [Kyriaké heméra / Dies dominicus], riunitevi; spezzate il pane e rendete grazie: però dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro.
Chiunque ha qualche dissenso con il suo vicino, non si unisca a voi, prima che essi non si siano riconciliati, altrimenti il vostro sacrificio sarebbe profanato.
Infatti di questo sacrificio il Signore ha detto: In ogni luogo e in ogni tempo mi viene offerto un sacrificio puro, perché io sono un grande re — dice il Signore — e il mio nome è ammirabile tra le genti (Ml 1,11). (Didachè, 14,1-3 - II secolo)

[La domenica è] il giorno dei cristiani, il nostro giorno. (San Girolamo, In die dominica Paschae, II, 52).

Il giorno che si chiama il giorno del Sole, tutti, in città e in campagna si riuniscono in un medesimo luogo: si leggono le memorie degli Apostoli e gli scritti dei profeti. Quando il lettore ha finito, chi presiede fa un discorso per esortare a imitare quegli insegnamenti. Poi ci alziamo tutti in piedi e preghiamo ad alta voce. Poi quando la preghiera è terminata, si porta del pane con vino ed acqua. Colui che presiede leva al cielo preghiere e ringraziamenti come può e tutto il popolo risponde acclamando: Amen. Poi si dividono e si distribuiscono a ciascuno le cose consacrate, pane e vino, anche agli assenti si porta la loro parte per mezzo dei diaconi. (Giustino, I Apologia)

 [I cristiani sono] coloro che sono giunti alla nuova speranza [e] viventi secondo la domenica [...iuxta dominicam viventes]. (Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai Magnesi 9,1 - II secolo)

Noi celebriamo la domenica a causa della venerabile risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo, non soltanto a Pasqua, ma anche a ogni ciclo settimanale. (Papa Innocenzo 1, Epist. ad Decentium, XXV, 4,7)

[La domenica] noi celebriamo ogni settimana la festa della nostra Pasqua. (Tertulliano, De sollemnitate paschali, 7). 

[I cristiani ] avevano la consuetudine di ritirarsi e riunirsi poi nuovamente per prendere un cibo, ad ogni modo comune e innocente, cosa che cessarono di fare dopo il mio editto nel quale, secondo le tue disposizioni, avevo proibito l’esistenza di sodalizi. (Plinio il Giovane, Lettera a Traiano (anno 110 / 113), Epistolario, X, 96)

La domenica è il “giorno nuovo”, in cui il tempo mondano si fa tempo della grazia. Essa ci dice che non solo una giornata, ma tutto il tempo è del Signore, e che Lui deve stare all'origine, al centro, al termine del nostro vivere. (Don Tonino Bello)

mercoledì 18 gennaio 2023

Lasceranno la terra come un'osteria...

Nel corso di un viaggio, alcuni si fermano all'osteria e passano la notte nel letto; altri sostano all'addiaccio e dormono gagliardamente come i primi. Al mattino, quando la notte è passata, gli uni e gli altri riprendono la via, lasciando l'osteria e portandosi dietro ciò che loro veramente appartiene. Così quelli che percorrono i sentieri dell'esistenza: tanto chi ha condotto una vita misera, quanto chi è vissuto nella ricchezza e negli onori, lasceranno la terra come un'osteria, non portandosi dietro i conforti e i beni avuti, ma solo il frutto delle loro opere buone o cattive.

I 170 testi sulla vita santa, 80

Antonio abate (251 - 356), eremita egiziano, santo 

domenica 15 gennaio 2023

Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi?

“Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi?” (Mt 15, 2a).

Carissimi Amici, queste parole, rivolte a Gesù dagli scribi e dai farisei appositamente venuti da Gerusalemme, ci interrogano sul nostro modo di vivere la festa del nostro Santo Patrono, San Barsanofio di Gaza e, più in generale, sul nostro modo di vivere la fede cristiana, alla quale crediamo di appartenere.

È necessario porre una premessa alla nostra riflessione: cosa ci vuole per rendere un culto gradito a Dio? E ancora di più: quale culto ci ottiene la partecipazione alla salvezza realizzata da Gesù Cristo con la Sua morte e resurrezione ed offertaci quale reale dono prezioso con l’effusione dello Spirito Santo nei nostri cuori?

Il termine “culto” deriva dal verbo latino “colere”, che vuol dire “adorare, venerare”, ed in generale significa relazione con ciò che è sacro. In questa prospettiva, il vocabolo “culto” racchiude in sé tutte le usanze e gli atti per mezzo dei quali si esprime il sentimento religioso.

La storia precristiana ed extracristiana ci insegna che spesso molte usanze e riti, vissuti come culto, cioè come mezzo per rendere lode e gloria alla divinità, erano in realtà un obbrobrio agli occhi di Dio. Basti pensare ai sacrifici umani.

Già nell’Antico Testamento Dio manifesta ciò che Gli è veramente gradito, ciò che costituisce un culto che sia relazione con Lui: non adorazione di oggetti, il vitello d’oro, o di astri e potenze naturali, ma comunione con Dio e comunione con il proprio popolo, partendo dalla parola rivelata da Dio stesso.

I profeti sono stati spesso inviati a denunciare la deviazione del popolo da un culto gradito a Dio. Ascoltiamo, ad esempio, il grido di Dio attraverso il profeta Ezechiele: “E ciò che v'immaginate in cuor vostro non avverrà, mentre voi andate dicendo: «Saremo come le nazioni, come le tribù degli altri paesi, che prestano culto al legno e alla pietra». Com'è vero che io vivo - oracolo del Signore Dio -, io regnerò su di voi con mano forte, con braccio possente e con ira scatenata” (Ez 20, 32-33).

Ma è con l’incarnazione del Verbo di Dio che viene rivelato il vero culto che rende onore al Padre e salva l’uomo. Parlando alla Samaritana, Gesù dice: “Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano” (Gv 4, 23). Ecco il culto che Dio vuole dai suoi figli: un’adorazione in spirito e verità.

E San Paolo specifica in modo chiaro ed inequivocabile quale deve essere il culto: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12, 1-3). Il culto spirituale che Dio ci chiede parte dal rinnovamento del nostro modo di pensare.

Non si tratta, carissimi Amici, di cambiare bandiera, di indossare una nuova casacca senza, però, porsi in una vera nuova prospettiva, come spesso avviene tra i politici, che cambiano simbolo ma non mentalità, tradendo, tra l’altro, la fiducia di coloro che li hanno eletti. Il rinnovamento del nostro modo di pensare deve portarci alla comprensione della volontà di Dio, a discernere ciò che è buono, gradito a Dio e perfetto. Il non rinnovare il nostro modo di pensare porta alla sclerotizzazione del nostro pensiero, ad una visione del mondo e della stessa nostra vita fatta con il paraocchi o, ancor peggio, con gli occhi chiusi. E la conseguenza di questo atteggiamento è che vediamo solo ciò che ci fa piacere e non ciò che ci giova, ci aggrappiamo ad un pensiero che è originato dalla debolezza e dalla peccaminosità umana e non dalla visione di Dio, dalla Sua volontà, che, oltre che buona e bella, è anche portatrice di salvezza per chiunque l’accolga.

Chi non è disposto a rinnovare il proprio modo di pensare, ovviamente si conforma a questo mondo e si trincera dietro presunte tradizioni che portano, spesso, a tradire il comandamento di Dio o, quantomeno, allontanano dalla volontà di Dio, da ciò che a Lui è gradito. E così il proprio culto non è un culto rivolto a Dio ma a sé stessi: il pensiero mondano diventa il culto da seguire. E così le processioni, che sono un atto di culto a Dio attraverso l’ostensione di coloro che in vita si sono impegnati sino al martirio per vivere il vangelo di Gesù Cristo, i Santi, diventano “sfilate”, come si sono espressi i giornalisti proprio in questi giorni, quasi che i Santi abbiano bisogno di mostrare la propria immagine. Essi, invece, sono coloro che si fanno compagni di viaggio di chi sceglie di percorrere le vie del vangelo, sostenendoci con la loro santa testimonianza e con la loro fervida intercessione, facendoci concretamente vedere a cosa porta il cambio di mentalità, la conversione del cuore e l’obbedienza a chi ha l’onere e l’onore di annunciare il vangelo in modo autentico.

Nel vangelo che è stato proclamato, agli scribi e ai farisei che lo avevano interrogato sulla trasgressione alla tradizione degli antichi da parte dei Suoi discepoli, Gesù risponde con un’altra domanda: “E voi, perché trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione?” (Mt 15, 3).

Vedete, Amici cari, quale pesantissima accusa muove Gesù verso i capi del popolo di Israele e, vorrei dire, verso tutti i capi della storia che hanno scelto, lungo i secoli e sino ad oggi, di rimanere ancorati a tradizioni che un tempo esprimevano un sentimento vero ma che poi hanno perso la propria forza evangelizzatrice: in nome di una tradizione, peraltro spesso non conosciuta proprio da chi la sostiene, si trasgredisce il comandamento di Dio.

Chiediamocelo con totale sincerità […]: cosa vale di più, una tradizione o il comandamento di Dio? Cosa siamo disposti a seguire: un pensiero mondano che diventa culto o ciò che Dio, oggi e qui, ci chiede? Quale rispetto abbiamo di Dio e anche del prossimo? Con quale decoro trattiamo le cose di Dio? Siamo veramente disposti a sacrificare il decoro dovuto a Dio per soddisfare le nostre velleità? Siamo davvero tanto ciechi da voler “costringere” uomini e donne che hanno fatto altra scelta a dare culto a Dio nel momento in cui noi decidiamo, senza tenere conto che nemmeno Dio ci costringe al culto, ma ci invita e ci sollecita con amore di Padre?

Mi chiedo e vi chiedo, a Voi che siete qui per libera scelta, senza essere costretti e, ritengo, per amore a Dio e devozione a san Barsanofio: Come ci siamo preparati ad offrire questo atto di culto e di devozione? Abbiamo ascoltato di più la parola di Dio? Abbiamo dedicato più tempo alla preghiera? Ci siamo accostati al sacramento della Riconciliazione per riconoscere quanto la nostra vita sia distante dal vangelo e, allo stesso tempo, ricevere abbondante la misericordia di Dio che ci rinnova e ci salva? Siamo nelle condizioni morali di ricevere il Corpo eucaristico di Gesù, che è pegno di vita immortale e anticipazione della nostra gloria futura? Abbiamo teso la mano ai nostri fratelli e sorelle più bisognosi? Abbiamo tenuto a freno la nostra mente e la nostra lingua o abbiamo espresso pesanti giudizi sul prossimo offendendo l’altrui dignità? Non dimentichiamo ciò che dice il libro dei Proverbi: “C'è chi chiacchierando è come una spada tagliente…” (12, 18a). E gli fa eco il Salmo 64: “Affilano la loro lingua come spada, scagliano come frecce parole amare” (Sal 64, 4). E San Giacomo così puntualizza: “Così anche la lingua: è un membro piccolo ma può vantarsi di grandi cose. Ecco: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta!” (Gc 3, 5). Altro che “le parole sono parole”! Nel nostro cuore c’è la luce di Dio?

Amatissimi figli, non intendevo sottoporvi ad un esame di coscienza, quantunque faccia sempre bene farlo quotidianamente. Il mio desiderio è che il Signore Gesù, nostro Salvatore ma anche nostro Giudice, non debba esprimere sui cristiani della Città […] il giudizio formulato per gli scribi e i farisei, e che il vangelo proclamato ci ha ricordato: “Così avete annullato la parola di Dio con la vostra tradizione. Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini»” (Mt 15, 6b-9).

[…] Adoperiamoci perché il nostro cuore non sia lontano da Dio, che il nostro culto non sia vano e odiato da Dio anche se apprezzato da alcuni uomini, non accogliamo dottrine che sono precetti di uomini e non volontà di Dio, la sola che salva. Cerchiamo la comunione con tutti, anche nella gestione della cosa pubblica, perché solo l’unità di intenti è la carta vincente, è l’espressione della ricerca del bene comune […]. Amen.

Omelia del 30 Agosto 2022 in occasione della Solennità di San Barsanofio Abate

Mons. Vincenzo Pisanello, Vescovo di Oria


Restare fedeli all'"oggi" della Chiesa

Sono convinto che i guasti cui siamo andati incontro in questi venti anni non siano dovuti al Concilio "vero" ma allo scatenarsi, all'interno della Chiesa, di forze latenti aggressive, centrifughe, magari irresponsabili oppure semplicemente ingenue, di facile ottimismo, di un'enfasi sulla modernità che ha scambiato il progresso tecnico odierno con un progresso autentico, integrale... Difendere oggi la Tradizione vera della Chiesa significa difendere il Concilio. È anche colpa nostra se abbiamo dato talvolta il pretesto (sia alla "destra" che alla "sinistra") di pensare che il Vaticano II sia stato uno "strappo", una frattura, un abbandono della Tradizione. C'è invece una continuità che non permette né ritorni all'indietro né fughe in avanti; né nostalgie anacronistiche né impazienze ingiustificate. 

È all'oggi della Chiesa che dobbiamo restare fedeli, non allo ieri o al domani: e questo oggi della Chiesa sono i documenti del Vaticano II nella loro autenticità. Senza riserve che li amputino. E senza arbitrii che li sfigurino.

da "Rapporto sulla Fede". Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger

Joseph Ratzinger / Benedetto XVI (1927 - 2022), docente e teologo tedesco, papa

mercoledì 11 gennaio 2023

Il falco che non sapeva volare

Un grande re ricevette in omaggio due pulcini di falco e si affrettò a consegnarli al Maestro di Falconeria perché li addestrasse.
Dopo qualche mese, il maestro comunicò al re che uno dei due falchi era perfettamente addestrato.
"E l'altro?" chiese il re.
"Mi dispiace, sire, ma l'altro falco si comporta stranamente; forse è stato colpito da una malattia rara, che non siamo in grado di curare. Nessuno riesce a smuoverlo dal ramo dell'albero su cui è stato posato il primo giorno. Un inserviente deve arrampicarsi ogni giorno per portargli cibo". 

Il re convocò veterinari e guaritori ed esperti di ogni tipo, ma nessuno riuscì a far volare il falco.
Incaricò del compito i membri della corte, i generali, i consiglieri più saggi, ma nessuno potè schiodare il falco dal suo ramo.
Dalla finestra del suo appartamento, il monarca poteva vedere il falco immobile sull'albero, giorno e notte.
Un giorno fece proclamare un editto in cui chiedeva ai suoi sudditi un aiuto per il problema.
Il mattino seguente, il re spalancò la finestra e, con grande stupore, vide il falco che volava superbamente tra gli alberi del giardino.
"Portatemi l'autore di questo miracolo", ordinò.
Poco dopo gli presentarono un giovane contadino.
"Tu hai fatto volare il falco? Come hai fatto? Sei un mago, per caso?" gli chiese il re.
Intimidito e felice, il giovane spiegò:"Non è stato difficile, maestà. Io ho semplicemente tagliato il ramo. Il falco si è reso conto di avere le ali ed ha incominciato a volare".

Talvolta, Dio permette a qualcuno di tagliare il ramo delle nostre false sicurezze a cui siamo tenacemente attaccati, affinché ci rendiamo conto di avere le "ali" per volare alto e fare della nostra vita un capolavoro.

Ma noi abbiamo le ali

Bruno Ferrero, prete salesiano, scrittore italiano

lunedì 9 gennaio 2023

L’Unione europea non è un incidente della Storia


Dobbiamo avere la forza di rilanciare il nostro processo di integrazione, cambiando la nostra Unione per renderla capace di rispondere in modo più forte alle esigenze dei nostri cittadini e per dare risposte vere alle loro preoccupazioni, al loro sempre più diffuso senso di smarrimento.

La difesa e la promozione dei nostri valori fondanti di libertà, dignità e solidarietà deve essere perseguita ogni giorno dentro e fuori l’Ue.

Cari colleghi, pensiamo più spesso al mondo che abbiamo, alle libertà di cui godiamo... E allora diciamolo noi, visto che altri a Est o ad Ovest, o a Sud fanno fatica a riconoscerlo, che tante cose ci fanno diversi - non migliori, semplicemente diversi - e che noi europei siamo orgogliosi delle nostre diversità.

Ripetiamolo perché sia chiaro a tutti che in Europa nessun governo può uccidere, che il valore della persona e la sua dignità sono il nostro modo per misurare le nostre politiche...

Che da noi nessuno può tappare la bocca agli oppositori, che i nostri governi e le istituzioni europee che li rappresentano sono il frutto della democrazia e di libere elezioni...

Che nessuno può essere condannato per la propria fede religiosa, politica, filosofica...

Che da noi ragazze e ragazzi possono viaggiare, studiare, amare senza costrizioni...

Che nessun europeo può essere umiliato e emarginato per il proprio orientamento sessuale...

Che nello spazio europeo, con modalità diverse, la protezione sociale è parte della nostra identità...

Che la difesa della vita di chiunque si trovi in pericolo è un dovere stabilito dai nostri Trattati e dalle Convenzioni internazionali che abbiamo stipulato.

Il nostro modello di economia sociale di mercato va rilanciato. Le nostre regole economiche devono saper coniugare crescita, protezione  sociale   e  rispetto  dell’ambiente.   Dobbiamo  dotarci  di strumenti adeguati per contrastare le povertà, dare prospettive ai nostri giovani, rilanciare investimenti sostenibili, rafforzare il processo di convergenza tra le nostre regioni ed i nostri territori.

La rivoluzione digitale sta cambiano in profondità i nostri stili di vita, il nostro modo di produrre e di consumare. Abbiamo bisogno di regole che sappiano coniugare progresso tecnologico, sviluppo delle imprese e tutela dei lavoratori e delle persone.

Il cambiamento climatico ci espone a rischi enormi ormai evidenti a tutti. Servono investimenti per tecnologie pulite per rispondere ai milioni di giovani che sono scesi in piazza, e alcuni venuti anche in quest’Aula, per ricordarci che non esiste un altro pianeta.

Dobbiamo lavorare per una sempre più forte parità di genere e un sempre maggior ruolo delle donne ai vertici della politica, dell’economia, del sociale.

Signore e Signori, questo è il nostro biglietto da visita per un mondo che per trovare regole ha bisogno anche di noi.

Ma tutto questo non è avvenuto per caso. L’Unione europea non è un incidente della Storia.

Io sono figlio di un uomo che a 20 anni ha combattuto contro altri europei, e di una mamma che, anche lei ventenne, ha lasciato la propria casa e ha trovato rifugio presso altre famiglie.

Io so che questa è la storia anche di tante vostre famiglie... e so anche    che    se    mettessimo    in comune    le    nostre    storie    e    ce    le raccontassimo davanti ad un bicchiere di birra o di vino, non diremmo mai che siamo figli o nipoti di un incidente della Storia.

Ma diremmo che la nostra storia è scritta sul dolore, sul sangue dei giovani britannici sterminati sulle spiagge della Normandia, sul desiderio di libertà di Sophie e Hans Scholl, sull’ansia di giustizia degli eroi del Ghetto di Varsavia, sulle primavere represse con i carri armati nei nostri paesi dell’Est, sul desiderio di fraternità che ritroviamo ogni qual volta la coscienza morale impone di non rinunciare alla propria umanità e l’obbedienza non può considerarsi virtù.

Non siamo un incidente della Storia, ma i figli e i nipoti di coloro che sono riusciti a trovare l’antidoto a quella degenerazione nazionalista che ha avvelenato la nostra storia. Se siamo europei è anche perché siamo innamorati dei nostri Paesi. Ma il nazionalismo che diventa ideologia e idolatria produce virus che stimolano istinti di superiorità e producono conflitti distruttivi.

dal Discorso d'insediamento al Parlamento europeo, 03 Luglio 2019

David Maria Sassoli (1956 – 2022), giornalista, conduttore televisivo e politico italiano

sabato 7 gennaio 2023

Tornare a casa


Se cerco di immaginare un po’ come sarà in Paradiso, mi sembra sempre il tempo della mia giovinezza, della mia infanzia. Così, in questo contesto di fiducia, di gioia e di amore eravamo felici e penso che in Paradiso dovrebbe essere simile a come era nella mia gioventù. In questo senso spero di andare “a casa”, andando verso l'“altra parte del mondo”.

Intervento al raduno “II Papa in festa con le famiglie del mondo”, Bresso (Milano) 2 giugno 2012

Benedetto XVI / Joseph Ratzinger (1927 - 2022), docente e teologo tedesco, papa

Lo strano fenomeno che si chiama Natale

Perché buoni un solo giorno e poi basta fino all’anno successivo? 

Abbiamo appena finito di riporre nell’armadio le candeline e i gingilli dell’albero, appena finito di rispondere agli auguri dell’anno scorso e già ricominciano a suonare le campane con quel suono così caratteristico. Un altro Natale è arrivato, precipitando su di noi con la spaventosa velocità del tempo. Ed eccoci perciò alle prese con la famosa ricorrenza, la quale ogni anno si presenta esattamente identica, conservando intatto attraverso i cataclismi e i secoli il suo incanto.

Sul Natale sono state dette fiumane di parole, scritti centinaia di libri, migliaia di racconti e di poesie. A prima vista sembra che, per parlarne ancora, ci voglia una bella dose di coraggio. Ma non è vero. Non se ne parlerà mai abbastanza. Il natale ritorna ogni dodici mesi, allo stesso giorno, 25, con precisione matematica, non è quindi una cosa molto rara. Tutti sanno come è fatto, tutti potrebbero descrivere in anticipo nei minuti particolari quello che accadrà nelle case rispettive. Eppure se ne resta sempre sbalorditi.

Senza neppure chiedersi il perché, la gente si smarrisce in quella strana atmosfera di allegrezza, di riposo, di poesia, di bontà e, data l’abitudine, trova tutto molto naturale; però nel profondo dell’animo c’è lo stupore, l’incredulità. Come è possibile che esista un giorno così differente dagli altri 364 giorni dell’anno? Come si spiega che per l’occasione l’umanità si comporti esattamente al contrario del solito?

Certo, è un fenomeno straordinario, uno dei fenomeni più sbalorditivi che siano mai accaduti sulla terra. Più ci si medita, meno si riesce a capacitarsi. Una faccenda così terribilmente diversa da tutto il resto! Provate, per piacere. a pensarci un po’.

La situazione è la seguente: c’è da solennizzare un importante anniversario, il più importante anzi. La scoperta dell’America – tanto per fare degli esempi – o la caduta dell’Impero romano, che cosa volete che siano al paragone del la nascita di cristo, figlio di Dio sceso fra noi per farsi crocifiggere? Anche i cristiani di tiepida fede, anche i dubbiosi, anche i miscredenti, tutti d’accordo che questa è la data più grande della storia, dopodiché si è cambiata la faccia del mondo. Al confronto Waterloo e il trattato di Aquisgrana fanno ridere.

Ebbene – e qui comincia l’incredibile – che cosa decidono di fare gli uomini per festeggiare la ricorrenza massima dell’anno? Osservateli, prego, con grandissima attenzione. Forse che si riuniscono in cortei, come nei giorni di esultanza nazionale, per marciare fino in piazza con le bandiere e i labari, al suono di fanfare? Forse che chiudono la casa e si mettono a girare per il mondo come d’estate quando ci sono le vacanze? Neanche.  Oppure si travestono con allegre maschere e scorrazzano per le strade con pifferi, chitarre e bottiglie di buon vino? Ma neppure.  Vuol dire dunque che restano tutto il santo giorno in letto a sonnecchiare? O si affollano nelle osterie a vuotare fiaschi e botti? O invadono cinema e teatri? O vanno a caccia? O se ne stanno seduti ai tavolini del caffè a spettegolare? O giocano alla palla? O si danno interamente a far l’amore? Meno che mai.

E allora cosa fanno? Se non lo si constatasse coi nostri personali occhi, non lo si crederebbe. La realtà supera le più pazze favole. perché il fatto sbalorditivo è questo: gli uomini per godere la festa delle feste, non cercano gli spassi soliti; al contrario, essi scelgono proprio quello che normalmente riesce più ostico e ingrato, l’opposto delle abituali preferenze.

Per il giorno di Natale – credere o non credere – diventano buoni all’improvviso. Si mettono a eseguire con entusiasmo sincerissimo il comandamento più spinoso di Nostro Signore Gesù Cristo , che è quello di amare il nostro prossimo!

Cosa è successo? Sono forse diventati tutti matti? Forse li prende un’arcana nostalgia della stagione remotissima quando tra gli alberi e i ruscelletti dell’Eden, Adamo ed Eva si aggiravano spensierati, senza neppure lontanamente  sospettare che cosa fosse desiderare il male? O è invece un anticipo, un presentimento, una prova generale dell’età futura, anch’essa lontanissima, ma che certo un giorno arriverà, quando la cattiveria, l’odio e l’egoismo saranno spariti dal consorzio umano?

Quale che sia il motivo, guardateli uno per uno: la mano abituata a bastonare oggi accarezza, la bocca abituata ad imprecare oggi sorride, l’avaro è generoso, l’invidioso gode dei successi del collega, il vendicativo è pronto a perdonare. Sissignori, oggi uomini e donne trovano più soddisfazione nella gioia altrui che nella propria. E questo, salvo errore, si può dire un bel miracolo.

Ma non è finita, non è ancora tutto. State attenti che il bello arriva adesso. Viene infatti istintivo di pensare: tanta bontà, tanto amor del prossimo è certamente una cosa splendida, ma chissà che fatica costa, che sacrifici, che travagli. Chissà che peso, per gli uomini, sostenere uno sforzo simile senza il minimo allenamento preventivo. Macché. Proprio il contrario. A vederli, non si sono mai trovati così bene. Che facce liete, che sguardi benevoli, che sorrisi luminosi, che parole soavi, piene di tolleranza e comprensione. Ciò che di solito è un castigo, cioè il sacrificarsi per il prossimo, diventa luce, soddisfazione, beatitudine. Felici sono, leggeri come piume.

Questo è il prodigio di Natale, sul quale non si scriverà mai abbastanza, da tanto è bello e misterioso. Resta infatti aperto un grande enigma: se in questo giorno gli uomini ci trovano tanta gioia a essere buoni, se si sentono così in pace con se stessi, perché non ci danno dentro, perché non perseverano, perché non si abbandonano definitivamente dopo averne provate le delizie, alle tentazioni del bene? Invece smettono subito. Basta che dal calendario cada il foglietto del 25 dicembre e che compaia il 26, tutto riprende come prima: gli affanni, le facce dure, gli occhi cattivi, l’avidità, le parolacce, gli scatti d’ira, le maldicenze, gli egoismi, l’inquietudine. Come se il Natale fosse stato un sogno, o una colpa vergognosa da nascondere, o una fuggevole pazzia su cui sarebbe pericoloso insistere. Per ventiquattr’ore gli uomini trovano la massima gioia nel fare quello che è nei desideri di Dio; e subito dopo, inesplicabilmente, tornano alle loro squallide abitudini. Perché questo voltafaccia? Ecco un problema che non siamo mai riusciti a decifrare. Perché buoni un solo giorno e poi basta fino all’anno successivo? Eppure sembrano felici.

Ben strana razza, gli uomini. Bravo chi li capisce.

"Lo strano fenomeno che si chiama Natale", Corriere d'informazione, 24-25 dicembre 1954

Dino Buzzati (1906 - 1972), giornalista e scrittore italiano 

venerdì 6 gennaio 2023

Preghiera dei bambini per la pace


Caro Gesù, 
anche tu fosti un giorno bambino come noi, 
e ci hanno detto che amavi di avere i piccoli vicino a Te. 
Così noi veniamo ora, fanciulli di tutte le nazioni del mondo, 
ad offrirti i nostri ringraziamenti 
e ad elevare a Te la nostra preghiera per la pace.

Tu brami di essere con noi in ogni ora e in ogni luogo; 
fa' dunque dei nostri cuori la tua dimora, il tuo altare e il tuo trono. 
Fa' che tutti formiamo una sola famiglia, 
unita sotto la tua custodia e nel tuo amore. 

Tieni lontano da ogni uomo, giovane o adulto, 
i pensieri e le opere dell'egoismo, 
che separano i figli del Padre celeste gli uni dagli altri e da Te. 

Sia a tutti la tua grazia scudo contro i nemici del Padre tuo e tuoi; 
perdona loro, o Signore; essi non sanno quello che fanno. 

Se gli uomini col tuo aiuto si ameranno l'un l'altro, 
vi sarà vera pace nel mondo, e noi bambini potremo vivere 
senza il timore degli orrori di una nuova guerra.

Noi chiediamo alla tua immacolata Madre Maria, 
che è anche la Madre nostra, 
di offrire a Te questa nostra preghiera di pace. 
Tu allora certamente la esaudirai.

Grazie, o dolce Gesù!
Così sia!
 

Pio XII,  2 marzo 1954

La felicità è l'amore

Hermann Hesse con la moglie Ninon nel 1949

Quanto più invecchiavo, quanto più insipide mi parevano le piccole soddisfazioni che la vita mi dava, tanto più chiaramente comprendevo dove andasse cercata la fonte delle gioie della vita. Imparai che essere amati non è niente, mentre amare è tutto, e sempre più mi parve di capire ciò che dà valore e piacere alla nostra esistenza non è altro che la nostra capacità di sentire. Ovunque scorgessi sulla terra qualcosa che si potesse chiamare “felicità”, consisteva di sensazioni. Il denaro non era niente, il potere non era niente. Si vedevano molti che avevano sia l’uno che l’altro ed erano infelici. La bellezza non era niente: si vedevano uomini belli e donne belle che erano infelici nonostante la loro bellezza. Anche la salute non aveva un gran peso; ognuno aveva la salute che si sentiva, c’erano malati pieni di voglia di vivere che fiorivano fino a poco prima della fine e c’erano sani che avvizzivano angosciati per la paura della sofferenza. Ma la felicità era ovunque una persona avesse forti sentimenti e vivesse per loro, non li scacciasse, non facesse loro violenza, ma li coltivasse e ne traesse godimento. La bellezza non appagava chi la possedeva, ma chi sapeva amarla e adorarla. C’erano moltissimi sentimenti, all’apparenza, ma in fondo erano una cosa sola. Si può dare al sentimento il nome di volontà, o qualsiasi altro. Io lo chiamo amore. La felicità è amore, nient’altro. Felice è chi sa amare. Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa senta se stessa e percepisca la propria vita. Ma amare e desiderare non sono la stessa cosa. L’amore è desiderio fattosi saggio; l’amore non vuole avere; vuole soltanto amare.

Sull’amore, a cura di Volker Michels, Mondatori, p. 174

Hermann Hesse (1877 – 1962), scrittore, poeta e pittore tedesco