«Mi ami tu?»: è l'ultima domanda di Gesù a Pietro. Pietro era triste al pensiero di aver rinnegato tre volte Gesù, prima della sua crocifissione. Ed ecco il Risorto sta dinanzi a lui. Gesù non lo condanna per il suo rinnegamento. Non prende l'atteggiamento del forte. Non tira sulla corda della cattiva coscienza già attaccata al collo di Pietro. Nel Cristo vi sono viscere d'umanità: lui pure durante la sua vita terrena ha percorso cammini d'oscurità.
A Pietro, Cristo dice solo queste tre parole: «Mi ami tu?» E Pietro risponde: «Signore, tu sai che ti amo». Una seconda volta Gesù riprende: «Mi ami tu?». E Pietro di nuovo: «Ma lo sai che ti amo». Una terza volta Gesù insiste: «Mi ami più di tutti costoro?» E Pietro, scosso: «Signore, tu conosci ogni cosa, tu sai che ti amo».
Da quel giorno ad ogni essere umano sulla terra, il Cristo instancabilmente domanda: «Mi ami tu?».
Vi sono giorni in cui ci turiamo le orecchie: la domanda ci è insopportabile. Essa è intollerabile per colui che non ha mai sperimentato l'amore umano, per chi esperimenta solo l'abbandono o la ferita ricevuta nell'innocenza della sua infanzia.
Essa è intollerabile per noi tutti quando ci rivela quella parte di solitudine che nessuna intimità umana può colmare, quella parte di solitudine nella quale Dio ci aspetta. E quando la rivolta si esaspera, la domanda ci appare come una condanna poiché per amare non basta un atto della volontà.
Lo sappiamo abbastanza? Il Cristo non obbliga mai ad amarlo. Ma lui, il Vivente, rimane al fianco di ciascuno, come un povero, come un oscuro. É presente anche negli eventi più squallidi, nella fragilità dell'esistenza. Il suo amore è presenza non d'un solo istante ma di sempre. Quell'amore di eternità apre un al di là al nostro vivere. Senza quell'altrove, senza quell'aldilà, l'uomo non ha più speranza... e svanisce il gusto di procedere. Di fronte a quell'amore d'eternità, lo sentiamo, la nostra risposta concreta non può essere fuggitiva, per un periodo soltanto, con la possibilità di ritornare sulle nostre decisioni in seguito. La nostra risposta non può neppure essere uno sforzo della volontà; taluni vi si infrangerebbero. Essa è innanzitutto un abbandonarsi.
Rimanere dinanzi a lui, con o senza parole, significa sapere dove riposare il nostro cuore, significa rispondergli da poveri. In questo consiste la molla segreta dell'esistenza, il rischio del Vangelo. «Anche se talvolta io non so più se ti amo o no, o Cristo, tu sai tutto, tu sai che ti amo».
Grandi felicità sono offerte a colui che corre il rischio di un tale amore, senza calcolarne troppo le conseguenze. Quando ricerchiamo in primo luogo la felicità per noi stessi, essa a breve o lunga scadenza ci abbandona. Quanto più ardentemente la inseguiamo, tanto più lontano se ne fugge da noi.
Cercatore appassionato del suo amore d'eternità, chiunque tu sia, saprai dove riposare il tuo cuore? Attraverso le tue stesse ferite, egli apre la porta della pienezza: la lode del suo amore. Abbandonati, donati. In questo consiste la guarigione delle ferite, e non solo delle tue: già, in Lui, ci guariamo reciprocamente.
Roger Schutz (1915 – 2005), monaco cristiano svizzero, fondatore della comunità monastica di Taizé
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