martedì 28 aprile 2009

La carta e l'inchiostro

"Vedendosi la carta tutta macchiata dalla oscura nerezza dell'inchiostro, di quello si duole; il quale mostra che per le parole che sono sopra di lei composte, essere cagione della conservazione di quella".

Un giorno un foglio di carta, posto su uno scrittoio insieme ad altri fogli, si trovò cosparso di disegni e parole che una penna aveva tracciato su di lui. Il foglio si risentì: si sentiva umiliato, rovinato. L'inchiostro però lo consolò: "Io non ti ho sporcato! Ora tu non sei più un semplice foglio di carta, sei diventato un messaggio. Tu custodisci il pensiero, sei diventato uno strumento prezioso...". Infatti, di lì a poco, nel riordinare la scrivania, qualcuno vide i fogli sparsi, li radunò e stava per buttarli nel cestino; ma accortosi del foglio scritto, gettò via tutti gli altri, serbando soltanto quello che portava, ben visibile, il messaggio dell'intelligenza.
[ Favole ]
Leonardo da Vinci (1452 - 1519), artista e scienziato italiano 

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Diceva un foglio bianco come la neve: “Sono stato creato puro e voglio rimanere così per sempre. Preferirei essere bruciato e finire in cenere che essere preda delle tenebre e venir toccato da ciò che è impuro”. Una boccetta di inchiostro sentì ciò che il foglio diceva e rise nel suo cuore scuro, ma non osò mai avvicinarsi. Sentirono le matite multicolori, ma anch’esse non gli si accostarono mai. E il foglio bianco come la neve rimase puro e casto per sempre – puro e casto – ma vuoto.

Khalil Gibran (1883 - 1931), poeta, pittore e filosofo libanese

1 commento:

  1. L'avventura che ha visto protagonista il foglio di carta è vissuta anche da ogni uomo, in cui echeggia una chiamata, impressa nel suo cuore, una vocazione che è come un seme da proteggere, da coltivare perché attecchisca, germogli e sbocci. Noi, infatti, non nasciamo come una pagina bianca in cui la realtà, il caso, le scelte di una volontà umana a volte bizzarra scrivono un percorso che alcuni chiamano destino, ma che altro non è se non il tentativo di trovare la felicità, un desiderio insopprimibile perché intessuto in ogni fibra del nostro essere. Questa felicità così agognata, questa realizzazione piena è soltanto in Dio. L'uomo, infatti, esiste come una creatura che Dio ha fatto per sé; ed è chiamato a realizzare un rapporto profondamente personale, intimo, con il Signore.
    Gli uomini, però, misconoscono e coprono di indifferenza, di chiasso, di oblio, la voce divina che sgorga dal loro intimo; cosicché rimangono disorientati, incapaci di capire perché vivono e come possono realizzare l'aspirazione alla pace, alla felicità. A questi uomini indecisi, magari convinti di avere in tasca la verità, ma in realtà soli, sperduti nell'immensità dell'universo e nel procedere della storia va incontro Gesù, il quale gira per le città e i villaggi (cf Mt 9,35) a predicare il suo vangelo, ad annunciare la buona notizia di un Dio che salva, che offre un senso alla vita (cf Es 19,2-6).
    Gesù, però, non stava fermo, non aspettava che la gente andasse da lui; ma andava incontro agli uomini, alle donne, là dove essi erano, là dove vivevano. Anche oggi Gesù ci viene incontro: attraverso i fatti della vita illuminati dallo Spirito Santo, e nella misteriosa ma stupenda comunione con il suo Corpo che è la Chiesa, egli entra nella nostra casa; perché lui va dove c'è la gente, dove c'è qualcuno da salvare: "Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore" (Mt 9,36).
    Chi sono queste folle? Sono gli uomini di oggi, che confondono la felicità con il piacere o la ricchezza, e non si accorgono di vagare per la storia, illusi di essere i dominatori dell'universo. Di Cristo ha bisogno l’uomo. Di Cristo hanno bisogno quelli che piangono, quelli che non sanno perché vivono, quelli che sono disillusi, o disperati, o indifferenti: "La Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza perché l'uomo possa rispondere alla suprema sua vocazione; né è dato in terra un altro nome agli uomini in cui possano salvarsi. Crede ugualmente di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine dell'uomo, nonché di tutta la storia umana" (Gaudium et Spes, 10).
    Ecco perchè la Chiesa non può far altro che essere missionaria, ecco perché fin dai tempi apostolici continua senza interruzione il suo annuncio all'interno della famiglia umana. Infatti, come gli apostoli furono inviati da Gesù (cf Mt 10,5), così anche noi, se abbiamo fatto esperienza di comunione con il Cristo, non possiamo far altro che proclamare il messaggio liberante del vangelo. Questo è il compito dei cristiani, sia perchè la "missionarietà appartiene alla natura stessa della Chiesa" (TMA, n. 57), sia perché Gesù chiama tutti ad essere operai della sua messe (cf Mt 9,38); e non ci chiama genericamente, ma come gli apostoli, per nome (cf Mt 10,2-4).
    La nostra testimonianza non deve essere accompagnata dalla paura, perché Gesù ci ha dato il "potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di infermità e di malattie" (cf Mt 10,1.8). Matteo qui non ci vuol dire che abbiamo un potere di guaritori, ma che i discepoli di Gesù hanno il potere di guarire la malattia dell'uomo confuso, spiritualmente morto, spento o provato, incapace di vivere per lo scopo secondo il quale è stato creato. Neppure dobbiamo preoccuparci dei nostri limiti, dei nostri fallimenti. Come tra gli apostoli c'era anche Giuda, il traditore, così anche tra noi ci sono i deboli, quelli che si lasciano andare, quelli che tradiscono il Maestro.
    Gesù, però, manda gli apostoli in missione dopo averli istruiti (cf Mt 10,5). Noi ci facciamo istruire? La partecipazione all'Eucaristia, la preghiera, la lettura della Bibbia, gli incontri in parrocchia, la confessione, la direzione spirituale sono tutte occasioni di istruzione, di preparazione, senza le quali difficilmente sapremo vivere e rendere ragione della nostra fede, innanzitutto a coloro che ci sono più vicini. Gesù, infatti, non invia gli apostoli a tutto il mondo, ma in questa occasione li manda alle pecore perdute del popolo eletto (cf Mt 10,6). E' una forte indicazione pastorale.
    Ci sono momenti, nella storia, e questo forse è uno di quelli, in cui la Chiesa deve guardare in se stessa. Molti sono i battezzati, ma quanti sono i cristiani? Ecco perché innanzitutto dobbiamo testimoniare il Vangelo e annunciare Gesù alle persone che magari non sono praticanti, ma che pure dichiarano di condividere la nostra fede. E ciò senza la pretesa del successo, ma con l'atteggiamento di chi: "Gratuitamente ha ricevuto, gratuitamente dà" (cf Mt 10,8).
    Noi, infatti, non ci siamo conquistati l'intimità di Gesù, ma essa ci è stata donata; noi non siamo qui innanzitutto perché siamo migliori di altri, ma perché Gesù ha voluto incontrarci. Non abbiamo costruito la nostra fede, l'abbiamo accolta; non l'abbiamo approfondita, ma ci siamo arresi alla sua forza. Ecco perché abbiamo ricevuto gratuitamente; ed ecco perché dobbiamo dare senza la pretesa di avere nulla in cambio, senza la pretesa di vedere il nostro zelo in qualche modo ripagato. Il nostro compito è seminare: una parola, un gesto d'amore, un atto di fede. Sarà il Signore, con i suoi tempi, a far maturare le situazioni. A noi rimarrà la gioia di essere stati suoi collaboratori, "matite nelle mani di Dio" (Madre Teresa).

    Commento al Vangelo della XI Domenica T.O. anno A: Mt 9,36-10,8 (Chiamati a sè i dodici discepoli, li mandò...)

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