martedì 27 dicembre 2011

"Non c'è amore dentro..."

Il postino suonò due volte.
Mancavano cinque giorni a Natale.
Aveva fra le braccia un grosso pacco avvolto in carta preziosamente disegnata e legato con nastri dorati.
"Avanti", disse una voce dall'interno.
Il postino entrò.
Era una casa malandata:si trovò in una stanza piena d'ombre e di polvere.
Seduto in una poltrona c'era un vecchio.
"Guardi che stupendo paccone di Natale!" disse allegramente il postino.
"Grazie. Lo metta pure per terra", disse il vecchio con la voce più triste che mai.
Il postino rimase imbambolato con il grosso pacco in mano.
Intuiva benissimo che il pacco era pieno di cose buone e quel vecchio non aveva certo l'aria di spassarsela bene.
Allora, perchè era così triste?
"Ma, signore, non dovrebbe fare un pò di festa a questo magnifico regalo?".
"Non posso...Non posso proprio", disse il vecchio con le lacrime agli occhi.
E raccontò al postino la storia della figlia che si era sposata nella città vicina ed era diventata ricca.
Tutti gli anni gli mandava un pacco, per Natale, con un bigliettino:"Da tua figlia Luisa e marito".
Mai un augurio personale, una visita, un invito:"Vieni a passare il Natale con noi".
"Venga a vedere", aggiunse il vecchio e si alzò stancamente.
Il postino lo seguì fino ad uno sgabuzzino.
Il vecchio aprì la porta.
"Ma..." fece il postino.
Lo sgabuzzino traboccava di regali natalizi.
Erano tutti quelli dei Natali precedenti.
Intatti, con la loro preziosa carta e i nastri luccicanti.
"Ma non li ha neanche aperti!" esclamò il postino allibito.
"No", disse mestamente il vecchio.
"Non c'è amore dentro".
  
Natale è diventata la festa del regalo.
Non è una brutta cosa, dopotutto: Natale è la festa del grande dono fatto da Dio all'umanità.
Lui stesso viene a vivere tra noi per insegnarci la strada di una vita ben spesa, felice e della vita eterna. Il regalo però, dice il racconto, può trasformarsi in una usanza "senza amore dentro", cioè in una triste ipocrisia.


Da: I racconti del gufo

Tenda di Dio

Tenda di Dio
sua calda dimora
è la carne vivente
dell'uomo, sua immagine.

Asino e bue
siamo tutti, Signore,
muso dietro muso,
a fissare il mistero

Mistero di ruvida
e povera paglia
e giorni senza luce,
droghe senza speranza.

Essere, mio Dio,
asino e bue
col fiato sospeso
a godere il mistero.

Noi siamo, Signore,
il tuo vivente presepe,
siamo la paglia
su cui coricarti ancora.

Angelo Casati, prete italiano

giovedì 22 dicembre 2011

Perché Gesù è meglio di Babbo Natale?

Babbo Natale vive al Polo Nord... 
Gesù è dappertutto. 

Babbo Natale cavalca in una slitta... 
Gesù cavalca sul vento e cammina sull'acqua.

Babbo Natale viene solo una volta un anno... 
Gesù è sempre presente con il suo aiuto. 

Babbo Natale riempie le tue calze con caramelle... 
Gesù soccorre tutte le tue necessità. 

Babbo Natale viene in giù dal tuo camino anche se non lo inviti... 
Gesù sta alla tua porta e bussa, e poi entra nel tuo cuore quando è invitato. 

Tu devi aspettare in fila per vedere Babbo Natale... 
Gesù è vicino a te appena pronunzi il Suo nome. 

Babbo Natale lascia che tu ti sieda in braccio... 
Gesù ti lascia riposare nelle Sue braccia.

Babbo Natale non sa il tuo nome e tutto ciò che può dire è: “Ciao ragazzino o bambina, qual’è il tuo nome?...
Gesù conosce il nostro nome già prima che noi nascessimo.
Non solo Lui sa il nostro nome,
Lui anche sa il nostro indirizzo.
Lui sa la nostra storia e futuro e 
Lui sa anche quanti capelli sono sulla nostra testa. 

Babbo Natale ha una pancia come una ciotola piena di gelatina...
Gesù ha un cuore pieno di amore. 

Tutto ciò che Babbo Natale può offrire è HO HO HO...
Gesù offre salute, aiuto e speranza.
 
Babbo Natale dice: “Dài, stai su, non piangere…”
Gesù dice tutti: “Getta le tue preoccupazioni su di me perché sono io che ho cura di te!”

I piccoli aiutanti di Babbo Natale fanno giocattoli...
Gesù rinnova la vita, cura i cuori feriti, ripara le case rotte e ne costruisce di nuove.

Babbo Natale ti può far sorridere ma...
Gesù ti dà quella gioia che è la tua forza. 

Mentre Babbo Natale mette i doni sotto il tuo albero...
Gesù è diventato il nostro dono e morì su un albero.... la croce.

Noi abbiamo bisogno di mettere Cristo prima del Natale (= Christ mas),
Gesù è sempre la ragione di questo periodo. 

“Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio  unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita  eterna” (Giovanni 3, 16).

mercoledì 21 dicembre 2011

Esiste Babbo Natale?

Ingegneri: ecco di cosa sono capaci ...


Me lo sono sempre chiesto da quando avevo 4 anni (prima ci avrei messo la mano sul fuoco) ma non ero mai riuscito a trovare una risposta certa. Poi, dopo anni di studi, ecco la risposta....

Nessuna specie conosciuta di renna può volare. Ci sono però 300.000 specie di organismi viventi ancora da classificare e, mentre la maggioranza di questi organismi è rappresentata da insetti e germi, questo non esclude completamente l'esistenza di renne volanti, che solo Babbo Natale ha visto. Ci sono due miliardi di bambini (sotto i 18 anni) al mondo. Dato però che Babbo Natale non tratta con bambini Musulmani, Hindu , Buddisti e Giudei, questo riduce il carico di lavoro al 15% del totale, cioè circa 378 milioni.

Con una media di 3,5 bambini per famiglia, si ha un totale di 98,1 milioni di locazioni. Si può presumere che ci sia almeno un bambino buono per famiglia.

Babbo Natale ha 31 ore lavorative, grazie ai fusi orari e alla rotazione della terra, assumendo che viaggi da Est verso Ovest. Questo porta ad un calcolo di 822,6 visite per secondo. Questo significa che, per ogni famiglia Cristiana con almeno un bambino buono, Babbo Natale ha circa un millesimo di secondo per:

1. trovare parcheggio (cosa questa semplice, dato che può parcheggiare sul tetto
e non ha problemi di divieti di sosta);
2. saltare giù dalla slitta;
3. scendere dal camino;
4. riempire le calze;
5. distribuire il resto dei doni sotto l'albero di Natale;
6. mangiare ciò che i bambini mettono a sua disposizione;
7. risalire dal camino;
8. saltare sulla slitta;
9. decollare per la successiva destinazione.

Assumendo che le abitazioni siano distribuite uniformemente (che sappiamo essere falso, ma accettiamo per semplicità di calcolo), stiamo parlando di 1.248Km per ogni fermata, per un viaggio totale di 120 milioni di Km.

Questo implica che la slitta di Babbo Natale viaggia a circa 1040Km/sec, a 3000 volte la velocità del suono. Per comparazione, la sonda spaziale Ulisse (la cosa più veloce creata dall'uomo) viaggia appena a 43,84 Km/sec, e una renna media a circa 30 Km/h. Il carico della slitta aggiunge un altro interessante elemento: assumendo che ogni bambino riceva una scatola media di Lego (del peso di circa 1 Kg), la slitta porta circa 378.000 tonnellate, escludendo Babbo Natale (notoriamente sovrappeso).

Sulla terra, una renna può esercitare una forza di trazione di circa 150 Kg.
Anche assumendo che una "renna volante" possa trainare 10 volte tanto, non è possibile muovere quella slitta con 8 o 9 renne, ne serviranno circa 214.000.
Questo porta il peso, senza contare la slitta, a 575.620 tonnellate. Percomparazione, questo è circa 4 volte il peso della nave Queen Elizabeth II.
Sicuramente, 575.620 tonnellate che viaggiano alla velocità di 1040 Km/sec generano un'enorme resistenza. Questa resistenza riscalderà le renne allo stesso modo di una astronave che rientra nell'atmosfera. Il paio di renne di testa assorbirà 14,3 quintilioni di Joule per secondo. In breve si vaporizzerà quasi istantaneamente, esponendo il secondo paio di renne e creando assordanti onde d'urto (bang) soniche.
L'intero team verrà vaporizzato entro 4,26 millesimi di secondo. 

CONCLUSIONE :
Babbo Natale c'era, ma ora è morto.
Fonte: instabile.net

sabato 17 dicembre 2011

Il presepe

Ve ringrazzio de core, brava gente,
pe' li presepi che me preparate,
ma che li fate a fa’? Si poi v’odiate,
si de st’amore nun capite gnente...

Pe' st’amore so' nato e ce so' morto,
da secoli lo spargo dalla croce,
ma la parola mia pare 'na voce
sperduta ner deserto, senza ascorto.

La gente fa er presepe e nun me sente;
cerca sempre de fallo più sfarzoso,
però cià er core freddo e indiferente
e nun capisce che senza l’amore
er presepe più ricco e più costoso
è cianfrusaja che nun cià valore.

Trilussa - Carlo Alberto Salustri (1871 – 1950), poeta italiano

domenica 4 dicembre 2011

C'era una volta una fabbrica

C'era una volta una fabbrica che aveva un grosso problema.
Ogni giorno veniva rubata della merce.
Affidarono quindi ad una società specializzata il compito di perquisire ogni dipendente che usciva alla fine del lavoro.
La maggior parte dei lavoratori andava spontaneamente a farsi vuotare la borsa e a farsi controllare i contenitori della colazione.
Ma ogni giorno un uomo, all'ora della chiusura, attraversava i cancelli con una carriola piena di rifiuti e la guardia doveva passare una buona mezz'ora, quando ormai tutti gli altri se ne stavano tornando a casa, a rovistare tra involucri di alimenti, mozziconi di sigarette e bicchieri di plastica per controllare se veniva portato fuori qualcosa di valore. Non si trovava mai niente.
Un giorno la guardia, esasperata, disse all'uomo:"Senti, lo so che stai combinando qualcosa, ogni giorno controllo ogni più piccolo pezzetto di rifiuto nella carriola e non trovo mai niente che valga la pena di essere rubato.
Sto diventando pazzo.
Dimmi quello che stai facendo e ti prometto che non farò nessun rapporto".
L'uomo alzò le spalle e disse: "E' semplice, rubo carriole!".

Il racconto è un invito alla ricerca dell'essenziale.
Noi fraintendiamo completamente il senso della vita quando pensiamo che la nostra esistenza sia tempo da usare alla ricerca di premi e piaceri.
Freneticamente e con sempre maggior frustrazione, rovistiamo fra i nostri giorni e i nostri anni, alla ricerca della ricompensa, del successo che dia valore alla nostra vita, come la guardia che cerca le cose di valore tra i rifiuti della carriola lasciandosi scappare la risposta più ovvia: quando avremo imparato a vivere, la vita stessa sarà la ricompensa.

(da: I racconti del gufo)

Il prete: un paradosso




          Un prete dev'essere un paradosso,
          grande e piccolo insieme,
          Di spirito grande e aperto, un re,
          Semplice e naturale, di carne contadina,
          Un lottatore per vincersi
          Un uomo che porta i segni della lotta con Dio,
          Una sorgente di santificazione,
          Un peccatore perdonato da Dio
          Padrone dei propri desideri,
          Uno schiavo dei timidi e dei deboli,
          Che guarda negli occhi i potenti
          Ma ascolta e impara il linguaggio dei poveri,
          Discepolo del suo Signore,
          Servo del suo popolo,
          Un mendicante con le mani bucate,
          Un possidente di doni senza numero,
          Un uomo che combatte in prima linea,
          Una madre che consola gli ammalati,
          Con la saggezza degli anni,
          E la semplicità fiduciosa di un bimbo,
          Teso verso l'Alto,
          Con i piedi piantati a terra,
          Figlio della gioia,
          Forte come il dolore,
          Lontano dai raggiri,
          Che anticipa il futuro,
          Dalla parola leale e discreta,
          Amico fedele della pace,
          Un lavoratore instancabile,
          Sempre fedele e stabile...
          Così diverso da me!

Si cerca un uomo...


          Si cerca per la Chiesa un uomo
          capace di rinascere nello Spirito ogni giorno.

          Si cerca per la Chiesa un uomo
          senza paura del domani
          senza paura dell'oggi
          senza complessi del passato.

          Si cerca per la Chiesa un uomo
          che non abbia paura di cambiare
          che non cambi per cambiare
          che non parli per parlare.

          Si cerca per la Chiesa un uomo
          capace di vivere insieme agli altri
          di lavorare insieme
          di piangere insieme
          di ridere insieme
          di amare insieme
          di sognare insieme.

          Si cerca per la Chiesa un uomo
          capace di perdere senza sentirsi distrutto
          di mettersi in dubbio
          senza perdere la fede
          di portare la pace dove c'è inquietudine
          e inquietudine dove c'è pace.

          Si cerca per la Chiesa un uomo
          che sappia usare le mani per benedire
          indicare la strada da seguire.

          Si cerca per la Chiesa un uomo
          senza molti mezzi, ma con molto da fare
          un uomo che nelle crisi
          non cerchi altro lavoro,
          ma come meglio lavorare.

          Si cerca per la Chiesa un uomo
          che trovi la sua libertà
          nel vivere e nel servire
          e non nel fare quello che vuole.

          Si cerca per la Chiesa un uomo
          che abbia nostalgia di Dio
          che abbia nostalgia della Chiesa

(da un manoscritto medioevale trovato a Salzburg, cit. in F. Varillon, "La souffrance de Dieu", Paris, Le Centurion, 1975 - trad. ital. di I. Schinella)

lunedì 7 novembre 2011

Fare tutto quello che Dio ama e amare tutto quello che Dio fa

Fare tutto quello che Dio ama e amare tutto quello che Dio fa.
Il mio giorno di vita non lo passerò oziosa: andrò, cercherò gli afflitti...
Buon Dio, in vostro nome io andrò a cambiare le lacrime della disperazione in quelle dolci della speranza.
Mai l'orrore del crimine faccia trattare con disprezzo il criminale. Finchè gli resta un istante per il pentimento, il suo destino può essere ancoa così bello!
Sono stata l'amica delle prigioniere. Ho sofferto con loro. Esse lo hanno sentito e mi hanno aperto il loro povero cuore.
Abbiamo un padre comune che ci vede tutte e di noi tutte si occupa, ne ho fiducia.
Noi speriamo ed attendiamo ogni felicità solo da Colui che considera l'uomo un amico fedele.

Juliette Colbert, nobildonna francese (1786 - 1864)

Prima di criticare gli altri...

Una giovane coppia di sposi novelli andó ad abitare in una zona molto tranquilla della città. Una mattina, mentre bevevano il caffé, la moglie si accorse, guardando attraverso la finestra, che una vicina stendeva il bucato sullo stendibiancheria. “Guarda che sporche le lenzuola di quella vicina! Forse ha bisogno di un altro tipo di detersivo... Magari un giorno le farò vedere come si lavano le lenzuola!” Il marito guardò e rimase zitto. La stessa scena e lo stesso commento si ripeterono varie volte, mentre la vicina stendeva il suo bucato al sole e al vento. Dopo un mese, la donna si meravigliò nel vedere che la vicina stendeva le sue lenzuola pulitissime, e disse al marito: “Guarda, la nostra vicina ha imparato a fare il bucato! Chi le avrà fatto vedere come si fa?” Il marito le rispose: “Nessuno le ha fatto vedere; semplicemente questa mattina, io mi sono alzato più presto e, mentre tu ti truccavi, ho pulito i vetri della nostra finestra!”

Così è nella vita! Tutto dipende dalla pulizia della finestra attraverso cui osserviamo i fatti. Prima di criticare, probabilmente sarà necessario osservare se abbiamo pulito a fondo il nostro cuore per poter vedere meglio. Allora vedremo più nitidamente la pulizia del cuore del vicino...

sabato 22 ottobre 2011

I due angeli

Due angeli viaggiatori si fermarono per passare la notte nella casa di una ricca famiglia.
Era una famiglia di persone molto avare che si rifiutarono di far dormire i due angeli nella camera degli ospiti. Infatti concessero agli angeli solo un piccolo spazio fuori, nel duro e freddo pavimento del pergolato davanti alla casa. Mentre si preparavano come potevano un letto per terra, il più vecchio degli angeli vide un buco nel muro e lo riparò. Quando l'angelo giovane gli chiese il perché, lui rispose soltanto: "le cose non sono sempre quello che sembrano".

La notte dopo la coppia di angeli cercò riparo alla casa di una povera ma molto ospitale famiglia, dove furono accolti da un contadino e sua moglie. Dopo aver diviso con gli angeli il seppur poco cibo che avevano, i contadini cedettero agli angeli i propri letti, dove finalmente i viaggiatori si poterono riposare comodamente.

Quando il sole sorse, la mattina dopo, gli angeli trovarono l'uomo e sua moglie in lacrime. La loro unica mucca, la sola loro fonte di sostentamento, giaceva morta nel campo. Il giovane angelo ne fu infuriato e chiese al più vecchio come avesse potuto lasciare accadere una cosa del genere. "Al primo uomo, che pure aveva tutto, hai fatto un favore:" - lo accusò - "questa famiglia seppure aveva pochissimo è stata pronta a dividere tutto e tu hai lasciato la mucca morire!".

"Le cose non sono sempre quello che sembrano:" - replicò l'angelo - "quando eravamo nel cortile della villa ho notato che c'era dell'oro nascosto nel muro e che si poteva scoprire grazie a quel piccolo buco. Siccome quell'uomo era così avaro e ossessionato dal denaro io ho riparato quel buco, così non avrebbe trovato anche quella ricchezza."

"Poi la notte scorsa quando dormimmo nel letto del contadino l'angelo della morte venne per sua moglie.
Io invece di lei gli ho dato la mucca. Le cose non sono sempre quello che sembrano. "

Questo è precisamente ciò che succede nella vita. Le cose non sembrano andare come invece crediamo dovessero andare …ma siamo sicuri che l’alternativa sarebbe stata la migliore?


Le cose non sono sempre quello che sembrano!

Il bello di ogni stagione


Un uomo aveva quattro figli. Egli desiderava che i suoi figli imparassero a non ...giudicare le cose in fretta, per questo, invitò ognuno di loro a fare un viaggio, per osservare un albero, che era piantato in un luogo lontano. Il primo figlio andò là in Inverno, il secondo in Primavera, il terzo in Estate, e il quarto, in Autunno. Quando l'ultimo rientrò, li riunì, e chiese loro di descrivere quello che avevano visto.

Il primo figlio disse che l'albero era brutto, torto e piegato.

Il secondo figlio disse invece che l'albero era ricoperto di gemme verdi e promesse di vita.

Il terzo figlio era in disaccordo; disse che era coperto di fiori, che avevano un profumo tanto dolce, ed erano tanto belli da fargli dire che fossero la cosa più bella che avesse mai visto.

L'ultimo figlio era in disaccordo con tutti gli altri; disse che l'albero era carico di frutta, vita e promesse.

L'uomo allora spiegò ai suoi figli che tutte le risposte erano esatte poiché ognuno aveva visto solo una stagione della vita dell'albero. Egli disse che non si può giudicare un albero, o una persona, per una sola stagione, e che la loro essenza, il piacere, l'allegria e l'amore che vengono da quella vita può essere misurato solo alla fine, quando tutte le stagioni sono complete.

Se rinunci all'inverno perderai la promessa della primavera, la ricchezza dell'estate, la bellezza dell'Autunno. Non lasciare che il dolore di una stagione distrugga la gioia di ciò che verrà dopo. Non giudicare la tua vita in una stagione difficile. Persevera attraverso le difficoltà, e sicuramente tempi migliori verranno quando meno te lo aspetti!

Vivi ogni tua stagione con gioia.

martedì 18 ottobre 2011

Quel filo dall'alto...

Era una bella mattina di settembre. Tutti i prati brillavano di rugiada, e i "fili della Vergine", lucidi come fossero seta, ondulavano nell'aria. Venivano da lontano e andavano lontano.



Uno di quei fili approdò in cima ad un albero, e l'areonauta, un ragnolino nero e giallo, lasciò la sua leggera navicella e si posò sul più resistente suolo del fogliame.

Ma quel luogo non gli andava a genio; e, presa una risoluzione improvvisa, venne direttamente a posarsi su di una grande siepe spinosa. Qui c'erano rami e germogli in abbondanza per tesservi una tela. E il ragno si mise subito al lavoro, lasciando che il filo lungo dal quale era disceso, reggesse la punta superiore della tela. Era una tela bella e grande. Aveva qualcosa di particolare, quella tela; si sarebbe detto si stendesse nel vuoto senza che fosse possibile vedere ciò che sosteneva il suo orlo superiore. Perché ci vogliono occhi buoni per scorgere un filo di ragno. Vennero giornate, e giornate passarono. Le mosche cominciavano a scarseggiare e il ragno si vide costretto ad allargare la sua tela per poterne acchiappare di più. In grazia di quel filo dall'alto, potè slargare i suoi agguati oltre ogni aspettazione. Ingrandì la sua tela in altezza e larghezza, e la sottile rete si stese ben presto su tutta la siepe. Quando nelle mattinate umide d'ottobre pendeva coperta di goccioline scintillanti, pareva un tulle ricamato di perle. Il ragno era orgoglioso del suo lavoro. Non era ormai più quel ragnetto povero che si dondolava per aria attaccato ad un filo, senza un soldo in tasca, per modo di dire, e senz'altro di bene al mondo che le proprie glandole filamentose. Adesso era un ragno grande e grosso, ben provvisto, e possedeva la tela più grande di tutta quella siepe.

Una mattina si svegliò di umore terribilmente strano. Durante la notte era gelato un po', e non c'era neanche il più piccolo raggio di sole per rallegrare la terra; nemmeno la più piccola mosca ronzava per l'aria. Il ragno rimase affamato e disoccupato tutto quel santo giorno d'autunno. Per ammazzare il tempo, fece un giro sulla sua tela, per vedere se mai ci fosse bisogno di rassettarla; Tirò ogni filo, badando che fossero tutti ben fermi. Ma benché avesse trovato tutto in regola, pure seguitò ad essere di pessimo umore.

Gira e rigira, finì col notare, al lembo esterno della sua rete, un filo che gli pareva affatto nuovo. Tutti gli altri fili si dirigevano qua e là, e il ragno conosceva ogni ramoscello a cui erano attaccati; ma quel filo "inesplicabile" non andava da nessuna parte e allora bisognava concludere che andava su diritto nell'aria.

Il ragno si rizzò sulle zampe e si mise a guardare in su con tutti i suoi occhi, ma non gli riuscì di capire dove andava a finire quel filo. Pareva se ne andasse nelle nuvole.

Quanto più guardava fisso senza poter arrivare a nulla, tanto più si arrabbiava. Aveva dimenticato che, in un sereno giorno di settembre, lui stesso era sceso giù giù per quel filo. E neppure si ricordò quanto utile gli fosse stato, proprio quel filo, per tessere e poi allargare la sua tela.

Il ragno s'era dimenticato di tutto ciò; e si limitò a pensare che c'era lì uno stupido filo buono a nulla, che non si attaccava ragionevolmente a nessuna parte, ma che soltanto andava su nel vuoto. Abbasso questo filo - disse il ragno. E con un solo colpo di dente lo troncò nel mezzo.

Nello stesso momento; la tela cedette: tutta quella rete così artisticamente fabbricata, crollò; e quando l'insetto tornò in sé, si trovò a giacere sulle foglie della siepe spinosa, con la testa ravvolta nella sua tela diventata un piccolo umido cencio. Era bastato un solo istante per distruggere tutta la magnificenza della sua casa, e soltanto perchè non aveva capitò l'utilità di quel "filo dall'alto".
da: Parabole (Ed. Paoline)
J. Joergensen

martedì 11 ottobre 2011

Concedimi

Per regolare la vita con sapienza

Concedimi, o Dio misericordioso,
di desiderare con ardore ciò che tu approvi,
di ricercarlo con prudenza,
di riconoscerlo secondo verità,
di compierlo in modo perfetto, a lode e gloria del tuo nome.

Metti ordine nella mia vita,
fammi conoscere ciò che vuoi che io faccia,
concedimi di compierlo come si deve
e come è utile alla salvezza della mia anima.

Che io cammini verso di te, Signore,
seguendo una strada sicura, diritta, praticabile
e capace di condurre alla meta,
una strada che non si smarrisca fra il benessere o fra le difficoltà.

Che io ti renda grazie quando le cose vanno bene,
e nelle avversità conservi la pazienza,
senza esaltarmi nella prosperità
e senza abbattermi nei momenti più duri.

Che io mi stanchi di ogni gioia in cui tu non sei presente,
che non desideri nulla all'infuori di te.
Ogni lavoro da compiere per te mi sia gradito, Signore,
e insopportabile senza di te ogni riposo.

Donami di rivolgere spesso il mio cuore a te,
e quando cedo alla debolezza,
fa' che riconosca la mia colpa con dolore,
e col fermo proposito di correggermi.

Signore, mio Dio,
donami un cuore vigile, 
che nessun pensiero curioso trascini lontano da te;
un cuore nobile che nessun indegno attaccamento degradi;
un cuore retto che nessuna intenzione equivoca possa sviare;
un cuore fermo che resista ad ogni avversità;
un cuore libero che nessuna passione violenta possa soggiogare.

Concedimi, Signore mio Dio,
un'intelligenza che ti conosca,
uno zelo che ti cerchi,
una sapienza che ti trovi,
una vita che ti piaccia,
una perseveranza che ti attenda con fiducia,
e una fiducia che alla fine arrivi a possederti.

Tommaso d'Aquino (1225 - 1274), santo, sacerdote domenicano, teologo e filosofo italiano

Non dire mai: "Mai"

Non dire mai: "Io",
di' invece: "Noi".

Non dire mai: "Mio",
di' invece: "Nostro".

Non dire mai: "Tocca a lui",
di' invece: "Incomincio io".

Non dire mai: "Non posso",
di' invece: "Eccomi".

Non dire mai: "Vattene!",
di' invece: "Vieni!".

Non dire mai: "Domani",
di' invece: "Oggi".

Non dire mai: "Morte",
di' invece: "Vita".

Non dire mai: "Mai"...

Charles S. Lawrence, ufficiale statunitense (1892 - 1970)

lunedì 10 ottobre 2011

La preghiera del "come"

O Gesù, mite e umile di cuore,
nel tuo amore che nulla disprezza,
guarda la nostra miseria,
perdona senza misura,
nella tua compassione infinita,
e accetta la nostra umile preghiera
come hai accettato dalla vedova la povera offerta.

Gesù, a immagine dei bambini,
tuoi preferiti, trasformami.

Gesù, come i pastori sbigottiti,
attirami verso di Te.

Gesù, come il cieco nato, toccami,
che io ti veda.

Gesù, come il paralitico, guariscimi
affinché io cammini con Te.

Gesù, come la cananea che ti supplicava,
esaudiscimi.

Gesù, come Maria che ti ascoltava,
parlami di Te.

Gesù, come su Pietro che ti ha rinnegato,
fissa il tuo sguardo su di me.

Gesù, come Maria Maddalena che ti ha molto amato,
perdonami.

Gesù, come Zaccheo,
chiamami e vieni da me.

Gesù, come la figlia di Giairo,
rialzami.

Gesù, come la Samaritana,
trasformami.

Gesù, come Giovanni, il tuo discepolo prediletto,
fammi rimanere in Te.

Gesù, al termine di questa vita, come al buon ladrone, ridimmi:
"Oggi, sarai con me in paradiso!"

Amen

Inno Akatistos a Gesù dolcissimo

mercoledì 7 settembre 2011

"Gesù, quassù non succede niente!"


"Gesù - diceva Don Camillo al Cristo dell’altare maggiore - è una malinconia da impazzire: quassù non succede niente!"
"Non capisco,-  rispondeva sorridendo il Cristo crocifisso - ogni mattina il sole nasce e ogni sera tramonta, vedi miliardi di stelle ruotare sul tuo capo ogni notte, l’erba spunta nei prati, il tempo continua il suo giro, Dio è presente e si manifesta a ogni istante e in ogni dove. Mi pare che succedano molte cose, Don Camillo. Mi pare che succedano le cose più importanti!".

Giovannino Guareschi (1908 - 1968), giornalista, umorista e scrittore italiano

martedì 6 settembre 2011

Quando andiamo a Dio, siamo sempre attesi

Vorrei che avesti, mentre accingi a meditare, la convinzione di essere aspettato: atteso dal Padre, dal Figlio, dallo Spirito Santo; atteso nella famiglia trinitaria dove è pronto il tuo posto. Ricorda quanto ha detto Cristo: “Vado a prepararvi un posto”. Mi obietterai che egli parlava del cielo; è vero, ma la meditazione è un cielo. Non la gioia del cielo, indubbiamente, non ancora la visione beatifica, ma ciò che ne costituisce la realtà essenziale: la presenza di Dio, l'amore di Dio, l'accoglienza di Dio al suo figliolo. Quando andiamo a Dio, siamo sempre attesi.
Quaderni sulla meditazione
Henri Caffarel (1903 – 1996) prete e mistico francese

giovedì 25 agosto 2011

Perdonare

Perdonare è un cammino
non un'azione estemporanea.

A perdonare
bisogna essere preparati
o almeno disposti a... mettersi in cammino.

Per perdonare bisogna avere un animo misericordioso,
capace di riconoscere prima di tutto in se stessi
limiti, peccati, mali e contraddizioni.

Per perdonare bisogna essere coscienti
di essere prima di tutto personalmente bisognosi di perdono.

Perdonare è un cammino perchè
chi perdona non si ferma al male fatto o subìto
ma va oltre:
fa di tutto perchè l'ultima parola sia il bene, l'amore, la vita.

Chi perdona cerca di amare e pregare per il proprio "nemico".
“Porgere l'altra guancia” non significa essere passivi
di fronte al male o far finta di niente
ma vuol dire spezzare il circolo vizioso dell'odio e della vendetta
(a volte mascherata da una falsa "sete di giustizia")
ed impegnarsi a costruire o ri-costruire il bene,
anzi "voler il bene" del fratello che sbaglia,
fargli capire che sbaglia e che c'e' qualcuno
che nonostante tutto lo ama...

Questo è quanto ci chiede Gesù.
Sì, a volte, perdonare non è "umano",
ossia a volte non ce la facciamo proprio.

Perdonare è "divino"
ossia va oltre una giustizia o una visione umana.
Bisogna quindi pregare perchè il Signore
ci dia la forza di perdonare... almeno "formalmente"!
Sì, non è per esteriorità o formalismo:
il "formalmente" potrebbe essere
il primo passo di questo cammino.

Gli altri passi potrebbero essere, appunto,
chiedere al Signore la forza e il coraggio di perdonare
ed anche di ...dimenticare.

Il primo passo del perdono è il non conservare rancore.
Perchè se il Signore - come dice la Bibbia (Isaia 38,17) –
“si getta alle spalle i nostri peccati” e li dimentica...
vuol dire che anche noi dovremmo fare lo spesso!
Anche psicologicamente il ricordare il male ricevuto
è una specie di meccanismo perverso
che ci intrappola e ci paralizza.
Il passato è passato
e neanche Dio può cambiarlo!

Francesco Pignatelli

martedì 23 agosto 2011

Unione e divisione

Per diventare me stesso devo cessare di essere ciò che ho sempre pensato di voler essere, per trovare me stesso devo uscire da me stesso, per vivere devo morire.
Perché sono nato nell’egoismo e di conseguenza tutti i miei sforzi naturali per rendermi più reale e più me stesso mi rendono meno reale e meno me stesso, in quanto gravitano tutti attorno a una menzogna.
Coloro che nulla sanno di Dio e che basano tutta la vita su se stessi immaginano di poter trovare se stessi soltanto rivendicando i propri desideri, le proprie ambizioni ed i propri appetiti in una lotta con il resto del mondo. Essi cercano di diventare reali imponendosi agli altri, impossessandosi di una parte della limitata riserva dei beni creati e sottolineando così la differenza fra loro e gli altri uomini che hanno meno di loro, o non hanno nulla.
Essi possono concepire un solo modo di diventare reali: staccarsi dagli altri e innalzare una barriera di contrasto e di distinzione fra se stessi e gli altri.
Non sanno che la realtà va cercata non nella divisione ma nell’unità, perché noi siamo «membri gli uni degli altri».
L’uomo che vive diviso dagli altri non è una persona, è soltanto un individuo.
Io ho quel che tu non hai. Io sono quel che tu non sei. Io ho preso quello che tu non sei riuscito a prendere, ho afferrato quel che tu non potrai mai afferrare. Perciò tu soffri ed io sono felice, tu sei disprezzato e io sono lodato, tu muori ed io vivo: tu non sei nulla e io sono qualcosa, e tanto più sono qualcosa in quanto tu non sei nulla. Così passo la vita ad ammirare la distanza fra te e me; talvolta questo mi aiuta persino a dimenticare gli altri uomini che hanno quello che io non ho che hanno preso quello che io sono stato troppo lento a prendere, che hanno afferrato ciò che era fuori dalla mia portata, che sono lodati quanto io non posso essere lodato e che vivono della mia morte…
L’uomo che vive così, vive nella morte. Non può trovare se stesso perché è perduto; ha cessato di essere una realtà. La persona che egli crede di essere è un brutto sogno. E quando morrà si accorgerà di aver cessato di esistere da molto tempo, perché Dio, Che è infinita realtà e al Cui cospetto è l’essere di tutto ciò che esiste, gli dirà: «Non ti conosco».
E ora penso a quella malattia che è l’orgoglio spirituale. Penso a quella caratteristica irrealtà che penetra nel cuore dei santi e divora la loro santità prima che essa sia matura. Vi è qualcosa di questo verme nel cuore di tutti i religiosi. Appena hanno fatto qualcosa che sanno essere buono agli occhi di Dio, tendono a impossessarsi della sua realtà per farla propria. Essi tendono a distruggere le loro virtù reclamandone la proprietà e a rivestirsi illusoriamente di valori che appartengono a Dio. Chi può sfuggire al segreto desiderio di respirare un’atmosfera differente da quella degli altri uomini? Chi può fare cose buone senza cercar di gustare in esse la dolcezza di distinguersi dalla massa dei peccatori di questo mondo?
Questa malattia è più pericolosa quando riesce a sembrare umiltà. Quando un uomo orgoglioso pensa di essere umile, il suo caso è senza speranza.
Ecco un uomo che ha fatto molte cose che la sua natura ha trovato dure. Egli ha superato difficili prove, ha compiuto molto lavoro e, per grazia di Dio, è giunto a possedere una forza morale e uno spirito di sacrificio per cui, alla fine, fatica e sofferenza diventano facili. La sua coscienza è giustamente in pace. Ma prima che egli se ne renda conto, la pace pura di una volontà in comunione con Dio diventa la compiacenza di una volontà che ama la propria eccellenza.
Il piacere che è nel suo cuore, quando egli compie cose difficili e riesce a compierle bene, gli dice in segreto: «Io sono un santo». Al tempo stesso altri sembrano riconoscerlo diverso da loro stessi. Lo ammirano, o forse lo sfuggono — dolce omaggio di peccatori! Il piacere arde in un fuoco divoratore. Il calore di questo fuoco assomiglia molto all’amore di Dio. Lo alimentano le stesse virtù che nutrono la fiamma della carità. Egli brucia di ammirazione per se stesso e pensa: «È il fuoco dell’amore di Dio».
Pensa che il suo orgoglio sia lo Spirito Santo.
Il dolce calore del piacere diventa l’incentivo di tutte le sue opere. Il gusto che egli assapora negli atti che lo rendono ammirabile ai suoi propri occhi lo spinge a digiunare, o a pregare, o a nascondersi in solitudine, o a scrivere molti libri, o a costruire chiese e ospedali, o a fondare mille organizzazioni. E quando tutto ciò gli riesce, egli pensa che il suo senso di soddisfazione sia l’unzione dello Spirito Santo.
E la voce segreta del piacere canta nel suo cuore: «Non sum sicut caeteri homines».
Quando si è messo per questa via, non ci sono limiti al male che la sua auto soddisfazione può spingerlo a compiere in nome di Dio e del Suo amore, e per la Sua gloria. Egli è così soddisfatto di sé, che non può tollerare il consiglio di altri — o i comandi di un superiore. Quando qualcuno si oppone ai suoi desideri, egli congiunge umilmente le mani e sembra sottomettersi per il momento, ma in cuor suo dice: «Sono perseguitato da uomini mondani. Essi non possono comprendere chi è guidato dallo Spirito di Dio. È sempre stato così per i santi».
E sentendosi martire egli è dieci volte più ostinato di prima.
È terribile quando ad un uomo simile viene l’idea di essere un profeta o un messaggero di Dio o un uomo che abbia avuto la missione di riformare il mondo… Egli è capace di distruggere la religione e di rendere il nome di Dio odioso agli uomini.
Io devo cercare la mia identità, in un certo senso, non solo in Dio, ma anche negli altri uomini.
Io non potrò mai trovare me stesso se non mi isolo dal resto dell’umanità, come se fossi un essere di specie diversa.

Non essere troppo pronto...

Non essere troppo pronto a credere che il tuo nemico è un selvaggio proprio perché è tuo nemico. Forse egli è il tuo nemico perché crede che tu sia un selvaggio. O forse ha paura di te perché sente che tu hai paura di lui. E forse, se sapesse che tu sei in grado di amarlo, non sarebbe più tuo nemico.
Non essere pronto a credere che il tuo nemico è un nemico di Dio appunto perché è tuo nemico. Forse egli è tuo nemico proprio perché non può trovare in te nulla che dia gloria a Dio. Forse egli ha paura di te perché non può trovare in te nulla dell'amore di Dio e della tenerezza di Dio e della pazienza e misericordia e comprensione di Dio per la debolezza umana.
Non essere troppo pronto a condannare l'uomo che non crede più in Dio, perché forse sono stati la tua freddezza, la tua avarizia, la tua mediocrità, il tuo materialismo, la tua sensualità, il tuo egoismo a uccidere la sua fede.

Semi di contemplazione, Garzanti, Milano 1991, pp. 45-47

Thomas Merton (1915 - 1968), monaco e scrittore statunitense 

Tutto passa, ma tutto rimane

Caro Kirill, [...] la mia unica speranza è che tutto ciò che si fa rimane: spero che un giorno, in qualche modo pur a me sconosciuto, sarete ricompensati di tutto ciò che ho tolto a voi, miei cari. Se non fosse per voi, rimarrei in silenzio.

Tutto passa, ma tutto rimane. Questa è la mia sensazione più profonda: che niente si perde completamente, niente svanisce, ma si conserva in qualche modo e da qualche parte. Ciò che ha valore rimane, anche se noi cessiamo di percepirlo.

Non dimenticatemi, 1933-1937, Mondadori 2000, p.156

Pavel Aleksandrovič Florenskij, prete, filosofo e matematico russo (1882-1937)

lunedì 22 agosto 2011

Peccato

Il peccato esige che l'uomo sia solo. Lo sottrae alla comunione. Quanto più è solo, tanto più distruttivo è il dominio del peccato su di lui; e ancora, quanto più intricata la rete del peccato, tanto più disperata la solitudine. Il peccato vuol rimanere sconosciuto. Ha orrore della luce. Nell'oscurità dell'inespresso il peccato avvelena tutto l'essere dell'uomo. Nella confessione, la luce dell'evangelo irrompe nelle tenebre e nell'oscurità in cui il cuore si chiude. Il peccato reso esplicito nella confessione perde tutto il suo potere.

La vita comune
Dietrich Bonhoeffer (1906 - 1945), pastore e teologo tedesco

domenica 26 giugno 2011

I figli sono come gli aquiloni

I figli sono come gli aquiloni,
passi la vita a cercare di farli alzare da terra.

Corri e corri con loro
fino a restare tutti e due senza fiato…
Come gli aquiloni, essi finiscono a terra…
e tu rappezzi e conforti, aggiusti e insegni.
Li vedi sollevarsi nel vento e li rassicuri
che presto impareranno a volare.
Infine sono in aria:
 gli ci vuole più spago e tu seguiti a darne.

E a ogni metro di corda
che sfugge dalla tua mano
il cuore ti si riempie di gioia
e di tristezza insieme.

Giorno dopo giorno
l’aquilone si allontana sempre più
e tu senti che non passerà molto tempo
prima che quella bella creatura
spezzi il filo che vi unisce e si innalzi,
come è giusto che sia, libera e sola.

Allora soltanto saprai
di avere assolto il tuo compito.

Erma Louise Bombeck (1927 – 1996), scrittrice americana

sabato 25 giugno 2011

La più alta espressione di potenza

Dare è la più alta espressione di potenza. Nello stesso atto di dare, io provo la mia forza, la mia ricchezza, il mio potere. Questa sensazione di vitalità e di potenza mi riempie di gioia. Mi sento traboccante di vita e di felicità. Dare dà più gioia che ricevere, non perché è privazione, ma perché in quell'atto mi sento vivo.
L'arte d'amare
Erich Fromm (1900 – 1980), psicoanalista e sociologo tedesco

sabato 11 giugno 2011

Spirito Santo, torna a parlarci

Spirito Santo,
che riempivi di luce i Profeti e accendevi parole di fuoco sulla loro bocca, torna a parlarci con accenti di speranza.

Frantuma la corazza della nostra assuefazione all'esilio.
Ridestaci nel cuore nostalgie di patrie perdute.
Dissipa le nostre paure.
Scuotici dall'omertà.

Liberaci dalla tristezza di non saperci più indignare per i soprusi consumati sui poveri.
E preservaci dalla tragedia di dover riconoscere che le prime officine della violenza e della ingiustizia sono ospitate nei nostri cuori.

Donaci la gioia di capire che tu non parli solo dai microfoni delle nostre Chiese. Che nessuno può menar vanto di possederti.

E che, se i semi del Verbo sono diffusi in tutte le aiuole, è anche vero che i tuoi gemiti si esprimono nelle lacrime dei maomettani e nelle verità dei buddisti, negli amori degli indù e nel sorriso degli idolatri, nelle parole buone dei pagani e nella rettitudine degli atei.

Don Tonino Bello, vescovo italiano (1935 - 1993)

Spirito Santo, dono del Cristo morente

Spirito Santo, dono del Cristo morente,

fa' che la Chiesa dimostri di averti ereditato davvero.

Trattienila ai piedi di tutte le croci.
Quelle dei singoli e quelle dei popoli.

Ispirale parole e silenzi, perché sappia dare significato al dolore degli uomini.

Così che ogni povero comprenda che non è vano il suo pianto,
e ripeta con il salmo: "le mie lacrime, Signore, nell'otre tuo raccogli".

Rendila protagonista infaticabile di deposizione dal patibolo,
perché i corpi schiodati dei sofferenti trovino pace sulle sue ginocchia di madre.

In quei momenti poni sulle sue labbra canzoni di speranza.

E donale di non arrossire mai della Croce
ma di guardare ad essa come all'antenna della sua nave
le cui vele tu gonfi di brezza e spingi con fiducia lontano.

Don  Tonino Bello, vescovo italiano (1935 - 1993)

Spirito di Dio, fa' della tua Chiesa...

Spirito di Dio, fa' della tua Chiesa un roveto che arde di amore per gli ultimi. Alimentane il fuoco col tuo olio, perché l'olio brucia anche.

Da' alla tua Chiesa tenerezza e coraggio.
Lacrime e sorrisi.

Rendila spiaggia dolcissima per chi è solo e triste e povero.
Disperdi la cenere dei suoi peccati.
Fa' un rogo delle sue cupidigie.

E quando, delusa dei suoi amanti, tornerà stanca e pentita a Te, coperta di fango e di polvere dopo tanto camminare, credile se ti chiede perdono.
Non la rimproverare.

Ma ungi teneramente le membra di questa sposa di Cristo con le fragranze del tuo profumo e con l'olio di letizia.

E poi introducila, divenuta bellissima senza macchie e senza rughe, all'incontro con Lui perché possa guardarlo negli occhi senza arrossire, e possa dirgli finalmente: "Sposo mio".

Don Tonino Bello, vescovo italiano (1935 - 1993)

sabato 4 giugno 2011

Perchè ti voglio bene

Quando ti sei svegliato questa mattina, ti ho osservato ed ho sperato che tu mi rivolgessi la parola, anche solo poche parole, chiedendo la mia opinione o ringraziandomi per qualcosa di buono che ti era accaduto ieri, però ho notato che eri molto occupato a cercare il vestito giusto da metterti per andare a lavorare.

Ho continuato ad aspettare ancora, mentre correvi in casa per vestirti e sistemarti, sapevo che avresti avuto del tempo anche solo per fermarti qualche minuto e dirmi "Ciao!"; però eri troppo occupato. Per questo ho acceso il cielo per te, l'ho riempito di colori e di canti di uccelli per vedere se così mi ascoltavi, però nemmeno di questo ti sei reso conto.

Ti ho osservato mentre ti accingevi al lavoro e ti ho aspettato pazientemente tutto il giorno, con le molte cose che avevi da fare, suppongo che tu sia stato troppo occupato per dirmi qualcosa.

Al tuo rientro ho visto la stanchezza sul tuo volto ed ho pensato di rinfrescarti un poco facendo cadere una lieve pioggia, perchè questa la portasse via, il mio era un dono, ma tu ti sei infuriato ed hai offeso il mio nome.

Desideravo tanto che tu mi parlassi... c'era ancora tanto tempo ho pensato.
Dopo hai acceso il televisore, ti ho aspettato pazientemente; mentre guardavi la tv, hai cenato ed immerso nel tuo mondo ti sei dimenticato nuovamente di parlare con me. Ho notato che eri stanco ed ho compreso il tuo desiderio di silenzio e così ho fatto scendere il sole ed al suo posto ho disteso una coperta di stelle ed al centro di questa ho acceso una candela: era uno spettacolo bellissimo, ma tu non ti sei accorto di nulla.

Al momento di dormire, dopo aver augurato la buona notte alla famiglia, ti sei coricato e quasi immediatamente ti sei addormentato. Ho accompagnato i tuoi sogni con musica e dolci pensieri ed i miei angeli hanno vegliato su di te, ma non importa, perchè forse nemmeno ti rendi conto che io sono sempre lì con te.

Ho più pazienza di quanto t'immagini; mi piacerebbe pure insegnarti ad avere pazienza tu con gli altri.
Ti amo tanto che attendo tutti i giorni una preghiera. I doni che ti ho dato oggi sono frutto del mio amore per te.

Bene, ti sei svegliato di nuovo ed ancora una volta io sono qui ed aspetto, senza nient'altro che il mio amore per te, sperando che oggi tu possa dedicarmi un pò di tempo.

Buona Giornata!

Tuo papà Dio

Amico mio

Ero in cammino verso di Te
ma ti ho visto venire verso di me.

Volevo correre verso di Te
e ho visto Te correre verso me.

Desideravo cercare Te
ma Tu eri già partito alla mia ricerca.

Io pensavo: «Ecco, Ti ho trovato!»
ma mi sono visto trovato da Te.

Volevo dirti: «Ti amo»
ma ho sentito Te che mi dicevi: «Ti voglio bene».

Io volevo scegliere Te
ma Tu avevi già scelto me.

Volevo scrivere a Te
ma mi è arrivato prima il Tuo messaggio.

Desideravo vivere in Te
ma ho scoperto che Tu vivevi in me.

Volevo chiederti perdono
ma mi sono accorto che Tu mi avevi già perdonato.

Volevo offrirti la mia vita
ma ho ricevuto la Tua.

Volevo chiamarti: «Mio Signore»
ma mi sono sentito dire: «Amico mio!».

Anonimo

giovedì 2 giugno 2011

I vostri figli



I vostri figli non sono vostri figli:
sono figli e figlie
del desiderio ardente
che la vita ha per se stessa.

Essi vengono per mezzo di voi,
ma non da voi.
e benché siano con voi,
non vi appartengono.

Potete dar loro il vostro amore
ma non i vostri pensieri,
poiché essi hanno i loro pensieri.

Potete dar alloggio ai loro corpi,
ma non alle loro anime,
poiché le anime
dimorano nella casa del domani,
che voi non potete visitare
nemmeno nei vostri sogni.

Potete sforzarvi di essere come loro:
non cercate però di renderli come voi.
La vita, infatti, non torna indietro
né indugia sul passato.

Voi siete gli archi
dai quali i vostri figli
come frecce viventi son lanciati.
L’arciere vede il bersaglio
sul sentiero dell’infinito
e vi piega con la sua potenza
perché le sue frecce
volino veloci e lontane.

Lasciatevi piegare con gioia
dalla mano dell’Arciere;
poiché come egli ama la freccia che vola
così ama pure l’arco che rimane saldo.

Khalil Gibran (1883 - 1931), poeta, pittore e filosofo libanese

Il matrimonio

Voi siete sbocciati insieme
 e insieme starete per sempre.

Insieme, quando le bianche ali della morte
disperderanno i vostri giorni.
Insieme nella silenziosa memoria di Dio.

Vi sia spazio nella vostra unità
e tra voi danzino i venti dei cieli.
Amatevi l'un l'altra
ma non fatene una prigione d'amore.

Riempitevi a vicenda le coppe
ma non bevete da una coppa sola.

Cantate e danzate insieme e siate gioiosi
ma ognuno di voi sia solo
come son sole le corde del liuto
sebbene vibrino di una musica uguale.

Datevi il cuore
ma l'uno non sia rifugio all'altra
perché soltanto la mano della vita
può contenere i vostri cuori.

E state insieme
ma non troppo vicini
poiché le colonne del tempio sono distanziate
e la quercia e il cipresso
non crescono l'una all'ombra dell'altro.

Khalil Gibran (1883 - 1931), poeta, pittore e filosofo libanese

mercoledì 1 giugno 2011

Cantico di un anziano


Beati quelli che mi guardano con simpatia.
Beati quelli che comprendono il mio camminare stanco.

Beati quelli che parlano a voce alta per minimizzare la mia sordità.
Beati quelli che stringono con calore le mie mani tremanti.

Beati quelli che si interessano della mia lontana giovinezza.
Beati quelli che non si stancano di ascoltare i miei discorsi già tante volte ripetuti.

Beati quelli che comprendono il mio bisogno d'affetto.
Beati quelli che mi regalano frammenti del loro tempo.

Beati quelli che si ricordano della mia solitudine.
Beati quelli che mi sono vicini nella sofferenza.

Beati quelli che rallegrano gli ultimi giorni della mia vita.
Beati quelli che mi sono vicini nel momento del passaggio.

Quando entrerò nella vita senza fine 
mi ricorderò di loro presso il Signore Gesù!

Cristo non ha più mani...

Cristo non ha più mani,
ha soltanto le nostre mani
per fare oggi le sue opere.

Cristo non ha più piedi,
ha soltanto i nostri piedi
per andare oggi agli uomini.

Cristo non ha più voce,
ha soltanto la nostra voce
per parlare oggi di sè.

Cristo non ha più forze,
ha soltanto le nostre forze
per guidare gli uomini a sè.

Cristo non ha più vangeli,
che essi leggono ancora;

ma cio che facciamo in parole e in opere
è l’ evangelo che lo spirito sta scrivendo.

Il quinto evangelio, Milano 1975
Mario Pomilio (1921 - 1990), scrittore, giornalista e politico italiano

martedì 31 maggio 2011

10 consigli per ben... litigare!

1. Litigare: tenendo l'altro al centro della propria attenzione.

2. Ascoltarsi: significa cercare di captare le parole e i sentimenti che si trovano dietro le parole. Significa recepire con tutta la propria persona quello che l'altro trasmette e lasciare che questi esprima pienamente, nella massima libertà e sincerità, quello che pensa e sente su un determinato argomento. Significa evitare di intervenire sempre, senza lasciare spazio al partner per dire la sua.

3. Capire bene: il messaggio che viene comunicato, in modo obiettivo, senza prenderlo come una critica o come mancanza di amore e di rispetto.

4. Focalizzare: correttamente il vero problema, ossia determinare con chiarezza qual è il vero nocciolo dell'argomento. Capita di iniziare a discutere o a litigare su una questione e da questa ne derivano in fila tante altre, fino a che non si parla più del primo oggetto del discorso.

5. Non rifarsi al passato: non riportare, cioè, episodi che ormai fanno parte del «museo coniugale». É inutile tirar fuori quello che può essere accaduto prima del matrimonio o prima dell'attuale litigio.

6. Riflettere bene: prima di replicare o lanciare accuse. Spesso la mancanza di riflessione è segno di mancanza di maturità, di poca obiettività e di una certa aggressività. Non si devono formulare accuse fondate solo su intuizioni, sospetti o sentito dire.

7. Dimostrare buona volontà: affermando il proprio desiderio di trovare qualche soluzione per uscire dalla situazione. Ciò significa discutere, cercare insieme ed essere disponibili ad accettare insieme una soluzione non propria. Si può sempre arrivare al compromesso.

8. Elencare le soluzioni e le alternative proposte, esaminarle insieme, non solo in base al sentimento, ed esprimere con sincerità ciò che si pensa a favore o contro questa o quell'altra soluzione. Tenere conto del bene di entrambi come coppia e come famiglia. Occorre per questo una buona dose di saggezza, di umiltà e di sacrificio.

9. Decidere insieme la soluzione: non significa arrendersi, ma cercare il bene migliore per tutti, anche se costa. In mancanza di unanimità, uno dei due deve delegare l'altro con la facoltà di decidere. Si può anche stabilire in quali situazioni deve decidere il marito o la moglie. A volte è necessario ricorrere a una terza persona o a un consultorio per verificarsi insieme.

10. Dimenticare e perdonare: questa deve essere la caratteristica del coniuge cristiano. Dimenticare ciò che è successo significa decidere di chiuderlo nel «museo coniugale» senza più tirarlo fuori. Perdonare con tutto il cuore, perché ci sono state e ci saranno ancora situazioni in cui anche noi possiamo sbagliare. Non rifiutare né di dare né di ricevere perdono.

sabato 30 aprile 2011

La terra


La terra è benigna, mite, indulgente,
ed alle richiedenze dei mortali serva continua;
quante cose, costretta, produce,
quante altre spontaneamente distrugge,
quanti profumi, sapori, succhi, sensi e colori ci offre!
Con quanta onestà ci rende i tesori che a lei affidiamo!
Quante cose per utile nostro essa alimenta.

Gaio Plinio Secondo, detto Plinio il Vecchio (23 - 79), naturalista e scrittore romano

mercoledì 27 aprile 2011

Ogni giorno è Pasqua

Vide e credette

Il sabato è passato; sono finiti i giorni degli uomini. Ecco un nuovo giorno. È vero, inizia in maniera triste, come spesso triste è la nostra vita. È un’alba triste, presso un sepolcro. La tomba di Gesù non è una tomba speciale, è una tomba allineata tra le altre tombe di uomini e di donne. Semmai c’è una tristezza in più: in quella tomba non è finito solo il corpo di un amico, è finita la speranza di un regno nuovo che aveva infiammato quel gruppetto di uomini che Gesù si era portato dietro sin dalla Galilea. Se il mondo avesse il coraggio di fermarsi presso le tombe! Sentirebbe nel proprio petto come un nodo di angoscia, un senso di paura, di fronte alla morte della vita, della speranza, del futuro. I cimiteri? Non solo. Ci sono oggi paesi divenuti come grandi tombe, cimiteri di vittime spesso innocenti, per l’oppressione, la violenza, la guerra. Davanti a questo panorama di morte, molti uomini fuggono, come fecero anche i discepoli di Gesù. Solo tre donne, scrive il Vangelo di Marco, si fermano. La prima, Maria di Magdala, è una donna particolare: è stata guarita da sette demoni. L’altra Maria è la madre di Giacomo, e poi Salome. Sono tre povere donne galilee, venute a Gerusalemme dietro a Gesù. Ora, smarrite e sballottate dopo le tristi vicende occorse al loro maestro, non sanno fare altro che recarsi al sepolcro. All’alba erano già lì, preoccupate per come entrare nel sepolcro. Lo chiudeva una pietra pesante, come sono pesanti le pietre che schiacciano la vita dei deboli. Ma, appena giunte, videro che la pietra era stata rotolata via, e videro un angelo, avvolto in bianche vesti, seduto sulla destra. Ebbero paura, ma l’angelo proclamò il Vangelo della resurrezione: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui”.

È la prima Pasqua: ed è per una piccola comunità di tre sole povere donne, straniere e disprezzate. Ancora una volta si compie quello che Gesù aveva detto: “Ai poveri è predicata la buona novella, e beato chi non si scandalizza di me”. È la prima Pasqua. Ma anche se è per tre sole povere donne, non è un fatto privato; è per tutti i discepoli: “Ora andate, e dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea”. E di lì i discepoli avrebbero dovuto annunciare la resurrezione a tutti gli uomini sino ai confini della terra. La resurrezione è un annuncio che scuote l’intera vita degli uomini. La scuote da capo a fondo per ridarle un nuovo volto, rimuove le pietre pesanti che gravano sui cuori degli uomini per renderli liberi, illumina il buio che grava sulla vita per manifestare il chiarore della misericordia. Chi risorge è il crocifisso. Quel morto in croce è ora rivestito della potenza di Dio. E la croce che appariva come l’impotenza, è diventata la potenza di Dio nel mondo. Piuttosto frequentemente nella tradizione iconografica delle Chiese d’Oriente la croce porta da un lato Gesù crocifisso e dall’altro Gesù risorto. Nelle apparizioni è il crocifisso che appare risorto, per manifestare la forza del suo amore per noi: come era stato crocifisso per noi, così viene risuscitato per noi.

È questo l’annuncio che quelle donne ricevono dall’angelo, e che provoca gioia grande e assieme timore. Gioia perché intuiscono che Gesù potrà restare con loro, ma anche timore per trovarsi immerse nel giorno di Dio. Esse fuggirono via dal sepolcro. Non restarono ferme là dov’erano. Una fretta entrò dentro di loro. Sì, non si può indugiare davanti all’annuncio della resurrezione. C’è fretta; fretta di annunciare la liberazione ai prigionieri del male, a chi è sepolto dalla cattiveria, a chi è schiavo dell’orgoglio e dell’odio, a chi è schiacciato dalla fame e dalla guerra. Anche tre povere donne possono fare molto. Proprio loro, disprezzate e per nulla considerate, furono le prime inviate per annunciare il Vangelo. E i discepoli debbono andare in Galilea, nell’estrema periferia di Israele, ai confini, dove inizia la regione dei pagani: qui incontreranno il Signore risorto e di qui partiranno per le vie del mondo. La Galilea è l’immensa periferia povera del mondo che attende l’annuncio di una speranza; ma forse è anche il cuore di ognuno di noi che aspetta di vedere il Signore. “Cristo è risorto, veramente è risorto!”.

Commento al Vangelo di Gv 20,1-9

Mons. Vincenzo Paglia, Vescovo italiano

martedì 29 marzo 2011

Aforismi Lavoro

Per uccidere un uomo non serve sparargli, basta togliergli il lavoro. (Enzo Biagi)

Chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani e la sua testa ed il suo cuore è un artista. (San Francesco D’Assisi)

Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero. (Aristotele)

martedì 8 marzo 2011

Aforismi Donna - 1

Proverbi sulle donne

Abbi donna di te minore, se vuoi essere signore.
Acqua, fumo e mala femmina cacciano la gente di casa.
A donna di gran bellezza dagli poca larghezza.
A donna imbellettata voltagli le spalle.
A giovane assennato, la donna a lato.
Amor, dispetto, rabbia e gelosia, sul cuor della donna han signoria.
Astuzia di donne le vince tutte.
Bella donna, cattiva testa.
Camera adorna, donna savia.
Casa mia, donna mia, pane e aglio vita mia.
Chi bella donna vuol parere, la pelle del viso gli convien dolere.
Chi di una donna brutta s’innamora, lieto con essa invecchia e l’ama ancora.
Chi dice donna dice danno.
Chi donne pratica, giudizio perde.
Chi ha bella donna e castello in frontiera, non ha mai pace in lettiera.
Chi ha cattiva donna, ha il purgatorio per vicino.
Chi piglia l’anguilla per la coda e la donna per la parola, può dire di non tener nulla.
Chi vuol vivere e star sano, dalle donne stia lontano.
Con la pietra si prova l’oro, con l’oro la donna e con la donna l’uomo.
Da una mucca a una donna ci corre un par di corna.
Dal mare sale e dalla donna male.
Dì a una donna che è bella, e il diavolo glielo ripeterà dieci volte.
Di buone armi è armato, chi da buona donna è amato.
Dio ti guardi da donna due volte maritata.
Di una donna il più nobile ornamento, è modestia di volto e portamento.
Donna adorna, tardi esce e tardi torna.
Donna baffuta è sempre piaciuta.
Donna brunetta, di natura netta.
Donna buona vale una corona.
Donna che dona di rado è buona.
Donna che ha molti amici, ha molte lingue mordaci.
Donna che per amor si piglia, si tenga in briglia.
Donna che regge all’oro, val piu d’un gran tesoro
Donna che sa il latino è rara cosa, ma guardati dal prenderla in sposa.
Donna che ti stringe e le braccia al collo ti cinge, poco t’ama e molto finge, e nel fine ti abbrucia e tinge.
Donna ciarliera parla di tutti, e tutti parlano di lei.
Donna di monte, cavalier di corte.
Donna e fuoco, toccali poco.
Donna e luna oggi serena, domani bruna.
Donna, padella e lume sono gran consumo.
Donna pregata nega, trascurata prega.
Donna savia e bella è preziosa anche in gonnella.
Donne e sardine son buone piccoline.
Donne e uomini gelosi, son pericolosi.
Donna e vino, ubriaca il grande e il piccolino.
Donne, asini e noci vogliono le mani atroci.
Donna in treccia, cavallo in cavezza.
Donna io conosco, ch’è una santa a messa e che in casa un’orribil diavolessa.
Donna iraconda, mare senza sponda.
Donna oziosa, non può esser virtuosa.
Donna, padella e lume, sono gran consumo.
Donna prudente, gioia eccellente.
Donna savia e bella è preziosa anche in gonnella.
Donna si lagna, donna si duole, donna s’ammala quando lo vuole.
Donna specchiante, poco filante.
Donna vecchia, donna proverbiosa.
Donne e buoi dei paesi tuoi.
Donne e oche tienne poche.
Donne e motori: gioie e dolori.
Donne e sardine, son buone piccoline.
Donne, danno, fanno gli uomini e li disfanno.
Donne per casa, una in figura e una in pittura.
Dove la donna domina e governa ivi sovente la pace non sverna.
Dove son donne innamorate morte, è inutile serrar finestre e porte.
Donna specchiante, poco filante.
Donne e oche tienine poche.
Donne danno, fanno gli uomini e li disfanno.
Dove donna domina, tutto si contamina.
Due donne e un’oca fanno un mercato.
É piú facile trovar dolce l’assenzio, che in mezzo a poche donne un gran silenzio.
Fiume, grondaia e donna parlatora mandan l’uomo di casa fuora.
Gli uomini fanno la roba, e le donne la conservano.
Gli uomini hanno gli anni che sentono, le donne quelli che dimostrano.
Il sacco l’uomo lo empie e la donna l’attacca.
In Roma più vale la cortigiana che la donna romana.
La bella donna è un bel cipresso.
La donna alla finestra, la gatta alla minestra.
La donna è come la castagna; bella di fuori, e dentro è la magagna.
La donna è come l’appetito, va contentata a tempo.
La donna ha oggi la maschia fattezza e l’uomo della donna ha la mollezza.
La donna ha più capricci che ricci.
La donna, il fuoco e il mare fanno l’uom pericolare.
La donna ne sa un punto più del diavolo.
La donna oziosa non può essere virtuosa.
La donna, per piccola che sia, vince il diavolo in furberia.
La donna raramente è bella ed onesta.
La donna sa dove nasce e non sa dove muore.
La donna troppo vista è di facile conquista.
La gatta ha sette vite, e la donna sette più.
Lagrime di donne, fontana di malizia.
La pazienza è dei frati, e delle donne che han gli uomini matti.
La pecunia, se la sai usare, è ancella; se no, è donna.
Le buone donne non hanno né occhi né orecchi.
Le donne dicono sempre il vero; ma non lo dicono tutto intero.
Le donne e le ciliege son colorite per lor proprio danno.
Le donne hanno quattro malattie all’anno, e tre mesi dura ogni malanno.
Le donne hanno sette spiriti in corpo.
Le donne per parer belle si fanno brutte.
Le donne, quando son ragazze, han sette mani e una lingua sola; e quando son maritate, han sette lingue e una mano sola.
Le donne s’attaccano sempre al peggio.
Le donne sono sante in chiesa, angeli in strada, diavole in casa, civette alla finestra e gazze alla porta.
Le donne sono una certa mercanzia da non le tener troppo in casa.
Le donne tacciono quello che non sanno.
Le ragazze sono d’oro, le sposate d’argento, le vedove di rame e le vecchie di latta.
Malanno e donna senza ragione, si trovano in ogni luogo e in ogni stagione.
Matta è la donna che nell’uomo crede, che ne’ calzoni si porta la fede.
Mentre le belle si guardano, le brutte si sposano.
Né donna né tela a lume di candela.
Né lettere né doni rifiutan le donne.
Non c’è sabato senza sole, nè donna senza amore.
Non v’è sabato senza sole, non v’è donna senza amore, né domenica senza sapore, né vecchio senza dolore.
Non vinse mai donna per la sua fortezza, vinse sempre per nostra debolezza.
Omo da vino, dieci per un duino; donna da vino, cento per duino.
Per amore anche una donna onesta può perdere la testa.
Piglia casa con focolare, e donna che sappia filare.
Più facile trovar dolce l’assenzio, che in mezzo a poche donne un gran silenzio.
Più vale una savia donna filando, che cento triste vegliando.
Povera la donna che si pente d’essere stata buona.
Quando la donna folleggia, la fante danneggia.
Quel che alla donna ogni segreto fida, ne vien col tempo a far pubbliche grida.
Se la donna di gran beltade non ha angelica onestade, non gli far veder le strade.
Se le donne fossero d’oro, non varrebbero una lira.
Spesso l’uomo ingannato si trova che piglia donna a vista e non a prova.
Tempo, vento, signor, donna, fortuna, voltano e tornan come fa la luna.
Tre cose fan l’uomo accorto, lite, donna e porto.
Tre cose non si possono tener nascoste, donne in casa, fusi in sacco e paglia nelle scarpe.
Tre cose son facili a credere, uomo morto, donna gravida e nave rotta.
Tre donne fanno un mercato e quattro una fiera.
Una buona donna in casa è la miglior cassa di risparmio.
Una casa senza donna è come una lanterna senza lume.
Un uomo di paglia vuole una donna d’oro.
Uomo che ha voce di donna, e donna che ha voce d’uomo, guardatene.
Uomo e donna in stretto loco, secca paglia appresso al foco.
Vuoi tu farti creder donna beata, parla di tua cognata.

domenica 6 marzo 2011

Aiutare ad essere

Nell'altro non si entra
come in una fortezza,
ma come si entra in un bosco
in una bella giornata di sole.

Bisogna che sia
una entrata affettuosa
per chi entra
come per chi lascia entrare,
da pari a pari, rispettosamente,
fraternamente.

Si entra in una persona
non per prenderne possesso,
ma come ospite,
con riguardo, con ammirazione,
venerazione:
non per spossessarlo,
ma per tenergli compagnia,
per aiutarlo
a meglio conoscersi,
per dargli consapevolezza
di forze ancora inesplorate,
per dargli una mano
a compiersi
a essere se stesso.

da "Della Tolleranza"

Don Primo Mazzolari (1890 - 1959), prete, scrittore e partigiano italiano

martedì 1 marzo 2011

Ragazzo mio

Ragazzo mio,
un giorno ti diranno che tuo padre
aveva per la testa grandi idee,
ma in fondo poi non ha concluso niente.
Non devi credere, no,
vogliono far di te
un uomo piccolo,
una barca senza vela;
ma tu non credere no,
che appena s'alza il mare,
gli uomini senza idee
per primi vanno a fondo.

Ragazzo mio,
un giorno i tuoi amici ti diranno
che basterà trovare un grande amore,
e poi voltar le spalle a tutto il mondo.
Non devi credere, no,
non metterti a sognare
lontane isole che
non esistono;
non devi credere, ma,
se vuoi amar l'amore,
tu non gli chiedere
quello che non può dare.

Ragazzo mio,
un giorno a scuola
ti verranno a dire
che la storia del mondo è stata fatta
solo da pochi uomini più grandi.
Ma tu non credere no,
vogliono far di te
un altro mitomane
un superuomo illuso;
No, non credere
che i palloni troppo gonfi
un giorno scoppiano
e non rimangono

Ragazzo mio,
un giorno sentirai dire dalla gente
che al mondo stanno bene solo quelli
che passano la vita a non far niente.
No, no, non credere, no,
non essere anche tu
un acchiappanuvole
che sogna di arrivare;
no, no, non credere, no,
non invidiare chi
vive lottando invano
col mondo di domani.

Ragazzo mio,
un giorno leggerai sopra i giornali
di come vive chi non ha pensieri,
felice perchè non può fare niente.
No, no, non credere oh,
vogliono far di te
un megalomane
che sogna di arrivare;
Ma tu non credere,
che non vive bene chi
vive lottando invano,
chi lotta contro il tempo.

(La terza e l'ultima sono due varianti inedite...)

Luigi Tenco (1938 - 1967), cantautore italiano

sabato 26 febbraio 2011

Il mistero del male e della sofferenza

Davanti al mistero della sofferenza, sempre presente lungo la vita di ogni essere umano, ci si rimane sgomenti e nessun tentativo di spiegazione da parte di filosofi e teologi, riesce a farla accettare con serenità.
Il male in tutte le sue componenti, fisico, morale, psichico, è considerato per i filosofi un problema, per Cristo ed i cristiani è un nemico, uno scandalo, una provocazione, ed esige una protesta, una mobilitazione, una rivolta.
Non si spiega il male, lo si combatte! Lo stesso Gesù apre gli occhi al cieco, anche se è giorno di sabato! Si proclama venuto per i perduti, per i malati, per i peccatori.
Davanti alle domande sul perché della sofferenza, all’infelice e tormentato Giobbe, Dio aveva semplicemente detto: “Chi sei tu per esigere spiegazioni da Dio?”.
Quindi bisogna ammettere che le vie di Dio non sono le nostre. Dio ha una concezione molto positiva della sofferenza, al punto tale, che accoglie per sé stesso il dolore come una strada necessaria; spiega Gesù ai discepoli di Emmaus: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? E agli Apostoli: “In verità, in verità vi dico; se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.
Quindi secondo il modo di vedere di Dio e nell’esperienza di Gesù, la Passione stessa sfocia impetuosa nella gloria del Risorto, la morte dà il frutto abbondante della redenzione del mondo.
Alla luce di quanto detto, la sofferenza è una realtà ineluttabile, il problema è tramutarla in occasione privilegiata di redenzione propria e di offerta per la redenzione degli altri nostri fratelli, pellegrini come noi in questa “valle di lagrime”, come recita l’inno ‘Salve Regina’.

Antonio Borrelli

giovedì 24 febbraio 2011

Nella Chiesa l’amore è sempre più veloce del ministero

E. Burnand, Pietro e Giovanni corrono al sepolcro.- 1898, Parigi, Musée d´Orsay

“Correvano tutti e due insieme. Ma l’altro discepolo fu più svelto di Pietro e arrivò per primo al sepolcro". Entrambi corrono più in fretta che possono, ma nella Chiesa l’amore è sempre più veloce del ministero. Si accorge più in fretta di quello che bisogna fare, e si impegna sempre con generosità. Il ministero, anche quando procede con la massima rapidità, non può raggiungere l’amore. Il ministero deve farsi carico di tutti, deve cercare di portare avanti tutti, deve tener conto di tutti, deve sforzarsi di agire nel modo più uniforme. Non può andare al Signore soltanto con quelli che camminano più in fretta, deve preoccuparsi di tutto il gregge che gli è stato affidato, non deve abbandonare i lenti e i tiepidi. L’amore consiste nella generosità: in questo è più rapido… Ma l’amore non è un pazzo che corre in maniera insensata. Entrambi corrono insieme. L’amore rimane in contatto col ministero e a sua disposizione, ma nello stesso tempo lo trascina.

Hans Urs Von Balthasar (1905 – 1988), prete gesuita e teologo svizzero