domenica 30 luglio 2023

Bambini in guerra


Quanti ne ho visti, di bimbi, nel mio triste pellegrinaggio di guerra. Tragico fiore sulle macerie sconvolte e insanguinate d’Europa, pallida luce di sorriso sulla fosca agonia di un mondo! E i bimbi d’Albania, neppure questo sorriso malato sapevano offrire alla loro terra squallida e ambigua.


Alacri e fieri bambini del Montenegro, dai costumini fantasiosi, come se fosse sempre festa e dai riflessi d’acciaio negli occhi fermi e intelligenti. Poveri bimbi di Grecia con lo stupore della fame e della sconfitta nel viso scarnito (e gli autocarri della Divisione ne raccoglievano ogni giorno diecine, insieme ai vecchi, intorpiditi dalla fame e morenti…). 

Miserabile frotta di fanciulli jugoslavi che sostavano tutto il giorno alle porte delle caserme e degli accampamenti, con latte di pomodoro, scatolette della carne e gavette arrugginite tra le mani, aspettando avidi e silenziosi la distribuzione degli avanzi di cucina e un po’ di rancio dai soldati… Che cosa non avevano addosso quei bambini e quelle bambine? Teli da tenda mimetizzati, lunghe sottane da donna strascicanti e giubbe militari stracciate da cui affioravano soltanto due manine e un visino infreddolito. Come un’amara mascherata dell’abiezione e della fame! 

Voci musicali e dolenti di bimbi, per le contrade deserte della Polonia che invocavano pane (Italianski, pan dai gaglietta!) quante volte non mi tornate nell’anima come un pianto lontano e un rimorso inquietante! Ed erano tutt’ossa quei piccini, le mani rinsecchite e protese, bastoncini le gambe tremanti nei calzoncini fatti troppo larghi… Facevano sciame improvviso intorno alle tradotte italiane, nelle lunghe e inspiegabili soste dei convogli in aperta campagna o nelle stazioncine diroccate dalla guerra, s’azzuffavano sui pezzi di pane gettati loro dai finestrini… e ho visto io la sentinella tedesca sparare macchinalmente in quel groviglio cinguettante di stracci! 

Bambini di Russia, dell’Ucraina, delle steppe del Don e della Russia Bianca. Paffuti e incuriositi da prima dietro i vetri delle isbe a osservare senza paura il fiume delle macchine da guerra e degli armati che marciavano tronfi e vittoriosi verso l’annientamento della Russia; rassegnati e assenti poi a spingere il carrettino delle masserizie, nelle lunghe e mute teorie di profughi che bordavano le strade delle retrovie rombanti di motori e di armi, sotto l’incubo degli aerei saettanti nel cielo. Da ultimo, poveri esserini disperatamente attaccati al seno esausto delle madri immote, piangenti nelle case deserte, atterriti e sobbalzanti a ogni rumore di guerra. 

Poveri bimbi della mia guerra, miei piccoli amici di dolore, dove sarete oggi e che sarà di voi? Eppure soltanto da voi ci è stato dato di cogliere qualche gesto di dolcezza e di speranza in così orribile tragedia di odi e di sangue. Quando s’arrivava nelle città conquistate e infrante, i visi e le case dei nemici si sbarravano astiosamente; dietro gli spiragli lampeggiavano sguardi di rancore e covavano propositi di vendetta; agli angoli delle strade deserte si preparavano gli agguati dei partigiani. Ma i bimbi no. Dopo la prima sorpresa, uscivano timidi dalle case, si accostavano guardinghi e curiosi alle potenti macchine di guerra, toccavano con mano innocente e incredula le armi lucenti, s’intrufolavano nei crocchi dei soldati stanchi dalla lotta ascoltandone i discorsi senza intenderli e, se qualcuno di essi aveva sete, saettavano con la gavetta a prendergli l’acqua… E il soldato più anziano, levatosi il casco che gli dava un’inutile fierezza, seduto a metà sul parafango di un carro armato, chiamava con qualcosa di buono il più piccino, il più biondo o quello che somigliava di più al suo bambino lontano e lo carezzava pensoso… Nel fanciullo si riconciliava e rinasceva la vita infranta della guerra.

“Cristo con gli alpini” (1946)

Don Carlo Gnocchi (1902 - 1956), presbitero, educatore, attivista e scrittore italiano, Beato

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