domenica 26 aprile 2020

Quando spezziamo il pane riconosciamo il Signore

Orbene, fratelli, quand'è che il Signore volle essere riconosciuto? All'atto di spezzare il pane. È una certezza che abbiamo: quando spezziamo il pane riconosciamo il Signore. Non si fece riconoscere in altro gesto diverso da quello; e ciò per noi, che non lo avremmo visto in forma umana ma avremmo mangiato la sua carne. Sì, veramente, se tu - chiunque tu sia - sei nel novero dei fedeli, se non porti inutilmente il nome di cristiano, se non entri senza un perché nella chiesa, se hai appreso ad ascoltare la parola di Dio con timore e speranza, la frazione del pane sarà la tua consolazione. L'assenza del Signore non è assenza. Abbi fede, e colui che non vedi è con te.

Quanto invece a quei discepoli, quando il Signore parlava con loro, essi non avevano più la fede perché non lo credevano risorto e non speravano che potesse risorgere. Avevano perso la fede e la speranza: pur camminando con uno che viveva, loro erano morti. Camminavano morti in compagnia della stessa Vita! Con loro camminava la Vita, ma nei loro cuori la vita non si era ancora rinnovata.

E ora mi rivolgo a te. Se vuoi ottenere la vita fa' quello che fecero quei discepoli, in modo che ti sia dato riconoscere il Signore. Essi lo invitarono a casa. Il Signore fece finta d'essere uno che doveva andare lontano, ma loro lo trattennero. […] Accogli l'ospite, se desideri riconoscere il Salvatore. […] Imparate dov'è da ricercarsi il Signore, dove lo si possiede, dove lo si riconosce: è quando condividete il pane.
Discorso 235; PL 38, 1117
Agostino di Ippona (354 – 430), vescovo, santo

mercoledì 22 aprile 2020

La porta piccola è sempre aperta

Intorno alla stazione principale di una grande città, si dava appuntamento, ogni giorno e ogni notte, una folla di relitti umani: barboni, ladruncoli, immigrati clandestini e giovani drogati. Di tutti i tipi e di tutti i colori.
Si vedeva bene che erano infelici e disperati. Barbe lunghe, occhi cisposi, mani tremanti, stracci, sporcizia. Più che di soldi, avevano tutti bisogno di un po' di consolazione e di coraggio per vivere; ma queste cose oggi non le sa dare quasi più nessuno.
Colpiva, tra tutti, un giovane, sporco e con i capelli lunghi e trascurati, che si aggirava in mezzo agli altri poveri naufraghi della città come se avesse una sua personale zattera di salvezza. Quando le cose gli sembravano proprio andare male, nei momenti di solitudine e di angoscia più nera, il giovane estraeva dalla sua tasca un bigliettino unto e stropicciato e lo leggeva. Poi lo ripiegava accuratamente e lo rimetteva in tasca. Qualche volta lo baciava, se lo appoggiava al cuore o alla fronte.
La lettura del bigliettino faceva effetto subito. Il giovane sembrava riconfortato, raddrizzava le spalle, riprendeva coraggio.
Cosa c'era scritto su quel misterioso biglietto? Sei piccole parole soltanto: "La porta piccola è sempre aperta". Tutto qui. Era un biglietto che gli aveva mandato suo padre. Significava che era stato perdonato e in qualunque momento avrebbe potuto tornare a casa. E una notte lo fece. Trovò la porta piccola del giardino di casa aperta. Salì le scale in silenzio e si infilò nel suo letto.
Il mattino dopo, quando si sveglio, accanto al letto, c'era suo padre. In silenzio e con gli occhi colmi di lacrime, si abbracciarono.

C'è sempre una piccola porta aperta per l'uomo: c'è sempre una nuova opportunità, un'altra possibilità, soprattutto quando si sbaglia. Una piccola porta aperta, anzi spalancata, è quella della Chiesa, del pentimento dei propri errori, dei propri peccati. Attraverso il sacramento della penitenza, la confessione, c'è sempre un Padre che attende un figlio. Un Padre che ha già perdonato e che aspetta di ricominciare tutto daccapo.

domenica 19 aprile 2020

Tutto ciò che mi serve sapere l'ho imparato all'asilo

La maggior parte di ciò che veramente mi serve sapere su come vivere,
cosa fare e in che modo comportarmi l'ho imparata all'asilo.
La saggezza non si trova al vertice della montagna degli studi superiori,
bensì nei castelli di sabbia del giardino dell'infanzia.

Queste sono le cose che ho appreso:
a condividere tutto con gli altri,
a giocare correttamente,
a non fare male alla gente,
a rimettere le cose al posto,
a sistemare il disordine,
a non prendere ciò che non è mio,
a dire che mi dispiace quando faccio del male a qualcuno,
a lavarmi le mani prima di mangiare.

A sapere che i biscotti caldi e il latte freddo fanno bene,
a condurre una vita equilibrata: imparare qualcosa,
a pensare un po' e disegnare, dipingere, cantare,
ballare, suonare e lavorare un tanto al giorno.

A fare un riposino ogni pomeriggio,
a badare al traffico nel mondo,
a tenere per mano e stare vicino agli altri.

Ad essere consapevole del meraviglioso,
a ricordare ciò che fa il seme nel vaso:
le radici scendono, la pianta sale
e nessuno sa veramente come e perché,
ma tutti noi siamo così.
I pesci rossi, i criceti, i topolini bianchi e
persino il seme nel suo recipiente:
tutti muoiono e noi pure.

A non dimenticare, infine, la prima parola che ho imparato,
la più importante di tutte: guardare.
Tutto quello che mi serve sapere è lì, da qualche parte:
le regole auree, l'amore, l'igiene alimentare,
l'ecologia, la politica e il vivere assennatamente.
Basta scegliere uno qualsiasi tra questi precetti,
elaborarlo in termini adulti e sofisticati
e applicarlo alla famiglia, al lavoro, al governo o al mondo in generale,
e si dimostrerà vero, chiaro e incrollabile.

Pensate a come il mondo sarebbe migliore se noi tutti,
l'intera umanità prendessimo latte e biscotti ogni pomeriggio alle tre
e ci mettessimo poi sotto le coperte per un pisolino,
o se tutti i governi si attenessero al principio basilare di rimettere
ogni cosa dove l'hanno trovata e di ripulire il proprio disordine.
Rimane sempre vero, a qualsiasi età, che quando si esce nel mondo
è meglio tenersi per mano e rimanere uniti.
Tutto quello che mi serve sapere l'ho imparato all'asilo, 1986

Robert Fulghum, scrittore e attivista statunitense

venerdì 10 aprile 2020

Il povero Cristo

Il povero Cristo
è sceso dalla croce.
Per prima cosa ha preso
la condizione atroce:
amar la vita è vivere
ed essere felici.
Amar la vita è vivere
sapendo di morire.

Ma invece di un fratello
vedere nel suo simile
il primo da affogare
sebbene un po’ più debole.

Il povero Cristo
ha visto com’è l’uomo
che, povero cristo,
mangia verza e patate.
Intanto chi gli è sopra
si gode ori e alloro
e ammucchia per sé solo
ricchezze smisurate.

Ma appena gliele ha tolte
non divide in uguaglianza,
ma del padrone apprende
il pensiero e l’arroganza.

E intanto nel mondo
una guerra è signora della Terra.

Il povero Cristo
è sceso dalla croce,
si è messo sulla strada
e va ascoltando voci.
C’è chi lo tira a destra,
chi lo spoglia a sinistra.
Tutti lo voglion primo
nella loro lista.
Ma piuttosto che da vivo
a dare il buon ufficio
è meglio averlo zitto
e morto in sacrificio.

E intanto nel mondo
una guerra è signora della Terra.
E intanto nel mondo
una guerra è signora della Terra.

Il povero Cristo
è sceso dalla croce,
e cristo come era
ha incontrato l’uomo.
Aveva un paio di baffi
e un coltello da affilare.
Lo sguardo torvo
non smetteva di sfilare.
Gli ha detto: “Cristo, spostati
e lasciami passare,
non voglio sentir prediche,
ho già molto da fare”.

E intanto nel mondo
una guerra è signora della Terra.

Il povero Cristo
è sceso dalla croce
e ha visto che per l’uomo
non può esserci unità.
Una cosa sola
cattiva oppure buona
ma pezzi frantumati
come è stato creato.

Dovrà sempre mentire
a chi gli sta vicino
perché c’ha dentro il cuore
le stanze di un casino.

E intanto nel mondo
una guerra è signora della Terra.
E intanto nel mondo
una guerra è signora della Terra.

Il povero Cristo
è tornato sulla croce
con il dono che
a tutti qui ha portato:
la Buona Novella,
dove per scritto è messo
“Ama il prossimo tuo
come fosse te stesso”.

Ma troppo era difficile
forse anche oltre l’umano,
così si è ritirato.
All’uomo ha rinunciato.

Una veste di silenzio
si è cucito addosso.
Il povero Cristo
tace, grida all’uomo
a più non posso.

Vinicio Capossela

lunedì 6 aprile 2020

Siamo uomini e caporali?

«L’umanità, io l’ho divisa in due categorie di persone: uomini e caporali. La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza. Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare per tutta la vita, come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama.
I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza averne l’autorità, l’abilità o l’intelligenza ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque.
Dunque dottore ha capito? Caporale si nasce, non si diventa! A qualunque ceto essi appartengano, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso, hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi. Pensano tutti alla stessa maniera!»
Dal film: "Siamo uomini e caporali?" (1955), regia di Camillo Mastrocinque

Antonio De Curtis, Totò (1898 - 1967), attore e poeta italiano